[RECE] Diana black - OTR diurna - Macere (RM)

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"Tranzilvania, Tranzilvania bitteee!"
Corre veloce l'Anagnina (e google maps la può anche chiamare Tuscolana ma per me è sempre l'Anagnina) in rapida discesa fino alle Macere se, scavallando il passo, si ha la fortuna di non star dietro ad uno dei tanti carichi di legname. Per sparagnare benza, me la faccio a folle e ingrano giusto alle due ultime curvette prima del piano dove svolto al parcheggio di fronte al bar ch'è l'unico posto comodo per tornarmene indietro. In salita arranco perché c'ho la macchina vecchia e questa è una di quelle salite che non danno tregua, buona per farci correre i ciclisti e affaticare loro i polpacci, lontano da tutto e lontano da tutti invece d'intasare il centro di Roma la domenica mattina, proprio quando non ho da preoccuparmi della ZTL... pensa l'automobilista.
Scorre lento il paesaggio, l'orizzonte cambia impercettibilmente ad ogni spinta e solo il bordo della strada pare correre un poco più svelto. Bello sarebbe, tutto bello, se non fosse per il brecciolino che le gomme mi fanno schizzare addosso ed è come una fitta grandine nera che prende ai fianchi e alle cosce; se non fosse ancora per il pulviscolo umido misto di pioggia trapassata, fanghiglia e residui di combustione che le macchine che mi superano mi buttano in faccia; se non fosse pure per gli scarichi puzzolenti dei camion che mi tocca respirare, e quanto sgasano! sgasano in salita e sgasano pure per rallentarsi col freno-motore. Bello andare in discesa, ma al ritorno fanculo la bici: mi faccio venire a prendere in macchina... pensa il ciclista.
Su e giù per queste strade di merda tutto il giorno, tutti i giorni, tutta la vita. Finché dura, che se mi piglia un colpo mi porto via mezza foresta co' 'sto trabiccolo, e magari pure una villetta. Ci mancava l'asfalto viscido. Solo col carico già è fatica guidare da 'ste parti. Pendenze del cazzo, curve del cazzo, e tutti questi altri che pare che c'hanno la prescia al culo e s'affacciano a sinistra un secondo sì e l'altro pure, finché qualcuno che viene dall'altro lato non se li incolla. Ci provassero a superarmi: fanno un frontale che poi glielo raccontano al padreterno. Ma io sto qua a lavorà, mica a divertimme. Tutte 'ste macchine de matina, ma nun c'hanno da lavorà pure loro, ma nun lavora più nessuno? Me piacerebbe fermamme da una de 'ste negrette ma io mica posso, 'cci mia, 'cci vostri... pensa il camionista.
Ma 'nvedi quanti camion stracarichi di alberi fatti a fette. Con tutto l'inquinamento che ci sta, col cupolone di grigio-smog che si vede sopra Roma, vanno a tagliare proprio quelli che ripuliscono l'aria e ci danno ancora un po' d'ossigeno. Neanche a dire che stiamo immersi nella foresta pluviale, che un po' di verde possiamo sacrificarlo: 'sti pochi so' rimasti e noi li tagliamo pure. Furbi che sono. Furbi che siamo. E benzina per le motoseghe che li abbattono e benzina per le gru che li caricano e benzina per i camion che se li portano via: fumo fumo fumo. Va' che bello spettacolo! 'na vallata coll'alopecia: su dieci fusti, nove li abbattono e uno lo lasciano. "Legna da ardere al quintale" di qua, "legna da ardere al quintale" di là. Vent'anni per crescere e una mezz'oretta di schioppi nel caminetto... pensa l'ambientalista.
Me la ricordavo più buia 'sta strada. Se nun me so' rincoglionito, 'na vòrta c'erano più alberi. Erano fitti fitti e la strada ce passava 'n mezzo che nun ce se vedeva 'na mazza tanta era l'ombra. Te ce facevi cieco a cercà coll'occhi 'na negretta là sotto. C'erano pure più mignotte. Te credo che so' diminuite: nun c'hanno più 'r posto 'ndo' riparasse pe' scopà. Bel capolavoro ch'hanno fatto. Meno male che quarcheduna è rimasta e nun ho fatto 'r viaggio a vòto, che già la strada pe' arivà qua è tanta e questa è pure 'na strada de' mmerda: ripida, nun c'è 'no spazio pe' tornà indietro, piena de cammìi. Non è tanto che questi vanno piano perché pure io vado piano pe' fforza: è che dietro ce se fa 'a coda e quello che c'ho dietro me sta così attaccato ar culo che nun me posso accostà senza fa' 'n'incidente o investì 'n ciclista... penso io che sono puttaniere.

CARATTERISTICHE GENERALI

NOME: Diana
CITTA DELL'INCONTRO: Macere (prov. di Roma)
ZONA: sperduta sul versante dei Colli Albani quasi opposto a Roma presso questo spiazzo
NAZIONALITA': nigeriana o ghanese... comunque di un paese africano
ETA': più di 20 e meno di 25
SERVIZI OFFERTI (vedi DIZIONARIO): bj, rai1
COMPENSO RICHIESTO: 20
COMPENSO CONCORDATO: 10
DURATA DELL'INCONTRO: 15'
DESCRIZIONE FISICA: bel fisico, longilineo senza essere skinny, sedere apprezzabile per rotondità e consistenza, poppame chiuso nel giacchetto quindi non descrivibile; bel viso un filino nerd, ampio sorriso.
ATTITUDINE: disponibile

LA MIA RECENSIONE:

La decina di black-girls su un lato e l'altro di questo tratto di strada è abituata a vestire di colori sgargianti per farsi meglio riconoscere sul limitare del bosco.
Alcune danzano al cospetto dei veicoli, altre consultano il palmare indifferenti a quanti passano.
A vederle di sfuggita, in quella manciata di secondi sembrano tutte bellissime.
Accostati, di là dal finestrino non tutte paiono così promettenti o per l'aspetto o per i modi.
Per come è combinata la strada, ogni intervista mi costa un quarto d'ora di percorrenze e mezzo litro di carburante.
Gira che ti rigira, mi risolvo in favore della prima ragazza intravista. Se ne sta sul limitare della sua piazzola con la calzamaglia tirata giù al ginocchio a mostrare il culo sballonzolante a tutti... così, senza mutande e senza pudore.
Mi fa cenno di seguirla lungo un sentierino che i suoi passi e quelli di altri hanno tracciato fra il fogliame del bosco ceduo e che finisce sotto un alberello sul bordo del precipizio. Alle sue radici spuntano buste ricolme di preservativi usati e fazzoletti stropicciati anziché funghi.
Si chiama Diana e parla soltanto inglese oltre, ovviamente, al suo idioma tribale. Ha un bel fisico, sodo senza essere risicato; ha soprattutto un bel viso, col mento piccolino e le guanciotte che fanno allegria. Ride e sorride: per questo sono sceso dall'auto.
Si accuccia e mi lavora con la bocca. Ha labbra grosse e morbide che è un piacere sentirsele addosso in certi posti. Per via del freddo, non si toglie il giubbetto; non si toglie neanche lo zuccotto di lana da cui fa capolino una corta frangetta. Con la calzamaglia abbassata, si gira e si tiene all'alberello con entrambe le mani piegandosi a 90°.
Si lascia prendere da dietro per un bel po', a mio piacere, avendo solo un sussulto nel momento in cui le stringo i fianchi con le mani gelide. Nonostante io abbia dimezzato – come d'uso – il rate da lei richiesto, lascia che faccia i miei comodi fino a trovare lo sfregamento giusto.
Mi tolgo il profilattico, mi ripulisco con una salviettina e arricchisco la collezione d'immondizie alle radici della pianta.
Diana: vent'anni per crescere e farsi scopare un quarto d'ora al freddo. Col sorriso, nonostante tutto e nonostante tutti. Persino nonostante me.
 
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