Vado per i 45. Una separazione alle spalle che mi ha prosciugato le forze, oltre che il portafoglio. Un figlio. Ho toccato il fondo, ma mi sono ripreso. E’ stata dura, ma il peggio è alle spalle. Ho ripreso i cocci della mia esistenza, sparsi un po’ dappertutto per terra. Qualche pezzo è rimasto forse sotto il tappeto del salotto della casa che ho lasciato. Ho ripreso anche a frequentare amici che non vedevo da tempo. La vecchia compagnia. Ma non riesco più a divertirmi come una volta. Dove sono finite quelle giornate con il sole in faccia tutto il giorno, che te ne vai a letto, stremato ma felice, ansioso di ricominciarne un’altra con la stessa intensità ?
Erano anni che non andavo in discoteca. I miei amici mi ci hanno tirato dentro a fatica. Mi guardo intorno e capisco che tutto sommato ci dovrebbero essere tutti i presupposti per passare una serata se non divertente, almeno accettabile. Ma allora perché mi sto spaccando il cazzo?
Perché non sento dentro quella forza che mi dovrebbe condurre in mezzo alla pista a saltellare come un grillo e mettermi di fronte alla consolle, ingobbito, sorridente, sudato, muovendo ritmicamente la testa? Perché non mi succede, dannazione?
Per tutto ciò io soffro. C’è una sorta di diversità che se a volte puoi fingere di vederla come la chiave di lettura della tua superiorità , molto spesso ti fa solo invidiare il tizio che scrolla la testa, accanto a te, con l’indice di una mano indica (ma che cazzo indica, poi?) alla Tony Manero, con l’altra si sistema il pacco. Bello sudato e soddisfatto. Sfatto. Fatti, non parole. Lui, si sta divertendo. Io, mi sto rompendo i coglioni.
Oltretutto la serata non era neanche iniziata nel migliore dei modi, avendo avuto una mezza discussione con un tizio della security. Stavo per entrare tranquillo e beato, quando un bicipite grande come la mia coscia, si piazza tra me e il paese dei balocchi.
“-Scusa, ma qui c’è selezione all’ingresso-â€, mi dice il titolare del bicipite, presumibilmente il fratello brutto di Andrè The Giant.
E mi guarda con quell’espressione di superiorità che mi dà veramente sui nervi. Vorrei evitare discussioni e non rovinare la serata a nessuno, per cui decido di accettare sommessamente il suo sguardo ebete e convinto, la sua faccia da cazzo, il suo tono arrogante, la sua espressione saccente, il suo abito nero da Man in Black che me lo fa odiare a pelle.
E’ lo stramaledetto fascino della divisa. Questo tizio si è messo l’abito nero e l’auricolare che fa tanto Neo di Matrix, e all’improvviso non è più Mario Rossi, un tranquillo ragazzone un po’ sfigato di provincia che si tocca l’uccello beandosi dell’immagine taurina che lo specchio gli rende. Non è più il coglioncello che tutti evitano al bar e trovano le scuse più incredibili pur di non sorbirsi i suoi discorsi inutili e noiosi.
Ora, con la divisa da becchino, lui non è Mario Rossi. Ma Super Mario, che non ha trovato nulla di meglio che andare a cagare il cazzo al sottoscritto. E pensare che mi ero detto: “-E vaffanculo, settimana pesante… jeans, polo lacoste e le mie adidas belle comode e sono il re del mondo-â€â€¦
“-Selezione all’ingresso?-†- io chiedo - “-Ma che selezione? Darwiniana?-â€
Poi mi dico “-Ma bravo, fai lo spiritoso. Adesso ti dirà di non fare lo spiritoso.-“ Poi mi dico “-Sì, dai, figurati se adesso capisce la battuta. Vuoi scommetterci un cento di fresca? Andata ! -“. Perso il cento di fresca. La battuta non la capisce, ma comprende l’intento.
“-Non fare lo spiritoso-â€, mi dice.
“-Spiritoso? No, chiedevo a proposito della selezione. Devo superare un test per entrare? O che altro?-â€
Dice “-Sai, qui ci si veste in un certo modo…-â€, guardandomi dall’alto in basso. Aggiunge “-Serve un minimo di eleganza. Non si può entrare con le scarpe ginniche, per esempio…-â€
Le scarpe ginniche? LE SCARPE GINNICHE ???
E continua a mettermi una mano sul petto, come a volermi fermare. Io sono immobile, non sto andando da nessuna parte, ma lui continua a mettere quella mano e mi dice “-Se sei venuto qui per fare questioni…-â€
“-Per fare questioni? Ma se sei tu che hai detto che mi vesto alla cazzo…-â€
E mentre io e Abominio bisticciamo, dietro di me passano le cose più incredibili, inenarrabili e bizzarre che io abbia mai visto. Calzoni metallizzati, canottiere di rete aderenti, mutande fosforescenti, zeppe alte due metri… tutto indossato da tipi che dimenano le braccia al cielo e indicano con il dito indice (ma che cazzo avranno da indicare, anche loro?), in una sorta di ballo che pare una crisi epilettica. “-Ma…e quelli?-â€, chiedo.
“-Beh, loro sono trendy-â€, mi risponde.
Per entrare in questo locale ho dovuto quindi implorare per alcuni minuti, questa ineguagliabile testa di cazzo. Mi spiaceva far tornare a casa tutta la ciurma dei miei amici, per colpa dei miei levi’s abbinati alle sneakers, e così ho mendicato a Terminator un libero accesso in un locale del quale mi fregava meno di niente â€-la prossima volta più eleganza, però-â€, mi ha ammonito Rambo mentre mi concedeva un po’ della sua magnanimità .
Ora eccomi qui, gomiti appoggiati al bancone, sguardo alla tizia scollata e scosciata e sudata che mi ha appena servito il quarto bacardi e coca. La musica è così distante da tutto quello che ascolto solitamente che nemmeno riesco a capirla. Così come non comprendo il campionario di varia umanità che mi circonda in questo momento.
Vado a pisciare. Sono ubriaco e stonato e stanco e scazzato e.
Una pisciata mi farà bene, perché mi immergerà per qualche minuto in un frastuono più ovattato e leggero e potrò tirare il fiato.
Il cesso sembra un’ambulatorio di emergenza in un campo profughi, con gente seduta a terra o che vomita in un lavandino o che piscia in caduta libera davanti a se tenendosi con i palmi delle mani al marmo del cesso che gli sta di fronte. Un tizio mi si avvicina e mi chiede qualcosa, ma non capisco un cazzo di quello che dice, perché ha le mandibole tirate e parla come l’attore di Scuola di Polizia, quello che fa il criminale idiota. Poi trova un tipo che vende pastiglie varie e mi molla per andare da lui, così posso guardarmi intorno e vedere se tra vomiti, chiazze di urina e schizzi di merda sparsa in giro si trova un posto per farci dentro un po’ di pipì.
Attorno a me ballano tizi impasticcati. Ragazzi piuttosto giovani. Quelli meno giovani hanno tirato un po’ di coca. Si capisce perché sono più coordinati, hanno gli occhi lucidissimi, una certa sicurezza nel viso che si abbinerà al sorriso sensuale quando appoggeranno la mano sulla coscia di qualche gnocca. Poi la serata virerà in positivo, probabilmente tromberanno anche. Gratis. Certi tirano la coca e basta, poi tornano a casa da soli.
Quando esco dal cesso la voglia di andarmene si è fatta così pressante che se non fossi qui con i miei amici, scapperei subito. E andrei fuori a urlare. Mentre mi incammino verso il bancone, dove mi piazzerò nuovamente immobile come un uccello impagliato, trovo un’ex collega di lavoro, fighissima nella sua minigonna e nel suo vestito attillato e nell’idea che le sue tette celate trasmettono di loro da una scollatura. Mi accorgo di come l’abito e il trucco cambino molto spesso ogni prospettiva, di come riescano a farti vedere sotto altri aspetti ed altre fantasie una persona che conosci così bene da esserti quasi indifferente, nel quotidiano.
Ci scambiamo praticamente tutti i luoghi comuni che conosciamo, dai “-come ti va?-†ai “-e lì al lavoro com’è, sempre uguale?-†fino ai “-salutami tutti, mi raccomando-â€â€¦
Ci congediamo l’una dall’altro baciandoci sulle guance, consapevoli entrambi che lei al lavoro non saluterà nessuno e a me non fregherà un cazzo della cosa.
Bancone. Tipa scosciata e scollata e sudata. Bacardi invecchiato che sa di acqua e cartone. Una cubista che si dimena su un balcone sopra di me. Un figo che le balla accanto a torso nudo. Un gruppo di tizi che mi si agitano accanto, con gli occhiali da sole e i capelli sparati e l’indice rivolto verso l’alto. Indicano, anche loro, sa il cazzo che cosa. Butto lo sguardo da ogni parte per vedere se riesco a rintracciare gli amici e li scorgo non molto lontano, stanno chiacchierando con una tipa che forse conosco anch’io. Li raggiungo e scopro che parlano di sesso. 90 su 100, i ragazzi e le ragazze parlano di sesso, quando discutono tanto per cazzeggiare. Le ragazze con una sorta di onestà pulita, i ragazzi con l’eccitazione di chi vorrebbe spogliarsi e scopare entro 3 secondi. Le prime raccontano ingenue, i secondi se le immaginano nude e in un letto. Con loro, ovviamente.
Mi avvicino e mi unisco al discorso. Cerco di essere almeno un po’ simpatico. A volte ci riesco, a dire il vero. Anzi, ci riesco quasi sempre, se vogliamo dirla tutta. Parlo con la gente e mi accorgo che si diverte con le mie battute stupide e tutto sommato sono felice.
C’è un momento, lo giuro, nel quale mi sto quasi divertendo. Riesco a scindere la musica assordante dalle nostre parole e siamo ancora noi, io e i miei amici di sempre, ubriachi e sorridenti. Ma sono le 4 di notte e si torna a casa. Luca, domani cioè oggi, si sveglia presto, Giulio anche, Fabrizio pure, il sottoscritto altrettanto.
Sono io, costantemente io, sempre io, il coglione che inizia a divertirsi sempre e solo quando le cose stanno finendo.
E così ci incamminiamo verso l’uscita. Un tizio ubriaco mi urta, ma è in malafede, perché tiene la spalla contratta, segno che si attendeva l’impatto. Non me l’aspettavo e mi sento il colpo di frusta della cervicale. Stronzo di merda. Mi punta gli occhi contro, mi fissa con sguardo di sfida e mi dice qualcosa di offensivo, che però non comprendo.
Lo osservo. E’ giovane, nonostante il pallore. Molto più giovane di me, probabilmente sulla trentina. Ha gli occhiali da sole, poi per forza che vanno a cozzare ovunque.
Lo guardo e mi sento vecchio, perché a occhio è croce ci dividono una quindicina di anni. Lo guardo e mi fa un po’ pena, con il suo viso slavato alla Sid Vicious e il suo abbigliamento da coglione che oggi lo fa sentire un gran figo e fra dieci anni se ne vergognerà . Lo guardo e alla fine gli dico “-Scusami, ero distratto-â€, raggiungo gli altri e ce ne andiamo via.
Erano anni che non andavo in discoteca. I miei amici mi ci hanno tirato dentro a fatica. Mi guardo intorno e capisco che tutto sommato ci dovrebbero essere tutti i presupposti per passare una serata se non divertente, almeno accettabile. Ma allora perché mi sto spaccando il cazzo?
Perché non sento dentro quella forza che mi dovrebbe condurre in mezzo alla pista a saltellare come un grillo e mettermi di fronte alla consolle, ingobbito, sorridente, sudato, muovendo ritmicamente la testa? Perché non mi succede, dannazione?
Per tutto ciò io soffro. C’è una sorta di diversità che se a volte puoi fingere di vederla come la chiave di lettura della tua superiorità , molto spesso ti fa solo invidiare il tizio che scrolla la testa, accanto a te, con l’indice di una mano indica (ma che cazzo indica, poi?) alla Tony Manero, con l’altra si sistema il pacco. Bello sudato e soddisfatto. Sfatto. Fatti, non parole. Lui, si sta divertendo. Io, mi sto rompendo i coglioni.
Oltretutto la serata non era neanche iniziata nel migliore dei modi, avendo avuto una mezza discussione con un tizio della security. Stavo per entrare tranquillo e beato, quando un bicipite grande come la mia coscia, si piazza tra me e il paese dei balocchi.
“-Scusa, ma qui c’è selezione all’ingresso-â€, mi dice il titolare del bicipite, presumibilmente il fratello brutto di Andrè The Giant.
E mi guarda con quell’espressione di superiorità che mi dà veramente sui nervi. Vorrei evitare discussioni e non rovinare la serata a nessuno, per cui decido di accettare sommessamente il suo sguardo ebete e convinto, la sua faccia da cazzo, il suo tono arrogante, la sua espressione saccente, il suo abito nero da Man in Black che me lo fa odiare a pelle.
E’ lo stramaledetto fascino della divisa. Questo tizio si è messo l’abito nero e l’auricolare che fa tanto Neo di Matrix, e all’improvviso non è più Mario Rossi, un tranquillo ragazzone un po’ sfigato di provincia che si tocca l’uccello beandosi dell’immagine taurina che lo specchio gli rende. Non è più il coglioncello che tutti evitano al bar e trovano le scuse più incredibili pur di non sorbirsi i suoi discorsi inutili e noiosi.
Ora, con la divisa da becchino, lui non è Mario Rossi. Ma Super Mario, che non ha trovato nulla di meglio che andare a cagare il cazzo al sottoscritto. E pensare che mi ero detto: “-E vaffanculo, settimana pesante… jeans, polo lacoste e le mie adidas belle comode e sono il re del mondo-â€â€¦
“-Selezione all’ingresso?-†- io chiedo - “-Ma che selezione? Darwiniana?-â€
Poi mi dico “-Ma bravo, fai lo spiritoso. Adesso ti dirà di non fare lo spiritoso.-“ Poi mi dico “-Sì, dai, figurati se adesso capisce la battuta. Vuoi scommetterci un cento di fresca? Andata ! -“. Perso il cento di fresca. La battuta non la capisce, ma comprende l’intento.
“-Non fare lo spiritoso-â€, mi dice.
“-Spiritoso? No, chiedevo a proposito della selezione. Devo superare un test per entrare? O che altro?-â€
Dice “-Sai, qui ci si veste in un certo modo…-â€, guardandomi dall’alto in basso. Aggiunge “-Serve un minimo di eleganza. Non si può entrare con le scarpe ginniche, per esempio…-â€
Le scarpe ginniche? LE SCARPE GINNICHE ???
E continua a mettermi una mano sul petto, come a volermi fermare. Io sono immobile, non sto andando da nessuna parte, ma lui continua a mettere quella mano e mi dice “-Se sei venuto qui per fare questioni…-â€
“-Per fare questioni? Ma se sei tu che hai detto che mi vesto alla cazzo…-â€
E mentre io e Abominio bisticciamo, dietro di me passano le cose più incredibili, inenarrabili e bizzarre che io abbia mai visto. Calzoni metallizzati, canottiere di rete aderenti, mutande fosforescenti, zeppe alte due metri… tutto indossato da tipi che dimenano le braccia al cielo e indicano con il dito indice (ma che cazzo avranno da indicare, anche loro?), in una sorta di ballo che pare una crisi epilettica. “-Ma…e quelli?-â€, chiedo.
“-Beh, loro sono trendy-â€, mi risponde.
Per entrare in questo locale ho dovuto quindi implorare per alcuni minuti, questa ineguagliabile testa di cazzo. Mi spiaceva far tornare a casa tutta la ciurma dei miei amici, per colpa dei miei levi’s abbinati alle sneakers, e così ho mendicato a Terminator un libero accesso in un locale del quale mi fregava meno di niente â€-la prossima volta più eleganza, però-â€, mi ha ammonito Rambo mentre mi concedeva un po’ della sua magnanimità .
Ora eccomi qui, gomiti appoggiati al bancone, sguardo alla tizia scollata e scosciata e sudata che mi ha appena servito il quarto bacardi e coca. La musica è così distante da tutto quello che ascolto solitamente che nemmeno riesco a capirla. Così come non comprendo il campionario di varia umanità che mi circonda in questo momento.
Vado a pisciare. Sono ubriaco e stonato e stanco e scazzato e.
Una pisciata mi farà bene, perché mi immergerà per qualche minuto in un frastuono più ovattato e leggero e potrò tirare il fiato.
Il cesso sembra un’ambulatorio di emergenza in un campo profughi, con gente seduta a terra o che vomita in un lavandino o che piscia in caduta libera davanti a se tenendosi con i palmi delle mani al marmo del cesso che gli sta di fronte. Un tizio mi si avvicina e mi chiede qualcosa, ma non capisco un cazzo di quello che dice, perché ha le mandibole tirate e parla come l’attore di Scuola di Polizia, quello che fa il criminale idiota. Poi trova un tipo che vende pastiglie varie e mi molla per andare da lui, così posso guardarmi intorno e vedere se tra vomiti, chiazze di urina e schizzi di merda sparsa in giro si trova un posto per farci dentro un po’ di pipì.
Attorno a me ballano tizi impasticcati. Ragazzi piuttosto giovani. Quelli meno giovani hanno tirato un po’ di coca. Si capisce perché sono più coordinati, hanno gli occhi lucidissimi, una certa sicurezza nel viso che si abbinerà al sorriso sensuale quando appoggeranno la mano sulla coscia di qualche gnocca. Poi la serata virerà in positivo, probabilmente tromberanno anche. Gratis. Certi tirano la coca e basta, poi tornano a casa da soli.
Quando esco dal cesso la voglia di andarmene si è fatta così pressante che se non fossi qui con i miei amici, scapperei subito. E andrei fuori a urlare. Mentre mi incammino verso il bancone, dove mi piazzerò nuovamente immobile come un uccello impagliato, trovo un’ex collega di lavoro, fighissima nella sua minigonna e nel suo vestito attillato e nell’idea che le sue tette celate trasmettono di loro da una scollatura. Mi accorgo di come l’abito e il trucco cambino molto spesso ogni prospettiva, di come riescano a farti vedere sotto altri aspetti ed altre fantasie una persona che conosci così bene da esserti quasi indifferente, nel quotidiano.
Ci scambiamo praticamente tutti i luoghi comuni che conosciamo, dai “-come ti va?-†ai “-e lì al lavoro com’è, sempre uguale?-†fino ai “-salutami tutti, mi raccomando-â€â€¦
Ci congediamo l’una dall’altro baciandoci sulle guance, consapevoli entrambi che lei al lavoro non saluterà nessuno e a me non fregherà un cazzo della cosa.
Bancone. Tipa scosciata e scollata e sudata. Bacardi invecchiato che sa di acqua e cartone. Una cubista che si dimena su un balcone sopra di me. Un figo che le balla accanto a torso nudo. Un gruppo di tizi che mi si agitano accanto, con gli occhiali da sole e i capelli sparati e l’indice rivolto verso l’alto. Indicano, anche loro, sa il cazzo che cosa. Butto lo sguardo da ogni parte per vedere se riesco a rintracciare gli amici e li scorgo non molto lontano, stanno chiacchierando con una tipa che forse conosco anch’io. Li raggiungo e scopro che parlano di sesso. 90 su 100, i ragazzi e le ragazze parlano di sesso, quando discutono tanto per cazzeggiare. Le ragazze con una sorta di onestà pulita, i ragazzi con l’eccitazione di chi vorrebbe spogliarsi e scopare entro 3 secondi. Le prime raccontano ingenue, i secondi se le immaginano nude e in un letto. Con loro, ovviamente.
Mi avvicino e mi unisco al discorso. Cerco di essere almeno un po’ simpatico. A volte ci riesco, a dire il vero. Anzi, ci riesco quasi sempre, se vogliamo dirla tutta. Parlo con la gente e mi accorgo che si diverte con le mie battute stupide e tutto sommato sono felice.
C’è un momento, lo giuro, nel quale mi sto quasi divertendo. Riesco a scindere la musica assordante dalle nostre parole e siamo ancora noi, io e i miei amici di sempre, ubriachi e sorridenti. Ma sono le 4 di notte e si torna a casa. Luca, domani cioè oggi, si sveglia presto, Giulio anche, Fabrizio pure, il sottoscritto altrettanto.
Sono io, costantemente io, sempre io, il coglione che inizia a divertirsi sempre e solo quando le cose stanno finendo.
E così ci incamminiamo verso l’uscita. Un tizio ubriaco mi urta, ma è in malafede, perché tiene la spalla contratta, segno che si attendeva l’impatto. Non me l’aspettavo e mi sento il colpo di frusta della cervicale. Stronzo di merda. Mi punta gli occhi contro, mi fissa con sguardo di sfida e mi dice qualcosa di offensivo, che però non comprendo.
Lo osservo. E’ giovane, nonostante il pallore. Molto più giovane di me, probabilmente sulla trentina. Ha gli occhiali da sole, poi per forza che vanno a cozzare ovunque.
Lo guardo e mi sento vecchio, perché a occhio è croce ci dividono una quindicina di anni. Lo guardo e mi fa un po’ pena, con il suo viso slavato alla Sid Vicious e il suo abbigliamento da coglione che oggi lo fa sentire un gran figo e fra dieci anni se ne vergognerà . Lo guardo e alla fine gli dico “-Scusami, ero distratto-â€, raggiungo gli altri e ce ne andiamo via.