Della dignità

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Tutto quello che segue questa riga è falso

raversoni

Jole è incazzata da matti con il suo, si fa per dire, ragazzo. Infatti, ieri sera mentre lei era al lavoro, lui è uscito con l’Isabella. Una ragazza ungherese che ho incontrato un paio di volte.
Lei sa del tradimento da una mezzoretta, grazie ad un contorto giro di telefonate tra le sue amiche.
Just a blow job in friendship, si è giustificato lui minimizzando nel suo pessimo inglese al telefono, quando l’ha chiamato inviperita giusto dieci minuti fa.
Tra loro parlano spesso in inglese, visto che lui l’italiano lo mastica poco.
Amicizia ‘sto cazzo, sbotta lei ingelosita scuotendo la testa mentre saliamo le scale di casa mia.
Mi ha raggiunto facendosi dare un passaggio da un cliente a fine turno. E ha cominciato a raccontarmi la storia in strada, appena scesa dalla macchina del tipo imbarazzato che faceva laboriosamente manovra.
Perché sicuramente invece hanno scopato, inveisce, e se hanno scopato, lo hanno fatto senza, perché lui il guanto non lo regge. E se si scopa una nuova, figurati! Quella puttana di merda, poi.
Contro ogni abitudine, si spoglia appena siamo in soggiorno. Rifiuta qualcosa da bere e si fionda in bagno. La sento farsi una doccia bestemmiando in russo a bassa voce e comincio ad avvertire un certo senso di inquietudine.
Finalmente mi raggiunge in camera da letto e si stende spalancando le lunghe gambe.
Leccami, ordina, questa sera voglio tradirlo. Bastardo, figlio di puttana di un albanese.
Le allungo un paio di bacini, che lei ricambia con occhio ancora corrucciato. E poi scendo, non senza titubanza, a lambirle l’inguine.
Ha messo il suo cazzo in un’altra figa e poi mi ha scopata, farfuglia, e non mi ha detto niente.
Vabbé, obietto emergendo dal fiero pasto, ma tu scopi con un sacco di gente.
Sono un po’ sorpreso da come parla. Di solito è educata e gentile, forse è davvero arrabbiata.
Posso restare a dormire? Mi ignora, se torno a casa questa notte finisce che litighiamo e mi mena.
Non trovando argomentazioni con cui ribattere, riprendo la piacevole ancorché controversa attività.
Lo abbiamo fatto solo un paio di volte. Dice che le piace, ma ci mette un casino a venire.
È il mio lavoro, singulta prendendomi la testa con entrambe le mani per guidarmi, non lo faccio mica per piacere.
Se non fosse la mia ragazza preferita, l’avrei già cacciata a calci in culo. Non mi piacciono tutte ‘ste manfrine.
E poi, aggiunge smettendo di stringermi la testa, io lo faccio con il preservativo. Quando mi scopa, non si scopa la sborra degli altri.
In effetti, penso, con lei si fa sempre tutto coperto. A parte qualche raro pompino.
Si stinge con forza le grosse tette per eccitarsi.
La sua passerina sembra a punto, ma forse non basta.
Risalgo a baciarle il petto e le labbra.
Lei ne approfitta per infilarmi la lingua in bocca e stringermi l’affare.
Ancora, esorta spingendomi di nuovo giù.
Ma è inutile, penso, è troppo irritata.
Stronzo, figlio di puttana, bisbiglia, anche nel culo me lo ha messo ieri sera. E non si è neppure lavato prima.
Jole è sana e pulita e mi fido di lei. Ma questi discorsi mi preoccupano un po’.
Comunque, non mi va di deluderla e continuo a leccarla. Anche se penso che non verrà.
Rischia di diventare una cosa lunga e io domattina devo andare a lavorare presto.
Lei alza il bacino e ridacchia innervosita.
Anche dietro, chiede con piglio falsamente autoritario.
Non lo abbiamo mai fatto e non mi piace farlo.
Dopo, insiste capendo la mia incertezza, te lo faccio io.
Per facilitarmi il compito, si piega su un fianco e si infila due dita nella passerina.
In questo modo, finisce sicuro prima, mi rallegro.
Quando le appoggio la lingua sul didietro ha un piccolo brivido.
Più forte, ansima poco convincente accelerando il ditalino.
Deve essere l’idea a eccitarla, perché praticamente non sto facendo niente.
Ma lei scuote appena la gambe e viene con inopinata rapidità.
È successo un paio di altre volte, con lei, sempre leccandola. So che stringe forte gli occhi e si mette la lingua tra i denti. E dopo si accascia quasi spossata. Ma adesso non posso vederla.
Difficile che si faccia scopare, a questo punto, penso tirandomi via deluso.
Contro ogni mia aspettativa, invece si contorce agilmente e viene ad abbracciarmi stretto.
Fammi sentire il sapore del mio culo, sorride incerta infilandomi la lingua tra i denti.
Sono sorpreso, perché Jole non è mai volgare. E non bacia abitualmente i clienti.
È vero che ogni tanto con me lo fa, visto che ci vediamo quasi tutte le settimane da oltre quattro mesi. Ma mai così.
Di solito mi bacia con tristezza. Lo fa per compiacermi, credo, quasi a stabilire che condividiamo forme diverse della stessa miseria.
Ma questa volta è diverso, prende lei l’iniziativa.
Spingendo sempre più profondamente la sua lingua nella mia bocca, poco alla volta mi viene sopra.
Si siede comoda sul mio ventre e ridacchia stringendomi la nuca e le spalle.
È alta e ben tornita, forse la ragazza più attraente che conosco.
Si piega ad appoggiarmi le grosse tette sul petto e spinge pericolosamente la sua passerina contro la mia erezione.
Mi fissa con gli occhioni blu apparentemente più serena.
Culo? Propone tirandosi su.
Ok, accetto sorpreso.
Sa che mi piace molto, ma di solito si presta senza troppo entusiasmo. Anche se non chiede alcun supplemento.
Pecora, stabilisce mettendosi in posizione, che fa meno male.
Prendo la crema, farfuglio alzandomi.
No, fa lei girando la testolina a valutarmi l’erezione.
Sei già unta, provo a indovinare in piedi sullo scendiletto.
No, sorride ancora, ‘stasera non ho scopato dietro.
Rincula fino a poggiarmi le natiche contro.
Forse, penso, basta il lubrificante del profilattico.
Mi allungo a prenderne uno dalla confezione che ho lasciato sul comodino.
No, fa lei, voglio che quando mi scopa, scopa anche la tua sborra.
Oh, cazzo, no, protesto sempre più confuso.
Dai, fa lei accattivante, solo questa volta.
‘Fanculo, inveisco tra i denti sempre più perplesso, è pericoloso.
Lei si siede delusa sul bordo del letto e mi guarda interlocutoria l’affare imbaldanzito.
Ma, obietta, è duro duro.
Lo tocca e gli dà un bacino esplorativo che peggiora la situazione.
Come dire, di solito non ti tira tanto.
Sono sempre più irritato, ma il corpo ha le sue leggi.
Di solito non le piace fare bocca senza. Ma questa volta se lo infila in gola salivando e guardandomi dal basso con aria seria.
No, cerco di ritrarmi, lascia stare, non posso.
Ma lei mi ignora.
Dai, insiste rimettendosi a quattro zampe sul letto, solo per questa volta.
Porca puttana, farfuglio, mi stai usando.
È vero, scoppia a ridere nervosamente girando ancora la testolina a controllarmi.
Mi avvinghia i polpacci con i piedi e mi tira contro di lei spingendo indietro il sedere.
Nonostante la perplessità, le sfrego il mio affare sul didietro.
Non lì, si lamenta mentre imprudentemente scivolo nel pertugio sbagliato, più su.
Me lo prende con una mano e prova a guidarmi puntandolo contro lo sfintere.
Ma è troppo stretto e lei non è tanto rilassata. Mi fa pure un po’ male.
Adesso, decide.
E spingo ormai ingrifato facendolo entrare appena un po’.
‘Fanculo, si lamenta tirando via la mano con cui mi guidava, vieni subito, eh!
Poggia le tette sul lenzuolo per farsi penetrare meglio e sbuffa.
Questa volta si scopa anche la tua sborra, ripete vendicativa.
Ma sa che non verrò subito. Sa anche che dovrà aiutarmi con le mani.
Infatti, si tira via e comincia a masturbarmi.
Sa che deve farlo prima piano e poi forte. Ormai mi conosce bene.
Sono sempre più confuso.
Quando sente che sono pronto, si rimette a quattro zampe e mi aiuta a infilarla di nuovo.
Dai, mi incita stringendo i denti e toccandosi delicatamente la patatina.
Così, l’accontento, cazzo di cane, cacciando un piccolo urlo liberatorio.
Mentre vengo, lei si accascia supina stringendo le gambe e serrandomi l’affare in una morsa che non trovo neppure troppo piacevole.
Ma sa quello che fa.
Quando ormai intontito decido di uscire, si gira su un fianco soddisfatta e si tocca delicatamente il culo arrossato per controllare che non esca troppa roba.
Ho da cagare, ridacchia compiacendosi della volgarità, ma non la vado a fare.
Per guardarmi, deve torcere il collo. Non è comodo, ma evidentemente preferisce darmi le spalle.
Stravaccato ansimante contro la testiera del letto, le osservo le terga già nostalgico.
E sempre più irritato.
Lei mi fissa ancora e ridiventa seria.
Non preoccuparti, aggiunge con una smorfia, non rimango a dormire. Vado a casa a farmi scopare in culo.
Ma, obietto, magari litigate e poi ti mena.
Si controlla il dito sporco di sperma quasi divertita.
Vedrai, risponde sibillina, che riesco a farmi scopare. Anche se mi mena.
Contenta tu, scuoto la testa stremato allungandole una salvietta.
Lei si sfrega distrattamente le natiche contraendo gli sfinteri e fa un cenno verso il pacchetto di sigarette sul comodino. Il suo buchino si sta lentamente richiudendo.
Gliene accendo una e gliela passo.
Di solito, a questo punto viene ad abbracciarmi e stiamo qualche minuto allacciati in silenzio.
Poi va a farsi un’altra doccia.
Ma questa volta si alza tenendosi una mano sul di dietro e si rimette immediatamente le mutande.
Un piccolo rivolo di sperma le scende tra le cosce.
Se lo tira via infastidita e si pulisce le dita sul davanti del piccolo slip ormai tutto macchiato.
Questa volta, ribadisce seria sbuffando per il fumo della sigaretta che tiene tra le labbra, si scopa anche la tua sborra.
Ti accompagno, propongo sempre più infastidito alzandomi e cominciando a trafficare con i miei vestiti ammucchiati in un angolo.
La ragazza annuisce debolmente.
Adesso sembra disorientata. Incerta sulla serie di azioni che deve intraprendere per rivestirsi.
Forse si è accorta solo ora della sciocchezza che abbiamo fatto.
Cerca un reggiseno che non portava. Poi raccoglie il maglione e se lo infila.
‘Fanculo, sibila tra i denti.
E spegne la sigaretta.
Si rimette anche i jeans.
Io sono ormai vestito, mentre lei non trova le calze di lana che porta sempre quando fa freddo. E i suoi stivali sono finiti sotto il letto.
Sembra imbambolata.
Glieli prendo e lei si siede sul letto per indossarli.
Le calze se le infila nelle tasche dei jeans.
Prendo un taxi, mormora, tu sei troppo stanco.
Ok, accetto sollevato.
Le allungo cento carte che lei prende e non sa dove mettere.
Nella borsa, suggerisco.
Annuisce e mi precede in salotto con passo malfermo. Di solito, quando le do i soldi, mi ringrazia e mi allunga un bacino.
Mentre chiamo il taxi, lei guarda le banconote con aria sempre più corrucciata.
Ti accompagno giù, dichiaro.
E scendiamo nel freddo della notte di marzo.
Si scopa anche la tua sborra, mormora ancora incoerente quando siamo per strada.
Ok, cerco di calmarla, ma che differenza fa?
Alza le spalle.
Bastardo albanese figlio di puttana, sorride storta, tu non puoi capire.
Ok, ammetto, non capisco.
Il taxi svolta dal viale e si avvicina frusciando.
Tieni, mormora allungandomi i soldi.
Ma, obietto, siamo stati più di un’ora.
Mi sorride alzando le spalle con una piccola smorfia.
E si allontana con passo dignitoso verso la macchina che l’aspetta sul ciglio della strada.
Senza neppure salutare.

Tutto quello che precede questa riga è vero
 
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Bel racconto

la ragione che svanisce davanti al piacere, l'orgoglio, la rabbia tutto ben raccontato!
 
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Io stesso non avrei saputo comportarmi in maniera diversa.

A volte riusciamo a perdere ogni controllo quando ci troviamo di fronte ad un sogno...
:sad:
 
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tutto quello che segue questa riga è falso

Vento

Se non avessi letto prima la recensione, forse le cose sarebbero andate in modo diverso.
E dire che un piccolo sospetto l’avevo avuto. Quando le avevo telefonato, infatti, la sua voce non mi aveva preso bene. Anche solo quella sfumatura indecisa e cantilenante nell’elencare le tariffe. La monotonia delle formule. Cinquanta una cosa normale, cento con calma.
Con calma cosa, poi?
E di dietro? Mi ero informato pregustando.
Quello no, aveva risposto senza troppa convinzione.
Vabbé, mi ero detto. Con calma forse vuol dire un’oretta. Anche se è tardi.
E se corrisponde alle foto, allora è onesto. Facile, poi, che al primo incontro non si esponga. Magari col tempo.
Qualcosa mi frenava, ma la curiosità aveva vinto.
Così mi ero avviato a piedi, non era lontano da casa mia. Pioveva, ma avevo l’ombrello.
La recensione sul forum diceva che era davvero carina, ma soprattutto che era una gran porca.
Wow, una gran porca!
Le foto erano davvero invitanti. Una biondina ben carrozzata, tonica e con un bel sorriso.
Peccato che non si vedessero gli occhi. Ma secondo la recensione erano chiari.
Sull’annuncio diceva fino alle due. E adesso erano quasi le due.
Arrivato in prossimità del suo indirizzo, le feci uno squillo e mi diedero il tiro.
Condominio anonimo, nella prima periferia. Roba degli anni cinquanta, in debito di manutenzione. Nell’atrio aleggiava un leggero odore di cavoli bolliti.
Secondo piano, aveva detto. Così presi l’ascensore.
Il pavimento era costellato di bruciature di sigaretta e macchie vecchie.
La porta di sinistra era appena accostata. Una lama di luce fioca tagliava il pavimento del pianerottolo. Non si sentivano rumori.
Spinsi la porta ed entrai.
Nel corridoio c’era una mora in accappatoio seduta ad una piccola scrivania.
Parlava al telefono, tenendolo tra la guancia e la spalla, e intanto digitava velocemente su un portatile acceso su un sito di annunci.
Non conoscevo la sua lingua.
Mi diede una rapida occhiata facendomi segno di proseguire.
Infilai l’ombrello nell’apposito scomparto di un attaccapanni sbilenco e mi pulii le suole delle scarpe sullo zerbino di fianco. Poi mi tolsi il giubbino e lo appesi ordinatamente.
La mora continuava a parlare al telefono ignorandomi.
Dal corridoio si vedevano due porte aperte sulla sinistra. E una in fondo, il bagno. Le plafoniere alle pareti erano di un fastidioso rosa confetto.
Qualcuno si stava facendo un bidet, ma la porta appena accostata non permetteva di vedere bene.
Sbirciai dentro la prima stanza. Era una cucina piuttosto disordinata, dove i resti di una cena sul tavolo spargevano un vago sentore di pomodoro acido e peperoni.
Trattenni un contato. Non mangiavo da quella mattina e la compressa di Levitra che avevo preso poco prima mi veniva su. Lo sapevo che non ero tanto in forma e un piccolo aiuto forse mi sarebbe servito.
Un minuscolo televisore sulla credenza mandava un programma di videoclip a volume spento.
La seconda stanza era una camera da letto.
Lisa mi stava aspettando seduta in mezzo al letto.
Alzò gli occhi dalla rivista che stava sfogliando e mi sorrise appena.
Sì, gli occhi erano chiari. Non doveva avere più di vent’anni.
Mi fece una rapida radiografia, constatando le mie dimensioni non proprio discrete e l’età avanzata, che forse al telefono non aveva intuito.
Mi fece segno di mettermi comodo, mentre un’altra ragazza in accappatoio, sicuramente quella che prima si stava lavando in bagno, venne velocemente a prendere della biancheria dal comò.
Poi uscì con un sorriso imbarazzato richiudendo la porta.
Delle tre mi sembrava la più attraente. Alta e formosa, con un bel viso largo da bionda dell’Europa dell’est.
Anche Lisa non era niente male, ma le altre due ad una prima occhiata sembravano più fornite di attributi.
Che facciamo? Chiese quando mi fui tolto il gilet.
Mi sedetti sul letto e alzai le spalle.
Non so, mormorai, è molto tardi.
E questa dovrebbe essere una gran porca? Mi chiesi incredulo.
La ragazza guardò la radiosveglia sul comodino. Erano le due passate.
Annuì e si stese su un fianco.
Come vuoi tu, confermò allungandosi a poggiare la rivista per terra.
Nella stanza c’era un’altra branda. Sicuramente le ragazze dormivano tutte lì.
Per cui, meglio davvero se facevamo la normale, così potevano andare a letto.
Tutto mi dava un senso di frustrazione. Adesso che ero lì, non provavo alcun entusiasmo.
Ero uscito senza portafogli. Così presi una banconota dalla tasca dai pantaloni e gliela misi sul comò.
C’era solo una lampada accesa in un angolo. Ma non era troppo buio.
La ragazza si tolse il maglione. Sotto non aveva altro.
Le apparenze ingannano. Biotta era sicuramente valida. Più minuta delle altre due, ma molto ben tornita.
Mi tolsi anche il resto pregustando blandamente le sue forme morbide.
Non sapendo bene dove mettere i miei indumenti, li poggiai per terra.
Vuoi che accendo un video? Chiese armeggiando con un telecomando.
No, sorrisi.
Forse aveva intuito che non ero tanto eccitato.
Ma ormai si era sintonizzata su un canale satellitare, dove tre nerboruti superdotati si dedicavano con invidiabile vigoria a riempire tutti i buchi idonei di una famosa pornostar americana.
È divertente, sorrise. Forse nel tentativo di mettermi a mio agio.
Sì, ridacchiai, si imparano un sacco di cose.
Ma lei, invece di ricambiare la mia battuta, fece una smorfia di disappunto.
E spense il televisore.
Mi inginocchiai sul letto e lei mi prese l’affare.
Nonostante fosse molto carina, continuavo a sentirmi annoiato e stanco.
Me lo strinse delicatamente con entrambe le mani, mentre il Levitra lentamente faceva il suo effetto. Le accarezzai un poco le spalle e il seno.
E questa sarebbe una gran porca? Mi chiesi nuovamente sempre più smontato.
Aprì una bustina e mi infilò abilmente un profilattico.
Poi mi sorrise poco convinta e si piegò per imboccarlo. Ma non mi andava. Se facevamo la normale, non volevo perdere tempo con quelle cazzate.
No, la pregai.
Tanto, era evidente che la storia che era una porca era una vera bufala.
Le sollevai le gambe facendola ruzzolare sulla schiena e me la tirai contro.
Aspetta, fece lei un poco sorpresa.
Si inumidì due dita di saliva e se le passò sulla passerina.
Non fare finta, le suggerii, non mi piace.
Ok, accettò senza discutere.
La infilai lentamente. Mi piace vedere l’espressione che fanno quando entra.
Anche lei storse un poco la bocca e si inumidì le labbra. Aveva davvero occhi bellissimi.
Mi abbassai per vedere se si lasciava baciare.
Ma mi fece segno di no, torcendo appena il collo.
Così, le diedi qualche bacino su una guancia, mentre lei alzava un poco il sedere per fami entrare meglio.
E questa sarebbe una porca, mi rammaricai amaramente.
Spinsi più forte che potevo, poi mi tirai su e la girai su un fianco.
Fece un piccolo ansito mentre tornavo a infilarglielo profondamente.
Quanti ne hai presi oggi? Farfugliai.
Perché? Rispose girando la testa a fissarmi negli occhi.
Mi eccita saperlo, spiegai.
Con te fanno otto, precisò con le tette che ballonzolavano al ritmo delle mie spinte sempre più violente.
Qualcuno veramente grosso? Insistetti.
Tutti più grossi del tuo, ridacchiò.
Forse capendo il gioco che le stavo proponendo.
Qualcuno ti è venuto in bocca? Indagai.
La ragazze girò ancora il collo per guardarmi fisso, incerta su come rispondere.
Ho dei vecchi clienti, ammise, con cui lo faccio qualche volta.
Oggi? Incalzai.
Sette volte, mentì sorridendo poco convinta.
Allora, commentai spingendola a mettersi prona senza uscire, hai solo vecchi clienti.
No, rispose vagamente irritata. Forse meditando una battuta fulminante.
Del genere che aveva anche dei clienti vecchi.
Parlava sorprendentemente bene italiano ed era alla sua portata.
Mi accomodai meglio sulle sue cosce e spinsi di nuovo a fondo.
Le aprii le natiche per osservarle il didietro.
Il buchino era parecchio invitante. Tondo e stretto.
Provai a passarci un dito sopra.
No, sbuffò, per favore. Non mi piace.
Ok, mi rassegnai.
La tirai su a quatto zampe e le diedi ancora un paio di colpi.
Poi mi tirai via ormai stanco. Poteva anche risultare interessante, ma non ero dell’umore.
Un cinquantone buttato. Capita, dai.
Lei si girò un poco sorpresa, rimettendosi faticosamente seduta, mentre io mi accasciavo supino.
Sei venuto? Chiese fissando sospettosa il mio affare ancora eretto.
No, ammisi, ma basta così.
Ok, fece lei incrociando le gambe in un mezzo loto.
Non vengo quasi mai, confessai.
Scosse la testa divertita.
Ma non ti viene il mal di testa? Obiettò.
Accidenti, ridacchiai, certo che mi viene il mal di testa.
Mi tirai a sedere contro la testiera del letto.
Hai qualcosa? Si informò confidenziale.
Niente di grave, spiegai, solo un piccolo problema con la prostata.
La ragazza annuì comprensiva.
Si può fumare qui? Chiesi.
Fece segno di no.
Giusto, pensai, ci dormono.
Dopo ti fai una sega, vero? Cercò di indovinare prendendo un’aria furbetta.
Sì, confermai.
Una sega piuttosto costosa, rise cristallina.
Abbastanza, convenni, ma se ci conosceremo meglio magari riesco.
La ragazza annuì tranquilla.
Adesso vado, annunciai, non ti faccio perdere tempo.
Ok, mormorò, vai prima tu in bagno?
Le feci segno di no.
Si alzò, si infilò il maglione e uscì in punta di piedi.
Mi tolsi il profilattico. Non sapevo dove metterlo, così lo tenni in una mano, mentre con l’altra mi accarezzavo inutilmente l’affare.
Lisa tornò quasi subito. Mi diede un piccolo asciugamani e mi prese il profilattico dalle mani.
Poi mi sorrise, invitandomi implicitamente ad andarmi a rinfrescare. Sembrava imbarazzata.
Andai a pisciare impacciato dall’erezione e mi lavai sommariamente. Tanto, arrivato a casa mi faccio sempre una doccia.
Meno male che doveva essere una gran porca, sospirai tornando nella stanza.
La mora che prima stava telefonando non era più nel corridoio. E dalla cucina venivano rumori di stoviglie rigovernate.
Lisa mi stava aspettando seduta sul letto a gambe incrociate.
Adesso vai a farti una sega? Scherzò mentre raccattavo mutande e calzini.
No, sorrisi, vado a fare una passeggiata.
Ma, obiettò, non lavori domattina?
Sì, spiegai infilandomi i calzoni, ma sono vecchio. Dormo poco. Anche se vado a letto alle quattro, per le otto sono in piedi.
Anch’io, fece lei, vado sempre a letto tardissimo, ma alle nove mi sveglio e non riesco più a dormire.
Indossai anche la camicia e presi il gilet.
E cosa fai tutto il giorno? Chiesi incuriosito.
Alzò le spalle incurante.
Guardo la tele, elencò, preparo da mangiare, ascolto la musica. Esco per fare la spesa.
Annuii incerto.
E quando cominci a lavorare? domandai.
Alzò ancora le spalle.
Il pomeriggio, precisò, ma in questo periodo non viene nessuno. Prima ti ho raccontato una bugia, oggi ne ho fatti solo tre, quattro con te.
Era solo per eccitarmi, ridacchiai complice.
La ragazza si alzò improvvisamente e andò a rovistare nel comò.
Sul serio vai a fare una passeggiata? Chiese girandosi a fissarmi con i suoi occhi limpidi.
Sì, confermai, abito qui vicino. Ma prima di tornare a casa faccio un giro fino al canale. Ci vado spesso, è bello.
Mi prendi con te? chiese tirando fuori dal cassetto un reggiseno rosa.
Certo, accettai, se ti va.
Mi va, decise infilandoselo.
Mi sedetti ancora sul letto mentre si vestiva rapidamente.
Torniamo prima delle quattro? Chiese quando ormai si stava mettendo degli stivaletti bassi.
Sì, confermai.
Mi fece segno di alzarmi e la seguii nel corridoio.
Disse qualcosa nella sua lingua alle due ragazze annoiate che stavano bevendo una Redbull sedute al tavolo della cucina. E poi si infilò un bomber.
Le tue tipe risposero qualcosa di indistinto mentre uscivamo.
Stronze, sibilò tra i denti.
Perché? Chiesi divertito.
Pensano solo ai soldi, spiegò nervosa, e sono invidiose. Adesso mi hanno dato della puttana perché vengo con te fuori dal lavoro.
E cosa gliene frega? Ridacchiai a bassa voce scendendo le scale.
Credono che voglio fare la carina, rispose, così torni. E gli dà fastidio se lavoro più di loro.
E tu lavori più di loro? Sorrisi uscendo nel freddo umido della periferia.
Mannò, fece spallucce, solo loro che sono invidiose e stronze.
Aprii l’ombrello e lei mi prese sottobraccio.
Fammi vedere questo canale, sospirò tirandosi su il cappuccio, non sapevo neppure che ce ne fosse uno da queste parti.
Mi incamminai cercando di ignorare il vento gelido che ci soffiava di lato e mi accesi una sigaretta.
Lei mi fece segno di dargliene una e poi camminammo in silenzio verso il Navile.
Il Levitra continuava il suo effetto ed ero impacciato da una fastidiosa erezione.
Lei ogni tanto mi guardava il pacco divertita. Con il giubbino corto che portavo quella sera, il segno della mia eccitazione era evidente.
Non c’era nessuno in giro. E la pioggia stava crescendo.
Quando fummo sull’argine lei mi sorrise compiaciuta.
Non l’avevo mai visto, mormorò, ma che freddo!
Il vento teso ci bagnava le gambe.
Scendemmo verso la chiusa stando attenti a non scivolare sui gradini fradici.
E ci fermammo contro la spalletta del ponte a guardare l’acqua nera e turbolenta.
Bello, fece voltandosi a sorridermi.
La spinsi verso l’altra parte, per mostrarle gli archi sotto la chiavica.
Adesso pioveva davvero forte.
Che freddo! Commentò ancora quando scendemmo fino alla campata.
Rimanemmo un poco sul bordo del canale a guardare l’acqua illuminata da un lampione solitario.
Andiamo? Proposi.
Ok, fece lei, ma prima ci fumiamo una sigaretta.
Mi tirò sotto il portico di fianco allo stabilimento e si tolse il cappuccio, liberando la fitta chioma bionda.
Chiusi l’ombrello e accesi due paglie.
Quelli del comune avevano messo una panchina. Lei ci si sedette sopra e si rannicchiò prendendosi le ginocchia tra le braccia.
Fumammo un poco in silenzio.
Cazzo che freddo, sibilò ancora.
Andai a sedermici vicino e lei si accostò tremando.
Ti spiace? Chiese venendomi in braccio.
No, sorrisi nonostante si stesse inavvertitamente strusciando sulla mia erezione.
Si accomodò meglio cercando di ripararsi dal freddo.
Sei sposato? Chiese strizzando gli occhi per il fumo della sigaretta.
Sì, annuii.
Hai figli? Insistette.
No, precisai.
Potrei essere tua figlia, osservò non senza acume.
Non sapevo che dire. Mi sentivo sempre più imbarazzato.
La mia erezione chimica le premeva contro una coscia.
Cazzo, ridacchiò scendendo a controllare con una mano, chissà che mal di testa che avrai domani!
Anche adesso, confessai.
Mi fissò sorpresa.
Vuoi che te la faccio io la sega? Chiese educatamente.
Mannò, dai, risposi stupito.
Gratis, insistette.
No, sorrisi interdetto.
Te la faccio volentieri, assicurò continuando a palparmi da fuori.
Lascia stare, decisi.
Di bocca, propose.
Non ho preservativi, obiettai.
Ok, fece apparentemente delusa togliendo la mano.
La prossima volta, promisi.
La ragazza annuì e buttò la cicca in una pozzanghera.
Scese dal mio grembo e si accomodò di fianco, ben riparata dal vento che continuava a soffiare a raffiche impetuose. La pioggia cadeva solo un metro più in là con un rumore sordo e regolare.
Io non ti piaccio vero? Mormorò.
Perché? Chiesi imbarazzato.
L’ho capito subito, fece alzando le spalle, appena sei entrato. Mi hai guardata e avevi l’aria di pensare che non ti piacevo.
No, confessai, tu mi piaci molto. È che mi aspettavo una ragazza diversa.
Alzò ancora le spalle.
Io non sono brava, mormorò imbronciata, non so fare di bocca. Tu non hai neppure voluto provare. L’hai capito subito.
No, osservai sinceramente, io non ho intuito niente. È solo che avevamo poco tempo.
Non sono brava, ribadì mimando un pompino, non ho mai imparato. Anche di culo, tutti lo chiedono ma io non lo faccio. L’unica volta che ho provato mi faceva troppo male. Non lo farò mai più.
Vedrai che cambierai idea, scherzai.
Ma lei rimase seria.
Tu non mi conosci, bisbigliò, io non cambio idea tanto facilmente.
E questa dovrebbe essere una porca? Mi chiesi ancora disorientato.
La prossima volta proviamo, proposi.
Lei mi fissò poco convinta.
Quanti anni hai? Le chiesi incuriosito.
Diciannove, rispose distratta.
Forse era la sua risposta standard, ma era credibile.
Hai un ragazzo? Mi informai.
Mannò, sbuffò, sono qui per lavorare non per trovarmi il fidanzato.
La guardai divertito, sembrava serissima.
E poi, aggiunse brontolando, con questo lavoro come cazzo si fa ad avere un ragazzo serio?
E da quanto tempo sei qui? Continuai incuriosito.
Tre anni, rispose tirando su con il naso.
Cazzo di cane! Mi disperai, ma sei venuta qui per fare questo mestiere?
No, rispose quasi indifferente, mi avevano detto che dovevo lavorare in un bar. Ma quando sono arrivata a Milano quel posto non c’era.
E quindi? Domandai.
Niente, fece lei, il boss non mi ha costretta. Solo che le altre ragazze che stavano con noi uscivano e portavano a casa soldi tutte le sere. Io mi sentivo in debito. Dopo un po’ ho chiesto io di andare con loro in strada.
Tirò di nuovo su con il naso.
Anche la Maria e l’Emanuela, aggiunse riferendosi alle sue amiche, sono arrivate a Milano più o meno nello stesso periodo.
E come ne siete uscite? Sorrisi triste.
Niente, ripeté guardandomi torva, la madre di una ragazza minorenne l’ha denunciato ed è finito in galera l’anno scorso. Noi tre eravamo già grandi e non ci hanno mandato in comunità. Non era cattivo, ci lasciava parte dei soldi, così ne avevamo un po’ per organizzarci e siamo venute qui.
Non potevi tornare a casa? Mormorai.
E perché? Sorrise triste, non so fare altro. E nel mio paese non si lavora proprio.
Mi chiese un’altra sigaretta e fumammo un po’ in silenzio.
La pioggia si stava un poco affievolendo.
Posso farti una domanda imbarazzante? Chiesi.
Se non è troppo imbarazzante, ridacchiò.
Sei giovane, osservai, ma mi hai detto di non avere un ragazzo. Non fai mai sesso per piacere?
Lei mi guardò arrossendo.
Delle volte, confessò titubante, con qualche cliente, mi piace.
Ma, insistetti, non vai a ballare? Che so, non incontri mai nessuno con cui farlo?
Basta, fece lei risoluta, non voglio parlare di questo. Mi confondi.
Ok, mi rassegnai deluso.
Stemmo un poco a guardare la pioggia che picchiava nelle pozzanghere.
Qualche volta, borbottò improvvisamente stringendosi alla mia spalla, prima andavo in discoteca. Ma è pieno di papponi rumeni e di puttane del cazzo.
Sorrisi incongruente. Ma non doveva essere una gran porca?
Quella stronza della Maria, sibilò, dà metà di quello che prende ad un serbo, che spesso la mena. E l’Emanuela mantiene il suo ragazzo rumeno. Praticamente paga uno per farsi scopare. Io non voglio cascarci.
Vabbé, obiettai, si vede che sono contente così.
Stronze, inveì lei rannicchiandosi ancor più per il freddo.
Quindi, balbettai, non fai mai l’amore.
Non voglio parlare di questo, sorrise innervosita.
Ok, mi quietai.
Nonostante la curiosità.
‘Fanculo, mormorò, ok, non faccio mai l’amore. E allora? Scopo tutto il giorno, questo basta.
E non godi mai? Trasecolai incredulo.
Faccio così, disse arrossendo e infilandosi brevemente una mano tra le gambe a mimare un impacciato ditalino.
Sorrisi incredulo.
Non ridere, ordinò facendo il broncio.
Non rido, mentii.
Tanto, aggiunse orgogliosa, di cazzo non godo. Mi eccito qualche volta con i clienti giovani e carini, ma non godo. Hanno provato anche con la bocca, ma non mi piace. Mi bagno ma non godo.
E nessuno te lo fa? Insistetti.
Me lo fa cosa? Sbottò ancora arrossendo.
Dai che hai capito! Ridacchiai, nessuno ti tocca mai?
Scosse la testa mordendosi un labbro innervosita.
Vuoi che te lo faccia io? Chiesi leggermente confuso.
No, rispose titubante.
Gratis! Le rifeci il verso.
Stronzo! esclamò dandomi un paio di pugni scherzosi nella pancia.
Lo faccio volentieri, ribadii rinnovando lo scherzo.
‘Fanculo, rise allungandomi una piccola sberla, ho detto di no.
Ok, sorrisi sempre più divertito.
Comunque, aggiunse, grazie.
Dovere, ridacchiai sopraffatto dal senso del ridicolo.
Andiamo, fece alzandosi, ha smesso di piovere.
In effetti, anche il vento era un poco calato.
Si rimise il cappuccio e risalimmo in silenzio fino alla chiusa.
Cazzo che freddo, ripeté ritualmente.
Quando fummo sull’argine le accesi un’altra sigaretta e ci avviammo con calma.
Svoltammo sul viale e mi prese ancora sottobraccio.
Certo, commentò sboccata indicandomi il pacco, che per la tua età duri parecchio.
Ho preso una pastiglia, confessai.
Scosse la testa con aria incredula.
Vagabondo, mormorò esterrefatta, lo fai sempre?
No, sospirai, solo qualche volta.
Sorrise ancora pensierosa.
Camminammo ancora un po’ in silenzio per le strade lucide di pioggia.
Sul serio lo facevi? Chiese improvvisamente fissandomi con i suoi incredibili occhi azzurri.
Cosa? Risposi senza capire.
Mi ero distratto a guardare gli alberi spogli del viale, pensando a una questione di lavoro che avrei dovuto affrontare il giorno dopo.
Se ti dicevo di sì, chiese seria, mi toccavi davvero?
Credo di sì, mormorai disorientato, se ti faceva piacere.
Lisa sorrise storta.
Grazie, mormorò, sei molto gentile.
La prossima volta, magari, proposi.
La ragazza annuì confusa e tirò su col naso. Forse con tutta quell’umidità si era presa un raffreddore.
Camminammo ancora in silenzio verso casa sua.
Il vento teso sibilava tra le imposte delle case vecchie e faceva rotolare dei pezzi di polistirolo sull’asfalto. Qualcuno li aveva abbandonati vicino ad un cassonetto, tra cartoni umidi e sportine di plastica.
Ormai eravamo arrivati.
Si staccò e si allungò a darmi un bacino su una guancia.
Grazie della passeggiata, sorrise brevemente, è stato bello.
Sì, confermai, è stato bello.
Salì due gradini e aprì il portone.
Ciao, la salutai.
Ma lei scese di nuovo e mi si mise davanti, giocando nervosamente con la zip del mio giubbotto.
Per favore, sussurrò ad occhi bassi, non tornare.
Perché? Chiesi incredulo.
Alzò le spalle, con un gesto incurante al quale ormai mi stavo abituando. Sempre senza guardarmi.
Per favore, ripeté con lo stesso tono cantilenante con il quale qualche ora prima mi aveva elencato al telefono i servizi che potevo comprare.
Mi diede una piccola pacca sul petto e, senza alzare gli occhi a guardarmi, risalì i due gradini.
Si girò a darmi un’occhiata quasi vergognosa.
E chiuse il portone.
Per sempre.


tutto quello che precede questa riga è vero
 
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Ti stai sbagliando: chi hai visto non è, non è Francesca

Che ci fai qui? Chiesi sorpreso mentre giravo la chiave del portone.
Erano quasi le sette e tutti i miei vicini a quell’ora rincasavano dal lavoro.
Diedi una rapida occhiata sotto il portico e per fortuna non c’era nessuno.
La ragazza fece un ultimo tiro svagato alla sigaretta e poi la buttò tra le macchine parcheggiate ordinatamente.
Volevo parlarti, mormorò alzandosi.
Si diede un paio di manate sulle natiche per rimuovere dai jeans la polvere che aveva raccattato sedendosi sul bordo del marciapiede.
E poi si avvicinò con la sua solita aria sorniona. Una delle tante ragioni per cui la trovavo irresistibile.
Sopra i jeans portava solo una maglietta nera e un giacchino striminzito di cotone. E si era messa dei sandali inadatti a quella sera di fine settembre un po’ fresca.
Spinsi il portone e lei svicolò dentro fissandomi sardonica.
Era alta quasi quanto me. E sapeva di piacermi da matti.
Ti vergogni di me? Chiese beffarda mentre richiudevo e spingevo il bottone dell’ascensore.
No, risposi irritato, ma potevi almeno avvertirmi.
Non avevo soldi nella scheda, si scusò con l’aria sincera di un venditore d’auto usate.
Non dire stronzate, sibilai.
L’ascensore saliva silenzioso mentre lei si controllava il viso struccato allo specchio.
Volevo parlarti, ribadì quando fummo al mio piano.
Aspetta, la pregai uscendo sul pianerottolo.
Lei si poggiò indolente ad una parete della cabina controllandosi le unghie.
Guardai se per caso non ci fosse in giro qualcuno dei miei odiati vicini, aprii la porta e la feci segno di entrare.
Lei obbedì sghignazzando.
Mentre mi toglievo la giacca e la cravatta, aprì il frigo e prese una lattina di Coca.
Fece un sorso e poi me la passò.
Bevvi anch’io e andai a togliermi le scarpe. Odio portare in casa le schifezze che raccolgo per strada.
Quando tornai in soggiorno, lei si era seduta sul divano e sorseggiava ancora dalla lattina con aria imperturbabile.
Conoscevo la ragione per cui era venuta. Con lei non ci si poteva sbagliare.
Non ho soldi, annunciai brutalmente. E con la massima sincerità.
Francesca fece una smorfia.
Non ero venuta per quello, mentì.
Allora spogliati, la invitai, non ho tanto tempo.
Con lei avevo ormai un credito aperto per oltre seicento euro. Ed eravamo d’accordo che l’avremmo scalato un po’ per volta.
Non sono venuta neppure per quello, sorrise.
‘Fanculo, ridacchiai.
In effetti, non era credibile che onorasse quel debito. Non l’aveva mai fatto.
Alla fine, la pagavo sempre.
E quasi sempre riusciva a farsi prestare qualcosina.
Ormai avevo smesso di mettere in conto le ricariche da trenta euro che le facevo quasi automaticamente ogni settimana.
Mi chiamava sempre lei. E io non potevo dire di no.
Ma di solito andavo a prelevarla a porta San Vitale o in via Mazzini. Era la prima volta che veniva da me senza avvertirmi.
Non farlo mai più, la pregai, chiamami sempre prima.
Hai ragione, si scusò alzando una mano, potevi essere con un’altra.
‘Fanculo, sorrisi, non dire stronzate. Poteva esserci mia moglie. E in ogni caso, non torno sempre a casa per cena. Delle volte esco con i miei amici.
Alle otto, mormorò tirandosi via dagli occhi una ciocca di capelli rosso scuro, se non arrivavi me ne andavo.
Ok, mi quietai sedendomi al suo fianco, dimmi perché sei venuta e poi ti riaccompagno.
Ok, annuì.
Mi mise una mano su una spalla come stesse cercando le parole.
La trovavo davvero irresistibile.
Francesca forse non era bellissima, ma aveva qualcosa che ti colpiva alla base dello stomaco. Presa a pezzi non era niente di speciale. Poco seno, fianchi larghi, sedere piatto. Giusto quelle gambe incredibilmente lunghe e affusolate. E quel viso da ragazzina perversa, gli occhi scuri e un sorriso irriverente che le aleggiava tra le labbra sempre un po’ corrucciate.
Ma era nel complesso che risultava attraente. Come se non potesse essere che così. Una specie di coerenza imprescindibile.
Quando era arrivata qualche mese prima era gettonatissima, un casino trovarla libera.
Ma nelle ultime settimane doveva aver avuto dei problemi. Forse non combinava con l’amica che la ospitava e con cui spesso lavorava in coppia. Quando non era per strada.
Un paio di volte aveva anche provato a raccontarmi qualcosa ma non avevo voluto sapere. I racconti delle ragazze sono sempre noiosissimi e del tutto inaffidabili. Ormai non ci faccio più caso.
Sta di fatto che non lavorava più in casa il pomeriggio e spesso la sera non usciva.
Mi chiamava almeno un paio di volte al giorno, quasi sempre solo per sapere come stavo, e qualche volta andavo a prenderla e si fermava a dormire.
Mi tolse la mano dalla spalla.
Hai ragione, sbuffò, ho bisogno di soldi.
Mi alzai innervosito.
Scusa, mormorò facendo una smorfia da bambina colpevole.
Aveva solo diciannove anni ma era un’attrice consumata.
Mi spiace, sospirai irritato, ne abbiamo parlato anche ieri. Ma non posso darti altri soldi. Anzi, non credo neppure di poter continuare a farti le ricariche.
Solo duecento euro, perorò sgranando gli occhioni scuri, tu guadagni un sacco di soldi.
È vero, ammisi, ma devi capire. I miei soldi finiscono sullo stesso conto corrente di mia moglie e non so più come giustificare tutti questi prelievi.
Solo per questa volta, insistette accavallando le lunghe gambe.
Scossi la testa indeciso. Davvero non potevo.
Mi spiace, mormorai, mi spiace sul serio.
Ma te li ridò! Promise poco convinta.
Mi spiace, ripetei.
Ok, si rassegnò con una piccola smorfia.
Si guardò intorno con espressione disorientata.
Ti riaccompagno? Mi offrii.
Alzò le spalle.
Allora vado in bagno, decisi, se vuoi, accendi il PC mentre mi aspetti.
Avevo bisogno di una doccia. Mi sentivo sudato e appiccicoso.
Era stata una giornata davvero terribile. In quel periodo al lavoro c’erano un sacco di casini.
Mentre mi sciacquavo via il bagnoschiuma venne a bussare alla porta del bagno.
Che c’è? Chiesi infastidito.
Proprio adesso che mi stavo un po’ rilassando.
Entrò e andò a sedersi sul bidet osservandomi divertita.
Che c’è da guardare? Ripetei sgarbato.
Niente, sorrise.
Uscii e mi infilai un accappatoio per nascondere l’erezione che mi procurava anche solo la sua presenza.
Perché hai tanto bisogno di soldi? Chiesi folgorato da un dubbio.
Fece spallucce.
Se mi racconti la verità, dichiarai irretito dalla curiosità, ti do i soldi.
Mio fratello ha avuto un incidente, inventò sul momento, e devo mandare soldi a casa per l’ospedale.
Ok, commentai amaro, non te li do.
La ragazza sospirò appena. Sembrava davvero preoccupata.
Mi chinai per darle un bacino sulla fronte.
Andiamo a letto, proposi.
Ok, accettò poco entusiasta.
Forse non capendo che l’avrei comunque pagata.
L’aiutai ad alzarsi e le tolsi l’inutile giacchino.
Mentre la spingevo verso la stanza da letto, lei si sfilò la maglietta.
Si sedette sul letto e scalciò via i sandali.
Poi si stese, si sbottonò i jeans e glieli tirai via prendendoli da sotto.
Anche le mutande vennero via, liberando la sua passerina glabra, quasi infantile.
Mi infilai impaziente un profilattico, mi accomodai tra le sue gambe e la penetrai.
Era bravissima con la bocca ma da qualche tempo preferivo starle dentro.
Una delle poche ragazze che abbia conosciuto che si bagnano davvero.
Forse era per quello che mi piaceva da matti. Con lei era proprio come fare l’amore.
Mi morse un capezzolo e poi mi prese per la nuca tirandomi forte.
Mi infilò la lingua tra i denti con un piccolo ansito.
Sì, era davvero molto ben recitato.
Dimmi perché ti servono sempre tanti soldi, ansimai.
Li mando a casa, mentì.
Sapevo per certo, avendone parlato con tutte le sue amiche, che i suoi erano morti e che il fratello era un’invenzione per gonzi.
Hai un debito con un pappone, tirai a indovinare.
Non era tanto credibile, una protetta non passa tanto tempo con i clienti. E non si ferma a dormire tanto spesso.
Incrociò le sue gambe sulla mia schiena stringendomi.
Certo che era proprio ben recitato.
Alle otto devo andare, mormorò.
Con lei era sempre estenuante. Forse era la mia quadratura del cerchio, perché mi eccitava terribilmente. E il mio problema di prostata era un vantaggio, potevo andare avanti per delle ore.
E non sentivo mai il desiderio di concludere. Erano anni che non mi succedeva.
Va bene, acconsentii accelerando.
Lei non sembrava mai stanca.
Fece ancora un paio di ansiti. Sembrava che le piacesse davvero.
Non era possibile neppure che avesse un problema di roba. Non aveva mai accettato le mie canne ed era quasi astemia.
Mi aveva detto di aver avuto l’epatite e non poteva bere, ma vatti a fidare. In effetti, non mangiava molte cose, tra cui la cioccolata. E non prendeva caffè.
Rimani, mormorai trafitto dal desiderio, per favore stiamo ancora così.
Fece una smorfia.
E poi mi baciò ancora quasi furiosamente.
Devo dormire, sussurrò quando si fu staccata. Posso rimanere, ma devo dormire.
Come mai? Chiesi ancora.
Ho un cliente, spiegò, con cui vado sempre. Non mi fa niente. Si tocca guardandomi. Ma mi fa stare tutta la notte. E di giorno non riesco a dormire.
Ok, accettai uscendo tremante e inconcluso.
Mi stesi supino, ancora prepotentemente eccitato.
Dovevo assolutamente liberarmi di questa stronza. Ormai ero in suo completo potere.
Francesca si rannicchiò e cominciò a singhiozzare piano.
Che cazzo c’è adesso? Sbottai.
Andai ad abbracciarla.
Devo dormire, mormorò mentre le accarezzavo la testa.
Ok, sospirai, adesso chiudo la finestra e vado a preparare qualcosa da mangiare. Quando ti svegli ceniamo.
No, fece lamentosa, stai qui con me.
Presi una coperta dall’armadio, la tirai su per stenderla meglio con la testa dalla parte dei cuscini e mi allungai al suo fianco.
Era alta quasi quanto me e mi piaceva da matti. Lei lo sapeva.
Le diedi un paio di bacini sulla fronte. Provavo anche affetto, cazzo di cane.
Mi stavo incasinando davvero, con questa.
Mi si strinse contro, nell’implicita richiesta di un abbraccio.
Continuai ad accarezzarle la testa mentre poco alla volta si addormentava.
Così, quando si rimise a parlare, mi ero assopito pure io.
Tu non hai capito, vero? Chiese improvvisamente con la voce impastata.
No, confessai, tu non mi dici mai niente.
Sorrise divertita stringendo gli occhi in modo enigmatico.
E quando parli mi racconti solo delle bugie, aggiunsi.
Si tirò via i capelli dagli occhi scuri fissandomi sardonica.
Devo pagare uno, sospirò.
Lo sospettavo, annuii.
Per liberarmi, aggiunse facendo una piccola smorfia.
Lo stesso che controlla la tua amica, provai a indovinare.
Scosse la testa felina.
No, mormorò, la mia è una storia molto più complicata.
Rimasi in silenzio aspettando che continuasse.
Non te la racconterò, decise.
Ok, alzai le spalle.
Ma, aggiunse, non ho più un posto dove stare.
Per questo dormi da me ogni tanto, sorrisi.
E vado con questo idiota tutte le notti. A parte il martedì e il giovedì, che non può.
In effetti, da me era rimasta sempre in quei giorni.
La tua roba dove la tieni?
Alzò le spalle.
Da lui, spiegò liberandosi dal mio abbraccio.
Si stirò buttando le lunghe braccia in alto.
Forse andrò a vivere là, sorrise, è un buon posto, anche se così posso lavorare praticamente solo di pomeriggio e in strada.
Annuii cominciando a capire. Era giovedì.
Giovane? Chiesi con una punta di gelosia.
No, fece valutando, è vecchio. Ha quasi quarant’anni.
Sorrisi incongruente.
Ti piace? Domandai innervosito.
È facile, sorrise, praticamente non mi tocca neppure. Non paga molto, ma è sicuro.
Per questo hai bisogno di soldi, commentai mettendomi supino.
Sì, confermò accarezzandomi il petto, altrimenti, quello mi mena.
Ti mena? Inorridii girandomi a guardarla.
Mi mostrò una piccola ecchimosi su una spalla.
Ogni tanto, confermò, quando mi trova.
E adesso, opinai, devi dargli qualcosa per tenerlo calmo.
Con molta fatica annuì mestamente.
Se mi dai duecento euro, mormorò, facciamo l’amore.
Non ho duecento euro, precisai sinceramente, e non si fa l’amore per soldi.
È vero, ammise girandosi prona.
Ti do il solito, precisai, non ti preoccupare.
Massì, fece lei alzandosi scompostamente, lo sapevo che me li davi. Me li dai sempre ottanta euro.
Adesso sembrava stizzita.
Mi spiace se non bastano, mormorai.
Mangiamo qualcosa, propose, e poi scopiamo.
Sottolineò il verbo scopare, quasi le facesse schifo.
E dopo dormiamo, opinai.
E dopo vado a lavorare, cazzo, ribatté innervosita.
Ok, sospirai almanaccando su come giustificare quella spesa, se ti do duecento euro rimani qui?
Lei annuì incerta.
Devo passare a prenderli al bancomat, precisai.
Alzò le spalle incurante e andò di là a prendere le sigarette.
Adesso ero io che avevo quasi bisogno di dormire, nonostante la tensione che mi attraversava la schiena e l’affare ancora duro. Ero tanto stanco che avevo lasciato il profilattico usato sul comodino insieme alla confezione di stagnola.
Tornò con due paglie accese e il posacenere in mano.
Si sedette sul letto e sorrise storta.
Mi dai duecento euro, osservò enigmatica, possiamo anche fare l’amore.
Non si fa per soldi, ribadii.
Si stese meglio su un fianco guardandomi torva.
Quando mi sei dentro, sorrise indicandosi il ventre, sento il tuo piacere.
Anch’io, provai a scherzare, sento il mio piacere.
Ma invece di scoppiare a ridere come mi ero aspettato, annuì pacata e riprese a fumare indifferente.
Fece ancora un paio di tiri e poi spense la cicca. Mi prese la mia dalle dita e fece altrettanto.
Poi mi scavalcò e si sedette sul mio bacino. Me lo prese delicatamente, sollevando appena il sedere, e se lo infilò storcendo la bocca in una smorfia di dolore.
‘Fanculo, mormorai sorpreso inarcando la schiena.
Vedi, sorrise tesa, stiamo facendo l’amore.
in effetti, la sua passerina si stava lentamente bagnado.
Stiamo scopando, ribadii.
Tu non capisci un cazzo, mormorò triste.
Stiamo scopando, insistetti, non complicare le cose.
Sorrise ancora stringendo gli occhi scuri da bambina cattiva.
Anche tu, bisbigliò, quando parli mi dici solo delle bugie.
Si abbassò per infilarmi la lingua tra i denti e mi morse la lingua mentre la ricambiavo.
Continuò a baciarmi per un bel po’.
Forse per impedirmi di rispondere.
Ma il danno era già stato fatto.



tutto quello che precede questa riga è vero
 
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Alcuni dettagli lasciati, con molta probabilità, volutamente sospesi o inspiegati, rendono il pathos dei racconti ancor più gradevole. Inutile aggiungersi ai complimenti, sarei solo uno in più, rimarrò però in attesa promettendo certa lettura anche per i futuri.
 
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tutto ciò che segue questa riga è vero

Lezioni notturne di autocoscienza per addetti ai lavori

La ragazza mollò il boccone e si sedette sui talloni tra le mie gambe.
Un filo di saliva le scendeva oscenamente dalle labbra.
Mi avevi detto tu di fare bocca, mormorò ondeggiando.
Anche lei si era fatta un paio di canne. Ma non sembrava troppo scossa.
Sì, sospirai eccitato dal filo di saliva che si stava staccando.
In quella cucina faceva un caldo bestiale.
Anche nel resto della casa, a dire il vero. Anzi, ero venuto via dalla camera da letto grande proprio perché mi sentivo soffocare.
Ma forse, non era colpa del caldo.
L’altra ragazza mora, quella più alta, si era rannicchiata di fianco al termosifone e fumava una sigaretta distrattamente. Era forse la più imbambolata di tutte.
Entrò Iaco barcollando.
C’è ancora da bere? Balbettò.
Nel frigo suggerii, ci deve essere ancora dello spumante.
Luì aprì lo sportello, ignorò il vino e prese una bottiglia di vodka dal freezer.
La stappò a fatica e ne ingollò un paio di sorsi.
Vuoi? Chiese ancora barcollando.
Nonnò rifiutai.
Ormai ero a bolla.
Come facessero quei due stronzi a bere tanto, nonostante avessimo più o meno la stessa età, era un mistero.
In compenso, cazzo di cane, guarda come si erano ridotti!
È vero che domani nessuno di noi lavorava, ma fatti com’erano, probabilmente ci sarebbe voluta una settimana di riposo.
Era quasi l’alba e la finestra mandava un alone lattiginoso.
La ragazza mora alta si alzò e andò ad accarezzare Iaco abbracciandolo da dietro.
Lui le passò la bottiglia e lei bevve a collo continuando a pastrugnarli distrattamente l’affare floscio.
Te ancora niente? Ridacchiò indicando il mio puffo calvo ancora dolorosamente turgido.
Ci sto provando, sorrisi.
Non sborra, costatò la mora piccola girandosi a guardarlo.
Del resto, erano amiche sue e di Beppe. Io era la prima volta che le vedevo, queste.
Era ancora inginocchiata tra le mie gambe, con il sedere poggiato ai talloni.
Belle tette, mormorai obnubilato allungando entrambe le mani a stringergliele.
Ancora bocca? Si offrì.
Figa, proposi scartando un preservativo.
Lei pazientemente si accomodò a cavalcioni sul mio grembo, facendo barcollare appena la sedia da cucina sulla quale ormai ero seduto da un paio d’ore. E complicandomi un poco la delicata operazione di incappucciamento.
Controllò che fosse ben coperto, si stranfugnò un poco il mio affare sulla passerina e poi si abbassò per farlo entrare.
Era stretta da matti, ma a parte lo sforzo di ficcarglielo dentro, non sentivo praticamente niente. Come metterlo in un bicchiere d’acqua calda.
Ma le due pastiglie di Viagra che avevo preso prima erano molto efficaci.
Magari ti aiuta, suggerì Iaco indicandomi la confezione di stagnola con altre compresse.
Nonnò, rifiutai, basta questo.
A me fa sempre questo effetto del cazzo, spiegò ridacchiando.
Ma dai, precisai poco convinto, se lo mescoli a tutta quella roba, all’alcol e alle canne, per forza che non ti viene duro.
Mannò, si giustificò innervosendosi, è che la prima è ok, dopo mi si ammoscia comunque.
‘Fanculo, pensai, meno male che non ho tirato. A vederli, sta roba dev’essere pesissima.
Torno di là, annunciò disorientato.
E se ne andò, ancora barcollando con un fremito alle spalle.
Speriamo non strippi, mi augurai.
La mora alta, gran culo, sembrava inebetita.
Si guardò intorno cercando qualcosa e poi venne ad accucciarsi di fianco alla mia sedia.
Fai qualcosa, le suggerii.
Lei mi guardò con occhio evanescente.
Fai qualcosa! Insistetti.
La ragazza obbediente si rialzò e mi accarezzò distrattamente il petto.
L’altra sembrava infastidita.
Fai qualcosa alla tua amica, proposi poco convinto.
Cosa? Mormorò intontita.
Scambiatevi, ordinai spazientito.
La mora piccola si alzò e si sgranchì le gambe, mentre l’altra tentava scompostamente di venirmi sopra.
‘Fanculo, mi dissi, non cambiano neppure preservativo. Sono totalmente fuori.
La presi per i fianchi e la infilzai in un colpo solo.
La ragazza si lamentò picchiandomi sul petto. Ma appena fu entrato si calmò.
Feci segno all’altra di avvicinarsi e me la tirai contro.
Mentre la lungagnona si muoveva appena roteando stancamente il bacino, infilai la lingua tra le labbra della piccola.
Tu sei? Chiesi.
Marina, ridacchiò, te l’ho detto anche prima.
Sembrava reagire abbastanza bene alla roba. Sembrava la più lucida di tutte.
La baciai ancora.
Cazzo di cane! Non era morale sprecare tanta eccitazione con tanta insensibilità.
Del resto, il Beppe aveva speso quasi cinquemila euro quella sera per il suo compleanno. E tutti quei soldi stavano per andare sprecati.
Baciandola, le infilai due dita nel sedere.
Lei mi lasciò fare inarcando la schiena.
Seicento euro a testa, gli aveva dato quel cretino del mio amico. Il tutto arrotondato a duemila e cinque, per passare tutta la notte a casa loro.
Il resto l’aveva speso in superalcolici, un cartoccino di roba, che per fortuna avevo appena assaggiato, e un trozzo di fumo. Dal quale, invece, avevo abbondantemente attinto, insieme a un paio di queste. Soprattutto la bionda che adesso dormiva di là nella camera grande con il Beppe.
Iaco aveva portato tre confezioni da otto di Viagra. Io ne avevo prese solo due, gli altri almeno tre.
Dimenticavo, qualcosa era andato anche al proprietario del Club dove avevamo cominciato la serata. Mangiando una torta schifosa, tra due tonnellate di fighe di plastica che ci giravano invano intorno in cerca del gonzo. Invano, perché era già tutto pagato.
Era un bel vedere, ma ‘sti posti in generale mi deprimono.
E anche ai miei amici, perché eravamo venuti via quasi subito.
No, erano più di cinquemila euro. Ma chi se ne frega! Pagava il Beppe. E cinquant’anni si compiono una volta sola nella vita.
Io non avevo neanche un regalo da dargli. Che amico di merda che sono!
La ragazza alta si abbassò, scostò l’amica e mi diede un bacino.
Questa era completamente andata.
Tu sei? Ripetei.
Ormai dovevo averlo chiesto almeno dodici volte a tutte e quattro. Ma i loro nomi non mi andavano in testa.
Bella? Fece lei equivocando.
Sì, sorrisi, sei una gran bella figa, ma non mi ricordo come ti chiami.
Susanna? Fece forse dubitativa.
Se non lo sai tu, ridacchiai.
Anche la piccola, la come cazzo si chiamava, forse Marina, si mise a ridere.
È un segreto, argomentò quella che mi stava scopando.
Neppure male, devo ammettere.
Si chiama Susanna davvero, fece l’altra, ma non vuole che si sappia. Il suo nome di lavoro è Laura.
Ok, accettai tirando via le dita dal suo buchino stretto.
Le presi una mano e gliela guidai fino al mio affare in azione.
Devo toccarla? Chiese sgranando gli occhioni.
Anche dietro, ridacchiai, preparamela che poi la incanno.
Incanno? Chiese spiegazione quella alta nonostante la fattanza.
Si era detto tutto, precisai.
Prendo la crema, fece la piccola, forse Marina, cazzo, proprio non mi andava a mente.
Anche se avrei dovuto, perché mi era simpatica e sembrava la più intraprendente.
Nel culo, storse la bocca la alta, non so.
Sissì, insistetti, lo mettiamo tutto dentro.
Ma, obiettò, fa male.
Mannò, cercai di tranquillizzarla mentre l’altra tornava dal bagno con un flacone enorme di una roba che non conoscevo.
Meglio, suggerii, che ti prepari anche te.
Ok, fece la piccola senza alcuna titubanza.
La Susy si fermò quando l’altra cominciò a ungerla di dietro.
Cazzo, sibilò, è fredda.
Passa subito, minimizzai.
Riprese subito a muoversi piacevolmente. Ma neppure troppo. Non era abbastanza.
L’altra, furbetta, continuava a massaggiarla dietro.
Ti piace? Chiesi.
La ragazza mi guardò atarassica.
È una puttana, ridacchiò la morettina, le piace per forza. Pagate.
Giusto, mi complimentai per tanto spirito pratico, dopo lo faccio piacere anche a te.
Tirai su la lungagnona per le ginocchia e le puntai l’affare sul di dietro.
Cazzo, si svegliò spalancando i fanali per la sorpresa.
Ma scivolò abbastanza facilmente, la piccola aveva fatto un buon lavoro.
Questa Susy mi piaceva parecchio anche lei. Avrebbe avuto dei bei numeri, se non fosse tanto cotta.
Nonostante si stesse mordendo le labbra, ebbe il coraggio di muovere un poco il culo per farmi entrare meglio.
Ma niente, anche l’idea di entrare in quello stretto non mi faceva salire la pressione.
Cazzo, la pressione. Tra fumo e Viagra, senza considerare l’alcol, chissà com’ero messo.
Le accarezzai la passerina arrossata spingendoglielo più profondamente nel culo.
Cazzo, mormorò ancora.
L’altra, la Mari credo, intuitiva, le strinse le tette da dietro e fece finta di baciarla.
Una roba da poco, giusto sulle labbra, a simulare una lesbicata che sicuramente non era nel loro repertorio.
Ma la strizzata di tette non era male, come idea.
Mi allungai ad accarezzare quelle della piccola, dietro le spalle della Susy. E ci giocai un poco.
Il mio affare era sempre più insensibile.
E l’erezione incontrollabile. Nessuno stimolo a liberarmi.
Quella che stavo inculando si abbassò per farsi baciare.
Cominciavo a non capirci più un cazzo.
Qui si scopa davvero, ridacchiò la rossetta facendo la sua entrata incerta sulle gambe.
Prima l’avevo giudicata la meglio accessoriata. E mi era dispiaciuto che se la fosse presa il Beppe. Ma era il suo compleanno, cazzo di cane, era giusto che avesse la prima scelta.
Fa male, osservò quella alta.
Mannò, cercai di minimizzare.
Mi sembra di averlo in gola, ribadì.
Ora smettiamo, la rassicurai, tocca alla Marta.
Marina, precisò la piccola, Marta è l’altra, quella bionda.
Giusto, acconsentii nonostante non mi ricordassi proprio il nome di quella stronzetta.
E tu sei? Chiesi ormai stremato alla rossa.
Michela, rispose sardonica allungandomi una mano, ci hanno presentati prima.
Vero, annuii stringendogliela come se fossimo stati al tè della duchessa.
Fa male! Insistette la Susy o come cazzo si chiamava.
Cominciavo solo allora a sentire un poco di piacere.
Solo un momento! Mi lamentai, che sarà mai?
Vorrei vedere te, obiettò, con un cazzo in culo.
Dipende dal cazzo, commentò non senza acume la nuova arrivata.
È grosso, riferì lamentosa quella che stavo incannando.
Abbastanza, confermò la piccola.
Fa vedere? Chiese la rossa curiosa.
La Susy alzò un po’ il bacino, fortunatamente senza farmi uscire, mentre la Michela si abbassava a controllare.
In effetti, scosse la testa valutativa ancora chinata, non è mica un arnese tanto comodo.
Le due pupe vuote si misero a ridere inconsulte.
Approfittai della posizione carpiata della rossetta per infilarle una mano tra le natiche.
Lei mi diede una rapida occhiata di rimprovero ma non si scostò.
Cazzo, tuonò il Beppe interrompendo la dotta analisi, state ancora scopando?
Solo una ripresina, minimizzai.
C’è mica da bere? Chiese aprendo il frigo, ho la bocca impastata.
La Marta? Si informò quella che forse si chiamava Marina.
Si è svegliata, rispose il mio amico, è andata a vomitare in bagno.
Sta male? Domandò allarmata la ragazzina.
Naa, fece lui dopo aver stappato una delle due bottiglie rimaste di spumante, ha solo fumato troppo. Adesso torna più arzilla di prima.
Sicuro? Chiese la rossetta.
Sissì, fece lui, bevo questa e poi vado a vomitare pure io.
Allegra compagnia! Sorrisi.
Lui fece un paio di sorsi e mi rispose con tre sonori rutti. A sottolineare la sua soddisfazione.
Evviva ! Scherzai.
Ma lui fece una smorfia e scappò in bagno barcollando più di prima.
La rossetta fece segno che era matto, girandosi un dito vicino a una tempia.
Fa male! Si lamentò ancora la lungagnona.
Perché non vieni via? Obiettai spingendomi più profondamente nel suo sedere.
Posso venire via? Chiese girandosi intorno a ottenere conferma alla sue amiche.
Le due perfide scossero la testa con aria severa.
Ma fa male, mormorò ormai con le lacrime agli occhi.
Scoppiai a ridere nervosamente. Era dai tempi dell’Università che non mi capitava una situazione tanto incasinata.
Le diedi ancora un paio di colpi e la tirai via.
Poco alla volta, mi ero quasi sdraiato sulla sedia, con la testa scomodamente poggiata allo schienale.
Tutto pur di entrare meglio da qualche parte.
La ragazza mora che forse si chiamava Susanna si rannicchiò contro il muro della cucina, tra me e la credenza. Annasò sollevata toccandosi il culo tumefatto.
Cambio il preservativo, propose la morettina intraprendente.
Tocca a te, le ricordai.
Sempre ravandando tra le chiappe della rossetta.
La piccola annuì con un breve sorriso.
Lo prendi davvero? Fece curiosa l’altra.
La morettina alzò le spalle incurante e mi venne sopra cavalcioni.
No, la fermai, aspetta.
Mi alzai con le gambe un poco tremanti.
Pecora? Chiese intuitiva la Marinella bella.
La spinsi a mettersi a quattro zampe.
Ok, accettò, ma dopo anche lei.
Indicò la rossetta, che, visto che avevo lasciato la stretta sul suo posteriore, aveva incrociato le braccia in posa attendista.
Feci girare la piccola e la spinsi verso la lungagnona che continuava a toccarsi gli sfinteri con aria poco presente.
Mentre te lo metto nel culo, decisi, tu la lecchi.
La piccola girò la testa poco convinta.
Facevate le lesbiche prima, le ricordai, era solo finta?
Stavamo giocando, spiegò.
Allora, insistetti impietoso, potete giocare ancora.
Non fare lo stronzo, si intromise la rossa.
Sì, contestò anche la piccola, un conto è un bacino sulle labbra, cazzo, un conto è leccare una figa.
Adesso mi sentivo davvero eccitato.
Era nella posizione giusta, per cui glielo puntai e spinsi senza preavviso.
Forse non si era data abbastanza crema.
La ragazzina mi scappò via di sotto con un piccolo grido.
Che stronzo! Commentò la rossetta che forse si chiamava Michela.
Vuoi tu? Ridacchiai.
Nonnò, rifiutò mettendo le mani avanti.
Cazzo, commentò la piccola, ma sei proprio uno stronzo bastardo. Adesso non te lo do più.
Daaaaai, cercai di accattivarmela, mettiamo un altro po’ di crema e riproviamo.
Le due bimbe ancora non del tutto andate di melone si consultarono con un’occhiata.
La rossetta fece una smorfia accomodante.
In effetti, mormorò, avevamo detto tutto.
Ok, fece la morettina controvoglia, ma pecora, non so.
Fallo a me, si propose la rossetta rivolta all’amica.
Si sedette sulla solita sedia allargando un poco le gambe.
Ok, accettò quella che si chiamava Marina.
L’altra mora forse si era addormentata. Teneva la testolina poggiata alla parete e respirava a bocca aperta.
La piccola si mise a quattro zampe tra le gambe dell’altra e si massaggiò ancora gli sfinteri dopo essersi unta le dita di lubrificante.
Mi inginocchiai dietro di lei e lo puntai appena.
Dai, le pregai, almeno fate finta.
La rossetta, che sembrava sveglia, si toccò un poco la passerina glabra. E l’altra le diede una lappatina.
Non sembrava tanto convinta, ma sentii un guizzo di eccitazione.
Spinsi un poco ed entrò.
Era più stretta della lungagnona, per cui mi fermai un poco aspettando che si dilatasse.
Cazzo, fece la biondina entrando in cucina, ho vomitato anche l’anima.
Poi si bloccò a mezza strada, vedendo il casino che stavamo combinando.
Pardon, si scusò facendo il gesto di tornare di là.
No, la pregai, rimani.
Devo bere, si giustificò scavalcandomi imbarazzata.
Lo spinsi dentro un altro po’, mentre la piccola sembrava averci preso un po’ più gusto a slinguazzare l’amica rossa.
Ma, si sorprese la biondina, la sta leccando.
Sì, ammise la Michela, cazzo, mi sta leccando.
‘Fanculo, si lamentò la piccola Marina, è la prima volta che mi inculano mentre bacio una figa.
Beh, obiettò la bionda viperina, non è certo la prima volta che baci una figa.
Stronza, mormorò la rossa con un piccolo singulto.
Dopo, propose la piccola, magari lo fai tu.
La bionda alzò le spalle superiore. Aprì il frigo e prese una bottiglietta d’acqua.
Capirai che fatica, sorrise.
Hai visto come ce l’ha? La contraddisse la morettina.
Anche la bionda si chinò a controllare.
Fa male? Si informò dando una piccola pacca su un fianco alla morettina.
No, mentì l’altra, e comunque ho deciso di non dargli la soddisfazione di lamentarmi.
Scoppiai a ridere nervosamente.
Siete tutte fuori di testa, sospirai ficcandolo fino in fondo.
Nonostante il mio affare fosse tornato poco sensibile.
La piccola Marina inarcò la schiena tuffandosi più forte a premere la sua bocca sul pube della rossa.
Cazzo, mormorò quest’ultima prendendosi entrambe le tette con le mani.
Scesi a toccare la passerina di quella che stavo inculando.
Faccio io, decise la bionda.
Fece due sorsi dalla bottiglietta d’acqua e la posò sul tavolo.
Poi si inginocchiò al mio fianco e infilò una mano tra le gambe dell’amica.
Che cazzo ha la Susy? Chiese genericamente sfrugnandola.
È fatta, spiegai.
Non regge la roba, confermò la bionda salendo a toccarmi i gioielli.
Si accomodò meglio e strinse il seno della morettina.
Anche lei fece un piccolo ansito.
Sono completamente andate, valutai.
Basta, si lamentò finalmente la morettina cercando di tirarsi via.
Ma era intrappolata tra le gambe della rossa e il corpo della bionda.
Senza considerare la mia spinta posteriore.
Cercò di divincolarsi ansimando.
Ok, mi rassegnai.
E mi tirai via.
Cazzo, fece la morettina accasciandosi, mi hai spaccata in due.
Mannò, cercai di consolarla.
La bionda mi mostrò complice il buchetto ancora aperto della morettina.
Ci passai sopra un dito e lei si spostò infastidita.
Ma la sua amica bionda ridacchiò ancora e le aprì le natiche per farmelo vedere ancora.
Sei una troia, fece la morettina stendendosi su un fianco per riparare le sue terga dalle nostre attenzioni.
Mi tolsi il preservativo e ne infilai subito un altro.
La rossa era in posizione quasi ginecologica. Seduta sulla sedia di formica, con i piedi poggiati sul sedile e il sedere che sporgeva appena.
Sono le sette, annunciò la mora alta uscendo dal coma.
Sì, confermò la rossa.
E scoppiarono tutte a ridere.
Infilai la rossa in figa senza dire niente.
Lei mi strinse il collo con passione molto ben simulata.
La baciai e lei mi ricambiò in modo apprezzabile.
È tardi, mi sussurrò in un orecchio, e siamo tutti sballati.
È vero, annuii, ma io non sono ancora venuto.
Allora vieni, mi incitò.
Sorrisi divertito.
Meglio se smettiamo, decisi, tanto non vengo.
Ok, fece lei.
Adesso esco, la rassicurai.
Se serve, aggiunse, possiamo anche fare culo.
Non so, sospirai continuando a pomparla piano.
Sono molto stretta, ridacchiò, non sarà una cosa facile.
Proviamo? Osai trafitto da un lampo di eccitazione.
Ok, rispose stringendo gli occhi in un sorrisetto, ma rimaniamo in questa posizione.
La moretta, che aveva sentito tutto, mi mise il tubo in mano.
Mi girai e vidi che la bionda si era poggiata al tavolo e ci guardava interessata.
Dopo inculo anche te, la minacciai.
Nonnò, rispose facendomi le boccacce, io sono vergine dietro.
See, fece la moretta.
Vi piace questo film porno, eh! Commentò incongruente la lungagnona sedendosi con il culo per terra.
Forse stava riprendendosi.
Mentre lubrificavo la rossa, la bionda andò ad aiutare la mora ad alzarsi.
Se non avessi mescolato tutta quella roba, forse sarebbe stato eccitante da matti.
La ragazzona era ancora parecchio fatta. Ma bevette un poco d’acqua e si poggiò al termosifone guardando schifata la scena. Ogni tanto si toccava dietro con aria affranta.
Cazzo, fai piano, mi esortò la rossa contorcendosi.
Te lo infilo nell’intestino, le sussurrai in un orecchio spingendo.
Mi strinse una spalla soffiando e tendendo i muscoli del collo.
Fino allo stomaco, insistetti.
La ragazza strinse i denti soffiando ancora.
Ma non entrava. Non sentivo praticamente nulla.
Cazzo, ormai ero totalmente fuori dai coppi.
Mi tirai via e mi sedetti per terra guardandole il culo unto e la passerina oscenamente esposta.
Adesso si fa una sega, mi derise la bionda.
No, ridacchiai, me la fai tu.
Mi strappai il preservativo e mi masturbai un poco.
Niente da fare, desiderio zero.
Vado in bagno, annunciai torvo, tenetevi pronte per il dopo.
Uscii e sbirciai nella camera da letto grande.
Beppe stava tirando un striscia piegato davanti al comò.
Aveva gli occhi iniettati e un sorriso ebete.
Allora? Chiese vedendomi.
Niente, alzai le spalle.
Cazzo, si lamentò Iaco emergendo dal torpore, almeno tu.
Gli tremavano un poco le gambe in modo inconsulto, nonostante fosse steso nudo sul letto.
Doveva essere una gangbang, sorrisi, ma qui mi sa che non facciamo neanche la bang.
Risero entrambi, probabilmente senza capire la battuta.
Andai in bagno e pisciai nel lavandino.
L’erezione scese un po’. Ma era tutta notte che saliva e scendeva.
Mi rinfrescai la faccia e l’uccello e tornai in cucina.
Le ragazze avevano messo su una caffettiera e stavano aspettando calme.
Non si erano rivestite, per fortuna.
Non che volessi scoparmele ancora. Ma mi piaceva l’idea di averne quattro tanto carine intorno.
Mi sedetti al tavolo e mi accesi una sigaretta.
La biondina stava giocando con la confezione di Viagra.
Lo usi spesso? Chiese.
Di solito uso il Levitra, spiegai, non tanto spesso. Ogni tanto.
Comunque, fece la morettina maliziosa, complimenti.
Il caffè cominciò a uscire e la rossa si alzò per versarlo nelle tazzine.
Guarda che è parecchio frustrante, commentai.
Ma perché non vieni? Chiese la lungagnona bruna.
Sorrisi stanco. Non avevo voglia di spiegare.
È perché è un porco, ridacchiò la rossa, vuole che dura tanto. Gli piace scopare.
Sì, ammisi sconsolato, mi piace.
La mora piccola sbadigliò.
Beviamo il caffè e andiamo a dormire, propose stanca.
No, fece la bionda, io lo so perché non viene.
Mi girai a guardarla, sembrava molto sicura di sé.
Anche le altre la fissarono attente.
Forse la bionda era il capo del gregge.
Mise lo zucchero nella sua tazzina e lo girò lentamente con il cucchiaino.
Erano qui pensando di essere in un film porno, aggiunse.
Sì, fece la mora lungagnona, sembrava proprio un film porno.
Io vado a dormire, mormorò la Marina mora disinteressata.
Aspetta, mormorò la biondina, voglio sapere se anche tu sei d’accordo.
Ok, fece l’altra.
Lui non viene, disse in modo dottorale, perché non vuole davvero essere in un film porno.
Cazzo, ridacchiai, queste sono lezioni di etica professionale.
Le quattro mi fissarono riprovevoli.
Forse, continuò imperterrita la bionda, voleva una cosa diversa.
Mannò, protestò la moretta, mi ha chiesto lui di fargli bocca senza fino alla fine. Poi non ci è riuscito ma prima mi ha scopata alla pecora per quasi mezz’ora. Sia a me che alla Susanna.
È vero, ammisi alzando le braccia per arrendermi.
Ero tanto fuori che non riuscivo neppure a sentirmi offeso per la presa in giro.
E a me mi ha scopata in culo, commentò con aria riprovevole la mora alta.
È vero, cazzo, è vero, ribadii rassegnato, ma ho sbagliato. Forse non dovevo neppure venire.
Mannò, ripeté la Marina, hai fatto bene a venire, sei stato carino.
Quando ce l’avevi nel didietro, sibilò la rossa, non la pensavi così.
Mannò, minimizzò la morettina, e poi, cazzo, smetti di fare la troia. È stato lui a chiedere se ti leccavo la figa e a te piace quando ti leccano la figa.
E allora? Si irritò la rossa.
Stronze, sorrise la bionda, fatela finita.
Cazzo, sbottai cercando di calmarle, avete ragione. Sono stato un idiota. Lo sapevo da prima che finiva così.
Dai, si tirò indietro la bionda, succede a tutti.
Hai ragione, mi dolsi ormai allo stremo delle forze, hai ragione. Ma non è una giustificazione, alla mia età uno dovrebbe sapere quello che vuole.
Andiamo a dormire, mormorò la morettina Marina. Si alzò un poco malferma e aiutò la lungagnona a mettersi in piedi.
Vennero entrambe a darmi un bacino sulla fronte, poi salutarono il resto della compagnia con un breve sorriso.
Comunque, commentò la piccola prendendo il corridoio, sono d’accordo con te. Lui voleva un’altra cosa.
La biondina sorrise compiaciuta.
Dove dormono? Mi informai.
Anche la rossa sembrava più tranquilla adesso.
Nell’altra stanza, spiegò la bionda, quella piccola.
E voi? Insistetti.
Io, fece la rossa alzandosi stremata, vado di là.
Di là dove? Chiesi sempre più irritato.
Non stavo capendo niente.
Abbiamo un monolocale dall’altra parte del pianerottolo, spiegò la bionda, per questi casi.
La rossa venne ad abbracciarmi.
Sei stato carino, mi sussurrò.
Grazie, risposi sempre più confuso.
Ho il culo stretto, mi bisbigliò giustificatoria in un orecchio, mi spiace.
Fa niente, sorrisi, tanto non venivo comunque.
La ragazza girò metaforici tacchi e prese l’uscio disinvoltamente biotta.
D’altra parte, avevo notato prima che su quel pianerottolo c’erano solo due porte.
Ok, mi rassegnai voltandomi verso la bionda, allora vai anche tu.
Se vuoi, sospirò la ragazza sedendosi di nuovo al tavolo macchiato e sporco.
Oppure? Chiesi.
Ti faccio compagnia, sorrise stanca.
Solo in quel momento mi accorsi che era bellissima. Non era solo alta e proporzionata. Aveva anche un bel viso. Aveva occhi intelligenti.
Ok, accettai.
Forse, mormorò fissandomi allusiva, in questo modo vieni.
No, la contrai brutalmente, ho un problema di prostata. Non c’entra niente con voi. Sono io.
La ragazza sorrise ancora sardonica, mi fece segno di spostarmi e poi si venne a sedere compostamente sulle mie gambe. Mi mise un braccio intorno alle spalle e sorrise.
Il suo seno mi sfiorava piacevolmente il petto.
I problemi, aggiunse indicandomi la fronte, sono sempre tutti qui.
Tu sei l’unica con cui non ho scopato, cercai di cambiare discorso.
È vero, sussurrò allungandomi le labbra.
La baciai lentamente, come non avevo fatto per tutta la serata.
Visto? Gorgogliò lei costatando la mia erezione che le premeva vigorosamente contro una natica.
Non vengo, ribadii mogio.
Vedremo, ribadì alzandosi.
Mi allungò una mano per aiutarmi a tirarmi su.
Dove andiamo? Balbettai.
A casa tua, sorrise indicando i miei vestiti ammucchiati sull’attaccapanni.
Ma, obiettai, sono le otto passate.
Non ho impegni questa mattina, decise infilandosi le mutande.
Neppure io, ammisi.
Allora andiamo, concluse.
Obbedendo ad un guizzo di passione incontrollabile, la presi per le spalle e la baciai di nuovo.
Adesso ci siamo, mormorò confusa non appena mi fui staccato.
E con un solo gesto elegante, si tolse di nuovo le mutande.

tutto ciò che precede questa riga è falso
 
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tutto quanto segue questa riga è vero


La capra sul burrone

Delle volte si mangia senza avere fame, sussurrò nel vano tentativo di quietarmi.
Mi alzai irritato e andai ad accostare la finestra, non era più tanto caldo.
Non è la stessa cosa, obiettai, se mangi senza fame, comunque mangi. Poi, magari vomiti, ma intanto mangi.
È vero, ammise seria.
La ragazza si stese sulla schiena, alzò le gambe e se le lisciò lentamente, come per lucidarle. Di certo sapeva che erano la sua parte migliore.
Andai a prendere le sigarette e il portacenere.
Poi tornai a stendermi frastornato.
‘Fanculo, l’avevo già pagata per tutta la notte. Mica tanto, via, visto che l’avevo presa che era l’una passata. Ma duecento sono sempre duecento.
Mi vesto? Chiese pacata.
Sembrava persino dispiaciuta.
Alzai le spalle indifferente.
La prendo sempre male, cazzo di cane.
Massì, borbottai, rivestiti e torna a lavorare.
Anna mi fissò con espressione offesa.
No, mormorò con il suo leggero accento toscano, pensavo che magari se mi vesto ti si alza, come l’altra volta.
In effetti, con lei era successo qualche tempo prima. E quando si era rimessa la mini, avevo avuto un momento di ripresa. Senza esito, a dire il vero, ma un paio di colpi a pecora ero riuscito a darglieli.
L’estate prima mi era capitato abbastanza spesso. Ero persino andato dall’andrologo, che aveva allargato le braccia in un gesto rassegnato.
È l’età, aveva commentato, qualche cilecca ci sta.
Sì, avevo obiettato, ma quando è sistematico è preoccupante.
Mi aveva passato il Levitra da dieci a venti e mi aveva congedato.
Come dire: cazzi tuoi.
Ci dovrebbe essere una legge per il diritto all’erezione, scherzai.
Anna sorrise, forse sperando che il mio umore fosse cambiato.
Si allungò a rubarmi la sigaretta quasi finita e diede un paio di tiri.
Non voglio andare via, mormorò con un breve sorriso restituendomela.
Ok, sospirai, hai cenato?
Sì, sorrise avvicinandosi gattoni.
Era niente male, la pupa. Ed erano poche le italiane a venire per una cifra tanto stracciata.
Ma era lunedì, giorno di stanca. E lei spesso neppure usciva nei primi giorni della settimana.
Un tè? Proposi.
Venne ad abbracciarmi poggiando le tette sul mio petto.
Non erano tanto grandi, ma le stavano bene.
Il suoi punti forti erano il sedere e le gambe.
No, rifiutò, dopo magari bevo una Coca.
Le accarezzai il bel viso un po’ sciupato.
Aveva ventisette anni ma ne dimostrava qualcuno di più.
Chissà da quanto tempo faceva la puttana. Non aveva mai voluto parlarmene.
Con lei era tutto abbastanza lineare. La chiamavo dieci minuti prima, scendeva e veniva a casa mia. Non poteva ospitare, ma le andava bene sempre qualsiasi proposta.
Basta che non le chiedessi il didietro.
Una volta, dopo aver cenato insieme ad Roadhouse, avevamo anche scopato senza. Era stata una cazzata, lo so. Ma era venuto quasi automatico, dopo un sessantanove molto prolungato.
Si era fatta la doccia prima di uscire, è vero. E un bidet prima di andare a letto.
Ma, ‘fanculo, delle volte sono completamente scemo. Come si fa a leccare la figa di una puttana?
Eppure, capita. E quella volta le ero venuto persino dentro. L’unica volta che si era lasciata baciare.
Dopo sembrava molto preoccupata, ma non aveva detto niente. Era andata a lavarsi ancora e poi avevamo bevuto della grappa in silenzio.
Da allora era tornato tutto come prima.
Quante volte siamo stati insieme? Chiesi riemergendo dalle mie amarezze.
Dodici, rispose senza esitazioni.
Come fai a ricordartelo? Ridacchiai nonostante la pulsazione frustrante del mio affare moscio.
Alzò le spalle.
Me lo ricordo e basta, dichiarò con un piccolo moto di nervosismo.
Mi piaceva quando prendeva quest’espressione tra l’annoiato e l’irritato.
Cioè, indagai, ti ricordi di tutte le volte che vai con un cliente?
Mannò, rispose vaga, è che non sono molti i clienti che ti portano a casa, di solito andiamo in albergo.
Le accarezzai la schiena pensieroso.
E sono pochi, ridacchiò lisciandosi ancora le gambe ben tornite, quelli che riescono a farmi stare un’ora per solo ottanta euro,.
È che sono irresistibile, scherzai allungandole un bacino sulla fronte.
Mi sorrise e scese a toccarmi l’affare.
Certo, mormorò, che è un mistero.
Cosa? Risposi distratto dall’orgoglio di risultare tanto simpatico alle ragazze come lei.
Il cazzo, spiegò girandosi a sorridermi.
In che senso? Mi incuriosii.
Fece una smorfietta.
Ne ho visti tremila, rispose, ma non so come sia averne uno.
Beh, ridacchiai, neppure io so com’è avere la figa.
Voglio dire, aggiunse confusa, che è chiaro come funziona. È, come dire, naturale. Io so cosa devo fare e come. Ma cosa prova un uomo?
Cazzo, ridacchiai tra me e me, stiamo facendo filosofia.
Non si può descrivere, ovviamente, obiettai.
Certo, ammise, non ho come si dice?
L’esperienza diretta, precisai.
Lei annuì pensierosa.
Posso? Chiese scendendo a lambirmi il petto.
Non so, confessai.
Mi morse un poco i capezzoli stringendomi l’affare che non reagiva.
Voi uomini, mormorò, potete provare qualcosa di simile. Anche se non è la stessa cosa.
Chissà che cazzo stava architettando.
Del tipo? Sorrisi interessato.
Il culo, spiegò, è un po’ come la figa. Si entra.
Giusto, scoppiai a ridere.
Allungai una mano e l’accarezzai tra le natiche.
Non volevo dire quello, mi rimproverò lei.
Ma mi lasciò fare. Sapevo che non le piaceva ma il suo didietro era veramente carino.
Vuoi? Chiese ancora scendendo fino al mio pube.
Proviamo, concessi magnanimo.
Anche se poco fiducioso.
Lo imboccò tutto e lo succhiò delicatamente.
Anna era una delle poche ragazze con cui facevamo bocca senza fin dall’inizio, senza neppure esserci accordati.
Si era inginocchiata sul letto, in modo da farsi manipolare comodamente l’ampio sedere.
Le infilai un dito e lei inarcò la schiena.
La ragazza smise di spompinarmi e poggiò una guancia sul mio ventre guardandomi con aria arruffata.
Sai perché alle donne piace fare i pompini? Chiese arrossendo un po’.
Era la prima volta che ci facevamo un po’ di confidenze.
No, sorrisi.
Perché danno piacere, spiegò, noi donne siamo generose.
Sì, ammisi, ma è anche una forma di anticipazione. Sanno che tra poco lo prenderanno nella figa. Alle donne piace l’idea, piace l’aspettativa. Piace la sensazione di farlo diventare duro. Spesso non conta tanto neppure l’atto in sé.
Oh, fece lei, hai ragione. Il cazzo in figa è come la ginnastica, per una donna, se non c’è la passione. Quello che piace è l’idea di avere l’uomo dentro.
E con un vibratore? Cercai di scherzare.
Lei fece una piccola smorfia.
Che senso ha? Obiettò, quello che conta non è il movimento, è il fatto di avere dentro l’uomo.
E in culo? Ridacchiai infilandole anche un secondo dito.
Può essere molto bello, ammise, per l’idea.
Tolsi entrambe le dita infastidito.
Basta, decisi.
Lei mi fissò ancora apparentemente delusa.
Poi, tornò a imboccarmi delicatamente.
Mi accarezzò lo scroto e scese a premermi il culo con un dito.
Lascia stare, la pregai.
Nonostante il piacevole pizzicore al basso ventre.
Ma lei mi ignorò e mi spinse faticosamente un polpastrello dentro.
Allungò l’altro braccio a mettermi la mano sul viso e mi infilò un dito in bocca.
Glielo lo succhiai con lo stesso ritmo che stava imponendo al suo pompino.
Non era per niente spiacevole.
Scosse un poco il sedere in un implicito invito.
Così, tornai ad accarezzarla tra le natiche.
E mi accorsi che si stava alzando.
Lei salivò rumorosamente tirandosi su un poco sorpresa.
Cazzo! Ridacchiò girandosi a guardarmi radiosa, hai visto?
Annuii frastornato.
Hai vinto, mormorai, sei brava.
Io brava? Ripose quasi risentita.
Sì, confermai.
Grazie, bisbigliò poco convinta.
Facciamo una pausa, proposi, abbiamo tempo.
Ok, accettò tirando su la schiena.
Nel movimento mi espulse dal suo buchino.
Le offrii una sigaretta.
Vado in bagno, annunciò sbuffando.
Dopo, pianificai, facciamo la capra sul burrone.
E cos’è? Chiese curiosa girandosi prima di uscire dalla camera da letto.
Vedrai, promisi minaccioso.
Accesi una sigaretta sghignazzando per l’aspettativa.
See… la capra sul burrone. Non ero abbastanza in forma per quelle robe lì.
La ragazza approfittò della pausa per farsi un altro bidet.
‘Fanculo, va bene l’igiene, ma questa ogni tanto esagerava. Si era fatta la doccia anche prima, quando eravamo arrivati.
Prima di tornare passò in cucina a prendere una lattina.
E venne a sedersi sul letto sorseggiandola. Si era infilata il mio accappatoio, che le stava molto largo.
Cos’è ‘sta capra sul burrone? Chiese maliziosa.
Non so se riesco, confessai.
Spiega, dai, mi incitò.
È una posizione che funziona solo se due si fidano molto l’uno dell’altro, spiegai.
Alzò le spalle nell’implicito invito a continuare.
Ma, aggiunsi realistico, magari la facciamo un’altra volta.
In effetti, il mio affare pendeva inoffensivo tra le mie gambe.
Allungò una mano ad accarezzarlo.
Con l’altra si portò la lattina alle labbra.
Prese un sorso e poi si abbassò a imboccarmelo.
La sensazione di freddo della coca mi fece uno strano effetto.
Un rivolo di bibita mista a saliva stava cadendo sul lenzuolo, spandendosi appena.
Non importa, pensai, tanto domani devo portare tutto in lavanderia.
Si staccò, deglutì e fece un altro sorso.
Il mio affare si era un poco alzato.
Questa volta la coca sembrava anche più fredda.
E l’erezione si manifestò automatica e improvvisa.
Lei ridacchiò come prima e mi poggiò la lattina fredda allo scroto.
Chi ti ha insegnato ‘sti trucchi? Farfugliai con la schiena attraversata da un guizzo.
Sai che ero infermiera, ridacchiò, è un lavoro che si imparano tante cose.
La sintassi non era delle più corrette, ma sicuramente efficace.
Con i pazienti? Insinuai.
Con i dottori! Esclamò maliziosamente.
Le presi la lattina e la poggiai per terra.
La capra sul burrone, annunciai.
Non mi fai male, vero? Chiese cautelativa.
No, confermai spingendola ad inginocchiarsi sul bordo del letto dandomi la schiena.
Così? Chiese impacciata dall’accappatoio.
Abbassa la schiena, consigliai, alza un po’ il culo e metti le mani tra le ginocchia.
Ok, rispose cercando di eseguire.
Strappai una confezione di profilattici e me ne infilai faticosamente uno. Non ero tanto tosto, ma forse riuscivo a rimanere su per qualche minuto.
Mi alzai in piedi sul letto e le sollevai l’accappatoio a scoprirle il sedere.
Sei un po’ bagnata? Mi informai ravanando tra le sue natiche.
Sì, confermò.
Sul serio? Esitai.
Dai, cazzo! Mormorò, facciamo ‘sta cosa, che è scomodissimo.
Scomodissimo adesso? Ridacchiai.
Piegai faticosamente le ginocchia, la puntai e spinsi un poco.
Non ero un mostro di durezza, ma entrò con un piccolo sforzo.
Le diedi un paio di colpi, che la spostarono ancora un poco verso il bordo del letto.
Cazzo, si lamentò, così cado giù!
No, la contraddissi, non tenerti, ti tengo io.
Ma non si fidava a togliere le mani dal bordo del materasso.
Spinsi più forte, cominciando a sentire meglio il calore della sua passera. In effetti, era abbastanza bagnata, perché non stavo facendo alcuna fatica.
Staccati, la pregai.
Ma, obiettò, dove metto le mani?
Ti piace quando ti toccano le tette? Balbettai.
Sì, ammise preoccupata.
Allora, conclusi, toccati le tette.
Lei staccò una mano un poco titubante.
E si accorse che la tenevo io per i fianchi.
Allora, anche se con una certa riluttanza, tolse anche l’altra.
E si strinse il seno con entrambe, aprendosi l’accappatoio sul davanti.
Adesso mi sentivo abbastanza eccitato.
Le diedi altre spinte forti.
Ogni volta lei rischiava di cadere giù dal letto. Il suo equilibrio dipendeva solo dalle mie mani che le stringevano le anche, perché le sue ginocchia erano ormai ben oltre il bordo del materasso.
E ad ogni spinta, lei annaspava un poco inarcando la schiena e tendendo le spalle.
Cazzo, si lamentò, mi fai un po’ male.
Ora smettiamo, la tranquillizzai.
Come vuoi, mormorò.
Poi, torse il collo per guardarmi. E fece un breve sorriso.
Avevi ragione, singultò, funziona solo se ci si fida molto.
Se, precisai, tu ti fidi di me.
Le diedi un ultimo colpo e poi mi tirai via.
La presi per le spalle, per evitare che cadesse giù e me la tirai contro per abbracciarla.
La ragazza si contorse agilmente e si allungò a darmi un bacino sulle labbra.
Sai che mi è piaciuto? Confessò soffiandosi via una ciocca di capelli dal viso accaldato.
Di’ la verità, scherzai, che con me impari sempre delle cose nuove.
Ridacchiò poco convinta.
Ma, osservò, anche tu ti fidi di me, no?
Certo, risposi incauto.
Si slacciò l’accappatoio e lo fece scivolare a terra.
Vuoi provare la posizione che fa godere tutte le donne? Chiese grattandosi il naso imbarazzata.
Che, che, che? Chiesi interessato.
Non fare il cretino, ridacchiò, la conosci sicuro. Ma forse non lo sai che è quella che fa godere tutte le donne.
Ci pensai su un attimo.
La conosco, confessai, si chiama lo schiavo d’amore.
Non so se è la stessa che dici tu, mormorò, quello che so è che l’uomo non gode in quel modo.
È vero, ammisi.
In quel modo, sussurrò, l’uomo lo fa solo per far piacere alla donna.
E tu vuoi che lo facciamo, costatai sorpreso.
Hai detto che ti fidi di me, sorrise.
Non c’entra la fiducia, osservai.
Tu dici? Sorrise incerta.
Ok, accettai stendendomi meglio.
In effetti, il rischio di rottura del preservativo è alta.
Ma dubitavo di riuscire. Quando sto sotto di solito mi cala un po’.
E per entrare, comunque, il cazzo deve essere proprio in tiro.
Cosa che non era affatto, in quel momento.
Per cui, l’impresa non sembrava alla portata.
Ma lei mi strinse l’affare con forza, premendolo alla base con le dita di entrambe le mani.
Accosta le gambe, suggerì.
Poi mi venne sopra, nella classica smorza candela.
Abbassò il petto fino a sovrapporre il suo viso al mio.
E, infine, strinse anche lei le gambe, tirandole sopra le mie.
Il mio affare rischiò per un attimo di uscire, ma lei lo tenne stretto per un momento e finalmente entrò tutto.
Ecco, sorrise nervosa, questa è la posizione che fa godere tutte le donne.
Era stata abile. Il mio affare era del tutto insensibile, serrato dalle sue cosce strette. Profondamente ficcato dentro di lei. Ma era bello lo stesso.
Le donne, mormorai, sentono piacere nell’avere l’uomo dentro.
E gli uomini, fece lei strofinando il pube contro il mio, nell’essere dentro alla donna.
Mi prese il viso con entrambe le mani e mi baciò sulla fronte.
Le spalle le tremavano un poco.
Cazzo, mi chiesi, ma le sta piacendo davvero?
A parte quella volta che avevamo scopato senza, lei non aveva mai mostrato alcuna propensione all’orgasmo. E anche quella volta, ad essere sincero, l’unico a venire ero stato io.
Avevi ragione, mormorò, questo non dimostra che ti fidi tu. Dimostra ancora che io mi fido di te.
Sì, ammisi, sto facendo una cosa per te.
In effetti, non sentivo quasi niente. A parte il calore della sua figa che mi imprigionava.
Ma mi piaceva.
Forse, davvero, è l’idea che fa godere. L’idea di far godere.
Posso? Chiese abbassandosi a darmi un bacino sulle labbra.
Le infilai la lingua in bocca e lei mi succhiò un attimo.
Se non bacio, si giustificò, non arrivo.
Non è possibile, mi dissi.
Ma lei riprese a tremare e a contorcersi.
Mi baciò ancora forte. E poi fu scossa da un paio di lunghi brividi.
Le accarezzai la testa affettuoso e stupito, mentre la sua passerina continuava a pulsare spasmodicamente.
Aspettai qualche minuto che si calmasse.
Lei continuava a baciarmi piano, tenendo gli occhi chiusi.
Poi allargò un poco le gambe e mi fece uscire.
Il suo pube era umido di sudore e umori.
Come il mio del resto.
L’affare, ormai barzotto, mi ricadde sulla pancia.
E lei si tirò a sedere sulle mie cosce, sempre ad occhi chiusi.
Non dire niente, mormorò confusa.
Ok, accettai.
Adesso, sorrise senza aprire gli occhi, mi vergogno da matti.
Non sapevo cosa rispondere.
Si alzò, raccattò l’accappatoio. E guadagnò il bagno con le gambe malferme.
Mi tolsi il preservativo che mi dava fastidio e la raggiunsi.
Si era seduta con aria pensosa sul water, forse aspettando di pisciare.
Perché dovresti avere vergogna? Chiesi confuso.
Io sono una puttana, osservò evidente, sei tu quello che deve godere.
Ma, obiettai sempre più disorientato, che c’entra? Se ti piaceva.
Scosse la testa.
Tu paghi, sibilò lapidaria.
Ma, insistetti, non è mica come prendere la verdura alla Coop. Siamo due persone, io non ti compro.
Falla finita, rispose quasi infastidita, tu mi compri eccome. Io sono una figa in affitto. Finisce lì.
Ma, continuai imperterrito, io non ti ho mai considerato così, per me sei sempre prima di tutto una persona.
Basta, fece lei, ho sbagliato io. Ho fatto una cazzata.
Non capisco, mormorai sinceramente.
Tu credi che essere gentile e affettuoso con me sia una bella cosa, disse ironica, ma è una stronzata. Tu mi compri e basta. Finisce lì.
Ok, finsi di accettare la sua spiegazione.
E non far finta di darmi ragione! Esclamò.
Cazzo, sorrisi, tu sei magica.
Andai ad inginocchiarmi tra le sue gambe e le allungai un bacino.
Finisce lì, insistette lei seria.
Ok, mi rassegnai.
Mi fece un breve triste sorriso.
La prossima volta, promise volitiva, sarà tutto come prima.
E a sottolineare la sua determinazione, emise un piccolo fiotto di urina, che cadde rumorosamente nell’acqua ferma della tazza.


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Un vecchio uomo poco onesto e un po’ scontento

Le tigelle per lei, fa il cameriere poggiando i vassoi, e le crescentine per sua figlia.
Trattengo un fremito di ilarità mettendomi il tovagliolo sulla bocca.
Mi fa un breve sorriso, forse allusivo, e se ne va rapido.
Mentre Nadia torna dalla toilette raccogliendo sguardi libidinosi di camionisti e operai in pausa pranzo. Anche in jeans e maglietta, senza un filo di trucco, sprizza sensualità involontaria da tutti i pori.
Il senso di ridicolo mi macera. Ma la gaffe del cameriere ci sta tutta.
La osservo slalomare tra i tavoli con la sua falcata leggera ed elegante. Per venire in moto, si è messa delle scarpe da ginnastica di tela e un giubbino leggero.
Il mio aspetto nordico può trarre in inganno, in effetti, potrebbe anche essere mia figlia.
Un metro e ottanta di russa bionda e con gli occhi verdi ci sta tutta.
Si siede composta e mi sorride ampia.
Tualet schifo, commenta, uomini e donne insieme. Piscio dappertutto.
Assaggia la birra compiaciuta. Io ho preso una coca, perché devo guidare.
Questo è quello che dicevi si mangia qui? Chiede prendendo titubante per un angolo una crescentina.
L’aroma di fritto pervade tutto l’ambiente, mescolandosi ai gas di scarico della strada che passa sotto le finestre aperte.
La ragazza ne assaggia una con aria curiosa.
Mettici dentro la mortadella, suggerisco tagliandole una tigella bollente
Lei capisce subito e farcisce il suo gnocco untuoso.
Buono, commenta annuendo, anche noi ha cosa così. Ma diversa.
Nadia mi fa ridere immancabilmente. Tutto mi fa ridere oggi.
Questa mattina mi hanno chiamato per dirmi che i colleghi di Milano non potevano venire. E io ho subito deciso di prendere un giorno libero. Tanto, sono sempre a credito d’orario.
Ho poltrito un po’, dovevo riposarmi dalla notte quasi insonne con Nadia. Poi mi sono fatto una doccia, pregustandomi una bella colazione. E mentre mi sciacquavo ho pensato di fare un giro in moto. È luglio, la giornata è bellissima ed è un sacco di tempo che voglio visitare il lago di Suviana.
Ero veramente ben disposto.
Mentre mi vestivo, ho ricevuto il messaggino della Nadia.
Grazie per bela serata, diceva, noi vediamo presto spero.
Cazzo, mi ero detto, la chiamo subito.
Questo? Chiede indicando lo strutto condito.
Neppure il liscio che suonano in sottofondo riesce a mettermi di cattivo umore.
Ormai ho tagliato quasi tutte le tigelle. Ne spalmo una con il grasso e gliela offro.
Buono! Esclama scottandosi un po’, dai altro.
I camionisti e gli operai continuano a guardarci. C’è molto invidia negli occhi di qualcuno. E parecchia concupiscenza.
Nadia è una perfetta compagna di moto. Il suo ex ragazzo aveva una Honda sportiva e ci è abituata.
Appena salita sulla mia, si piegava anticipando le curve. Spostando il sedere dalla parte giusta.
Poi ha capito che la mia grossa enduro è una moto da passeggio, pesante e poco flessibile. E si è rassegnata ad assecondare la mia guida prudente.
Ogni tanto mi dava pizzicotti sui fianchi per dirmi che si stava divertendo. E in effetti, la strada in salita era piena di piacevoli curve.
Eravamo d’accordo che tornavamo per le cinque, così poteva riposarsi qualche ora, prima di andare a lavorare.
Tu, chiede, viene spesso qui?
Prima volta in questo cesso, confesso.
Lei ridacchia divertita.
Ma roba buona! Obietta.
Sì, ammetto.
È un piacere guardarla mangiare.
Si lecca le dita unte guatando le fette di coppa, che non conosce. E sorride per il formaggio molle che le scivola dalla crescentina finendo sulla tovaglia.
Sembra disorientata da tutti quei sapori nuovi. Incerta su quali provare e con quale sequenza.
Ogni tanto si mette la lingua tra le labbra per farmi un piccolo sberleffo.
Sono i momenti in cui l’invidia generale si fa più selettiva e sprezzante.
Torna il cameriere.
Tutto bene? Chiede spostando premurosamente la bottiglia dell’acqua ancora piena.
Perfetto, assicuro.
Molta buona roba, commenta la pupa entusiasta col suo vocione nordico.
Il pinguino storce il naso vedendo crollare miseramente la sua ipotesi buonista.
Mi regala un piccolo sorriso tra il complice e lo sprezzante. Quasi rassegnato.
Come dire, io non sono maligno ma di fronte all’evidenza… comunque, complimenti.
Poi gira i tacchi e scuotendo il capo sdegnoso va a servire una coppia anziana appena entrata.
Tutto mi fa ridere.
La pupa è tanto vorace che abbiamo quasi finito tutto.
Manca solo la nutella.
Lei scansa l’ultima tigella e se la gusta a rapide cucchiaiate.
Questo conosco, commenta, buono ma fa brutta pelle.
Prima di andare, suggerisco, facciamo una passeggiata nel bosco.
Annuisce un poco triste. Forse pentita di aver esagerato con la nutella.
Prima caffè, decide.
E alzo una mano per ordinare.

Ha bevuto tre Ceres ma non sembra risentirne.
Superata la breve salita dietro la trattoria, abbiamo seguito un sentiero quasi indistinto. E siamo arrivati in questa piccola radura.
La ragazza stende il suo giubbino, si siede nell’erba alta e mi fa segno di raggiungerla.
Mi allungo al suo fianco e accendo una sigaretta. Lei non fuma regolarmente.
Si è rimessa gli occhiali da sole e la maglietta le è risalita un po’ sui fianchi.
Io, dice seria cercando le parole, molto felice. Mai nessuno porta me con moto così o con macchina. Grazie.
Le sorrido compiaciuto. Non è solo bella, Nadia è gentile e carina.
Sotto di noi il lago luccica nella luce angolare del pomeriggio.
E fa caldo. Siamo entrambi sudati.
Si slaccia le scarpe di tela e muove divertita le dita nell’erba fresca.
Qualcuno schiamazza sulle rive giocando. I rumori arrivano distinti, nonostante la lontananza.
È un momento perfetto. Una di quelle rare situazioni di calma assoluta.
Solo una piccola brezza fa stormire le fronde degli alberi tutto intorno.
La ragazza si sposta e mi appoggia la testa sul ventre.
Dorme? Sussurra dandomi un’occhiata indagatrice.
Forse mi sta chiedendo se sono stanco. O forse mi sta dicendo che è stanca.
Alzo le spalle indifferente.
Tu dorme, precisa, io prende sole.
Si apre i jeans e si contorce per sgusciarseli d’addosso.
Ridacchia per i suoi sforzi e poi si sfila anche la maglietta, rimanendo in reggiseno e perizoma del tutto esornativo.
Presa da un improvviso dubbio, si guarda intorno a controllare che non ci sia nessuno.
Nel bosco possono esserci interi plotoni di guardoni. Ma tanto, che differenza potrà mai fare?
In ogni caso, non c’è nessuno in vista.
Così, si toglie anche il reggiseno. E torna a poggiare la testa sul mio inguine.
Prende atto del gonfiore e mi sorride allusiva.
Sole bello, mormora, caldo.
Le accarezzo una spalla.
Non ho alcuna intenzione sensuale. Sto bene così, nonostante l’impaccio per l’erezione.
Mi sento parecchio stanco e sto per cedere alla sonnolenza.
Proprio come aveva detto Nadia.
Ma improvvisamente la ragazza si alza e torna a stendersi al mio fianco.
Mi abbraccia stretto, mettendomi la testa tra il viso e una spalla. Poi comincia a singhiozzare silenziosamente.
Che c’è? Mormoro.
Lei scuote il capo senza rispondere.
Hai detto che eri felice, osservo.
Io, annasa poco credibile, felice.
Le accarezzo la testa affettuoso.
E allora, obietto, perché piangi?
Niente, piagnucola, adesso passa.
Questa notte l’ho inculata per quasi un’ora. A lei faceva malissimo, ma non si è mai lamentata. Stringeva i denti soffiando e guardandomi fisso negli occhi con aria di sfida. Le lunghe gambe poggiate alle mie spalle o rannicchiate in modo quasi spastico.
Qualche volta mi viene così, soprattutto quando mi sento davvero eccitato e in forma. Salto tutto il resto e punto direttamente al didietro.
Molte ragazze ne sono infastidite, Nadia si presta senza protestare.
Appena comincio a toccarla tra le natiche, prende la crema con espressione tesa e concentrata e si lubrifica.
Peccato che non baci.
Improvvisamente mi sento eccitato, ripensando al mio affare ficcato profondamente nel suo buchino posteriore tanto stretto.
La ragazza continua a piangere silenziosa.
E nonostante la tristezza, mi viene la fantasia di sborrarle nel culo.
Solo una fantasia, ovviamente. Lei è molto attenta e io altrettanto.
Fa raramente anche bocca, senza.
Comunque la mia erezione comincia a diventare fastidiosa.
Mi giro su un fianco e le accarezzo le spalle, mentre lei si stende prona nell’erba fresca.
Le faccio un po’ di grattini sulla nuca.
Lei torce il collo per farmi uno stentato sorriso.
Le pizzico un fianco e lei ridacchia per il solletico.
Uff, sospiro.
Vederla tornare allegra è una consolazione.
Scendo ad accarezzarle la lunga schiena e le tasto una natica.
Prego, sussurra quasi lamentosa, oggi no sesso. Oggi no lavoro, ok?
Ma certo, faccio marcia indietro ipocritamente, era solo per giocare.
Fa un sorriso rassicurato e poggia i gomiti nell’erba. Alza le spalle e mi guarda con aria curiosa tenendosi le guance con entrambe le mani.
Distolgo gli occhi dalle grosse tette che le penzolano sul davanti sfiorando l’erba.
La mia erezione è del tutto ingovernabile.
Francesca? Chiede facendo il broncio.
L’unico difetto di Nadia è che è gelosa. Non sopporta in particolare Francesca, forse perché ha intuito che mi piace immensamente.
Non è gelosia vera, certo. È che teme di perdere un buon cliente.
L’unica volta che si sono incontrate è stato buffissimo.
È stato a casa mia, la settimana scorsa. Nadia mi ha raggiunto per recuperare un paio di orecchini che aveva dimenticato sul comodino della mia camera da letto. Si è fatta accompagnare da un cliente e Francesca era lì da qualche ora. Ero curioso di vedere come si sarebbero comportate. E mi ero divertito tantissimo.
Le due pupe si sono squadrate sorridendo maligne e falsamente gentili, valutandosi a vicenda. Entrambe consapevoli che Nadia è irraggiungibile come figa ma che l’altra ha qualcosa in più in termini di seduzione.
Poi le avevo accompagnate a casa. Prima Nadia.
Dove hai conosciuto questa meraviglia? Aveva commentato acida Francesca mentre l’altra chiudeva il portone di casa sua.
Ti piace? Avevo scherzato.
Non vale niente a letto, aveva sentenziato superiore accendendosi una sigaretta. Si vede subito.
Aveva torto, ma non mi andava di argomentare.
E poco dopo Nadia mi aveva fatto uno squillo. Appena arrivato a casa l’avevo richiamata.
Carina, tua amica, aveva sibilato dopo avermi salutato, vedi spesso?
Abbastanza, avevo ammesso cominciando a preoccuparmi.
E mi aveva fatto una specie di piccolo interrogatorio, informandosi su costi, pregi, prestazioni e tutto il resto.
Per cui, l’argomento Francesca è un po’ delicato.
Allora? Sbuffa accaldata vedendo che non rispondo.
Alzo le spalle falsamente indifferente.
Non la vedo da un po’, mento.
Lei fa una smorfia superiore, fingendo noncuranza.
E mi chiede una sigaretta.
Sì, l’argomento Francesca la innervosisce.
Niente lavoro oggi, le sorrido, ok?
Sbuffa annoiata. Sa di non avermi convito.
Si gira supina e si rimette maldestramente la maglietta.
Il reggiseno se lo infila in una tasca del giubbino.
Fuma apparentemente tranquilla e guarda il lago luccicante.
Perché no bagno? Chiede improvvisamente ispirata.
Un’altra volta, propongo, non abbiamo neppure il costume.
Vero, ammette con aria pensierosa.
Butta la cicca quasi schifata.
E torna ad abbracciarmi stretto, storcendo gli occhi e mettendo il suo naso all’altezza del mio.
Mi tocca le labbra con un dito sorridendo.
Bocca per baci, recita, occhi per piacere.
Deve essere un proverbio della sua terra. Ogni tanto lo dice.
Tette da toccare, la prendo in giro accarezzandola, e culo da sfondare.
Lei ride cristallina.
Culo è per cacare, sentenzia, bocca per mangiare. Solo figa è buona molto per entrare.
È vero, ammetto nonostante l’opinione assai diversa.
Lei scende birichina a tastarmi. La mia erezione è ancora marmorea.
Niente lavoro oggi, le ricordo con un singulto.
Era per giocare, precisa ridendo ancora.
Si alza scomposta lasciando dolorosamente la presa.
E si rimette i jeans.
Anche così la trovo irresistibile.
Mi dà un piccolo calcio in un fianco per invitarmi ad alzarmi.
Va? Propone.
E mentre mi alzo, si infila se scarpette di tela.

Tu, dice cercando le parole, mio cliente migliore, mio cliente amico.
Appena arrivati al fresco, all''ombra del parcheggio vuoto dietro la trattoria, mi ha abbracciato e mi ha ringraziato ancora affettuosamente.
Adesso però, non riesce a spiegarsi.
Il cameriere ci guarda interessato senza poterci sentire.
Si è seduto a riposare su un gradino della scala dietro e fuma una cicca ormai quasi finita.
Iu, spiega concitata passando all’inglese, ar e gentelman. Iu ulden jast fac mi. Iu’r intressid abaut me. Ai’m lachi. End ai’m eppi. Tengh iu.
Sorrido e le faccio un grattino sulla nuca.
Lei mi abbraccia forte e mi stampa un bacino sulle labbra.
Poi si stacca e mi guarda prendere i caschi dal baule.
Giast e moment, mi ferma, toilet.
E si avvia leggera sulla ghiaina fine del parcheggio. Sorride angelica al cameriere che si scosta appena per farla passare. E si inoltra nel buio della sala ormai vuota.
Tutto mi diverte, nonostante l’erezione frustrata.
Mi accendo una sigaretta e raggiungo la scala.
Mi siedo vicino al cameriere e gli offro il pacchetto.
Lui prende una Camel senza filtro e gliel’accendo.
Carina, commenta lascivo, la sua amichetta.
È mia figlia, mento.
Sua figlia? Sorride incredulo.
Sì, preciso, un errore di gioventù. Negli anni ottanta ho lavorato in Russia.
Mi scusi, si scusa, non volevo essere maleducato. Ma è veramente una bellissima ragazza.
Doveva vedere sua madre! Continuo a scherzare.
Bella? Fa lui incerto che lo stia prendendo in giro.
Meravigliosa, scuoto la testa nostalgico, più alta, con una taglia in più, bionda come mia figlia ma con gli occhi azzurri.
Il cameriere annuisce pensieroso.
Ha la tipica faccia del segaiolo trentenne. Baffetto e chioma impomatata.
Peccato, aggiungo, che fosse comunista convinta. Quando è rimasta incinta le ho chiesto di sposarmi, ma lei non voleva venire in occidente. Non le piaceva il capitalismo. E io non potevo certo restare, sa, con il mio mestiere.
Che mestiere? Chiede curioso.
Forse ancora distratto dall’immagine di come doveva essere la presunta madre di Nadia.
Microsaldature per l’astronautica, invento, sa, ero sempre in giro tra America, Russia e Cina.
Capperi! Commenta educatamente il cameriere colpito.
Adesso lavoro per il progetto spaziale europeo, preciso falsamente.
E ha conosciuto altre belle donne? Si informa pregustando.
Ho una figlia in America, preciso cercando di non mettermi a ridere, e due in Cina.
Lui sorride storto.
L’americana è mulatta, aggiungo, forse ancora più carina di questa.
Ma, obietta, come mai la madre non è venuta con lei?
Non poteva, alzo le spalle triste, era una cantante jazz molto famosa là e qui non aveva nessun futuro.
Nadia arriva e mi alzo per farla passare.
E la cinese? Chiede il cameriere ormai catturato.
È una triste storia, spiego avviandomi, non vedo le due gemelle da quasi dieci anni.
Mi spiace, mormora lui solidale.
La ragazza mi sorride curiosa mentre raggiungiamo la mia moto.
Che? Chiede mentre le allungo il casco.
Parlavamo di te, sorrido, lui pensa che sei bellissima.
È vero, ammette lei girandosi allegra a lanciargli un’occhiata.
Sì, annuisco, è vero. Tu sei bellissima.
Il cameriere si alza e ci saluta con una mano.
Poi entra con aria di rammarico.
Anche tu, mormora lei.
Io cosa? Sorrido ripensando alla presa in giro.
Tu bella persona, decide annuendo, tu onesto.
L’abbraccio travolto dalla tenerezza.
Sì, le sussurro colpevole in un orecchio, sono una persona onesta.
Allora, fa staccandosi con aria seria, per favore, basta culo. Fa male.
Ok, acconsento, lo faremo solo se vuoi.
Va? Chiede sollevata dalla prospettiva.
Sono ormai le quattro ed è evidente che non vorrà mai più.
Ma è ora di andare davvero. Ci penserò mentre guido in discesa.
Andiamo, annuisco salendo sulla moto e togliendo il cavalletto.
Con un breve sorriso, lei si inerpica dietro alzando una delle sue lunghe gambe.
E mentre mi avvio, posa appena il petto rigoglioso alla mia schiena di vecchio uomo poco onesto e un po’ scontento.

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La verità del punter e quella della puttana

Vabbé, sbuffa, aspettiamo, va.
La strada è in leggera salita e poco lontano c’è lo svincolo della tangenziale.
Ma questo è il Verano? Chiedo disorientato.
Per arrivare fin lì abbiamo fatto un giro tortuoso e per me incomprensibile. Credevo di essere ancora a San Lorenzo.
Massì, mormora impaziente indicando approssimativamente sulla destra, per di là.
Proprio di fronte c’è l’insegna di un club privè che sembra chiuso.
Ma parcheggiate davanti ci sono diverse grosse auto sportive e una limousine pubblicitaria.
La piccola giapponese del mio amico è l’unica utilitaria in vista.
Claudio si accende una sigaretta e traffica con il navigatore.
‘Fanculo, inveisce, proprio non va.
Ma l’indirizzo che ci ha dato la ragazza è giusto.
Forse sta lavorando, la giustifico.
Da mezzora? Dubita lui.
Alzo le spalle indifferente.
Sono stanco. Non ho più neppure voglia di conoscerla questa Roberta porcona romana.
Lui assicura che vale il suo cinquantello con gli interessi, che l’ha conosciuta quando ancora lavorava sulla Salaria e che fa dei numeri da Barnum.
‘Fanculo, vedo i letti volare.
Sono in piedi dalle sei di questa mattina e ho riposato solo un’oretta in treno. Ho pure saltato il pranzo, perché la segretaria dell’Istituto non era riuscita a scaricare da internet il file del mio paper e me lo sono dovuto far mandare da una collega per mail.
Claudio riprova a chiamarla.
Non risponde, si irrita spingendo il tasto rosso.
Meno male che abbiamo cenato in un bel posto. Siamo entrambi un poco appesantiti e ubriachi.
Il vino era eccezionale.
Vabbé, cerco di conciliare, rimaniamo ancora cinque minuti e poi magari ne chiamiamo un’altra.
Non voglio deluderlo, sono mesi che progettiamo questa uscita notturna a donne. È la prima volta che lo facciamo e siamo entrambi un po’ tesi.
Comincia ad essere tardi, sospira, se va bene, troviamo la Simona.
Fa niente, minimizzo, magari cerchiamo una OTR e se non peschiamo niente sarà per un’altra volta.
‘Fanculo, mormora lui riprovando a chiamare.
Lascia stare, lo prego, tanto torno la settimana prossima e mi fermo due giorni.
Ha messo il vivavoce, per farmi sentire che il telefono squilla ma non risponde.
Chiude rabbiosamente la conversazione e mi sorride storto.
OTR si trova poco, commenta buttando la cicca dal finestrino.
Accende l’auto e si dirige lentamente verso lo svincolo.
Andiamo all’EUR, propongo, una volta ho dormito allo Sheraton e la sera ho fatto una passeggiata nei dintorni. Era pieno di figa che non sapevi dove guardare.
Uhm, fa lui poco convinto, dopo l’ordinanza dell’Unno si trova niente.
Ho capito, penso, alla fin fine neppure lui ha tanta voglia di fare cazzate. Meglio se torniamo.
Il mio albergo è vicino alla stazione Termini mentre lui abita a Casal Palocco, è un discreto viaggio.
Sono stanco, annuncio, facciamo che a questa Roberta le telefoniamo domani e prendiamo un appuntamento serio per martedì della settimana prossima, ti va?
Ok, accetta con qualche titubanza.
La chiamo io, prometto.
Ok, si rasserena, ma prima proviamo dalla Simona.
Va bene, sorrido, dammi il numero che la chiamo io.
Ma lui mi passa il suo cellulare e traffico con i tasti del menù cercando l’agenda.
Non è molto diverso dal mio.
Il nome che ha memorizzato è Simo De Romaneis.
Anche lui, come me, maschera i numeri delle trote tra quelli di lavoro.
Sorrido complice.
Sì? Risponde immediatamente la ragazza.
Sei libera? Mi informo.
Ha risposto? Chiede stupito il mio amico.
Aveva provato diverse volte prima e c’era sempre la segreteria.
Sì, risponde lei, ma finisco all’una.
Faccio un sorriso allusivo al Claudio, abbiamo un’oretta e mezza buona.
Siamo in due, le anticipo, ma non facciamo insieme.
Lui approva annuendo.
Cinque minuti, mormora il mio amico mostrandomi tutte le dita della mano.
Ok, accetta la ragazza, sai dove sto?
Lo sa il mio amico, preciso mentre lui inverte la marcia, ci mettiamo un attimo.
Chiamami quando arrivate, conclude lei, che vi apro il portone.
Lui si frega le mani lasciando pericolosamente il volante.
Vedrai, fa entusiasta, la Simona non è solo una gran figa, è pure simpatica.
Mi fido molto di Claudio. È un collega serio e molto preciso.
Abbiamo scoperto la nostra comune passione per caso, quasi un anno fa, grazie ad un’allusione in un discorso del tutto innocente.
Un altro collega sosteneva ironicamente che non gli piaceva la parola “puttana”, che lui l’avrebbe volentieri sostituita con una sigla. Che ormai, le vere puttane erano i politici e che il termine giusto era DPF: Dispensatrici Professionali di Felicità.
Avevamo riso dell’acronimo. Ed io e Claudio ci eravamo scambiati un’occhiata complice e inequivocabile.
Come dire: io so che tu sai che io so.
Ma ho la netta impressione che i nostri gusti in fatto di ragazze siano molto diversi.
Mi ha detto più volte che gli piacciono le MILF, che io non apprezzo particolarmente.
E che le vuole porche. Cosa che non mi interessa affatto.
Vabbé, penso, vediamo ‘sta Simona.
Qui, fa lui cominciando a rallentare.
Rifaccio l’ultimo numero e lei interrompe subito la chiamata.
Parcheggia e scendiamo in silenzio. Il portone, come pomesso, si apre immediatamente.
È un vecchio grande palazzo di una periferia disordinata e sciatta.
Due grossi bidoni di immondizia spandono un odore nauseabondo a due passi dall’entrata.
Sesto piano, precisa lui dirigendosi esperto verso la cabina aperta di un ascensore che sembra molto in debito di manutenzione.
Comunque saliamo. Le funi cigolano in modo asmatico.
Niente CIM, ripete lui per l’ennesima volta, ma ti piacerà.
Lo lascio uscire per primo, in fondo è lui l’ospite.
Aprono appena una porta e noi scivoliamo dentro.
Nel corridoio è quasi del tutto buio.
Intravedo le braccia nude di una ragazza che si nasconde dietro il battente.
Ciao! Saluta il mio amico dandogli un bacino.
Lui mi presenta con apparente disinvoltura e lei mi fa ciao con la manina.
Avevo visto il tuo numero, bisbiglia Simona, ma la voce era di un altro.
Ero io, in effetti, spiego.
Venite, ci invita indicando il fondo del corridoio.
Anita c’è? Chiede il mio amico aprendo il corteo.
Sì, risponde lei sempre a bassa voce seguendoci, volete anche lei?
Nonostante il buio fitto, cerchiamo di consultarci con un’occhiata.
Non so bene cosa dire, non ci eravamo messi d’accordo.
Magari hanno due stanze, che ne so?
Se vuoi, fa lui imbarazzato, io faccio di là con Anita.
Me ne ha parlato in altre occasioni. Mentre Simona è una delle rarissime romene vere bionde, Anita è una mora ucraina. Secondo lui, molto meno attraente.
Come credi, rispondo altrettanto indeciso.
Facciamo anche insieme, ci stuzzica la ragazza. Senza supplemento.
Prima, Claudio mi ha detto che fa per cinquanta, ottanta con RAI2, e non guarda l’orologio.
Ma il traffico mi rende sempre nervoso.
Va bene, accetto la proposta del mio amico.
Anche lui sembra sollevato. Non siamo abbastanza amici, ancora, per un’ammucchiata.
Sorride e bussa ad una porta.
La Simona mi prende per una mano e mi tira verso una stanza in fondo.
Non so perché, ma mi sento parecchio inquieto.
Alla luce rosa di una lampada sul comodino della camera da letto prendo finalmente visione della pupa.
Il mio amico aveva ragione. È molto carina, alta e bionda. Porta solo un paio di calze sulle scarpe alte. Ed è completamente depilata.
Prima, era tanto buio che non mi ero accorto che fosse praticamente biotta.
La ragazza mi sorride accattivante. Sì, sembra anche simpatica.
Vuoi qualcosa da bere? Chiede premurosa.
Basta che non sia alcolico, sorrido togliendomi le scarpe.
Coca o succo di pompelmo, elenca brevemente.
Vada per la Coca, accetto.
Forse mi mitigherà i fumi del vino.
Simona esce silenziosamente richiudendo la porta.
Mi spoglio lentamente, cercando di dominare un piccolo senso di ansia.
Non è un buon segno. Quasi sempre, quando accade, non funziono tanto bene.
Medito per un attimo di prendere un Levitra. Ma ci mette un po’ a fare effetto e poi non mi va che la ragazza veda che mi aiuto.
Orgoglio del cazzo, ridacchio tra me e me sfilandomi anche le mutande.
Di là devono aver già superato la fase dei convenevoli, perché si sente un piccolo ansito.
Probabilmente l’Anita ha la bocca veloce.
Simona torna con un bicchiere colmo. Lo appoggia su un comò e viene a strusciarmisi contro.
Fa un bell’effetto e il mio affare sembra rispondere adeguatamente.
Si stacca e mi sorride ancora.
Quanti anni hai? Chiedo.
Ventidue, mente lei.
Deve averne quasi trenta.
Sorseggio un poco di Coca.
Il bagno? Mi informo.
A sinistra, risponde sdraiandosi sul letto.
Le coperte leopardate vanno da matti nell’ambiente delle DPF.
Esco nel corridoio e sento altri ansiti prolungati.
Cazzarola, mi dico, ma che stiano già trombando?
Mi sciacquo il pisello pensieroso.
No, non gira tanto bene. Non me lo sento “giusto”.
Fa niente, mi dico ottativo, vediamo come va.
Torno che la ragazza sta trafficando con il suo cellulare prona sul finto felinato africano.
Mi stendo al suo fianco e lei mi sorride ancora.
Da quanto sei qui? chiedo.
Sei anni, risponde lei.
Per questo, osservo, parli tanto bene. Nessuno direbbe che sei straniera.
Grazie, risponde.
Le accarezzo un poco la schiena e lei si gira su un fianco per potermi manipolare.
Ha iniziativa, mi piace.
Mi prende l’affare e lo tira un po’ con delicatezza.
Non reagisce come vorrei ma cresce doverosamente.
Prima, aggiunge guardandomi fisso, facevo la barista. Ma non si viveva.
Ci si vive, penso amaramente, se si vuole. È che preferisci fare la puttana.
Ma non mi va di discutere.
Le allungo un bacino e lei apre la bocca per lasciare entrare la mia lingua.
Questo il mio amico non me l’aveva detto.
Bacia bene, con calma. Mi tocca con esperienza, scendendo ogni tanto a stringermi lo scroto.
Improvvisamente il letto di là comincia a cigolare e lei si stacca con una piccola risata complice.
Cazzo, commento, ci danno dentro davvero.
Lei fa una smorfia divertita.
Mi succhia un capezzolo, mentre io le accarezzo il seno.
Il mio amico accompagna le sue bordate con ansiti ritmati.
E la sua ragazza risponde gemendo.
Bella commedia.
Torno a baciarla e scendo a toccarle la patatina. È piccola e non particolarmente bagnata.
Si lascia toccare anche dentro, continuando a succhiarmi la lingua.
Oso infilarle un dito anche dietro e non si tira via.
Ottimo, mi dico, e controllo mentalmente il mio affare. Sembra abbastanza valido.
Per cui, mi tiro su e mi inginocchio davanti al suo visto.
Lei ridacchia un attimo e lo imbocca senza esitazioni.
Del resto, me lo sono appena lavato e profuma ancora del sapone liquido all’aloe vera.
Ha ragione il mio amico, questa non mette fretta. E lavora con buona tecnica.
Opera con piccoli movimenti di lingua e lente succhiate.
Mi piace.
Dopo un po’ di là le cose si devono essere scaldate ulteriormente, perché, dopo una piccola pausa, il letto ha ripreso a cigolare con ritmo sempre più serrato.
Proviamo, mi dico.
La ragazza sembra avere intuito che adesso sono eccitato davvero. Ha accelerato un po’ e mi tira dentro di lei con maggiore forza.
Il profilattico, mormoro staccandomi.
E lei ne scarta immediatamente uno.
Lo allarga con due dita e me lo infila senza esitazioni.
Pecora, propongo.
Il suo sedere mi eccita.
Lei sorride ancora e si gira.
Lo appoggio e spingo.
Entra con un piccolo sforzo nella sua patatina e lei abbassa la schiena per farsi penetrare meglio.
Sì, aveva ragione il mio amico, la ragazza è davvero valida.
Ma non sento tanto, cazzo di cane. Anche se è molto stretta.
Le do un paio di spinte poco convinte e poi mi fermo un attimo.
Lei gira la testa a guardarmi sorpresa.
Qualcosa non va? Chiede.
No, la rassicuro, solo un attimo di sosta.
E riprendo a pompare piano.
Di solito, in questo modo mi riprendo immediatamente.
Ma sento che si affloscia un poco.
Cazzo, mi lamento intimamente, lo sapevo.
Anche lei si rende conto che sto per uscirle, ma non si tira via.
Prova a tenermi dentro aiutandomi con una mano.
Ma che gusto c’è a scopare senza un’erezione valida?
Mi accascio ansimante.
La ragazza mi guarda un attimo sorpresa. Poi viene a strusciarsi ancora le tette contro il mio fianco.
Sono vecchio, le sorrido colpevole, qualche volta succede.
Lei alza le spalle incurante.
Succede anche a quelli giovani, mi rassicura.
Non così spesso, ridacchio.
Mi soppesa l’affare pulsante e poco sensibile.
È grosso, commenta da esperta.
Lo dicono tutte, ovviamente, per alimentare il tuo orgoglio maschile.
Sì, rispondo ironico, grande, grosso e un po’ balosso.
Lei mi guarda senza capire.
Vuol dire, spiego, che è un po’ coglione.
Sì, sorride lei, dovrebbe divertirsi. Invece sembra triste.
Io, confesso, non vengo quasi mai stando dentro.
Lei alza un sopracciglio interrogativa.
Dobbiamo fare a tempo, preciso, e mi devi aiutare con le mani. Se riesco.
Ok, accetta con una piccola smorfia indifferente.
Tanto paghi, sembra dire.
Posso fumare? Chiedo.
Certo, fa la ragazza.
Si alza, prende un posacenere e le sue Marlboro.
Ne accende una, fa un tiro e me la passa.
Cazzarola, rido di nuovo, ma fanno un casino pazzesco!
Gli ansiti della coppia di là si sono trasformati in cupi ululati.
Anche lei sorride con espressione birichina.
Vuoi vedere? Chiede riprendendosi la sigaretta.
Vedere cosa? Rispondo ingenuo.
C’è un buco, spiega lei a bassa voce, se vuoi possiamo vedere cosa fanno.
Ma dai! Esclamo incredulo.
Non dovevo dirtelo, mormora quasi timida mordendosi nervosamente un labbro.
Ma perché? Mi informo incuriosito.
C’era già quando siamo venute ad abitare qui, racconta, prima ci stavano altre ragazze. Forse serviva a controllare se c’era bisogno di aiuto. Sai, certi clienti sono stronzi.
Facevano sadomaso, forse, cerco di interpretare.
Sì, ammette, le conosco poco ma facevano anche quelle cose lì, con le corde e i vestiti di pelle. Le manette, la cera. Non so, io non l’ho mai fatto.
Fammi vedere, decido improvvisamente eccitato dall’idea.
Ma, mi fa promettere severa, giura di non dirlo a nessuno.
Vai tranquilla, la rassicuro.
Così, ci alziamo e mi fa segno di mettermi di fianco allo specchio poggiato alla parete vicino al comò. Lei si mette dall’altra e comincia a spostarlo lentamente, attenta a non far rumore.
La imito e in pochi secondi vedo comparire due piccoli buchi nella parete che prima erano nascosti dallo specchio.
Sono affiancati e per guardare bisogna piegarsi.
Lei sorride birichina, si inginocchia contro il muro e poggia l’occhio al piccolo foro.
Cazzarola, mormoro piegandomi divertito.
Dal foro si vede il letto sul quale i due stanno scopando.
È poggiato all’altra parete e ci sono due lampade accese sui comodini.
Il mio amico ha spinto la sua ragazza contro la testiera a pecora e la sta stantuffando dietro con un vigore invidiabile. Le sta sbavando sulla nuca e le stringe entrambe le tette con forza.
La povera Anita, si è infilata una mano tra le gambe e si sta masturbando delicatamente. Forse per lenire il dolore dell’inculata.
Non si vede benissimo, ma il mio amico Claudio è piuttosto ben fornito.
Cazzo, ridacchia la Simona divertita, la sta sfondando.
A te l’ha fatto? Chiedo allungando una mano tra le sue natiche.
Lei toglie l’occhio dal foro e mi guarda enigmatica.
Forse non sa se può parlarmi sinceramente. Non sa quanto amici siamo, io e Claudio.
Poi decide di fidarsi di me.
Sì, ammette, un paio di volte.
Ti ha rotto il culo, sibilo eccitato infilandole due dita dietro.
Guarda, fa lei inarcando appena la schiena, che il tuo è più grosso.
Come a provare la sua dichiarazione, me lo accarezza, costatando che si è di molto inturgidito.
Ridacchia ancora compiaciuta.
A tutte le ragazze piace che tu ce l’abbia bello duro quando sei con loro. È deontologico.
Aspetta, la prego, continua a guardare dentro.
Ok, accetta obbediente.
Le faccio alzare un poco il culo e glielo appoggio.
No, fa lei preoccupata, mi devo mettere la crema.
Saliva, suggerisco impaziente.
Mi sa che se non approfitto dell’attimo, mi cala di nuovo.
Mi bagno due dita e gliele passo sul buchino. Anche lei sta facendo precipitosamente lo stesso.
Le tremano un poco le gambe ma non dice di no.
Guardo di nuovo nell’altra stanza.
E glielo spingo un po’ dentro.
Cazzo, si lamenta.
Abbiamo le teste affiancate, impegnati a guardare di là, ma le sono sopra con tutto il corpo.
Cazzo! Si lamenta ancora quando lo spingo fino in fondo.
Nell’altra stanza sono troppo impegnati per sentirci.
Le stringo le tette come sta facendo il mio amico all’Anita.
‘Cazzo, si lamenta ancora la Simona con un piccolo ansito.
Scendo a controllare tra le sue gambe e scopro che anche lei si sta toccando.
A differenza dell’amica, lo fa piuttosto energicamente.
Dimmi che ti piace nel culo, balbetto inconsulto.
Sì, risponde lei con la voce rotta, mi piace nel culo quando è grosso e duro.
Bella commedia, mi compiaccio intimamente.
E tu ce l’hai enorme e duro come il ferro, aggiunge sincera come un venditore di macchine usate.
Ridacchio accelerando.
Non è di ferro ma, contro ogni consuetudine, è tornato sensibile e reattivo.
E il suo buchino ormai è dilatato come si deve.
A quel punto, mi piace sempre entrare tutto e stare un po’ fermo a godermi la tensione.
Mi arresto un po’ tremante e lei stacca un attimo l’occhio dal foro per guardarmi.
Ha la fronte imperlata di sudore.
Non ti faccio male, spero, mormoro.
All’inizio, ammette inumidendosi le labbra, adesso no.
Lei torce ancora il collo e la bacio delicatamente.
Sì, ci sa fare.
Ma quando è tanto grosso, precisa staccandosi, dopo mi sento come di andare in bagno tutta notte.
Lo fai spesso? Chiedo tornando a guardare di là.
Un paio di volte la settimana, risponde appoggiando anche lei l’occhio al foro.
Riprendo a pomparla lentamente.
Mentre ci facevamo le smancerie, di là sono andati avanti.
Il mio amico si è staccato dal culo dell’Anita e si sta togliendo impaziente il profilattico. Mentre lei gli si è inginocchiata davanti.
Adesso che si vede meglio, costato che la Simona aveva ragione. Il suo affare è lungo più o meno come il mio ma meno grosso. In compenso, costato amaramente che è molto ma molto più tosto.
L’Anita glielo imbocca senza esitazioni.
Non è vero che è meno attraente di Simona. C’è solo una taglia di differenza, ma sembra parecchio sexy pure lei.
Claudio la prende per la testa e glielo spinge fino in gola.
La ragazza sotto di me sembra trapassata da un fremito.
Troia, sussurra, ha sempre detto che non lo faceva.
Il mio amico caccia un urlo e le viene dentro.
L’Anita annaspa un attimo ma tiene botta.
Troia, ripete la Simona.
Il mio amico si accascia sulla schiena uscendole dalla bocca, lustro e ancora semieretto.
Puttana, inveisce la mia pupa, adesso la mangia.
Ma l’Anita prende un fazzoletto di carta dal comodino e ci sputa sopra il bolo copioso.
Solo in quel momento mi accorgo che sto quasi per venire pure io.
Anche la ragazza se ne accorge e spinge indietro il sedere.
La prendo per i fianchi e la tiro su, sempre rimanendo dentro.
Ormai sono disinteressato a quel che succede di là.
Lei fa un singulto, forse le sto facendo male.
Annaspa con le gambe mentre la trascino verso il letto.
Voglio baciarla mentre vengo. Mi succede tanto raramente che mi piacerebbe approfittarne.
Ma lei equivoca. Si divincola, si gira e mi si inginocchia davanti.
Evidentemente vuole ripetere la scena alla quale abbiamo appena assistito.
Mi toglie quasi furiosamente il profilattico e me lo imbocca con forza.
Contro ogni aspettativa, non mi cala.
Si spinge fino a farmi sfregare contro la sua gola gorgogliando.
E così, vengo.
Schizzo copiosamente, come non succede spesso, tenendole la testa con forza.
Lei cerca di tirarsi via ma non ho ancora finito. Voglio che resti lì fino alla fine.
Finalmente mi stacco e lei mi guarda con aria stravolta.
Il mio amico mi aveva detto che non lo faceva.
Tiene la labbra chiuse, ma un piccolo rivolo di sperma le scende da un angolo della bocca.
Il mio affare è ancora duro e sensibile.
Mi accoccolo accanto a lei, stravolto dalla tachicardia.
Dammela, propongo eccitato avvicinando il mio viso al suo.
Lei scuote la testa. Sembra molto imbarazzata.
Dai, la prego, non l’ho mai fatto.
Scuote ancora la testa.
Cerco di infilarle la lingua tra le labbra, ma lei le tiene serrate con forza.
Cazzo, mormora spalancando gli occhi, l’ho mandata giù.
Ma ha aperto la bocca per parlare e finalmente la bacio.
Assaporo quel che rimane del mio sperma succhiandole la lingua. È acido e un po’ salato.
L’ha davvero deglutito, ma le sue labbra sono ancora sporche. E una goccia le è finita sul mento.
Non l’avevo mai fatto, bisbiglia tirandosi via.
Si alza con aria confusa e va a bere un sorso di Coca.
Mai mangiata? Sorrido dubitativo.
Scuote ancora la testa.
Mai presa in bocca, dichiara incerta.
Il mio affare è ancora duro. Sarà la situazione strana.
Lei mi guarda tra le gambe incredula.
Dicevi che non venivi, mormora.
Annuisco alzandomi ancora un poco affannato.
Se vuoi ancora, propone confusa, prendo un altro preservativo.
No, sorrido, va bene così. È stato bellissimo.
Rimettiamo a posto lo specchio, decide riscuotendosi.
Ci mettiamo di fianco al comò e lo spostiamo lentamente, senza rumore.
Poi, l’abbraccio e la bacio affettuosamente.
Sentiamo che il mio amico e Anita stanno parlando in corridoio. Forse sono andati insieme in bagno.
Il mio affare è ancora fastidiosamente sensibile e pulsante. Ma nonostante il desiderio, non ce la farei mai a scopare di nuovo.
Mi siedo sul letto e mi infilo i calzini.
La ragazza si toglie le scarpe.
La interrogo con lo sguardo.
Mi faccio una doccia spiega cominciando a sfilarsi le calze.
È quasi l’una, in effetti.
Mi metto il maglione e i pantaloni. Prima di cena sono passato in albergo per cambiarmi e mi sono messo sportivo.
Prendo cento carte e gliele metto sul comodino.
Lei è ormai completamente biotta.
Ti do il resto, mormora con aria triste toccandosi il didietro.
Lascia stare, decido.
Oltre un’ora con culo e CIM a quella cifra è quasi regalato.
Mi metto anche le scarpe e la precedo in corridoio.
Il mio amico è seduto al tavolo della cucina con l’Anita in braccio. Bevono anche loro una Coca parlando a bassa voce.
Finalmente! Fa lui sorridente.
Allungo un bacino alla Simona, mentre lui abbraccia l’Anita. Poi si alzano.
Ma la ragazza mi tira indietro nel corridoio e mi fa rientrare nella sua stanza.
Non dirglielo, sussurra.
Certo che no, scuoto la testa.
Altrimenti, mormora, dopo vuole anche lui. E io non voglio. Non voglio che si sparge la voce. Non mi va di farlo.
Ok, la rassicuro.
Grazie, sorride incerta allungandosi a darmi un bacino.
Ne approfitto per slinguazzarla. Lei non si tira indietro e mi ricambia profondamente. Anche se ha bevuto la Coca, la sua bocca conserva un retrosapore amaro.
Non l’avevo mai fatto, ribadisce quando mi stacco.
Ci credo, annuisco.
No, sorride amara, non ci credi.
Hai ragione, ammetto, non ci credo.
Ma è vero, dichiara seria, io non racconto mai bugie. Piuttosto sto zitta.
Ok, le sorrido, non fa nessuna differenza.
Per me, precisa, lo fa.
Questa squinzia mi sorprende. L’avevo percepita molto meno problematica.
Tornerò a trovarti, prometto.
Questo, mi fa il verso lei, non fa davvero nessuna differenza.
Lo fa per me, ribatto facendole il verso.
Ok, si rassegna, ma solo se non metti in dubbio la mia parola.
Non lo farò, l’assicuro.
Non ho le idee chiare. Per ora mi basta averle tenuto testa, nonostante la stanchezza e la lucidità appannata.
Allora? Fa Claudio mentre torniamo in corridoio.
Lui e l’altra ragazza ci stanno aspettando vicino alla porta.
Una ripresina, scherzo avviandomi.
Lui ride piano e apre l’uscio.
Mi giro a salutare la Simona.
Ma lei probabilmente è già in bagno. Solo l’Anita, languidamente nuda, è rimasta appoggiata allo stipite della porta della cucina.
Siamo soli sul pianerottolo buio. Una finestra che dà sul retro illumina fiocamente solo la tromba delle scale.
Allora? Fa lui spingendo il pulsante dell’ascensore.
Tutto bene, sospiro.
Bella eh! Commenta lascivo.
Molto, convengo.
E brava, insiste.
Ha bisogno di essere rassicurato. Teme che non mi sia piaciuta.
Una gran porca, mento.
Le antine dell’ascensore si aprono cigolando e noi entriamo ormai sfatti.
Peccato che non faccia CIM, commenta nostalgico.
Infatti, confermo.
Comunque tutto bene, no? Chiede premuroso.
Sì, ribadisco, tutto bene.
Scendiamo in strada e cerchiamo la sua macchina.
Non ci ricordiamo dove l’abbiamo parcheggiata.
In questo quartiere si confonde. È pieno di utilitarie giapponesi grigio metallizzato.
Alla fine la scorgiamo, proprio dietro i cassonetti.
Ci accendiamo una paglia e saliamo.
E a te con l’Anita? Mi informo.
Tutto bene, assicura accendendo il motore.
Culo? Indago divertito.
Sissì, fa lui entusiasta, da urlo. Ce l’ha stretto da matti ma una volta dentro si affonda.
Si avvia e arriviamo all’incrocio.
Non passa nessuno a quell’ora da quelle parti.
Butta la cicca dal finestrino e gira a sinistra, verso il centro.
Peccato, mormora, che non faccia CIM.


tutto quanto precede questa riga è falso
 
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Tra la via Emilia e il west
Posso chiamarti Maestro?

mi è rimasto un senso di disagio...
dato dall'aver interiorizzato le sensazioni da te descritte
ho letto i tuoi racconti, con la tua voce, il tuo timbro...

Grazie!
 
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bologna
tutto ciò che segue questa riga è vero


Da 30 a 60, pur di non innamorarsi

Cazzo, lo sapevo che era una stronzata.
Ma quando l’Alessandra si mette qualcosa in testa, raramente è una parrucca. Quasi sempre è un’inculata.
Anche perché ‘sta stronza ci tiene da matti alla sua chioma semi bionda. Va dal parrucchiere due volte la settimana e sta sempre a controllarsi le doppie punte.
Comunque, in questa storia della sua amica Nicoletta lo sapevo dal principio che non dovevo farmi coinvolgere.
Ma al telefono aveva tanto insistito. E tutti quei messaggi, poi!
Dai, amore, solo per questa volta (sarà la centesima volta che me lo dici).
Non ti chiedo mai niente, ti prego (see, non ti chiedo mai niente…).
Torniamo per le due, promesso (figurati, mai successo).
Cento per tutte e due, tutto il tempo che vuoi (capirai, se è cessa come l’ultima, meglio una sega).
Tutte stronzate, cazzo di cane.
Comunque, alla fine avevo ceduto ed ero andato a prenderla poco dopo le nove.
Sembrava contenta come una pasqua. Si è accomodata con un certo sconcerto sul sedile della mia lussuosissima Dacia a GPL fresca di concessionario e mi ha chiesto con aria schifata dove cazzo avessi messo la mia vecchia monovolume a sette posti.
Poi mi ha dato un bacino con lo schiocco senza aspettare spiegazioni e durante il percorso fino a Modena ha parlato ininterrottamente in romeno al cellulare con qualcuno sulla cui identità non ho voluto indagare. Ma ogni tanto ridacchiava e si tirava ciocche di capelli controllando che tutto fosse in ordine.
Straordinariamente, aveva chiamato lei. Doveva trattarsi di qualcosa di importante, perché a me fa solo degli squilli per farsi richiamare.
Arrivati a in città, mi ha dato indicazioni fumose che mi hanno fatto arrivare alla Sacca e, quando si è accorta di essersi persa, ha interrotto con riluttanza la sua telefonata per comunicarmi vergognosa che non si ricordava neppure l’indirizzo.
Così, le ho prestato il mio telefono per chiamare la sua amica Nicoletta.
Che, porca di una puttana, abitava dopo il Buon Pastore.
Insomma, sono ormai le undici e siamo appena entrati nell’appartamento che la sua amica divide con altre due ragazze.
La tinca si presenta non male. Anche lei bionda semivera, alta e con curve sui fianchi che tirerebbero le pieghe a un motociclista in vena. Porta una tuta larga e ci vogliono i raggi laser, per capirlo, ma io ne sono dotato.
In compenso, ha l’aria gelida e il sorriso di plastica.
Le altre due le ho appena intraviste entrando. Si sono rifugiate immediatamente in una stanza da letto a guardare un DVD, dopo avermi degnato di uno sguardo del tutto disinteressato. Due zingarelle poco appariscenti ma dagli occhi voraci. Forse sorelle, a giudicare dai lineamenti.
Le due pupe si abbracciano.
E attaccano a parlare in romeno stretto.
Mi accomodo sul divano, mi accendo una paglia e aspetto.
La storia, l’Alessandra, me l’ha raccontata già da un po’.
Con questa Nicoletta sono amiche da tre anni. Sono venute insieme da Galati e hanno lavorato per lo stesso magnaccia. Poi lui ha avuto un infarto e se la sono squagliata, giusto l’anno scorso.
Mentre l’Alessandra è venuta a Bologna, perché aveva delle amiche che stavano qui, l’altra è rimasta qualche mese a Milano, poi ha deciso di tentare la fortuna in Spagna.
Ma qui a Modena aveva un fidanzato romeno fin da prima di cominciare a battere. Vedi il caso! Così, ogni tanto lui andava a trovarla a Barcellona. Ogni tanto lei faceva un salto qui. Ma non era vita, cazzo di cane.
L’amore era tale e tanto che aveva maturato la decisione di trasferirsi, trovare un posto tranquillo dove esercitare e magari convolare.
Per fare una sorpresa al suo Romeo, non ha neppure avvertito che arrivava.
Così, quando si è trovata sul posto la settimana scorsa, ha appreso con orrore che il suo grande amore nel frattempo ha messo su famiglia con una sua, si fa per dire, amica e che, nonostante le avesse detto che ormai ha messo la testa a posto e lavora come piastrellista, in realtà campa grazie alle chiappe esposte quotidianamente da un paio di sgallettate di Giurgiu, deambulanti seralmente nella periferia modenese.
È la vita, mi dico con un accorato sospiro. Mentre loro tornano ad abbracciarsi singhiozzando.
Finalmente l’Alessandra si ricorda di me e mi presenta con orgoglio. Racconta quanto sia bravo, buono, gentile e incline a farsi abbindolare alla sua amica, per poi chiedere qualcosa da bere.
Vero che è bella? Sussurra mentre l’altra va a prelevare un bottiglione di Pepsi in cucina.
Annuisco fingendo entusiasmo.
Lei fa tutto, mi confida allusiva venendosi a sedere sulle mie ginocchia.
‘Sta stronza la conosco da otto mesi e devo averci speso l’equivalente della nuova Dacia Sandero GPL, tolti gli incentivi statali. E ancora non mi bacia e il culo fa persino fatica a farselo toccare.
Dice che non le va, che non le piace e che ce l’ho troppo grosso. Che non l’ha mai fatto e non lo farà mai.
See, la verità è che tanto sa che la pago comunque abbastanza portandola a casa mia, invece che trombarla per strada o in camporella.
Mi frega con la quantità. Ma non so resistere alle sue moine. E comunque, ci sa fare. È una delle poche con cui faccio BBJ e CIM. E qualche volta, forse per gratitudine, durante un 69 ingoia pure.
Torna la Nicoletta e versa tre bicchieroni.
La pupa cerca di non mostrarsi troppo depressa e mi fa un debole sorriso.
Chissà se davvero si fanno scopare entrambe per un centone.
Ma se l’Alessandra ha detto cento, vuol dire che sono davvero cento. C’è solo una cosa su cui non scherza mai: i soldi.
Riattaccano a parlare in romeno, mentre alla tele passa un telegiornale a volume spento.
Mi verrebbe anche di schiacciarne uno. Ma urlano come matti. I pisoli, voglio dire, e magari i vicini s’incazzano.
Così, mi accontento di fumare e sorseggiare la bibita zuccherosa.
Alessandra mi ha anche raccontato che dopo la delusione per il tradimento tanto crudelmente perpetrato, la sua amica ha deciso comunque di fermarsi a Modena. Puttana è e puttana rimane.
Sospetto che lo faccia soprattutto per ingelosire il suo vecchio spasimante.
Vuole battere sotto il suo naso, per fargli capire quanto stronzo è stato.
Così, sempre fonte Alessandra, è stata qualche giorno in albergo e poi ha trovato queste due che lavorano in casa e che in questo periodo di magra hanno bisogno di affittare una stanza per spendere meno.
Non sono tanto contente, adesso, perché pare che la Nicoletta sia parecchio gettonata. Le è bastato mettere un annuncio su un paio di siti e adesso ha l’agenda quasi piena.
Ma la domenica per principio non lavora.
Forse, come Alessandra, è molto devota alla fede ortodossa.
O, più probabilmente, visto che il sabato va sempre a ballare prima di uscire a farsi un paio di marchette, la domenica deve riprendersi.
‘Fanculo.
La mia amica mi accarezza allusiva un fianco. Mi sa che tra un po’ si comincia.
Del resto, ormai è quasi mezzanotte.
Accendo un’altra sigaretta.
Mentre loro discutono di un certo Greg, pianifico le mie strategie.
Forse è meglio se prendo un Levitra, mi sento niente in forma.
Ho dormito niente e non ho quasi mangiato.
Peraltro, l’Alessandra ci ha la fissa di fare in doppia con le sue amiche. E mai una volta che vada bene. O non mi piacciono o non sono ben disposto. Come questa sera.
La Nicoletta si alza improvvisamente e va in bagno soffiandosi il naso. Si deve essere commossa per qualcosa.
Ma non dovevi comprare una macchina grossa? Mi chiede l’Alessandra con sorpresa tardiva.
Sì, ammetto distratto giochicchiando con le chiavi della Dacia, ma costava tanto che questa me l’hanno data in aggiunta quasi gratis.
Lei sorride storta, sospettosa che la stia prendendo in giro.
Ma è la verità. Era un po’ che ci pensavo. Avere una macchina segreta è un grosso vantaggio. Metti che ti fermi la pula mentre carichi una e che te la sequestri. Un conto è che ti succeda con un grosso SUV, un conto con una robicchia da cinquemila euro. È una bella perdita, certo, ma vuoi mettere?
Sono riuscito a tenere nascosta la cosa alla mia signora. E mi sento molto soddisfatto. È tanto anonima che non l’ha mai notata, nonostante la parcheggi sempre davanti a casa.
L’ho presa nera, perché fa più elegante. Sono un signore.
Ma la cosa paradossale è che quando ci sono salito me ne sono innamorato. Non è niente di speciale ma ha tutto quel che serve. Spartana ma simpatica.
L’Alessandra sembra annoiata.
Mi fa un altro sorriso rapido e viene a rannicchiarsi sul divano per farsi abbracciare.
Bella trotina, mi dico, peccato tu sia tanto stronza.
Mi allunga un bacino smorfioso e riprende imperturbabile a pettinarsi i capelli tra le dita mentre le palpo una tetta.
La sua amica tarda e lei si stiracchia gonfiando il petto.
Con grande senso di giustizia, ne approfitto per palparle anche l’altra tetta.
Ma lei ridacchia fingendo di soffrire il solletico e si rialza.
Torna la Nicca e si scambiano qualche frase in cui colgo un paio di “pula” e qualche “pisda”.
Tutto mi lascia indifferente.
Dico che vo in bagno e piscio grattandomi pensieroso le terga.
Controllo i miei averi.
Cazzo, ho sbagliato con le pillole. Mi sono ficcato in tasca tre blister dai campioni che ogni tanto mi passa il mio amico Jaco. Sono confezioni promozionali arancioni monodose senza alcuna indicazione e non mi ricordo se sono da 10 o da 20.
Cazzo di cane, adesso prenderci è un casino. Da 10 è poco.
Decido che sono da 10 ma prudenzialmente ne prendo solo una.
Torno di là. Le pupe si sono stravaccate sul divano.
La Nicca si è stesa di traverso e ha messo la testa in grembo all’Alessandra, che le accarezza affettuosa la testolina bionda.
Mi siedo pure io e allungo una manina per tastare la consistenza del polpaccio della mia amica.
Questa sera si è messa una gonna lunga e un maglioncino, scarpe basse.
È decisamente sobria, per il suo stile. Di solito sfoggia zero gonne e toppini semitrasparenti, sotto il solito giubbino di pelle rosso.
È che questa sera non va al lavoro. A parte me, voglio dire.
La ragazza si gira appena per farmi un sorriso stentato.
Annuisce per farmi capire che tra un po’ cominciamo.
Ma, cazzo di cane, non mi sento per niente in tiro. Di solito, anche solo dopo qualche minuto il Levitra mi mette un poco di eccitazione. Forse anche solo un effetto psicologico, che ne so?
Sì, deve essere da 10.
Mi rialzo e torno in bagno. Mi farcisco con un’altra pastiglia e torno raschiandomi la gola.
La pupa Nicca traffica in cucina, mentre l’Alessandra è ancora semisdraiata sul divano.
Vuoi qualcosa? Chiede.
Anche la sua amica si affaccia dalla porta della cucina e mi mostra un sacco di patatine formato Carnera.
Faccio un cenno di diniego e torno ad accarezzare le gambe della pupa.
Lei ridacchia falsamente vergognosa.
Le alzo un poco la gonna e le sbircio le natiche.
Anche se non è in tenuta da lavoro, si è messa un tanga quasi microscopico.
La piega della passerina glabra è totalmente esposta, vista la scarsa coprenza dell’intimo.
Lei si tira giù la gonna sbuffando maliziosa.
Dopo! Mi rimprovera fingendo il broncio.
Cazzo, inveisco tra me e me, non mi tira, non mi tira. Mi sembra di essere il personaggio di un fumetto di Pazienza. Rizzati, rizzati.
Ma niente.
Lei, impertinente, si ritira su la gonna e mi mostra le cosce piene scuotendo appena le chiappe in modo invitante.
Ridacchia autoreferenziale e si alza mentre la sua amica torna con una terrina piena di patatine e una scatola di salatini poco invitanti.
Si siedono al tavolo e smangiucchiano parlano ancora di questo Greg.
Chi pinco sarà mai, ‘sto stronzo?
E, intanto, ‘sto cazzo di Levitra mi sta facendo lo stesso effetto della gassosa sgasata.
Faccio segno che torno in bagno e valuto l’ultima pillola.
Sicuramente le confezioni erano da 10. Uno degli effetti collaterali è il naso chiuso, mentre il mio è liberissimo. Cazzo, come se avessi appena fatto le inalazioni alle terme.
Da 20 a 30 non fa tanta differenza.
Alzo le spalle e la ingollo incrociando le dita. Speriamo faccia effetto.
100 per due senza limite di tempo è una bazza mai successa prima.
Se non si rizza è da prendersi a martellate nell’inguine.
Mi sembra di sentire un piacevole pizzicore nelle parti basse, ma non può essere l’effetto della terza pillola. Sarebbe miracoloso.
Torno dalle ragazze un poco ringalluzzito
Le due devono essersi spiegate, perché l’Alessandra si è tolta la gonna e l’altra sta ridacchiando ingozzandosi di patate.
Andiamo di là, propone la mia amica.
Si puliscono le mani unte dai resti dello spuntino e si avviano verso la stanza deputata allo strombo.
Accidenti, comincia a fare effetto.
Spegni, suggerisce l’Alessandra indicando la mia sigaretta, in camera non si fuma.
Obbedisco, e mentre le seguo, fisso le sue chiappe sode con un guizzo all’organo del desiderio.
La Nicca richiude la porta e si toglie con pochi rapidi gesti la tuta mica tanto glamour che non l’ingentiliva certo.
Scalcia le pantofole e si siede sul letto controllandosi una smagliatura delle tette.
Mica male, mi dico, la stessa taglia dell’Alessandra ma un poco più piena di petto.
Ma comincio ad incazzarmi.
Sono ormai entrambe biotte ma non fanno niente per rendersi eccitanti.
Si stendono entrambe su un fianco e aspettano che sia pronto guardandomi con espressione giudicante.
Che faccio? Penso tirando dentro più che posso la pancia. Mi metto in mezzo o parto da dietro all’Alessandra?
Forte della mia discrezione da gentlepunter decido per la seconda strategia e mi stendo pure io.
Le due ricominciano a parlare in romeno stretto a bassa voce.
Abbraccio la pupa e mi strofino accarezzandole il ventre e il seno. L’affare un po’ barzotto si infila tra le sue chiappe e lei ridacchia, senza smettere di chiacchierare con la sua amica.
L’altra le infila una mano tra le gambe e me lo tocca un poco maldestramente sfrugnandomelo contro le cosce.
Parlando hanno alzato un poco la voce e sembrano diventate serie.
Cazzo, che situazione di merda!
Allungo una mano a toccare le tette anche della Nicca. Lei mi lascia fare indifferente.
Sono più grosse ma meno sode di quelle dell’Alessandra.
Vuoi bocca? Chiede improvvisamente quest’ultima torcendo il collo a fissarmi incerta.
Annuisco deglutendo, da qualche minuto ho il naso un po’ tappato.
Forse il Levitra sta cominciando a fare effetto sul serio.
Si tira su, si inginocchia e si piega a imboccarmelo alzando il sedere. Quando fa così, ho la fantasia di sdoppiarmi. Per questo ho messo uno specchio nella mia camera da letto. Mentre mi succhia le sbircio le terga e mi eccito.
La stronza se lo infila subito tutto in gola. Me lo fa raramente all’inizio, ma evidentemente con la sua amica sono abituate così.
Mi metto più comodo e aspetto che anche l’altra si metta all’opera.
Ma la Nicca continua a parlare seria di questo Greg e ogni tanto l’Alessandra annuisce.
Devo dire che lo fa senza smettere di spompinarmi. In fondo è una seria professionista.
Sono sempre più incazzato. Ma il mio affare è diventato durissimo.
Finalmente anche l’altra si inginocchia e mi stringe le palle.
L’Alessandra si tira via e la Nicca me lo lecca appena, ha una tecnica diversa.
La mia amica si gira a culo in aria per prendere un profilattico dal comodino.
Con un guizzo di eccitazione, infilo la bocca della ragazza. Lei capisce e va un po’ su e giù con la testa stringendo le labbra.
Saliva parecchio ma è meccanica e poco convinta.
L’Alessandra parla ancora a bassa voce in romeno scartando la confezione.
Cazzo, ho il naso sempre più chiuso e un certo rivoltamento di stomaco. Mi sa che 30 di Levitra erano troppi.
In compenso, il mio affare, contro ogni abitudine, è diventato marmoreo e sembra tenere.
La ragazza si rialza e l’Alessandra mi infila il preservativo tenendolo allargato con due dita.
Lo srotola abilmente e mi stringe un poco sorpresa il pinco violaceo.
Ti piace la mia amica, ghigna falsa gelosa.
Ma non me ne frega niente, allargo le gambe della Nicca e senza preambolo entro nella passerina perfettamente depilata.
Quella non fa neppure bau. Mentre la pompo, gira la testa verso l’altra e ricominciano a parlare di questo bastardo del Greg.
Fa niente.
Affondo con un fremito irrefrenabile nella schiena.
Il naso è sempre più tappato e ho la vista leggermente annebbiata.
Cazzo! Mi dico con un barlume di lucidità, forse una delle pastiglie era da 20. Mai successo di essere tanto tosto. E 40 è il doppio della dose canonica.
La Nicca interrompe il suo discorso per farmi segno di non spingere tanto. In effetti, sento che arrivando in fondo le sto spingendo il collo del’utero.
Pecora, propongo.
E lei sbuffando si gira poco entusiasta.
Entro di nuovo con un brivido. Il suo culo mi eccita ulteriormente.
Mentre pompo, le massaggio un poco il buchino.
Le due riprendono a parlare.
Ma l’Alessandra, almeno per deontologia, allunga una manina distratta a stringermi lo scroto.
Nonostante l’indifferenza generale, mi sento eccitatissimo.
Do un paio di colpi profondi e decido di cambiare pupa.
L’Alessandra in generale è piuttosto nervosa sotto i ferri.
Mentre la branco per le spalle, fa finta di protestare.
Cambio il preservativo, balbetto.
Fa niente, risponde alzando le spalle, con lei siamo praticamente sorelle.
Contenta tu, penso.
E me la tiro sopra infilandola senza indugio.
Di solito, si dimena parecchio. Ma la presenza della sua amica forse la condiziona.
Ruota appena il bacino facendomi entrare profondamente.
Cazzo, non è niente male. Soprattutto perché il mio affare è sensibilissimo adesso.
La Nicca mi stringe un capezzolo meccanicamente e dice qualcosa in romeno all’amica.
L’altra ride senza interrompere il suo leggero scuotimento di sedere.
Cazzo, cazzo, cazzo, ho la vista sempre più appannata. Mi sa che ho esagerato con il Levitra.
Magari erano due quelle da 20. Mi è già successo una volta di overdosare con il Viagra e il dopo non è stato piacevole.
L’Alessandra mi sorride vagamente complice.
Dice qualcosa alla sua amica. Che con aria sorpresa comincia a succhiarmi i capezzoli.
‘Fanculo, penso, non fatemi venire subito.
Ma non è in vena, la ragazza, si interrompe subito e ricomincia a parlare di ‘sto Greg.
Sono sempre più irritato ma l’eccitazione non mi cala.
Spingo via l’Alessandra e la faccio stendere prona.
Mentre lei risponde qualcosa alla sua amica, mi siedo sulle sue cosce e le infilo la passerina da dietro.
Questo le fa fare un piccolo ansito simulato.
Stronza.
Mentre la scopo, infilo una mano tra le cosce dell’amica e la tocco dentro.
Non è tanto bagnata ma mi lascia fare.
Su, penso, fate almeno un po’ finta.
Ma loro niente, continuano a parlare dei cazzi loro come niente fosse.
Sono tanto eccitato che comincio a pompare sempre più forte.
L’Alessandra sbuffa e mi dice che le sto facendo male.
Mi tiro via inviperito. Cazzo, mi stava proprio piacendo.
Ti spiace se vado a fumare? Chiede la mia amica.
Ok, acconsento.
Lei si alza un poco malferma, fa un sorriso stentato e si avvia.
La Nicca sembra parecchio incazzata che la lascino da sola con ‘sto pistolone.
Me la tiro sopra e lei inarca la schiena per farmi entrare.
Sei carina, le sorrido.
Grazie, fa lei superiore.
Si mette sulle piante dei piedi e va un poco su e giù. Non ci mette niente passione, ma vedo il mio affare che entra ed esce dalla sua passera e mi diventa sempre più duro.
Cazzo di cane. Ormai mi cola il muco dal naso e posso respirare solo con la bocca.
Torna l’Alessandra con un bicchiere di Coca in mano. Lo posa sul comodino e si stende di fianco.
Visto che non è una puttana di primo pelo e conosce i suoi polli, infila ancora due dita tra le gambe dell’amica e mi accarezza un poco.
Basta decido.
Spingo via la Nicca e vado a mettermi sul bordo del letto. L’Alessandra è ancora stesa dandomi la schiena.
La infilo ancora quasi brutalmente.
Lei si lamenta un attimo, poi ricomincia a parlare con la sua amica.
Anche lei si è alzata. Va a fare un sorso dal bicchiere di Coca e risponde torva ad una domanda dell’Alessandra.
Poco alla volta mi inginocchio sul letto e faccio alzare una gamba alla ragazza nel classico spondino.
Cazzo, esclama questa, ma mi fai male!
Del tutto imbesuito, esco e lei mi valuta il pinco in fiamme.
Fa una piccola smorfia sorpresa dalle dimensioni che ha assunto.
In effetti, forse erano tutte da venti, le pastiglie. Mi sembra di avere un tubo di gomma gonfio tra le gambe. E mi duole la schiena per la tensione come non mai.
Anche la Nicca mi osserva attonita. La cappella pulsa e l’affare rotea un poco contraendosi.
Ma l’attenzione dura poco.
Approfitto della posizione prona della nuova e faccio anche a lei una sponda.
Cerco di moderarmi e la pompo lentamente. Ma profondamente, caspita. È bellissimo, una figa calda è il posto giusto dove infilare un pinco esasperato.
E ricominciano subito a parlare di ‘sto cazzo di Greg, che è uno che se l’incontro per strada gli sfascio il muso, a ‘sto stronzo. Cazzo di cane.
L’Alessandra mi sorride appena.
Puoi fare culo, se vuoi, annuncia birichina.
Evidentemente, avevano concordato prima.
Ok, accetto uscendo.
La Nicca non è tanto d’accordo, mi sbircia titubante tra le gambe valutando.
Mentre aspetto che prenda una posizione, che per una puttana è quasi deontologico, mi accarezzo l’affare sempre più violaceo.
Poi decide che è alla sua portata e si allunga a prendere la crema in un cassetto del comodino.
Si spalma abbondantemente sorridendo storta.
Principiante, commento tra me e me, non si fa così.
Forse vuole fregarmi stringendo il sedere per farmi scivolare via. Ma ho un trucco.
In ogni caso, anche questo è eccitante. Cazzo di cane, tutto mi sembra eccitante.
Si mette a pecora allargando le gambe.
Col cazzo che ci casco, stronza.
La spingo ad accostare le cosce e punto.
Quod erat demostrandum, la pupa stringe gli sfinteri e scivolo subito via.
Finisco nella passerina calda e per un momento mi viene la tentazione di rimanere lì.
Ma il mio eroismo è indomito. Mi estraggo a fatica e torno a puntare.
La pupa sotto sembra preoccupata ma sicura di sé. Sicura di fottermi, ovviamente.
Punto e aspetto. Questo il trucco.
Lei torce il collo a controllare perché non spingo.
Sento che si rilassa un attimo e affondo.
Tenta di scapparmi da sotto, ma la tengo per le anche e, comunque, ormai sono dentro.
Oh, che bello! Stretto e caldo, come agognavo.
La Nicca scalcia lamentandosi.
E l’Alessandra ridacchia. Sempre pettinandosi i capelli con le dita.
Dopo, decido, lo faccio anche a te.
Lei scuote la testa risoluta.
Sissì, insisto, lo so che lo fai.
Nonnò, insiste lei, mai fatto.
Non fare la stronza, la richiamo all’ordine, l’ho letto su internet.
Lei spalanca gli occhioni per la sorpresa.
La Nicca continua a lamentarsi ma sembra rassegnata. Ha smesso di scalciare e di tentare di tirarsi via.
Su internet? Mormora.
Sì, confermo.
E chi l’ha scritto? Chiede con aria piuttosto infuriata.
Non posso dirlo, dichiaro rantolando.
Ormai sono entrato tutto e mi sa che la pupa non aveva curato tanto l’igiene del colon, perché si sente un certo odorino di feci.
Ma anche quello contribuisce ad eccitarmi.
Ma, obietta, non è vero.
Cento euro, insisto, dai, non fare la stronza. Lo sanno tutti.
Prende un’aria parecchio innervosita.
Comunque, precisa, è troppo grosso e non mi va.
Vedremo, evasiveggio con un ansito.
Chissà a cosa sta pensando. Sembra davvero incerta se darmelo.
Non ha capito che sto scherzando, ma la mia aria finta autoritaria deve averla stupita.
Lei mi conosce gentile e affettuoso, sempre disposto a darle retta.
Questa inversione deve averla sconcertata.
Sempre pompando, prendo la scatola di crema e gliel’allungo.
Tanto vale approfittarne.
Ungiti, ordino.
Ma, obietta, non posso.
Hai le mestruazioni al culo? Chiedo volgarmente.
Ma, fa lei, fa male!
No, insisto, vedrai che passa subito.
Alessandra è sul punto di arrabbiarsi sul serio.
Ma che cazzo vuole questo? Sembra pensare.
Poi, forse, calcola quanto valgo in termini di fidelizzazione.
E comincia a lubrificarsi il didietro incerta.
Non sprecarla, insisto col tono strafottente, tanto entro lo stesso.
Lei obbedisce e si alza per massaggiarsi meglio.
Ok, mormoro alla Nicca che tende la schiena per lo sforzo e sembra sul punto di mettersi a singhiozzare, ora smetto. Grazie, sei stata molto brava.
Esco e mi tiro via, mentre la ragazza si gira a fissarmi inferocita.
Poi vede la mia espressione incazzata e lascia perdere.
Si mette un dito sul sedere per controllare cosa le ho combinato. Il suo buchino si contrae facendo uscire una riga di crema mista a escrementi.
‘Fanculo, tutto mi eccita.
Hanno detto che sono come sorelle, per cui non mi preoccupo del preservativo.
È rigato di merda ma sono cazzi suoi.
Faccio mettere l’Alessandra alla pecorina sul bordo del letto e, stando in piedi, la infilo.
Lo faccio lentamente e con dolcezza. Non mi va di farle male.
Mi sento stronzo, ma non fino a quel punto.
Le tremano un poco le gambe ma non dice niente.
Quando sono tutto dentro mi fermo. Cazzo di cane non riuscirò mai a venire, lo sento.
Mi è già successo e non c’è niente da fare. Quando sono così, anche di mano è impossibile.
O mi calmo o mi rassegno.
Tra l’altro, adesso ho il naso libero e non sento alcun disturbo alla stomaco. Sembra persino che l’effetto del Levitra sia passato.
A proposito, avevamo detto che tornavamo per le due. Che ora sarà mai?
La Nicca prova a dire qualcosa all’Alessandra.
Ma quella mugugna indistintamente stringendo i denti.
Sbircio la radiosveglia e, cazzo di cane, è quasi l’una e mezza. Col cazzo che riesco ad essere a casa prima delle tre. E domani sarò uno straccio.
Ma il mio affare è ancora prepotentemente in tiro e sento ogni grinza del suo culo, come se non avessi neppure messo il preservativo.
Anzi, cazzo, vuoi vedere che si è rotto?
Esco un attimo. Ma è a posto. Completamente rivestito di crema e di merda, ma tiene.
La Nicca continua a controllarsi il sedere con aria malconcia.
Abbaia qualcos’altro incazzata alla sua amica.
Cazzo vuole? M’informo.
Dice, singulta l’Alessandra, che cento non bastano per tutto questo.
Hai ragione, convengo, ma mi hai proposto tu cento tutte due con calma.
È vero, ammette scuotendo la testolina mesta, ma non credevo che andava così.
Stronza, mi dico, pensavi di fottermi come al solito.
E come mai, chiedo invece incuriosito, solo per cento?
Mah, fa toccandosi appena la patata, è che lei mi deve cento euro e questa sera non mi andava di lavorare.
Esco dal culo tumefatto della ragazza e mi rannicchio sul letto travolto da una risata incontrollabile.
L’altra pupa interroga con sguardo corrucciato.
Ma neppure l’Alessandra sa. Anche lei mi fissa incredula massaggiandosi dietro, ancora alla pecora.
Basta, decido strappandomi via il profilattico, questa sera mi sono divertito abbastanza.
Loro sono parecchio d’accordo.
La Nicca si fionda immediatamente in bagno e io vado ad abbracciare la mia amica.
Scusa, le mormoro in un orecchio, non volevo.
Chi cazzo scrive tutte quelle stronzate su di me? Singhiozza.
Che ti frega? Minimizzo, tanto sono in pochi a leggere.
Ma non è giusto! Si lamenta.
No, convengo, io sarei incazzatissimo se tra di voi vi raccontaste cosa facciamo quando siete con me.
Lei fa un sorriso stentato.
Io, ammette tirando su con il naso, di te ho parlato con la Bianca e con l’Alina. Ma sempre bene.
Anch’io, ammetto, ho parlato con Bianca e Alina.
Sul serio? Si inalbera, e cosa vi siete detti?
Alzo le spalle.
Che vuoi che gli abbia detto? Mento, che tu sarai sempre la mia preferita.
Annuisce digerendo la dichiarazione.
Lo dici davvero? Mormora seria.
Certo, confermo, lo sai che ti prendo anche quando non mi va di scopare. Per me stare con te è già abbastanza.
È vero, l’ho fatto diverse volte. È stronza ma mi diverte la sua compagnia.
Rumina la notizia poco convinta.
Ok, si convince, ma non innamorarti di me.
Resisto a fatica, sospiro con consumata ipocrisia.
Ce l’hai ancora duro, osserva.
Sì, confermo.
Vuoi bocca? Chiede con inusuale gentilezza.
Sarebbe utile, ammetto.
Tira su col naso e si inginocchia tra le mie gambe.
Ma, conclude, non innamorarti di me.
Resisterò, ripeto appoggiando più comodamente la schiena alla testiera del letto.
E mentre mi sfiora delicatamente la cappella con le labbra, mi accorgo di avere ancora il naso chiuso e un certo imbarazzo allo stomaco.

tutto ciò che precede questa riga è falso
 
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MILANO
ho cercato inutilmente su Zanichelli qualche aggettivo adatto, per non sembrare troppo banale, ma niente da fare.

Per cui mi limiterò unicamente a farti i miei più sinceri complimenti. :good: :clapping:
 
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