Della dignità

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La frase precedente è falsa.

Fevdar e Godel, ovvero l'incompletezza dei sistemi assiomatici fondati sul punterismo
:crazy:
 
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utlimo racconto (almeno per ora)

tutto quanto segue questa riga è vero


Della dignità

Sono quasi le due e Paola dorme.
Da qualche parte ho letto che chi veglia ha una consapevolezza più intensa delle cose. Ma non credo sia così. Dormire è una forma di meditazione, forse la più saggia. E io la invidio.
Ieri sera, come spesso accade, abbiamo avuto una lunga discussione sulla dignità. Persino dopo, mentre facevamo all’amore, ogni tanto ci scambiavamo qualche frase scherzosa sull’argomento.
Paola è intuitiva e spiritosa. L’amo intensamente, come mia moglie. Con lei ho una complicità quasi dolorosa, che supera ogni imbarazzo.
Forse avrei dovuto sposare lei. O forse è stato meglio così, forse tutto questo non sarebbe successo se avessi ascoltato il desiderio.
Ma quando ci siamo conosciuti, ormai vent’anni fa, avevo già fatto una scelta. E, per una volta, avevo deciso che sarei andato fino in fondo.
Paola aveva solo diciannove anni, io quasi trenta. Lei era una segretaria neoassunta, io il più giovane dei dirigenti del dipartimento.
Per cinque anni mi è stata, come dire, devota. Non solo abbiamo lavorato insieme, lei ha vigilato su di me, dandomi suggerimenti discreti e correggendo le mie mancanza, senza mai darlo a vedere. Era di un’intelligenza sorprendente. Mi ha fatto sentire importante, chiedendomi pareri e raccontandomi la sua vita.
Lei sapeva che non sarebbe successo, ma avrebbe voluto che scegliessi lei
Io però avevo già scelto. E il fatto che rimanessi fedele a quella determinazione le rendeva ancora più amaro quel lutto d’amore.
Entrambi lo sapevamo, ma non ce lo siamo mai detto.
L’unica volta che ci siamo baciati è stato il giorno del suo matrimonio, cinque anni dopo. Mi aveva già comunicato che si sarebbe trasferita a Roma, a lavorare in un ministero, e io ero contento che facesse carriera.
In quegli anni ero servito a qualcosa pure io. L’avevo aiutata a laurearsi ed ero orgoglioso di lei. Avrei perso la mia segretaria, ma la collettività avrebbe guadagnato una funzionaria onesta, volonterosa e creativa.
Mi aveva invitato alla cerimonia e ci andai con Laura, allora non eravamo ancora sposati.
La incrociai per sbaglio, mentre cercavo il bagno in Comune, prima che cominciassero. Lei stava finendo di prepararsi insieme all’amica che le faceva da testimone.
Era irritata perché il vestito aveva una microscopica macchia, a mio parere del tutto impercettibile, e stavano cercando di tirarla via con un fazzoletto bagnato. Del resto, la sposa deve sempre trovare il modo di farsi aspettare.
Quando mi aveva visto entrare nell’antibagno si era illuminata e mi aveva abbracciato con una forza inaudita. E mentre la sua amica si rifugiava imbarazzata nella toilette, lei mi aveva sussurrato: tu lo sai, vero?
E mi aveva allungato solo per un momento le labbra. Ancora me lo ricordo.
Solo in quel momento mi ero accorto di quanto l’amassi.
E ci ho pensato per oltre quindici anni.
Il caso è fecondo e imprevedibile.
Io manco lo sapevo che qualche anno fa era tornata a Bologna. Non lo potevo sapere perché da qualche tempo ero via. Il caso mi aveva portato lontano.
Conoscevo suo marito da prima, per un breve periodo avevamo fatto ricerca insieme in un’università toscana. Era preparato ma per tutti era anche un discreto stronzo.
Era un bell’uomo, credo, ma in lui c’era qualcosa che imbarazzava. Tutti avvertivano un’insicurezza fastidiosa. Non riguardava la sua competenza, riguardava l’immagine che aveva di sé. E, di riflesso, l’idea che voleva suscitare negli altri.
Credo che Paola l’abbia sposato soprattutto per tentare di renderlo migliore.
Forse ha amato anche me per la stessa ragione.
Con lui forse ci è riuscita. Con me, no.
Comunque, fu una sorpresa ritrovarla a Bologna quando rientrai al lavoro due anni fa, dopo una lunga esperienza altrove.
Bella come neppure ricordavo, nonostante i quaranta appena superati.
Non diventammo subito amanti, ci volle qualche mese. Il tempo che serviva a me per superare la promessa che mi ero fatto con Laura, oltre vent’anni prima. Una promessa che era anche una scommessa.
Laura non è stata un errore, al contrario. Rimane la donna che amo più profondamente e con la quale desidero invecchiare. Senza di lei, non saprei come vivere. E fino a poco tempo fa le sono stato fedele in modo tanto scrupoloso da sfiorare il ridicolo. Soprattutto se si pensa che prima di conoscerla non ho mai, dico mai, pensato di poter essere monogamo.
Ma qualcosa, in tutti questi anni, si è incrinato. Sicuramente è tutta colpa mia, tutto nasce dalla mia imperturbabile indifferenza per le cose. Dalla mia noncuranza.
Io sono diventato fedifrago e puttaniere per una forma di rancore che ancora non riesco a spiegare. Non ha a che vedere con l’affetto e con l’amore ma con altri sentimenti.
Da allora, da quando mi sono lanciato in questa dubbia impresa, l’intesa intellettuale e affettiva con mia moglie non si è certo interrotta, ma ho cominciato ad avere segreti che non desideravo condividere con lei.
Quando eravamo ancora giovani, per me fare carriera, sempre che si possa definire così, è stato automatico e inaspettato. Chi l’avrebbe detto che un ex autonomo semi tossico, vinto un concorso, sarebbe diventato tanto in fretta dirigente e poi ricercatore, insegnante all’università e figura abbastanza nota, anche solo per la sua bizzarria, a livello nazionale ed europeo?
Ma è successo. E tutto senza che neppure lo volessi.
Forse solo una gran botta di culo, forse semplicemente proprio la mia noncuranza.
Ma Laura, fin da quando eravamo fidanzati, ha sempre vissuto questa cosa con un poco di acrimonia. Lei odiava quella che chiamava “la tua serendipity”.
Mi ha sempre riconosciuto della abilità e una curiosità intellettuale invidiabile, ma lei si è sempre sentita almeno pari. Io non ero d’accordo, l’ho sempre percepita migliore di me, in tutto.
Ma di successi professionali lei non ne ha avuti. Almeno fino a qualche tempo fa.
Io credo che tutti viviamo dei cicli esistenziali. Cicli che riguardano l’interesse per la vita, la passione per le cose, l’amore e tutto il resto.
Due persone innamorate sono particolarmente felici quando questi cicli sono sintonizzati.
Con lei è stato così quasi per tutto. Abbiamo provato negli stessi tempi una passione quasi cromosomica, abbiamo avuto negli stessi anni la volontà di sperimentarci reciprocamente, di viaggiare, di conoscere, di socializzare.
Ma i tempi della mia dedizione professionale sono stati diversi dai suoi.
La mia noncuranza per la carriera la esasperava, forse perché immancabilmente portava a qualche successo inaspettato. Non era invidia, era, credo, solo un’accorata richiesta di aiutarla a fare altrettanto. Condita da una forma di ambizione che io non ho mai provato.
Ma una decina di anni fa il mio ciclo si è interrotto. Non ci ho mai tenuto granché a “fare carriera”, a pubblicare saggi, a tenere conferenze a partecipare a convegni internazionali. Comunque lo facevo e qualche risultato apprezzabile l’ho ottenuto.
Ma col tempo, scoprii di essere sempre più disinteressato a impegnarmi su quel fronte.
No, il lavoro andava comunque bene, era quasi la routine. Ci dedicavo il trenta percento della mia attenzione.
Perché il rimanente riguardava l’introspezione, la ricerca dell’equilibrio, la perlustrazione di quei territori che stanno tra il corpo e chissà.
La musica, certo, e la scrittura. Le mie passioni tanto intime, che lei non condivideva.
Quanta noncuranza! Sembrava pensare mia moglie quando mi portavo a casa un nuovo sassofono o un flauto barocco. Invidiava il tempo assoluto che dedicavo a quel me così distante.
Del resto, avevo poco più di quarant’anni ed era cominciata l’era dei primi pavidi bilanci.
Io stavo tirando in barca i remi, tanto la corrente mi portava dove comunque volevo andare.
Lei non era serena. La sua ambizione professionale era ancora frustrata.
Per cui, per una volta, i nostri cicli diventarono divergenti. Poco alla volta, i miei desideri evolvevano diversamente dai suoi.
Certo, la nostra intesa rimaneva ferrea. Ho sempre approvato le scelte lavorative di mia moglie. La differenza rispetto al passato era che non me ne sentivo coinvolto con passione partecipativa. Per me era una fase superata. Non mi entusiasmava.
Questa è stata l’incrinatura. Che poco alla volta l’ha spinta a trovarsi un lavoro più prestigioso altrove, e a praticare, come desiderava, un livello di relazioni professionali più soddisfacente. Istituti di ricerca, università, società scientifiche.
Tutta merda, pensavo. E penso. Ma contenta lei…
Da allora, lentamente, la divergenza si è allargata. La nostra complicità consolidata si è mantenuta, ma non ha saputo rinnovarsi in altri territori.
Faccio l’amore con Laura quasi con la stessa passione di quando ci siamo conosciuti. Tra noi c’è affetto, allegria e comprensione.
Ma entrambi siamo consapevoli che ci divide una porzione significativa di attenzione ad altro.
In fondo, sono molto romantico. In fondo, io cerco l’assoluto.
Bei discorsi, dico, per un materialista innamorato della dialettica.
Così, quando rividi Paola, superare la promessa che mi ero fatto con Laura, non è stato facile.
Ci misi un poco a superare quella resistenza.
Ma quando successe, tutto andò molto in fretta.
Ero tornato a lavorare da qualche mese a Bologna, mia moglie era a Milano durante tutta la settimana. Sentivo che quella libertà era troppa e preoccupante.
Nonostante un problema alla prostata piuttosto fastidioso, provavo lo stesso desiderio febbrile per le donne che avevo sperimentato nei primi anni di università.
E mi sentivo terribilmente attratto dalle ragazze che vedevo di notte sui viali.
Da uomo di sinistra potevo solo condannare.
Ma il desiderio era incontrollabile.
Una sera, in modo quasi rocambolesco, ne caricai una. Meglio stendere un velo pietoso sul come avvenne e su come si concluse quella vicenda.
Sta di fatto che superata quella prova, tanto difficile per la mia coscienza, sembrava aprirsi tutto un mondo nuovo.
La ragazza che avevo preso su impacciato a Corticella quella notte di ottobre e che non riuscii neppure a scopare, fu il mio secondo rito di passaggio. Ha rappresentato l’iniziazione per una nuova era. L’adolescenza senile di un vecchio stronzo, come la chiama Paola.
Il giorno dopo, chiamai proprio lei, la invitai a prendere un tè in centro. E da allora, in questi diciotto mesi, ci siamo visti regolarmente.
Non facciamo solo l’amore.
O meglio, facciamo sempre l’amore. Delle volte facciamo solo quello. Ma spesso parliamo, dormiamo abbracciati, ricordiamo. Ci raccontiamo fantasie che innescano altri desideri.
Il mio ciclo sentimentale, nonostante l’amore per mia moglie, è più sincronizzato al suo.
Certo che dopo esserci amati vent’anni senza praticare qualsivoglia forma di fisicità ci ha guidati in un’esplorazione reciproca quasi nostalgica. Il riconoscimento è stato immediato ma sono diversi i capelli, le forme, i movimenti. Il tempo è passato e ha aggiunto cose, altre le ha cambiate o cancellate.
In qualche modo, come sono adesso dipende anche da lei, presente o assente che fosse, e viceversa.
A lei racconto ogni cosa. Lei conosce tutte le mie ansie e le mie esaltazioni.
All’inizio non approvava che frequentassi delle ragazze.
Perché dopo la prova autoimposta di scoparmene una, senza riuscirci, la mia stupida caparbietà mi
ha imposto di riprovarci, fino a quando non ci sarei riuscito con soddisfazione.
E poco alla volta, ho imparato ad apprezzare il linguaggio di quei corpi, a fremere per quel sesso senza amore, a godere di quella bramosia autoreferenziale che innesca il desiderio per la meccanica dell’atto sessuale fine a se stesso. Tanto da rendere la prossenetica una parte irrinunciabile della mia vita.
Discutevamo spesso di questo. Lei non approvava ma sembrava quasi invidiosa, era un territorio del sapere che ignorava. Definiva la mia pratica un vizio. E poi rideva quasi colpevole, perché da sempre teorizza che il vizio è una delle poche cose per cui vale la pena vivere.
Ovviamente, era molto incuriosita.
Al punto cha ha persino voluto conoscere qualcuna delle ragazze che, per la mia attitudine sentimentale, finivo per fidelizzare. E con due abbiamo anche fatto l’amore insieme.
A lei non è piaciuto tanto. Le percepiva schizzate e meccaniche, del tutto indesiderabili.
È stato allora che abbiamo cominciato a discutere della dignità. Di quella della puttana che, a suo parere, è superiore a quella del punter.
La ragione principale per cui non mi approvava non era etica, era sociologica. Lei sostiene, a ragione, che la morale dipende dai tempi in cui si vive. Che la cultura è figlia dei rapporti di produzione. Anche lei, come me, è rimasta di sinistra. Della vecchia sinistra, voglio dire.
In un mondo senza diritti, sostiene, la dignità è avere qualche diritto. Prima di tutto, quello di sopravvivere ed elevarsi socialmente. È la povertà, prima di tutto a dettare la cifra della morale. Ma il modello falsamente liberista che tanto va di moda nel nostro, si fa per dire, progredito occidente, coniuga perfettamente la negazione dei diritti con il profitto. Confonde il consumo con la libertà.
E, sempre nel suo modo originale di vedere le cose, non si può diventare complici di un sistema che depriva le persone di diritti per poterle sfruttare. E questo vale per le ragazze romene come per i marocchini ambulanti o gli indiani in agricoltura. Vale anche per i nostri giovani ormai abituati all’idea di non avere un lavoro garantito. Ormai neppure consapevoli che il lavoro sia un valore, sia un diritto e uno dei fattori principali di dignità. Questa complicata e difficile dignità.
Almeno, diceva, la puttana ha la dignità del bisogno. Il punter, se è come me, lo fa solo per vizio.
Una forma di bisogno, sostiene, che spesso è in conflitto con alti diritti.
Ma Paola non approvava molte altre cose della mia vita. Lo faceva con rispetto per le mie scelte e comprensione per i miei molti difetti. Ma, ad esempio, riteneva che il nostro stare insieme fosse un vero e proprio adulterio.
Nel suo modo di vedere le cose, quello che sbagliava ero io. Lei era giustificata, perché non amava più suo marito e con lui non aveva da tempo più alcuna intesa sessuale. Ma io no, io stavo tradendo Laura senza ragione. Io ero il più colpevole.
Io le rispondevo sempre che il desiderio è un atto suicida. Che si fa di tutto per estinguerlo.
E lei rideva. Ancora ride, quando la prendo in giro con questa affermazione.
Peccato che quasi sempre ci possiamo vedere solo una volta la settimana, quando suo marito va a Bruxelles per lavoro, al massimo due.
Mangiamo, beviamo ascoltando musica, parliamo e per tutto il tempo ci stuzzichiamo. Non smettiamo un attimo di fare l’amore. Non ho mai avuto bisogno di prendere qualcosa per funzionare al meglio con lei, esattamente come con mia moglie.
E scopiamo sempre nel suo letto, delle volte per ore.
Io vengo raramente durante un rapporto, ma con lei succede. Non sono un gran scopatore, ma quando desidero molto, il mio problema di prostata è una specie di benedizione.
Lei si trattiene, la sua indole sensuale le imporrebbe tempi più brevi. Ma con me cerca la reciprocità simbolica di godere insieme.
È una cosa della quale discutiamo spesso. A mio parere sbaglia, lei dovrebbe avere più orgasmi che può. Ma lei osserva che dopo essere venuta cambia la sua attitudine, si modificano i suoi tempi. E conclude, ironica, io ne sono sempre in qualche modo frustrato.
Ha ragione, ovviamente, ma questa dialettica è divertente e sperimentare ha il suo fascino.
Viene sempre in modo molto intenso. E poi si addormenta.
Non va neppure in bagno. Mi sorride esausta e si addormenta.
E io, come questa notte, aspetto invano che venga il sonno invidiando la sua serenità. E penso.
Conosce Laura e non le piace. Non è gelosa e non l’invidia. Ma ritiene che stia sbagliando, pensa che la sua ambizione abbia annebbiato la sua lucidità.
È sempre molto interessata a come faccio l’amore con mia moglie. Da un lato è molto orgogliosa che con lei le mie prestazioni siano molto prolungate, dall’altro si incupisce perché con mia moglie vengo più spesso.
Odia quando siamo costretti a vederci la domenica sera o il lunedì pomeriggio, perché secondo lei Laura mi spompa nei fine settimana.
In questo anno e mezzo ci siamo separati solo due volte. E sempre perché avevo fatto qualche sciocchezza con una ragazza.
La prima volta è stato circa un anno fa, quando una pupetta romena, la vita non smetterà mai di stupirmi, si è invaghita di me per un breve periodo. E non ho saputo resistere ad una storia che, almeno per i miei standard, era molto perversa.
Paola l’ha vissuta come un vero e proprio tradimento.
Ovviamente gliene ho subito parlato e lei si è molto arrabbiata. Per le due settimane in cui ho frequentato questa ragazza, lei non ha voluto neppure parlarmi. Sembrava infuriata che facessi l’amore con una puttana senza alcuna protezione.
Aveva ragione, ovviamente, ma chi non sbaglia?
Peraltro, era vero che era una puttana. Ma in quelle due settimane, per lei ero stato una specie di fidanzato. E forse questa era la ragione per cui Paola era davvero arrabbiata. Ha provato gelosia.
E ci sono volute altre tre settimane, dopo che la storia era finita, per ricominciare a vederci.
Paola non porta rancore, ma ha tempi di perdono piuttosto lunghi.
E, a mio parere, la sua gelosia era irrazionale.
Di questo abbiamo parlato spesso. E soprattutto della sua passionalità. Non ha mai avuto problemi a raccontarmi le storie veloci che ogni tanto si concede con persone incontrate in svariati contesti. E soprattutto tra i molti uomini divorziati o separati che le girano intorno.
Ma lei sostiene di averlo sempre fatto prendendo ogni precauzione.
Le credo. E credo anche che la sua indignazione per la mia avventatezza sia sincera. Ma anche lei, adesso, ammette che fu gelosia.
Una cosa che entrambi credevamo di aver superato da tempo.
La seconda volta è stata pesissima e credo non l’abbiamo ancora superata del tutto. È successo nel periodo di natale.
Era da un po’ che mi metteva in guardia da una ragazza che avevo conosciuto e che mi piaceva molto. Di solito Paola non si preoccupa delle mie brevi infatuazioni.
Anche la mia pervicacia nel frequentare la prima ragazza con cui ero stato, non l’aveva particolarmente colpita.
E neppure la frequenza con cui ho praticato nel tempo alcune delle mie fidelizzate.
Ma quando avevo cominciato a parlarle di questa, si era subito allarmata. Nonostante non stesse durando da molto, lei sosteneva che ero ossessionato da lei, che il mio tentativo di capirla e di conquistarla era infantile e destinato a fallire miseramente. Che non dovevo innamorarmi di una di quelle, che era la cosa peggiore da fare.
Aveva torto, io non ero innamorato. Ma volevo bene a quella ragazza in modo istintivo e naturale. La trovavo misteriosa come un indovinello difficile, come un enigma da interpretare.
Era cromosomicamente perfetta, per me, mi piaceva immensamente fare sesso con lei, ma non l’amavo, certo.
Io non credo di avere abbastanza volontà d’amare ancora. E alla mia età sono consapevole del tempo e della natura delle cose.
Amare significa prima di tutto cercare reciprocità e con una puttana romena di meno di vent’anni nello scambio posso offrire solo uno smisurato desiderio accompagnato da una cifra adeguata a compensarne i disagi. Desiderio che, ovviamente, non può essere condiviso.
È una questione anche questa di dignità. Mia e della ragazza.
Ma Paola aveva intuito che, nonostante questa precisazione, “quella lì”, come la chiamava lei, era pericolosa per me. Che tendevo comunque a considerarla speciale. Era vero.
Ancora non sapeva che ci facevo l’amore qualche volta senza alcuna precauzione. Si sarebbe incazzata come una iena, perché la nostra regola era che lo avremmo fatto senza profilattico solo tra di noi e con i nostri rispettivi coniugi.
E io mi sentivo terribilmente in colpa.
Ma la ragazza spergiurava che lo faceva solo con me. E, nonostante qualche titubanza, ero tanto ingenuo da crederle.
Verso natale stetti lontano da Bologna qualche settimana, insieme a mia moglie. E appresi inequivocabilmente che questa ragazzina mi aveva mentito sulle sue abitudine profilattiche.
Ne soffrii molto. Forse, in qualche modo Paola aveva avuto ragione. Non era amore, ma era comunque un affetto sproporzionato.
Ne soffrii soprattutto per essere stato ingannato.
E per il timore di poter essere stato contagiato da qualche orribile malattia a trasmissione sessuale.
Furono giorni molto tesi, con mia moglie. Certo, non potevo fare l’amore con lei, con quei dubbi.
E mi inventai le scuse più idiote per evitare ogni contatto, rendendo quella vacanza una specie di interminabile calvario di bugie.
Non potevo parlarne con mia moglie, così ne parlai più volte al telefono con Paola.
Che decise subito di non volermi più.
La stessa cosa, il mondo è strano, successe anche con due mie ragazze fidelizzate del periodo.
Ero tesissimo in quei giorni e ne parlai con le persone che sentivo in qualche modo vicine. Anche per loro provavo molto affetto.
Entrambe mi dissero di tornare con le analisi negative firmate e controfirmate e che solo dopo ne avremmo riparlato.
Solo a gennaio potei farle.
Ci andai con la ragazzina “quella lì” che, candidamente, non capiva perché fossi tanto incazzato.
Ancora una questione di dignità, che non riguarda ovviamente l’etica, ma il contesto.
Entrambi negativi, per fortuna, ma per essere sicuri si sarebbe dovuto ripetere l’analisi dopo qualche mese.
Ma Paola non riusciva a mandare giù la cosa. Non riusciva ad accettare la mia ingenuità, secondo lei, e la mia stupidità. Perseverava nella sua idea che io fossi ancora innamorato di questa.
In altre parole, era gelosa.
A febbraio, però, ci siamo rivisti. E abbiamo ripreso a frequentarci anche più spesso di prima.
Qualche volta suo marito sta tutta la settimana a Bruxelles e in quel caso praticamente passo da lei tutte le sere.
Ma torna sempre sulla questione della dignità.
Mi racconta di sua nonna, contadina del centese, moglie di un mezzadro. A quei tempi, almeno uno dei figli di un mezzadro somigliava al padrone. Lei era una di quelli. Il padre non la trattava come gli altri figli.
Era dignità quella? Come si fa a giudicare?
In un mondo senza diritti, il diritto di sopravvivere supera ogni morale.
Era più dignitosa la sua bisnonna che si sottometteva alla bramosia del padrone o il padrone che, consapevole o meno, la deprivava del suo diritto all’autodeterminazione?
Nei suoi discorsi, prima o poi si arriva alla questione del contesto sociale ed economico.
Quante delle nostre scelte sono davvero scelte?
Quante vengono da noi e quanto dal nostro gruppo di riferimento?
Io non credo che questo discorso porti a niente. Ma lei insiste, dice che non si deve giudicare la vittima ma solo il carnefice.
Io sostengo anche che la vittima è sempre un poco colpevole. E lei è d’accordo, anche lei sostiene che siamo tutti complici.
Ma insiste. Dice che la nostra etica, quella dei nostri tempi, quella sociale, quella intellettuale, ci obbliga a lavorare per un mondo in cui i diritti di cittadinanza, i diritti di autodeterminazione e tanti altri diritti, sono diritti di tutti.
E che, invece, questa stessa società, questo liberismo tanto decantato, esiste solo se si mantengono le diseguaglianze, solo se i diritti di qualcun altro vengono calpestati.
Non lo dice per farmi sentire colpevole. Lo dice perché ci crede, perché si sente coinvolta pure lei.
E aggiunge che non è preoccupata per la puttana romena che lavora per il suo pappone. Forse, lei non è neppure consapevole che avrebbe il diritto ad una vita diversa. Lei mantiene la sua dignità, perché non conosce altro contesto. Noi, sostiene, vediamo quello che sappiamo.
No, lei è preoccupata soprattutto perché nessuno di noi fa niente affinché la consapevolezza dei diritti sia un patrimonio comune. Siamo noi, osserva amara, a non avere dignità.
Perché, e qui ha ragione, noi gli strumenti li abbiamo, o li abbiamo avuti.
E spesso, facciamo finta di non sapere quello che vediamo.
Quando facciamo questi discorsi, si appassiona immancabilmente. Spesso si confonde, nella dialettica mi teme. E finisco per trovarla tanto adorabilmente eccitante, così accaldata e presa nell’argomentare, che comincio ad accarezzarla.
E poco alla volta, sempre continuando a discutere, si lascia portare a letto.
A fare quello che fanno anche tutte le ragazze che pago, con una forma diversa e altrettanto apprezzabile, di dignità. E risultati migliori per la mia autostima.
Prima di addormentarsi serena.
Con tutta la mia invidia di uomo che veglia.

tutto quanto precede questa riga è falso
 
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Montevideo - barrio "la passarina"
C'era bisogno del minacciato abbandono del grandissimo Fevdar per farmi accorgere di questi diamanti? Eppure confesso la mia sbadataggine, mi era sfuggito. Anch'io non so dire niente, se non testimoniare un'assoluta ammirazione. Ho letto – per ora – solo il primo racconto (gli altri me li gusterò per intero appena ho tempo): e l'ho trovato di una qualità impressionante!
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Safarà
Settimana scorsa ho letto il primo, poi mi sono gustato il secondo, tutto d’ un fiato.
Me lo sto ancora gustando:ho bisogno di tempo per passare al prossimo.
Vorrei riproporre il passaggio finale.

fevdar ha scritto:
Ormai eravamo arrivati.
Si staccò e si allungò a darmi un bacino su una guancia.
Grazie della passeggiata, sorrise brevemente, è stato bello.
Sì, confermai, è stato bello.
Salì due gradini e aprì il portone.
Ciao, la salutai.
Ma lei scese di nuovo e mi si mise davanti, giocando nervosamente con la zip del mio giubbotto.
Per favore, sussurrò ad occhi bassi, non tornare.
Perché? Chiesi incredulo.
Alzò le spalle, con un gesto incurante al quale ormai mi stavo abituando. Sempre senza guardarmi.
Per favore, ripeté con lo stesso tono cantilenante con il quale qualche ora prima mi aveva elencato al telefono i servizi che potevo comprare.
Mi diede una piccola pacca sul petto e, senza alzare gli occhi a guardarmi, risalì i due gradini.
Si girò a darmi un’occhiata quasi vergognosa.
E chiuse il portone.
Per sempre.

"Non tornare”
…E così bellissimo sarà il ricordo che avrò di te. Bellissimo il ricordo che avremo l’uno dell’altra. Ma ci sarà solo questo. Unico, irripetibile…così prezioso. E una semplice passeggiata, vale più di tante altre cose...
E’ questo il senso del punterismo? Sicuramente è uno dei sensi del punterismo, per me…E il ricordo, poi? Dolce e al tempo stesso amaro.
Questa immagine, questa emozione, questo incontro, questo ricordo... Il punterismo è, in fondo, come la vita: l’arte dell’ incontro.


Grande fevdar...non ci lasciare!
 
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