discussione intorno al piacere e al desiderio

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19 Ottobre 2014
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Questo racconto è frutto della mia fantasia. Eventuali riferimenti a persone esistenti e a situazioni reali è del tutto casuale


Fenomenologia comparata delle doppia didattica


Porca puttana, mi dico, che casino.
La morettina mi succhia davvero troppo forte. E mi ha infilato due dita su per il culo.
Si vede che le hanno insegnato così.
Io in piedi, lei inginocchiata contro il divano.
Le metto una mano sulla testa. Lei capisce e rallenta un cincinino.
Forse esagera perché vuole fare bella figura. Ma si capisce subito l'inesperienza.
Vorrà distinguersi, visto che trovare gente che ti paga mezzo palo per una notte non è frequente.
Siamo in soggiorno, perché Jaco e Beppe per il secondo giro hanno ben pensato di mettere in mezzo l'altra morettina, Giulia. E mi hanno lasciato il resto della mercanzia.
Ci sono preservativi usati sparsi per tutta la casa. Confezioni di Viagra e cartoccini di coca sui tavolini. E tracce di sperma e merda nell'altra camera da letto. Dove prima Beppe ha scopato con la biondina.
'Fanculo, domani devo dire alla Miriam, la nostra donna delle pulizie ghanese, di controllare tutto con attenzione.
Le giro 100 euro al mese di nascosto da mia moglie solo per cancellare le tracce delle mie cazzate.
E 30 per ogni pompino che mi fa. Di solito quando arriva la mattina presto e mi trova ancora a casa. 50, se mi tira di girarla a pecora e metterglielo nel culo.
Di solito le triple le facciamo a casa di Beppe. E paga sempre lui, per lui tre rosa grandi sono niente. Ma questa volta le pupe le abbiamo caricate praticamente sotto casa mia.
La morettina che mi sta spompinando si fa chiamare Lorena. L'ho presa la settimana scorsa e non ho fatto in tempo a valutarla. Ero di fretta e, contro ogni abitudine, ho concordato una pompa cabrio in macchina, nel parcheggio dietro casa mia.
Comunque, adesso si sta impegnando.
Prima è stata con Jaco, mentre la Giulia me la sono farcita io.
Glie l'ho preparata, come dicono scherzando i miei amici.
In effetti, l'ho spanata per di dietro.
Non è stato troppo difficile, nonostante l'inesperienza. Anche se ce l'ho grosso, ho pazienza e metodo. Anni e anni di pratica.
Non vengo.
Cazzo, in queste situazioni posso andare avanti per ore, ma non vengo.
È la prostata. Ma è anche la testa.
Se vengo, poi, mi ci vuole un tot per riprendermi.
E non posso sprecare il tempo pagato con un calo di eccitazione.
Non è razionale, ormai, è rituale.
Non ho neppure preso il Viagra, di cui i miei amici hanno invece abusato.
Ce l'ho duro e rimarrà duro, per ore.
La bimba emerge e mi sorride guardandomi dal basso con espressione fiduciosa.
Mi infilo un condom e la faccio sedere sul divano.
Mi ha detto prima timidamente che non è brava a metterlo.
Apre un poco le gambe, mi inginocchio proprio davanti e me la tiro contro.
Lei tiene botta senza reazione apparente. Ma è strettina.
Per cui, esco, mi sputo sulle dita e la bagno tra le gambe.
Poi la inforco di nuovo.
Ha due belle tettine naturali, dure e lisce.
La sua patatina continua ad essere stretta e poco bagnata.
Le allungo le labbra. Lei me le sfiora senza metterci la lingua.
Si stacca e mi sorride con aria di rimprovero.
La tua amica, obietto, bacia.
Lei alza le spalle un po' innervosita.
Non avevamo parlato di FK quando abbiamo contrattato.
Si era stabilito che si faceva tutto. Tutto coperto, tranne bocca, fino alla fine.
Entra la biondina provenendo dal bagno.
Cammina cauta e si massaggia il sedere.
La invito con un'occhiata a sedersi anche lei sul divano.
Forse è la più carina del gruppo.
Lei obbedisce, si accomoda educatamente, a gambe aperte.
Mentre pompo piano la Lorena, le accarezzo la passerina glabra.
Lei mi sorride invitante.
È arrossata tra le chiappe. Dopo l'inculata di Beppe, deve essersi sgurata e impomatata per lenire il dolorino. Nel bagno ci sono un sacco di creme di mia moglie, ottime per questi usi.
Dopo che sarò passato io, la minaccio, cara bimba ti ci vorrà qualcosa di molto più analgesico.
Lei ridacchia.
Poi, curiosa, viene a vedere le mie dimensioni.
Per farle capire meglio, esco quasi tutto dalla Lorena.
Non mi ricordo come si chiama, forse Marina.
Ride di nuovo, scuotendo le tette.
È la più accessoriata. E anche la più esperta, credo.
Le altre due non hanno ancora vent'anni, praticamente new entry, lei qualcuno di più.
Anche se non l'ho mai presa, la vedo in strada da un po'.
La Lorena mi sta stancando. Totalmente passiva.
Ma mi piacciono le imprese ardite. E pompo con determinazione e senso del dovere.
Quando si tratta di figa, sono sempre animato da sentimenti positivi.
La biondina si tira un po' avanti e mi allunga un bacino.
L'altra ci guarda con un certo sconcerto.
Torno a massaggiarla tra le gambe e le infilo la lingua tutta in bocca.
Ha capito che mi stavo stancando e deciso di tirarmi su.
Complimenti.
E forse ha anche intenti didattici.
Le puttane sono enigmatiche, inutile cercare di capirle.
Mi sta anche dicendo che non è ancora ora che passi a lei.
Ok, decido accettando la sfida.
Esco dalla Lorena, mi siedo sul divano e me la tiro sopra.
La bimba, avendo capito, questa volta si umetta abbondantemente la patata di saliva.
La biondina ha deciso di fare la troia, perché mi tiene il pinco dritto, mentre l'altra si abbassa a farsi penetrare.
Questa volta entra abbastanza agevolmente.
Non si muove, ma va bene. Aspettiamo che si assesti un attimo.
Ah, fa Jaco ridanciano entrando, vedo che te la cavi anche senza di noi.
Va in cucina, prende una bottiglia d'acqua dal frigo e ne beve una sorsata avviandosi.
Sarà una cosa lunga, ridacchia.
Lo so come finirà.
Si faranno di coca come dei deficienti. Cercheranno inutilmente di ingropparsi la ragazzina in doppia. E tra non molto, frustrati e tremanti di fattanza, me la rimanderanno indietro.
Succede sempre così. La coca è una merda infinita.
Va su e giù, per cui ogni tanto capita che si riprendano.
Ma la doppia non è mica facile, dubito che ce la faranno. Sosterranno che non era abbastanza eccitante ed esperta.
Non si scopa con il cazzo, lo dirò sempre, si scopa con la testa.
E dopo questa inconfessabile delusione, finiranno la nottata continuando a farsi, sparando spacconate e tentando inutilmente di addormentarsi. Lamentandosi della stanchezza.
Coglioni.
La biondina ha capito che se non succede niente mi innervosirò.
Per cui, spinge la morettina a muovere leggermente il sedere. Le ha messo una mano su una chiappa per incoraggiarla ad un ritmo lento.
Poi si abbassa a baciarmi di nuovo.
Stanco di cercarle il cicciolo di fuori, le infilo un dito nella patatina. Subito è secca, ma non ci mette molto a inumidirsi.
Si stacca e mi guarda sorridendo.
Sono curioso di vedere come reagisce al trattamento fino.
Appena concludo con questa, mi sa che mi dedicherò a lei in modo esclusivo. Probabile che ne esca qualcosa di interessante.
La morettina ha capito che aspettiamo una sua reazione.
Per cui, si abbassa un po' incerta e mi infila anche lei la lingua tra i denti.
Ci baciamo piano.
Le prendo entrambe le natiche e la faccio accelerare appena un po'.
Certo che è un gran bel gnocchino.
Non fa in tempo a staccarsi, che l'altra si avvicina al mio viso.
Anche la biondina mi bacia piano, ma ha una tecnica molto più consumata.
Mi cerca la lingua con la sua, si spinge più profondamente nella mia bocca.
Si toglie con un sorriso divertito.
L'altra è accaldata e un po' confusa. I capelli scomposti e un rivolo di saliva che le scende dal labbro inferiore.
La Marina glielo tira via con un dito.
E ridacchia.
Di là si sente parlare in modo un po' concitato. Forse stanno cominciando ad ammosciarsi.
Il problema è che la coca ti esalta e ti toglie lucidità. Sai che sei in calo, ma non lo ammetti.
Jaco mi chiama.
Torno subito, mi raccomando, non fate niente di interessante in mia assenza.
Spingo via la morettina divertito.
Entrambe si siedono comode, a gambe semichiuse a prendere aria.
Raggiungo la stanza da letto.
La Giulia si lamenta con qualche ragione.
Sta seduta sul cazzo di Beppe e Jaco cerca di entrarle dietro.
Non è facile. E lei non deve essere abituata.
Il Beppe se l'è tirata contro, le tiene ferma la testa e intanto la bacia. Ma lei gli tira piccoli pugni sul petto, forse impressionata dalla pressione inusuale di due cazzi di discrete dimensioni tra le gambe.
Come cazzo hai fatto a metterglielo in culo? Chiede Jaco.
Si tira via e mi mostra l'evidenza del buchino chiusissimo della ragazzina. Nonostante sia stata unta più che abbondantemente.
Succede spesso.
Dopo una penetrazione anale prolungata, e quella che le ho praticato è stata piuttosto prolungata, capita che il sederino si stringa. È una reazione quasi automatica dello sfintere, credo.
Succede con le ragazze inesperte. Soprattutto se la penetrazione è avvenuta lentamente, con molta lubrificazione e aspettando che il culetto si aprisse senza forzare.
Adesso non è rilassata. Non entrerà, è matematico.
Fate con calma, suggerisco.
Sorrido alla ragazzina che, riemersa dal bacio del Beppe, mi fissa con occhio implorante pietà.
Beppe è un tossico senza speranza, ma non è coglione. Sa che ho ragione.
Per cui, spinge via la ragazza e le fa qualche carezza sul viso.
Jaco no, Jaco era già sulla mia lunghezza d'onda. Per questo mi ha chiamato.
Sapeva che arrivando avrei sciolto la tensione.
In ogni caso, entrambi sono già nella fase dell'occhio iniettato, dei lunghi sospiri e delle spalle tremanti.
Meno di dieci minuti e la Giulia non dovrà più sottomettersi a penetrazioni complicate.
Al massimo, dovrà ciucciare i loro cazzi semirigidi a turno o, più probabilmente, in stereo.
Le sorrido incoraggiante. La bimba è carina da matti, fresca e disponibile.
Le allungo un bacino sulle labbra e smammo.
Prima abbiamo limonato a lungo, sono persino riuscito a farla bagnare.
È una brava cinna.
Tutto a posto? Mi chiede la Marina.
Sembra un po' allarmata per la sua amica sotto i ferri nell'altra stanza.
Tranquilla, la rassicuro.
Mi faccio posto tra le due squinzie e mi siedo.
Il pinco è ancora imbustato e in tiro.
Ma una leggera fitta di stanchezza mi percorre la schiena.
Comincio ad essere un po' vecchio per tutta questa ginnastica.
Meno male che domani non lavoro.
Si sono accese una sigaretta a testa e sembrano piuttosto poco dell'idea di ricominciare subito.
Per cui, le imito e cerco di rilassarmi.
Se mi cala, non c'è problema. C'è Viagra in abbondanza.
La biondina spegne la sua cicca, mi sorride e si inginocchia tra le mie gambe.
Mi sgoldona, lo imbocca e lo succhia lentamente.
L'altra la guarda con occhio poco interessato e si gratta una tetta.
Appena spegne anche lei, me la tiro un po' contro e la bacio di nuovo.
Adesso non resiste, anzi.
Forse non vuole sfigurare nella competizione con la biondina.
Che poco alla volta me l'ha ingoiato tutto e saliva abbondantemente.
Accarezzo una tetta della morettina, poi scendo a toccarle il pancino e le cosce.
Lei apre ulteriormente le gambe e le accarezzo la patata.
Non è proprio bagnata, ma neppure secca come prima.
Con l'altra mano vado in esplorazione dello stretto.
Io? Fa la Marina riemergendo dal pompino.
Dopo, sorrido, riproviamo con lei.
La ragazza mi srotola un preservativo e lascia il posto alla moretta.
Non sa bene come fare.
Decide di mettersi di schiena.
Povera piccola. Con le gambe piegate resisterà solo qualche minuto.
Ma apprezzo la buona volontà.
Si piega e se lo infila lentamente.
Entra, su. C'è delle strettume, ma ho visto di peggio.
La biondina sorride amara scuotendo la testa.
Cerco di togliere la morettina dall'imbarazzo. Per cui, chiudo le gambe e la spingo a sedersi sul mio bacino.
La ragazzina torce il collo e mi guarda divertita.
L'inesperienza delle volte è più eccitante del mestiere.
La bionda torna a baciarmi e a farsi sfrugnare in mezzo alle cosce.
Cos'è successo di là? Chiede curiosa.
Niente, sospiro, volevano farle una doppia, ma non entrava dietro.
La morettina, intanto, ha capito che deve mettere le mani sulle mie ginocchia e muoversi un po'.
La biondina si morde un labbro incerta.
Tranquilla, ripeto, adesso smettono. Non sono stronzi, stavano solo giocando.
Ok, fa lei, sai, non è tanto esperta.
Annuisco.
Devo fare qualcosa? Chiede.
Succhiami i capezzoli, suggerisco. Dopo proviamo a metterlo in culo anche a questa.
Oh, fa lei sapiente, con quel coso dovrai lavorartela parecchio.
Sorrido, mentre mi lecca il petto e mi stringe l'affare.
È intraprendente. Senza che le chiedessi niente ha allungato la manina.
La morettina, non sapendo bene, la imita stringendomi lo scroto.
Normalmente, sarei già sul punto di venire.
Ma niente da fare, in queste situazioni va sempre così.
Jaco torna e si siede su una sedia.
Probabilmente il Beppe gli ha chiesto di lasciarlo provare da solo.
Si accende una sigaretta e ci guarda con occhio lubrico.
Posso? Chiede poggiando la paglia su un piattino.
Beve quel che resta in un bicchiere di vino rosso e si siede al mio fianco.
La biondina capisce che tocca a lei. Per cui si alza e va ad accoccolarsi sul ventre del mio amico.
Non ce l'ha tanto duro, ma forse ce la fa.
Si baciano a lungo. Lui le tocca il seno e le accarezza le belle natiche.
La morettina torce la testa per vedere quel che succede.
Fa davvero tenerezza.
Per cui, la giro e me la tiro sopra per davanti.
Jaco non ha fretta, la ragazza sorride e lo bacia. Scende a succhiargli i capezzoli.
Sfrega il pube sul suo affare.
Poi, si stacca, gli fa allargare meglio le gambe e si piega a succhiarglielo.
La morettina osserva, poi si gira a sorridermi.
Sembra divertita.
Le stringo il seno e me la tiro di nuovo contro.
Mi bacia, ma sembra distratta. Vuole vedere bene quel che fa la sua amica.
La bionda piega le ginocchia e continua il suo lavoro di bocca.
Sono più eccitato da quel che fa la Marina a Jaco di quel che sta facendo la piccola Lorena a me.
Il mio amico tiene una mano sulla testa della biondina e allunga l'altra a toccare il seno della mora.
Oh, cazzo! Mi lamento intimamente, adesso sono davvero in tiro.
Spingo via la morettina e la giro a pecora, inginocchiata sul divano.
Jaco ne approfitta per infilarle la lingua tra i denti e accarezzarle la testolina.
Entro di nuovo e spingo con una certa energia.
La Lorena emette un piccolo ansito.
La biondina, divertita, si gira e si allunga per baciarmi. Con una mano tiene il cazzo del mio amico, con l'altra sfrugna il culo della bimba mora.
La confusione comincia piacevolmente a incasinarmi.
Ispirato dalla telepatia minima che in queste occasioni finisce sempre per serpeggiare, prendo dal tavolino la scatola di preservativi e l'allungo alla ragazza.
Lei lo apre concitatamente con i denti e lo srotola sull'affare di Jaco, che si è ripreso. ecco.
Così, gli si siede sopra, dandogli la schiena.
Molto più intelligentemente dell'altra, prende un cuscino e se lo mette sotto i piedi. È l'esperienza, via!
La morettina continua a baciare il mio amico, io la spingo sempre più violentemente contro lo schienale di divano. Dal sedere le esce un certo odorino, ma è normale, su.
Decido che è ora, per cui allungo anche la scatola di lubrificante alla Marina.
Lei ridacchia e se ne mette un po' sul didietro.
Poi comincia a impomatare lo sfintere dell'altra.
La morettina si stacca subito dal bacio di Jaco e la guarda terrorizzata. Poi torce il collo in una muta richiesta di lasciar perdere.
Ma la biondina, inflessibile, la unge per di fuori ed entra con un ditino a controllarla anche dentro.
Jaco si sta divertendo tantissimo, almeno quanto me.
La biondina ricontrolla il suo, di culo, e deve aver deciso che è ok. Per cui, si tira su, prende il cazzo del mio amico con due dita e se lo infila dietro.
Sta in piedi sul cuscino, un po' malferma, con le gambe che le tremano un pochino.
Subito entra solo la punta e lei stringe i denti.
Ma poco alla volta si fa strada.
Del resto, ci era già entrato Beppe. Che non è un mostro, ma certo neppure un minidotato.
La ragazza si impala lentamente, poggiando la schiena sul petto del mio amico.
Quando è in fondo, torce il collo e cerca la sua lingua.
Complimenti, mi dico, non è da tutti.
Tiro indietro la morettina, sempre a pecora, ma in piedi. Le faccio poggiare le mani sul divano, in modo che veda come stanno inculando la sua amica.
E le poggio l'affare sullo sfintere.
Lei si gira ancora a fissarmi con una smorfia dubbiosa.
Calma, le sorrido, se fa male smettiamo.
Lei torna a guardare il cazzo del mio amico che scivola piano nel culo della biondina.
La sua incertezza è palpabile. E il suo stupore, anche.
Forse l'ha fatto, ma non l'ha mai visto fare.
Allunga una manina e tocca il cazzo di Jaco. Adesso è duro come ai vecchi tempi.
Forse non si è pippato tanta roba, come fa immancabilmente il Beppe.
Del resto, dopo la malattia ci va piano.
La biondina le sorride incoraggiante. Si è staccata dal bacio del mio amico. Del resto, non era una posizione comoda.
E lei sale a toccarle anche la patatina glabra.
Da cui scende una piccola riga di umori.
La biondina emette un ansito quasi credibile.
E la morettina si gira a guardarmi divertita.
Il suo culetto per ora non reagisce alla mia moderata pressione.
Ci vuole pazienza. Prima o poi cederà.
La biondina è tutta tesa, un po' ritorta. Con una gamba leggermente piegata.
Si abbassa e si alza con un movimento lento. Che Jaco accompagna sapientemente.
Prendo ancora lubrificante e me lo spalmo sul condom, senza smettere di spingere leggermente.
Ahi, fa la piccola quando comincia a entrare.
Cerca di tirarsi via, ma la tengo per le anche.
Per cui, si abbassa un po', alzando ulteriormente il sedere.
E il mio affare entra fino a metà.
Si lamenta stringendo il telo copri divano con le dita tese.
Poi, appena entra tutto, soffia di sollievo.
Ha poggiato una guancia sul divano e ansima. I capelli incollati alla nuca, la fronte imperlata di sudore.
È tanto stretto che non riesco certo a muovermi.
Le accarezzo la schiena e le spalle.
Lei continua a soffiare e lamentarsi piano.
Il mio amico allunga una mano e le infila un dito tra le labbra.
Lei lo succhia spossata.
E io, sempre più eccitato, provo a muovermi.
Poco alla volta cede.
Lo estraggo quasi tutto e lo spingo di nuovo fino in fondo.
La ragazza inarca la schiena e si prende le tettine con entrambe le mani.
Che si sia eccitata davvero? Cazzarola, è troppo inesperta per recitare una parte del genere.
La tampono ancora più decisamente, spingendola di nuovo contro lo schienale.
Finisce contro Jaco, che la fa alzare e la bacia.
Approfitto dell'avanzata e mi allungo a infilare la lingua tra i denti della Marina.
E un ditino nella sua patatina.
Questa si chiama entropia.
Anche il mio amico allunga una mano. E accarezza la morettina tra le gambe.
La ragazzina mugola sommessamente e, con una scossa alle spalle, si accascia.
Porca puttana, mi dico, se è simulato è davvero ben recitato.
Esco precipitosamente dal suo culo, mi tolgo il copertone e me ne infilo un altro.
Poi mi metto tra le gambe del mio amico e penetro per davanti la biondina.
Lei si irrigidisce, caccia un piccolo urlo e mi stringe il collo con entrambe le braccia.
Cazzo, cazzo, cazzo! Inveisce.
In questa posizione, muoversi è difficilissimo.
Dobbiamo farlo lentamente e con un minimo di sincronia, come ben sappiamo.
Ci proviamo. Mentre lui spinge un po', io mi tiro indietro. E viceversa.
Preso il ritmo, procediamo regolari.
La biondina mi lecca le labbra grufolando di gola. Ha gli occhi sbarrati e i capelli le sono scesi sul viso.
La morettina, intanto, si sta riprendendo.
Si è messa quasi seduta e si tocca il sedere ansimando.
Se la ricorderanno questa serata. Le abbiamo ben pagate, ma non siamo clienti facili.
Ehi! Esclama Beppe entrando seguito dalla Giulia altrettanto biotta.
Devono aver fatto pace, perché lei sorride.
Accidenti, si complimenta.
Si avvicina e controlla il culo della morettina sollevandole una chiappa.
Fa un piccolo brivido e il cazzo moscio gli si inturgidisce un po'.
Però, obietta, se vi scambiate il posto non sarebbe altrettanto comodo.
Jaco annuisce ridacchiando.
Il Beppe sale sul divano e spinge il suo cazzo verso la bocca delle biondina.
Lei scioglie il suo abbraccio, smette di sbaciucchiarmi e lo prende fino in gola.
Gorgoglia strabuzzando gli occhi.
Vengo, annuncia Jaco.
Spinge il suo affare tutto nel culo della ragazza. E sento che si scarica con lunghe ondate.
'Fanculo, sbotta il Beppe. Anche lui si deve essere eccitato per la tripla in contemporanea.
Esce dalla bocca delle biondina e si tira contro la Lorena.
Non era pronta, ancora un po' imbambolata, e non chiude bene le labbra.
Per cui, lo sperma le scende sul mento e le cola sulle tette e sulla pancia.
Tossisce e finisce per sputarsi il resto in una mano.
Il Beppe ridacchia costatando l'inesperienza.
E le accarezza la testa amorevole.
Una pista, decide.
Scende dal divano e va in camera.
Jaco sembra intenzionato a seguirlo.
Per cui, esco dalla biondina e mi siedo spossato.
La ragazza si tira su, con le gambe malferme. E mi si accascia di fianco.
Il mio amico si alza, si toglie il goldone pieno e lo mette in un posacenere.
Poi se ne va a sniffare pure lui.
Vai a lavarti la bocca, consiglio la Lorena.
Lei, ancora confusa, annuisce. Ma non si muove.
E tu, consiglio la Marina, vai a lavarti il sedere. Tutto quello sfregamento deve aver mosso qualcosa.
Anche lei annuisce.
La Giulia capisce l'intontimento generale.
Così, prende la morettina per una mano, la tira su e l'accompagna in bagno.
Mi avete sfondato, osserva seria la biondina.
Alzo le spalle.
Non lo avevo mai fatto, insiste con una smorfia contrita.
Ti ha fatto male? Cerco di capire.
Mannò, fa lei incerta.
Non so che dire. Sono teso e inconcluso.
A dar retta ai miei sentimenti, la girerei e glielo infilerei nel culo fino alle palle. Senza preliminari.
Ma sento che non è la cosa giusta.
Non so, aggiunge con un sospiro, è che ho perso il controllo.
Capisco, le sorrido.
Mi allunga le labbra e mi da un bacino.
Vado a lavarmi, ridacchia, hai ragione, il cazzo in culo mi ha mosso qualcosa.
Il preservativo che il mio amico ha lasciato nel posacenere è rigato di merda e puzza un po'.
Mi tolgo anche il mio e glielo metto sopra. È fradicio e maleodorante pure lui.
La biondina si alza malferma sulle gambe e raggiunge il bagno ancheggiando appena.
Mentre la Giulia torna sospirando.
Ma cos'è successo? Chiede sedendosi su una delle mie gambe.
Le mostro il mio affare ancora durissimo.
Lei ride cristallina e me lo impugna.
Prima l'ho inculata con misurata dolcezza. Non le è dispiaciuto, in fondo.
Anche se si è ritualmente lamentata.
Del resto, una puttana non può mica darti il didietro senza fartelo sudare.
Era sorpresa che non venissi, ma quando le ho detto ok, non ha commentato in alcun modo.
È successo, spiego, che un gioco di provocazione si è trasformato inaspettatamente in un errore di piacere.
Scuote la testa. Non capisce.
Sospiro.
La sua manipolazione non è tecnicamente tanto valida, ma io sono eccitatissimo.
Marina, cerco di semplificare, giocava a insegnare come si scopa alla Lorena.
Alza le spalle.
È più brava, ammette.
Solo, la ignoro, che mentre le faceva vedere come fare, ha cominciato a piacerle, almeno un po'.
La ragazzina mora mi fissa attonita con i suoi occhioni scuri.
È davvero bellina. Un po' troppo skinny, per i miei gusti, ma piacevole.
La guardo compiaciuto.
Zero tette, gamba lunga, sedere ben disegnato.
Ma calma, una cosa che mi piace.
E guardando l'altra, continuo, si è eccitata. E l'altra anche lei.
La bimba ridacchia incredula.
Era come al cinema, mormoro, hai presente? L'eccitazione è contagiosa. Vedi e ti immedesimi, provi piacere e lo trasmetti a chi ti sta vicino.
Mai successo, sorride sempre più divertita, devo provare.
Mai visto un film porno? Mi incuriosisco.
Massì, fa lei, sul computer ogni tanto li guardo. Ma sempre da sola.
E ti eccitano? Mi informo.
Alza le spalle.
Delle volte faccio così, ridacchia imbarazzata mimando un ditalino.
Fantastico, mi dico sempre più allupato.
E ne guarderesti uno insieme a me, adesso? Propongo.
Non so, balbetta confusa.
Mi alzo e vado al pc. Mi collego con un sito porno e carico un filmino che conosco.
Una roba abbastanza soft, tra due donne e un omarino piuttosto ben dotato.
La ragazza torna a sedersi su una mia gamba e, quasi automaticamente, mi afferra l'affare.
Guarda interessata i preliminari tirandomelo lentamente.
L'attore bacia una delle ragazze, mentre l'altra ignara segue un video semiporno in televisione.
Sono stesi su un divano, completamente vestiti.
Ti piace? Chiedo.
Non so, tituba, non è lo stesso con qualcuno vicino.
Le infilo una mano sotto il sedere e le cerco la patatina.
Lei mi guarda un po' disorientata.
È già bagnatina.
Sono molto più eccitato adesso di quando l'ho inculata prima.
Le ho fatto il servizio quasi per dovere, perché è così che ritualmente prendo le ragazze.
Adesso, invece, la sua incertezza mi sconcerta.
Le allungo le labbra.
Lei mi ricambia. Come prima, quando me la sono farcita.
Ma si stacca subito per tornare a guardare il video.
Dove la seconda ragazza si è accorta con sorpresa che gli altri due stanno pomiciando e si è infilata un dito tra le gambe. In attesa di essere coinvolta.
La ragazzina mi sorride divertita.
Non ha ancora vent'anni, probabilmente prima di fare la puttana non sapeva niente di sesso.
Ma la sua cosina, adesso, gronda umori. E i capezzolini le si sono induriti.
Mi allunga lei le labbra.
E, nonostante la presa inesperta, vengo.
 
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Macché libro...
Io già lo vedo...
Sarebbe un must delle serie TV.
Dopo Sex and the City ... Sex and the Bitch
:w00t:
 
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Questo racconto è frutto della mia fantasia. Eventuali riferimenti a persone esistenti e a situazioni reali è del tutto casuale


Entrambi felici
(diario di viaggio n. 32)


Tua moglie? Chiede con un ghigno maligno.
Bene, grazie, sospiro.
Sono esausto. In viaggio da oltre un giorno e vorrei tanto andare a coricarmi.
Ma le lezioni finiscono tra poco, all'una e mezza. Vorrei almeno salutare il direttore.
Sergio sorride allusivo.
Sempre frustrata dalla competizione? Cerca di indovinare.
Massì, sbuffo, ha accettato questo nuovo lavoro al consorzio pensando di andare in giro per il mondo con la cooperazione. E, invece, le tocca di rimanere a Milano a coordinare i progetti che mandano altri in giro.
Mentre tu ..., ridacchia.
Mentre io, ammetto, vengo continuamente chiamato a partecipare a progetti internazionali senza neppure aver fatto domanda.
La bottiglia sul tavolino contiene ormai solo due dita di vodka. Se lo conosco bene, deve averla aperta a colazione.
Ride e beve quel che resta del bicchiere.
Lo riempie di nuovo.
Non ce la potrà mai fare, scatarra divertito, ho sempre invidiato questa tua capacità di avere successo senza sforzo. Serendipity, la chiamano.
Che in italiano si traduce con il termine “culo”, sospiro.
Strappandogli un altro dei suoi sorrisi sornioni.
Quando eravamo all'università, Sergio era considerato il più promettente del nostro corso.
Si era rovinato con l'eroina. Alla fine, non riuscendo a superare analisi due, passò a economia.
E si laureò molto tardi.
Per anni abbiamo frequentato gli stessi progetti e ci siamo incontrati in giro per il mondo. Soprattutto in estremo oriente, dove praticamente ormai si era stabilito.
Adesso spergiura di non farsi più. Ma non deve essere facile da queste parti.
Gira roba praticamente gratis.
In ogni caso, se la droga l'aveva risparmiato, ci avrebbe pensato l'alcol a rovinarlo.
Come pensi di sistemarti? Chiede cauto.
Lì fa il procuratore per diversi progetti, per cui ha tutto sotto mano.
Non so, confesso.
E mi accendo una sigaretta.
Entra una tipa. Porta un vassoio con una caraffa d'acqua patinata di gelo. E diverse bottigliette di robe poco classificabili. Forse bibite per diluire l'alcol.
La donna è quel genere di tinca indocinese che tutti vorrebbero prima o poi pescare.
Porta pantaloni larghi di leggero cotone nero, che non riescono a nascondere il sedere perfetto, e una camicetta bianca chiusa da una parte, su due tette strepitose.
Sergio le guarda amorevole depositare tutto l'armamentario sul tavolino e si allunga a prendere un'altra bottiglia di vodka da un mobiletto con mini frigo annesso.
Il condizionatore borbotta sommessamente.
Fuori ci sono quasi quaranta gradi e l'umidità ti incolla le dita.
Ma nel suo ufficio si sta bene.
Puoi andare all'hotel, spiega, e farti accreditare 75 dollari a notte.
Lo conosco. È il miglior albergo di Mae Hong Son, ma non è certo entusiasmante.
Oppure, alza le spalle, ti faccio ospitare nella pensione.
Diffido sempre delle sue proposte. Mi ha tirato ormai milioni di inculate.
Non per cattiveria, certo. È che si diverte.
Che sarebbe? Mi informo.
Niente, fa lui superiore, è la scelta che hanno fatto praticamente tutti. Per la stessa cifra ti procuro un piccolo appartamento come questo e il personale che ti segue. Oltre ai pasti allo spaccio o al ristorante. Sempre che tu non preferisca farti preparare qualcosa in casa.
Sorrido incongruo.
Questa è la logica della privatizzazione.
Col cazzo che la mia amministrazione mi lascerebbe fare simili stronzate. Vorrebbe tutto a piè di lista e niente sgarri.
Invece, con le agenzie, la rendicontazione la seguono gli stessi che predispongono il servizio.
E in questo modo, riescono a fare qualche cresta.
Non so cosa rispondere. Per me non fa differenza.
E, a ben pensarci, la responsabilità è tutta sua. Io seguirei solo un'opzione già prevista dal progetto.
Sono in aspettativa dalla mia amministrazione, pagato dall'Unione Europea. Per cui, va bene.
Ma subodoro qualche altro inghippo.
Sergio mi fa un segno allusivo alla porta da cui è appena uscita la funambolica tailandese.
Il personale, mormora, ti segue in tutto.
Sono sempre più divertito. Se si parla di figa, con Sergio l'inculata è assicurata.
Ricordo ancora quella volta al Cairo, quando ci ha fatto aspettare tutta una notte una puttana che doveva raggiungerci in albergo.
Ogni tanto ci telefonava, per dirci che tra poco sarebbero arrivati.
E, intanto, lui se la scopava nella sua stanza, al piano di sotto.
Simpatico bastardo, figlio di troia.
Entrano altre due signorine. Una ventenne in jeans e camicetta, anche lei figa al quadrato. E una ragazzina minuta, in leggings e maglietta strettissima.
La grande si inginocchia su un cuscino di fianco al mio amico. E mi sorride.
La piccola rimane in piedi.
Sono sorelle, fa lui, se ti vanno bene, le metto al tuo servizio. La grande a metà tempo, perché lavora anche per me, l'altra tutta tua.
Servizio completo? Cerco di scherzare.
Ovviamente, fa lui.
Ma dai! Mi inalbero indicando la piccola, ma questa non ha neppure l'età per andare in motorino.
Vuoi scherzare? Fa lui, ha 19 anni e ne ha viste di ogni. Non preoccuparti.
Non mi fido manco per un cazzo.
La ragazzina è davvero carina. Sembra più cinese che tailandese, ma vai a capire.
Magari vengono dalla vicina Birmania, dove ci sono centinaia di etnie diverse.
Massimo un metro e mezzo. Nasino a patata, occhi enormi, visino tondo, capelli a caschetto.
Un corpo acerbo, ma gambe piene, messe in risalto dalle pantacalze, con ciccetta distribuita come si conviene alle adolescenti in procinto di maturare. Un po' anche sui fianchi e sulle braccine.
Difficile che sia davvero sorella dell'altra, sono diversissime. Con tutto che da queste parti, si dichiarano sorelle in senso ampio, per dire che sono parenti, magari cugine.
Sono sempre più stanco, non voglio complicazioni. Anche se a dire il vero non rischio niente.
Intanto, esiste anche la possibilità di non scoparsela.
E per la questione del lavoro minorile, non sono io il datore.
Sergio dice qualcosa in francese alla ragazzina, che non capisco.
Lei sembra stupita.
Ma esce immediatamente.
Preferisci il rum? Chiede serafico.
No, grazie, sospiro, preferirei un letto comodo.
Tra un'oretta, annuisce, potrai riposare.
La ragazzina torna e mi porge gentilmente il suo passaporto.
Non è facile da interpretare. È in tailandese e i dati sono organizzati in modo un po' complicato.
Ma sembra che la data di nascita sia conforme. Ha davvero appena compiuto 19 anni.
Lei mi fa un sorriso stentato.
Ma la ragazzina non è tailandese. Forse Mon o Shan, che da sempre vivono in queste valli. O Akha o il felice incrocio tra alcune delle innumerevoli etnie che popolano la parte centrale dell'Indocina.
Va bene, mi arrendo.
Ok, si compiace, dopo ti accompagniamo. È proprio qui dietro.
Entra di nuovo la ragazza stratosferica di prima.
E mi dice in inglese che le lezioni sono finite. Il direttore mi aspetta nel suo studio.

Senti, mi dice Sergio, non preoccuparti della profilassi, ho già provveduto io.
L'appartamento è nello stesso edificio del suo. Una bassa palazzina che prende tutto un isolato del centro.
Mi aspettava fuori dall'ufficio del direttore e adesso mi stanno accompagnando.
Sono quasi le due del pomeriggio e il sole picchia abbacinante.
La ragazzina ci segue obbediente.
In che senso? Chiedo ormai allo stremo.
Nel senso, precisa, che l'ho fatta controllare da Didier. Gli allungo ogni tanto qualche banconota e lui mi fa le analisi. Avah e sua sorella sono a posto.
Didier, cazzo! Ridacchio, non sapevo fosse qui.
Solo per un altro mese, precisa, poi va a seguire una scuola per infermieri a Saigon.
Didier è una specie di istituzione nei progetti europei, credo li abbia fatti tutti. Medico igienista, specializzato in malattie tropicali, parla un argot quasi del tutto incomprensibile e fa affari con tutti. Zingaro per indole e vocazione.
Rosso come un tramonto africano, di dentro e di fuori, visto che è l'ultimo iscritto documentato al partito comunista delle Fiandre.
Sarà la settima volta che lo incontro. A differenza del mio amico Sergio, nonostante l'aspetto folkloristico, non tira a fregarti.
Ben pensato, comunque, mi complimento intimamente.
Ma, primo bisogna vedere se troverò il coraggio di farmi questa ragazzina. Secondo, conoscendo Sergio, sarà meglio parlarne un attimo con il medico rivoluzionario. Fiducia zero.
Il direttore poco fa mi ha dato un elenco del personale impiegato nel progetto. Il suo nome non l'avevo notato, ma ci sono altre persone che ho conosciuto. Tra cui due ricercatrici francesi, con cui ho seguito l'anno scorso il sistema informativo agricolo in una regione settentrionale della Costa d'Avorio.
Chissà come le ha sistemate il mio amico. Sono lesbicissime e sempre insieme.
Se conosco la sua ironia, deve averle inculate alla grande. Magari mettendo al loro servizio qualche nerboruto locale che non parla nessuna delle lingue alla loro portata.
'Fanculo, dice che mi invidia per la noncuranza, ma è lui che sarebbe da invidiare. Ha sessant'anni e continua a divertirsi come un adolescente.
Ecco, fa lui entrando sotto un portico.
Apre una delle due porte.
È piccolo ma carino. Giusto due stanze, una camera da letto e un soggiorno.
Più un bagno e una cucina. E un paio di sgabuzzini di cui non si capisce l'utilizzo.
Avah, spiega, rimane con te. Se hai bisogno di sua sorella, basta che la chiami, è sempre qui intorno, o la fai chiamare. Il suo nome è Tali.
Si accende l'ennesima sigaretta, con un piccolo rutto. Forse ha già bisogno di un bicchiere.
In ogni caso, aggiunge indicandomi un piccolo gong, c'è questo. Se lo suoni, vedrai che una delle due arriva subito.
Poggio la valigia sul pavimento di legno lucido e mi siedo sul letto con una vertigine di stanchezza.
Annuisco e li guardo entrambi con occhio ormai spento.
Meglio se ti spieghi in francese, con loro, sospira, l'inglese lo masticano poco.
Ok, lo saluto, ora dormirò una decina di ore.
Lui ridacchia e se ne va.
La bimba, invece, mentre mi faccio una doccia, apre la valigia e mette ordinatamente nell'armadio tutte le mie cose.
Me ne accorgo quanto torno, con un asciugamano sui fianchi.
Lei è seduta compostamente su un cuscino, in un angolo della stanza da letto.
Mi sorride e sembra solo aspettare un mio ordine.
Le dico in francese che preferirei rimanere solo.
E lei se ne va esibendo l'immancabile sorriso accattivante, anche se un po' deluso.
Domani sarà durissima. Dovrò spiegare a 25 giovani del luogo come si imposta un sistema informativo gestionale. E nessuno ha una preparazione di base in materia.
Dalle sette all'una e mezza. Con un intervallo alle dieci.
Tutto in inglese.
Vabbé, ho le slide.

Scarpe rotte eppur bisogna andar! Lo saluto canticchiando.
Didier mi sorride e fa il pugno chiuso.
Ho deciso di passare prima di andare a pranzo.
Visto che ci si alza all'alba, tutti i ritmi sono un po' scombinati.
Anche quelli che non insegnano lavorano sodo la mattina e il pomeriggio si polleggiano.
Verso le due ci si ritrova allo spaccio o al ristorante dell'albergo.
Il direttore sembra non preoccuparsi degli orari. Del resto, il progetto sta andando benissimo.
Didier sta armeggiando con dei vetrini e mi fa segno di aspettare un attimo.
Il suo laboratorio, come sempre, è un cafarnao indescrivibile.
Onusto organicista althusseriano, viene finalmente ad abbracciarmi, ero stato edotto. Ma non elucubravo ottativamente sulle cronologie.
Non parla francese, parla enigmese.
In effetti, ammetto, sarei dovuto venire il mese prossimo. Ma c'è stato un cambio di programma.
Mi passa la canna che stava fumando e faccio un paio di tiri.
È buonissima. Chissà come se la procura, in Thailandia è quasi introvabile.
Loro fumano, o masticano, un'erba che cresce spontanea e che somiglia vagamente alla canapa. Ma questo deve essere pakistano purissimo o Mazar-i Sharif.
Assumiamo congiuntamente l'adeguata dose di derrate necessarie alla sopravvivenza? Mi invita.
Così, avendo accettato, ci avviamo verso lo spaccio.
Sono d'accoro con lui, dopo lo spuntino delle dieci, meglio un pasto leggero, in attesa della cena.
Camminando, ci informiamo delle reciproche vicende famigliari.
Ha una moglie, matta almeno quanto lui, che insegna storia della religioni a Lovanio. Si vedono solo due volte all'anno e sono il ritratto della felicità coniugale.
Questo non gli impedisce di farsi milioni di puttane e di attentare, con scarso risultato, alle grazie di praticamente tutte le colleghe.
Davanti a un piatto di tramezzini e due birre, ci rilassiamo un attimo.
Mentre venivamo lì, mi ha accennato, ma non è stato facile capire, che il lavoro è stato molto duro. Che c'erano molte resistenze alla campagna di vaccinazione. E che la burocrazia della regione è davvero insuperabile.
È fantastico, questo lavoro. Sono fantastiche le persone che incontri. Non ci vediamo da quasi un anno ed è come se ci fossimo lasciati ieri.
Didier, gli chiedo serio, Sergio mi ha proposto delle ragazze, dicendomi che sono a posto. Dal punto di vista profilattico, voglio dire. È vero?
Con lui posso parlare tranquillamente. Siamo andati a puttane insieme, qualche volta, a Bangkok, a Lima e a Bangalore. Una volta anche a Bologna, durante un convegno.
Eh, fa lui scuotendo la testa, le anfibie sono copribili senza veli. Attento a non tamponare troppo frettolosamente la lucertolina, perché ha la coda fragile, son due volte che la conducono al mio antro per ripararle la gomma di scorta.
Sorrido amaro e incredulo.
Da queste parti succede di tutto. Ma rompere il culo a una ragazzina mandandola in infermeria non è una cosa tanto bella.
Ma non è stato sicuramente Sergio, che è sul normodotato scarso.
Lui mi fa un gesto complice e rassegnato. Come dire, vanno così, queste cose.

Ma i miei ritmi non sono ancora settati sui nuovi orari.
Torno immediatamente nel mio appartamento, mi spoglio e mi ficco sotto il lenzuolo a dormire.
So che devo riprendere il ciclo giusto, ma sono ancora troppo stanco.
Mentre sonnecchio, mi accorgo che la ragazzina viene a rimettere a posto i vestiti che ho lasciato disordinatamente su una sedia.
Si muovo leggera e silenziosa. Mi piace.
Chissà dove ha dormito ieri.
E chissà dove sta tutto il giorno.
Le ho detto che a colazione voglio solo succo d'arancia e un tè.
Sembrava sorpresa.
Quando mi sveglio, verso le sei, lei è seduta sul solito cuscino.
È la prima cosa che vedo.
Il sole sta calando.
Anche lei deve essersi appisolata, perché mi fa un sorriso stentato e si alza precipitosamente.
Più la vedo, più la trovo irresistibile.
Porta ancora i leggings scuri e la maglietta. E i suoi piedini nudi sono meravigliosi.
Le dico che vorrei un tè.
E lei corre a prepararlo con un sorriso radioso.
Forse le hanno insegnato quel ruolo. E lei ha finito per amarlo.
Il destino delle persone è sempre un mistero.
Ormai è chiaro che non saprò resistere.

Il capo tecnico è tedesco.
Giovane, massimo trentacinque anni. All'Unione Europea ci tengono a darti responsabilità da subito. Io sono d'accordo, è formativo.
Al mio stesso tavolo siedono anche Annie e Sandrine, le mie amiche francesi, Didier e un'impiegata dell'ufficio del direttore. Si chiama Sophie, sta sempre zitta e se ho capito bene sta con il tedesco.
Thomas mi sta spiegando con compunta precisione il problema della rete locale.
È interessante ma, sinceramente, avrei preferito che non si parlasse di lavoro.
Se ho capito bene, è consuetudine vedersi lì a cena. È il momento di socializzazione centrale.
Poi si beve una cosa, magari si fa una partita a canasta o a bridge.
C'è anche un biliardo, in un angolo, che però sembra usato pochissimo.
E si va a nanna presto, visto che la sveglia generale è alle cinque.
I colleghi inglesi hanno optato per l'hotel. E un paio dell'amministrazione, che conosco, sono a Bangkok per qualche giorno. Non siamo in tanti.
Didier sorride allusivo. Forse sta pensando a come mai Sergio non ci abbia ancora raggiunti.
Chissà quali traffici sta ordendo.
In ogni caso, prima mi ha passato una stecca del suo fumo. Ci avevo preso, è un nero molto oleoso. Dopo me ne faccio un cincinino.
Finalmente la conversazione passa ad argomenti più divertenti.
Si parla di politica europea, un argomento in cui sono ferratissimo.
A parte che mi prendono per il culo per la replica giovane dell'untolo nazionale.
Ma quando vai in giro per il mondo, se sei italiano, ti devi preparare a questa immancabile eventualità.

Avah, la chiamo a bassa voce.
Sono ormai le dieci e sembra non ci sia nessuno in casa.
Ma la ragazzina compare silenziosa provenendo dalla cucina.
Tutto è in ordine perfetto.
Il soggiorno profuma di sandalo e la temperatura è perfetta.
Lei è sempre a piedi nudi. Porta un paio di pantaloni di cotone verde scuro e una camicetta giallo sporco.
Mi fissa con gli occhioni scuri, appena un po' strabici.
È attraente da morire.
Accendo la televisione a basso volume.
E una delle aspre sigarette senza filtro che ho comprato all'aeroporto.
Le faccio segno di sedersi sulla poltrona. E lei si accomoda compostamente.
Di dove sei? Chiedo.
Ma lei sembra non capire.
Indica evidente che abita lì.
È sempre difficile spiegarsi con i tailandesi, sembrano pensare in un modo tutto loro.
Le chiedo dov'è nata, sempre in francese.
E lei indica ancora evasivamente che sempre lì.
Sorrido per l'incongruenza della comunicazione.
Le chiedo se c'è qualcosa da bere in casa.
E lei corre premurosa a prendere tre bottiglie da un mobiletto.
C'è del rum, del gin e del cognac. Tutta roba di imitazione orientale.
Ma fa lo stesso.
Le chiedo di portarmi una cola. E mi faccio un Cuba libre.
Le offro un bicchiere, ma lei fa segno scandalizzata di no.
Le allungo anche una sigaretta, ma lei ripete il gesto quasi inorridita.
Sorrido scuotendo la testa.
Vediamo come la prende adesso che me ne rollo una.
Ma la ragazzina non reagisce in alcun modo.
Sorride apparentemente convinta, pronta ad obbedire ad ogni mio ordine.
L'idea mi inquieta.
Fumo la mia canna guardando stancamente la BBC e, mentre i cubetti di ghiaccio si sciolgono tintinnando nel bicchiere di coca e rum, mi addormento sul divano.

Oh, cazzo! Mi lamento svegliandomi per il dolore al collo.
Controllo l'orologio. Sono le due e mezza.
La ragazzina non c'è. Ma ha avuto la gentilezza di spegnere l'audio della TV.
Adesso stanno mandando un servizio sulla Libia.
Spengo il televisore e mi sgranchisco. Sono sudato, sotto la maglietta e i bermuda che ho indosso dal pomeriggio.
Dovevo essere davvero stanco per addormentarmi seduto.
Aggiungo un paio di cubetti di ghiaccio quasi sciolti in quel che rimane del mio cocktail e lo ingollo in un sorso.
Sono a pezzi. E la sveglia suona tra un paio d'ore.
Vado in camera da letto grattandomi le terga.
La ragazzina è rannicchiata sul suo cuscino. E dorme.
'Fanculo.
Il mio priapismo mattutino è ingovernabile.
Mi piego sui talloni e la guardo meglio.
È davvero piccolissima, ma da vicino si nota qualche segno del tempo.
Una piccola ruga ai lati degli occhi, una smagliatura sul mento.
Lei si sveglia e fa un'espressione vergognosa.
È troppo carina.
L'abbraccio e me la tiro contro.
Mi aspetto che resista.
Invece, mi avvinghia le spalle e mi stringe forte.
E mentre la tiro su, mi allunga le labbra e mi bacia.
Non è tailandese, sicuro. Una tailandese non ti bacia neppure sotto tortura, soprattutto di sua sponte.
Deve essere davvero Shan o di origine cinese.
Nonostante l'espressione remissiva, è parecchio intraprendente.
Si struscia e allarga le gambe sul mio bacino.
Mi fissa con i suoi occhioni un po' strabici e mi sorride sempre più imbarazzata.
Le orientali sono incomprensibili.
Mi siedo sul pavimento di legno e incrocio le gambe.
Lei mi si inginocchia vicino e torna a baciarmi e ad accarezzarmi il collo e la nuca.
Se lo aspettava. Chissà quanto la paga il mio amico.
Forse, addirittura, l'ha educata lui. Non mi stupisco ormai più di niente.
Certo che ci sa fare.
Mi infila la lingua profondamente in bocca, cercando la mia. E mi accarezza in modo sempre più convincente.
Conoscendo un po' il genere, è puttana vera, all'occidentale.
Le apro la camicetta.
Lei sorride timida.
Ha due tettine appena accennate. I capezzoli sono piccoli e morbidi.
Ma non faccio in tempo ad accarezzarli, che si induriscono.
Lei inarca la schiena e si toglie l'indumento.
Si alza e mi tira su, per farmi sedere sul letto.
Torna ad abbracciarmi rabbrividendo, stando in piedi.
Puttana vera o ragazzina cinese inesperta. La vera ragione per pagare le donne sta tutta in questa ambiguità.
Le abbasso i pantaloni a metà coscia. Sotto non porta niente.
Ma lei si gira precipitosamente, a mostrarmi il sederino cicciotto e ben bombato.
Le accarezzo i fianchi e le anche da adolescente. Le spalle lisce e la schiena morbida.
Sono eccitato all'inverosimile.
Mentre lei sembra tentennare. È arrossita e alza un po' le spalle, quasi a nascondere il sorriso imbarazzato.
Puttana vera, anzi verissima, mi dico.
Le abbasso i calzoni fino ai polpacci e lei mi guarda ancora un po' incerta.
Poi, si china a sfilarseli e si gira tenendosi entrambe le mani sul pube.
È un incanto.
Me la tiro più vicino e le bacio il petto e la gola. Poi le infilo la lingua tra le labbra.
Lei mi ricambia sempre più imbarazzata.
Poi si stacca, mi fa un sorriso stentato e toglie le mani.
'Fanculo, mi dico sorpreso, lo sapevo che sotto c'era la fregatura.
Lei mi fissa seria, adesso, forse temendo che mi arrabbi.
Sergio non si smentisce mai.
Ma le sorrido e me la tiro ancora contro.
Tra le gambe, la bimba, si fa per dire, ha un cosino che sembra il mio dito medio. Ma eretto mica male.
Lei si inginocchia tra le mie gambe e sorride.
Savuà pà, mormora in un francese imperfetto.
Temeva che non la volessi.
Le accarezzo la testa e la bacio di nuovo dolcemente.
Povero bimba. L'ambiguità di genere è sempre affascinante, ma qui è stata giocata sull'aspettativa.
In fondo, negli scherzi del mio amico è sempre nascosto un insegnamento.
Adesso però non so più come definirlo.
Sarei per il maschio, vista l'invidiabile erezione.
Ma il resto è davvero tutto di una femminilità inesorabile.
Mi tolgo la maglietta e lei mi si struscia contro. Mi accarezza il petto e la pancia prominente.
Sembra divertita dal pelo e dall'adipe.
Mi bacia di nuovo con impeto, poi scende a succhiarmi i capezzoli.
Sembra impaziente di vedermi nudo.
Sempre stando in piedi tra le mie gambe, mi slaccia il bottone del bermuda, alzo un po' il sedere e mi abbassa i pantaloncini.
Il mio affare si erge in tutta la sua potenza.
Non è niente di speciale, ma siamo tutti molto orgogliosi della nostra virilità.
Nel mio caso, un affare di lunghezza normale, circa una spanna, ma di calibro decisamente inconsueto.
La bimba fa un piccolo salto indietro.
Poi scuote la testa mettendo le mani avanti.
Fa un altro passo indietro impaurita e poi scappa in soggiorno.
Che cazzo! Mi lamento.
Il mio affare è turgido, le vene gonfie e la cappella viola.
Da quando ho superato i cinquanta e la prostata fa le bizze, mi capita assai raramente.
Mi tolgo completamente i bermuda e considero la situazione.
Dove cazzo è andata 'sta stronzetta?
Se è vero quel che diceva Didier, il mio affare nel suo culo non ci entrerà mai. Ma almeno un pompino, cazzo di cane.
Sono lì, seduto ad accarezzarmi l'erezione, immerso in queste profonde riflessione, quando la ragazzina torna.
Si è messa una maglietta lunga ed è seguita dall'improbabile sorella Tali.
Questa sembra un po' seccata.
Anche lei si è infilata una maglietta, ma è più corta. La piega della patata le spunta impertinente da sotto. È depilata pure lei. E le tette sembrano almeno una terza.
Il mio turgore aumenta ulteriormente.
La Avah mostra all'amica l'evidenza della mia becca infiammata.
L'altra piega la testa un po' sorpresa.
Dai, dico in francese, non fatemi la commedia. Chissà quante ne avete viste!
C'è da dire che il cazzo medio asiatico è assai inferiore di dimensione.
Ma la scena sfiora il ridicolo.
La sorella le dice qualcosa in tono secco.
Del tipo: è il tuo lavoro, te lo fai tu.
Poi mi sorride con aria compiaciuta.
Gira metaforici tacchi e se ne va, mostrandomi che anche il sederino è parecchio invitante.
Dì a l'apelè, balbetta la bimba deglutendo impaurita, dan le cà.
Tranquilla, cerco di calmarla, non t'inculo.
Lei annuisce e si toglie la maglietta.
Il suo cazzetto adesso pende tristemente.
Sono stanco morto. Devo dormire almeno un'altra ora.
Domani sarà durissima.
Mi stendo e le faccio segno di venire a letto.
Lei obbedisce senza entusiasmo.
Quando mi viene vicino, l'accarezzo e la bacio sulle labbra.
Lei si rannicchia contro un mio fianco e tira su col naso.
Mi fissa seria e dispiaciuta.
Sembra davvero contrita.
Comunque, mi abbraccia il petto e si allunga a ricambiarmi.
Devo dormire, spiego.
Fa per alzarsi, ma la trattengo.
Rimani, la prego.
La bimba sorride grata.
E si allunga al mio fianco.

Come hai trovato il servizio? Chiese Sergio allusivo sedendosi al nostro tavolo.
Didier ridacchia sotto i baffi.
Ci siamo solo noi allo spaccio, nonostante siano ormai quasi le due.
La mattinata è stata un inferno. Ho dovuto rispiegare almeno due volte praticamente tutto.
Me lo aspettavo, ma è sempre faticoso.
Sorprendentemente efficiente, rispondo serafico.
Col cazzo che gli do la soddisfazione.
Mentre noi ci stiamo facendo dei panini con una bottiglia di Singha, la birra locale, Sergio ha preso solo un long drink dall'aria parecchio alcolica.
Controlla il battistrada delle ruota di scorta, mi ricorda Didier, la lucertola ha la coda delicata.
Ma che dici? Scuoto la testa, mi fa solo da cameriera.
Fuori fa un caldo impressionante.

Non faccio in tempo a entrare, che la bimba viene ad abbracciarmi.
È tanto piccola che mi arriva al petto. E non riesce certo a cingermi tutto.
Mi spoglio e andiamo in camera.
Anche lei si sbiotta, rivelando che è parecchio eccitata.
La spingo sul letto e me la tiro contro.
Tutto va troppo in fretta.
Mi bacia strusciandomi contro il cazzetto durissimo.
Poi mi prende l'affare barzotto e lo masturba piano.
In zero secondi mi torna come la sera prima.
Mi sorride staccandosi.
E si piega a leccarlo.
È tanto piccola che fa fatica a imboccarlo.
Ma con impegno e buona volontà, e molta saliva, riesce a ficcarselo fino in gola.
Poi emerge tossendo, rossa e imbarazzata.
Mi sorride divertita e torna a infilarmi la lingua tra i denti.
Spinge in ventre contro il mio fianco.
Così, la tocco pure io.
Lei ha un guizzo e inarca la schiena.
Mi spinge a stendermi e mi viene sopra a sessantanove.
Certo che ce l'ha proprio durissimo.
Ci succhiamo un po', accelerando.
Lei mugola discretamente. Il suo affare è sempre più teso.
Non so come comportarmi. Non l'ho mai fatto.
Ma sono tanto eccitato, che quando comincia a venire, continuo a succhiarlo.
Fa giusto uno schizzetto, ma la sborra mi inonda la bocca. Ha un sapore aspro e un po' salato.
Lei si gira agilmente e viene a baciarmi.
Si riprende tutta la la roba e poi me la ripassa.
La voglia di metterglielo in culo è tremenda.
Mi risucchia la lingua e poi ingoia.
Ride e torna a succhiarmi l'affare.
Tali, mormoro con voce roca.
Lei capisce.
Scende dal letto, mi fa segno di aspettare e va a suonare il gong.
Poi, torna a inginocchiarsi tra le mie gambe, per imboccarlo fin dove può.
Non riesce a spingerlo tanto in là, ma succhia bene.
La sorella, si fa per dire, arriva subito.
Sorride vedendo la scena.
Porta solo un sarong, che la cinge fino al petto.
Se lo toglie con un gesto elegante e sale sul letto.
Mentre la piccola mi spompina, lei mi bacia e mi accarezza.
Neppure lei è tailandese, evidentemente.
Ho il cazzo sempre più gonfio.
La bimba col pisello si tira su e viene ad appoggiarsi sul mio petto.
L'altra scende a imboccarmi l'affare fino alle palle.
È molto più professionale.
Senza urlare scansati, mi si siede sopra e se lo infila a smorza.
Oh, cazzo! Espiro.
Si muove piano, con piccoli movimenti rotatori del bacino.
Sì, è puttana vera. Non è bagnatissima, ma la patata è calda e scivola abbastanza.
La bimba, intanto, si è scatenata.
Mi bacia sempre più furiosamente e mi stringe il petto.
Le è tornato duro come l'acciaio. Me lo sfrega contro un braccio, nell'evidente richiesta di toccarlo ancora.
Lo faccio.
La Tali vuole cambiare posizione.
Si mette a mission, le infilo un cuscino sotto la schiena per alzarle il sedere e la penetro a fondo.
La sua passerina è ancora abbastanza stretta.
La Avah si siede sul suo petto e mi bacia di nuovo.
Spinge il sedere contro il viso della sorella, si fa per dire, e io la tocco per davanti.
È tutto abbastanza incasinato.
La Tali le lecca il sederino e lei mugola. Mi sa che sta vendendo un'altra volta.
Questa si chiama gioventù.
La bimba si gira di nuovo e senza tante storie infila il suo pisellino in bocca all'altra.
In questo modo, alza il sedere mostrando il buchino umido.
Non so bene che fare. Così, finisco per dargli una leccatina pure io.
Lei freme e torce il collo per guardarmi.
È irresistibile. Mi tiro su e la bacio.
Ormai è una furia, 'sta scimmietta.
Si toglie e mi viene dietro.
Mentre mi abbasso per baciare la Tali, lei si stende di fianco, mi apre le chiappe con le mani e mi lecca il sedere.
Prima piano, poi con maggiore convinzione.
È eccitante al quadrato.
Sto pompando sempre più violentemente la Tali, che ansima e si lamenta tenendosi entrambe le tette.
Quando sono tanto brave, la finzione si confonde.
Mi tiro via e giro la Tali sulla pancia.
Le faccio chiudere le gambe, alzare appena il sedere e le entro ancora profondamente.
La pupa esala un lungo sospiro e si abbandona.
Le bacio il collo e le orecchie.
Intanto, la bimba mi ha pericolosamente poggiato il cazzetto tra le chiappe.
Provo a spingerla via, ma insiste.
Ridacchio divertito dalla situazione.
Sto aprendo le chiappe della Tali. Ha un bel buchino stretto e sano.
La bimba si accorge che sto trafficando con il culo dell'amica.
Per cui scende dal letto e prende un tubetto da un comodino.
È una nota marca di lubrificante anale.
Unge abbondantemente la Tali, che si lamenta e dice cose nella loro lingua.
Ma la ragazzina non si placa.
Dopo aver ben impomatato l'altra, si dedica al mio culo.
Non me ne frega niente.
Esco dalla figa della Tali e lo punto sul buchino dietro.
Dusmòn, silplé, balbetta la ragazza.
Non è evidentemente abituata al mio calibro. Ma poco alla volta si apre. Ed entro un po'.
Lei emette una scoreggina, che la fa sorridere imbarazzata.
La bimba, intanto, mi sta massaggiando il sedere.
Non credevo potesse piacermi. Il mio affare è sempre più gonfio e duro.
So che non devo spingere, le farei male. Devo aspettare che si rilassi.
Finalmente entra tutta la cappella.
La ragazza emette un roco lamento, ma non si tira via.
È ora di entrare tutto, per cui spingo lentamente. E raggiungo il fondo.
Intanto, la bimba ha appoggiato il suo pisellino sul mio sfintere.
E senza tanti preamboli, mi incula.
Non sento quasi niente, ce l'ha piccolissimo.
Ma è un corpo estraneo.
Vengo immediatamente nel culo della ragazza.
E la bimba mi segue con un rantolo sincopato.

Quando mi sveglio c'è solo la Avah.
Il lenzuolo è sporco di sperma, di crema e di tracce di merda.
Dopo che siamo venuti, ci siamo baciati ancora, prima appassionatamente, poi dolcemente. Io circondato da una selva di braccia e avvinghiato dalla loro gambe.
E ci siamo addormentati.
Del resto, ero sfatto.
Adesso mi fa un po' male il sedere. E la ragazzina dorme abbracciandomi forte.
Il suo cazzetto è da invidia. È ancora duro, contro il mio fianco.
Sono quasi le sei.
Devo alzarmi, farmi una doccia e andare a cena con gli altri.
Ma non ho voglia di niente.
La bimba si sveglia e mi sorride confusa dal sonno e dalla stanchezza.
Ha ancora tracce di sperma sul viso.
Perché dopo che mi è venuta in culo, me lo ha leccato tirandomi via tutto.
C'è qualcosa di estremamente sbagliato in tutto questo.
Questi baci sono troppo sporchi e perversi per la mia prassi erotica.
E nel contempo, anche solo l'idea mi eccita.
Sono sempre più confuso.
Me lo impugna e scende a dargli una leccatina.
Sono ancora ingrifato e poco alla volta, mi torna duro.
Lei sorride soddisfatta.
Prova a sedercisi sopra.
Se lo punta sul sedere. Ma è evidente che non entrerà mai.
Si unge volenterosamente con la crema che abbiamo usato prima.
Se ne dà una bella dose. E riprova a infilarselo.
Ma scivola via.
Uff, si lamenta, tro gro.
I nostri cazzi si sfregano frementi.
Torna a provare a infilarselo.
È frustrante, per me.
E forse anche per lei. Anzi, sicuramente anche per lei.
Alla fine si arrende.
Si inginocchia tra le mie gambe e me lo imbocca.
Mi guarda, con i suoi occhioni storti, e allunga una manina a infilarmi un dito su per il culo.
Torna a salirmi sopra.
Ci si mette d'impegno. Stringe i denti e se lo sfrugna contro lo sfinterino.
Ma il mio affare scivola ancora tra le sue chiappe. E lei mi cade sulla pancia.
Uff, sbuffa delusa.
Devo andare, le spiego.
Lei mi guarda desolata, con il cazzo dritto e lo scroto raggrinzito dall'eccitazione.
Torno presto, prometto.

Didier, lo fermo per strada, mi devi aiutare.
Anche lui sta convergendo verso il ristorante.
Ti si arroventò la punta al vidiam? Chiede interessato.
Qualcosa del genere, confermo, ho bisogno urgente di un lubrificante anale. Che non sia lindocaina e che non contenga analgesici locali.
Lui ci pensa su un attimo.
Necessiti patentemente di un galenico chirurgico, scuote il testone rosso.
Come facciamo? Lo interrogo.
Cento euroni, spiega, e ci appropinquiamo al mio antro.
Andata, accetto.

È solo un fondo di tubetto. Alla fine me l'ha regalato.
È una cosa quasi introvabile in loco, per cui preziosa.
E molto tecnica. Serve a facilitare l'introduzione dei cateteri nelle uretere, come la lindocaina.
Ma l'anestetico che contiene si volatilizza in pochi minuti, per cui non toglie sensibilità.
Lo conservo nella tasca dei bermuda con una specie di orgoglio anticipatorio.
Sorrido di prospettiva, mentre a tavola i miei amici parlano di cose assolutamente indifferenti al mio stato d'animo.
Starò qui una settimana, poi tornerò a Bologna. E il mese prossimo mi aspetta un altro viaggio in Gabon.
Il mondo è maledettamente interessante, se lo conosci appena un poco.
E mi ritirerò molto presto, questa sera. Niente partita a bridge, per una volta.
Tra l'altro, sono delle vere schiappe.

Vieni qui, le dico entrando.
Lei corre ad abbracciarmi.
Mi salta al collo e mi cinge i fianchi con le gambette cicce.
Mi aspettava nuda e già eccitata.
La porto sul letto, continuando a baciarla.
La giro a pecora, nonostante cerchi di rimettersi supina.
E le ungo lo sfintere con la crema rimasta nel tubetto.
Le tremano un po' le gambe. E mi guarda interrogativa.
Poi mi spoglio.
Didier si è raccomandato di aspettare un paio di minuti, prima di entrare.
Lei si massaggia il di dietro e annusa sospettosa la pomata.
Non sembra affatto convinta.
Ce l'ho duro da quando ci siamo toccati, prima.
Per tutta la sera ho dovuto nascondere la mia erezione accavallando le gambe e piegandomi un poco in avanti.
La faccio stendere prona. E la spingo ad allargare un poco le gambe.
Poi, le salgo sopra e le punto la cappella sul buchino.
Le tremano un poco le spalle.
Ma torce il collo e mi guarda speranzosa.
Aspetto che si apra. Non c'è fretta.
Anche lei è eccitatissima.
Il sesso, dicono, è una prova di reciprocità. Anche quando è pagato.
Si piega leggermente su un fianco, mi prende una mano e se la porta tra le gambe.
Mentre aspettiamo, la masturbo delicatamente.
Lei mi fissa interlocutoria, mordendosi il labbro inferiore.
Il sesso, penso, è prima di tutto aspettativa.
Ogni tanto scendo a baciarle la nuca e lei si gira confusa a infilarmi la lingua tra le labbra.
Finalmente sento che cede.
Il sesso è felicità reciproca.
Non spingo ancora, non è ancora ora.
Entrambi sappiamo che tra poco, anche se non per molto, saremo entrambi felici.
 
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PUNTLANDER

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QUOTE "...Quando eravamo all'università, Sergio era considerato il più promettente del nostro corso.
Si era rovinato con l'eroina. Alla fine, non riuscendo a superare analisi due, passò a economia....."UNQUOTE
Io ho fatto anche Analisi 3(Complementi di algebra superiore)ma preferirei essermi scopato almeno la meta' di tutte quelle thai che ti sei fatto tu in terra d'origine !!
 
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Una cazzo di canzone che non vuol dire niente. Diario di viaggio n. 19

Questo racconto è frutto della mia fantasia. Eventuali riferimenti a persone esistenti e a situazioni reali è del tutto casuale

È da ieri sera che canticchiamo tra i denti questa cazzo di canzone che non vuol dire niente.
Quando ti entra in loop, c'è niente da fare.
La cosa divertente è che anche se non vuol dire niente parla di Alto Cedro, dove ci siamo fermati poco fa.
E dove stiamo aspettando che ci portino da mangiare.
De Alto Cedro voy para Marcané
Llego a Cueto, voy para Mayarí
Era stanco anche Paul e la baracchina era proprio sulla strada.
A Mayarì non credo ci passeremo, è un po' fuori strada.
E poi, pare non ci sia niente di particolarmente interessante.
Siamo entrambi piuttosto provati, anche se per ragioni diverse.
Quello di ieri è stato un viaggione.
Da Bologna via Madrid. E poi dall'Avana a Santiago.
Quasi venti ore senza dormire davvero.
Ma, come avevamo concordato, Paul era venuto a prendermi all'aeroporto.
E per prima cosa mi aveva accompagnato al cimitero, a vedere la tomba di Fidel.
Si sapeva che oggi non avremmo avuto tempo.
Erano le quattro del pomeriggio e stavano chiudendo.
Ci avevano fatto entrare solo perché Paul conosce una delle addette alla sicurezza.
Una mulatta alta e sorridente, dall'improbabile chioma castana, ma dotata di tutti gli optional utili ad una soddisfacente partita a palla barattolo.
E tornando, sudando sotto un sole da agosto riminese, eravamo passati per un saluto anche a Compay Segundo.
Ed era partito il loop.
Quattro accordi del cazzo.
Finalmente ci portano i camarones in salsa e il riso.
Sulla strada camminano le ragazzine che escono da scuola.
Portano tutte una parvenza di divisa. Pantaloncini blu, corti e stretti. E magliette colorate.
Sono tutte carine. Quello cubano è davvero un bel popolo.
Paul è stanco per ragioni molto diverse.
Questa mattina ha guidato la grossa Chevrolet dell'associazione solo per un paio d'orette, Santiago non è lontana. Certo, le strade sono insidiose, l'asfalto inaffidabile, il traffico imprevedibile. Ma niente di particolarmente faticoso.
No, è che questa notte ha avuto il suo daffare.
Mentre io avevo cenato leggero al ristorante dell'hotel e mi ero ficcato subito a letto, lui era uscito per locali con la sua amica addetta alla sicurezza. Ed erano tornati verso mezzanotte.
Li avevo sentiti scopare, dalla parete che divideva le nostre stanze. Più volte.
L'ultima verso le sei del mattino.
Del resto, è giovane, poco più di trent'anni.
Ed è qui da undici mesi, per un programma internazionale di sostegno.
Lui è ingegnere e si occupa di comunicazioni.
Ci conosciamo da qualche tempo, da quando partecipò a un corso di formazione sui sistemi informativi, che tenni per un'associazione non governativa a Torino.
Era il più simpatico del miei studenti, laureando a Lione, ed eravamo rimasti in contatto.
Ci siamo anche già incontrati una volta per lavoro, a Kathmandu. E so che gli piace la figa, anzi, che gli piace molto la figa. Una sera siamo stati ospiti di un famoso bordello e lui si è dato molto da fare.
Comunque, ora è praticamente in vacanza da cinque mesi. Da quando, cioè, il ministero francese per cui lavora ha ricevuto la sua relazione tecnica e sta decidendo se inviare o meno una commissione per valutare gli investimenti necessari a dotare un viadotto dalle parti di Bayamo di una canaletta per la fibra ottica.
Cosa che servirebbe a fornire tutta una provincia di sicuri ripetitori per la rete. E raggiungere, soprattutto, le infrastrutture di due importanti parchi naturali. Quello del Turquino e quello della Sierra Maestra.
E che, al contrario, il suo omologo tedesco preferirebbe fare via satellite.
Se credete che la nostra burocrazia sia lenta, non conoscete il resto del mondo.
Lui l'ha presa con calma.
È ben pagato per non fare praticamente un cazzo dalla mattina alla sera. E a Cuba se non ti diverti sei un fesso.
Io sono qui, ovviamente, perché nel progetto ci siamo anche noi. Figuriamoci se gli italiani non ci mettono il ditino.
Stiamo sul cazzo al resto dell'occidente, per questo atteggiamento di presenzialismo indefettibile.
E sono stato incaricato di raccordare le iniziative formative.
Praticamente, pure io starò una settimana a non fare un cazzo, perché il direttore esecutivo del progetto, un olandese, ha chiamato questa mattina per informarci amabilmente che ha avuto un inconveniente e non riuscirà ad arrivare prima di venerdì.
Vabbé, ci siamo detti con Paul, intanto raggiungiamo Guardalavaca, dove dovrebbero tenersi gli incontri delle varie commissioni. E dove comunque posdomani abbiamo un appuntamento con la segreteria.
Poi, mal che vada, aspetteremo l'olandese polleggiati in spiaggia, a bere Mojito e lumare le pupe.
E magari faremo un salto a Puerto Padre, giusto per poter dire di esserci stati.
Ogni luogo riserva ragioni per essere visitato.
È inverno, cazzarola, ma il clima è tipo quello da noi a giugno.
Intanto, i camarones sono buonissimi, la birra è fresca e il Montecristo che si sta spegnendo nel posacenere fantastico.
Mentre mangiamo, guardiamo il passeggio.
Lo spettacolo è formidabile, sembra che tutti debbano andare da qualche parte. Solo che non si capisce quale parte. E, comunque, con calma.
Per strada gira di tutto, dai carretti tirati dai cavalli a improbabili biciclette a tre ruote.
Ma soprattutto, tutti camminano.
I ragazzi che escono da scuola sono contegnosi e seri. Appena si saranno tolti la parvenza di divisa, come mi hanno spiegato, torneranno ad essere monelli screanzati. Ma in divisa, no. Hanno il senso del ruolo, 'sti ciospi.
Nonostante la fame, mi stanco quasi subito dei gamberetti.
Per cui, riaccendo il mio Montecristo, il sigaro preferito del Che, e sorseggio quel che resta della mia lattina di birra.
Anche Paul sembra sazio.
Per cui, si accende un Cohiba.
E senza esserci messi d'accordo, ricominciamo a canticchiare la stronza canzone senza senso.
El cariño que te tengo
No te lo puedo negar
Due ragazzine si fermano di fianco alla baracchina.
Sembrano aspettare un passaggio.
Paul sorride.
È chiaro che stanno timidamente provando ad adescarlo.
Lui è un bel ragazzo, altro e prestante, dai tratti mediterranei ma con limpidi occhi azzurri.
Quando eravamo in Nepal, spopolava tra le turiste che incontravamo.
Ma le due ragazze sono troppo giovani e inesperte.
Ogni tanto ci guardano con sorrisi timidi e vagamente allusivi.
Quella più alta è davvero uno schianto.

Non dovete credere a quel che dicono in televisione e scrivono sui giornali.
La rivoluzione cubana è ancora viva.
E non pensiate che siano comunisti o socialisti. A Cuba sono castristi.
Passionali, solidali e deliziosamente incoerenti.
Nessuno è mai d'accordo con nessun altro. Tutti hanno sempre qualcosa da ridire.
Ma sono stati schiavi, sono stati dominati, sono stati sfruttati. E sanno cosa vuol dire.
Sanno che non vogliono ricascarci.
Ho un grande amico cubano.
Dice sempre che loro sono cristiani con i piedi per terra, per cui, vogliono un socialismo ricco.
Io li trovo fantastici.
Alla fine abbiamo deciso di fare una deviazione.
E siamo venuti a Biran, la casa natale di Fidel.
Per capire cosa sia il castrismo, basti pensare che l'enorme latifondo della famiglia è stato il primo ad essere nazionalizzato dopo la rivoluzione.
Certo, una delle sorelle non era tanto d'accordo, ed è scappata con un bel malloppo in titoli, ma quel migliaio di ettari dell'azienda paterna fu data ai contadini. Fu data al popolo.
Prima, chi viveva in quel posto rimaneva bracciante per tutta la vita. Certo, aveva la scuola gratis, c'era l'infermeria. Era molto meglio che emigrare negli Stati Uniti a lavorare nei campi di cotone.
Non era servo, ma non avrebbe avuto alcuna possibilità di crescita sociale.
La visita è interessante. Ci siamo infilati in un gruppo di turisti spagnoli.
Visto che c'è ed è pulito, approfitto del bagno. I gamberetti di poco prima mi hanno lasciato qualche movimento delle viscere.
E comincio ad essere davvero esausto.
Mentre torno tra i visitatori, sento la guida che parla di Raul. Anche lui è un bel tipo, andrebbe approfondito.
Quel che noi non sappiamo è che oltre al mito del Che, a Cuba venerano Cienfuegos.
Forse le cose sarebbero andate diversamente, se entrambi non fossero morti troppo giovani.

Vabbé, ripete Paul, non sarà bello, ma è comodo.
Usciti da Biran, abbiamo sbagliato strada, e siamo finiti a Cueto.
De Alto Cedro voy para Marcané
Llego a Cueto, voy para Mayarí
Ormai metà pomeriggio, nessuna voglia di guidare ancora fino a Holguin.
Per cui, siamo entrati in paese e, seguendo le insegne a forma d'ancora rovesciata delle case particular, ci siamo fermati in quella raccomandata dalla sua guida Routard.
Annuisco stremato.
È al primo piano, sotto ci abita la famiglia.
Si sale per una scala esterna e c'è un balconcino. Dentro, dopo una specie di salottino con divano e tavolini, la stanza con due letti matrimoniali.
In fondo, il bagno. E una porta che dà su un terrazzo.
A ventiquattro Cuc è regalato. Più uno per il ragazzino che ci guarda la macchina parcheggiata lì davanti per la notte.
La donna grassa ci chiede se vogliamo cenare. Nel caso, ce la serve sul terrazzo dietro.
Da cui si vede un paesaggio triste di campi coltivati e strade polverose.
Ok, accetta il mio amico.
Fanno altri otto Cuc a testa. La scelta è tra pollo, maiale, pesce e gamberi, se li trova.
Decidiamo per il pollo e lei se ne va contenta.
Finalmente mi tolgo le scarpe e mi stendo.

No, fa lui, non mi lamento.
Ormai è buio e la campagna dietro la casa si anima di qualche rara luce.
La cena era squisita.
E al dessert, il marito è venuto a conoscerci e ad offrirci dei sigari.
È molto più vecchio della moglie. Un sessantenne scuro, altro e robusto, dai capelli grigi.
Sono falsi Cohiba, come ci ha sinceramente confessato.
Ma sono buoni, freschi e profumati. Abbiamo deciso di prenderne un paio di scatole a testa.
Certo, qui a Cueto non si fermano molti turisti, continua, ma abbastanza per renderci dei privilegiati, rispetto a chi non ha nient'altro.
Ci ha raccontato che ha combattuto in Angola. E che negli anni '80 ha lavorato in Russia.
Che era iscritto al partito. E che la casa l'ha ristrutturata lui, qualche anno prima.
Ma che non sempre era d'accordo, ovviamente, con il governo.
È stato in Italia due volte, per cui mi faccio raccontare.
Cullato dalla brezza che anima la notte e fa stormire i bananeti e le piantagioni di canna.
Mentre fumo un altro dei suoi sigari, mette sul tavolo una bottiglia di roba invecchiata e tre bicchierini. E mi racconta che è stato ospite della Cgil di Brescia.
Credo che mi coricherò molto presto.

Dai, fa Paul, andiamo in questo locale, ascoltiamo un po' di musica e torniamo per le undici.
Troppo stanco, ripeto, vai tu.
Ma dai, insiste, leggi la guida. È un posto fantastico.
Mi sono già spogliato e nemmeno le cannonate mi faranno alzare il culo dal letto.
Sono già stato in innumerevoli case della trova, spiego.
Ma questa non è una casa della trova, precisa, è un negozio di formaggi. E la sera, gli amici del gestore, che ormai è quasi centenario, suonano senza amplificazione. Il posto è tanto piccolo, che non possono entrare più di dieci persone.
Vai tu, scuoto la testa.
Ok, si arrende.
Viaggio leggero. Mi sono portato solo l'indispensabile, in una valigetta che posso portare a bordo.
Magliette e un paio di pantaloncini. Una camicia, si sa mai.
La roba di lavoro la tengo nello zainetto.
Mentre il mio amico esce, accendo il Pad e faccio un po' di ordine nella posta arrivata.
Per fortuna, l'istituto mi ha dato una scheda dati compatibile con la rete telefonica cubana.
Ma ci metto poco a stancarmi.
Devo recuperare. Con una bella ronfata, domani sarò molto più in forma.

Come spesso accade, dopo mezz'ora mi sveglio.
Sarà il jet lag, sarà il nervosismo per gli inevitabili contrattempi che questi viaggi comportano.
'Fanculo. Mi alzo e mi rivesto.
Prendo una lattina di birra gelida dal frigo ed esco sul terrazzino davanti, a fumarmi un altro falso Cohiba. La stappo e sospiro di frustrazione.
Sono stanchissimo, ma sento che non dormirò.
La strada è buia e solo all'incrocio c'è un fioco lampione. Ma è animata di gente che cammina e parla sommessamente.
Una grassa luna sovrasta i tetti neri.
Intravedo confusamente gruppi di persone sotto i portici e sento i loro saluti e i richiami.
In effetti, dal terrazzino si vede in lontananza il locale dov'è andato Paul.
Giusto un po' di luce che esce da una vetrina.
Finisco la birra in due sorsi e prendo la felpina leggera che mi sono portato.
Non fa freddo, certo, ma si sa mai.
Me la metto sulle spalle e scendo.
Quando mi prende l'insonnia, meglio che l'affronti.
Chissà se il ragazzino che ci dovrebbe guardare la macchina c'è davvero.
L'abbiamo parcheggiata proprio davanti alla casa. E lui ha ripiegato premuroso i retrovisori, mentre salivamo al piccolo appartamento.
Nonostante il buio, capisco subito dove sono i gruppi di persone che stanno conversando e ridendo.
Qualcuno mi saluta, chiamandomi alemano.
Poco alla volta i miei occhi si abituano alla scarsa luce.
Scendere in strada da soli a quell'ora all'Avana o a Santiago sarebbe un bel casino. Mica per la sicurezza, certo. È che tutti ti fermerebbero per offrirti sigari, ragazze e ron.
Ma questo è un posto di scarso turismo. La gente è meno organizzata.
Comunque, un ragazzino osa chiedermi da dove vengo in inglese e ci scambiamo qualche battuta, mentre raggiungo la drogheria musicale.
Lui mi dice che ormai a quest'ora non ci sarà più posto.
Una musica sommessa viene dal locale.
Mi infilo tra la gente che sbircia dalla vetrina e valuto il posto.
In effetti, ci sono solo due tavoli, ai quali siedono una decina di persone. Solo tre sembrano turisti.
L'atmosfera è fumosa. Su ogni tavolo c'è una bottiglia di rum ormai quasi vuota.
Un vecchio chitarrista e un suonatore di tres strimpellano in fondo. E cantano.
Non cantano musica da ballo, ma malinconiche canzoni popolari.
Paul non c'è.
'Fanculo, penso, avrà trovato qualche sgallettata.
Un tipo seduto davanti alla porta regola il traffico.
Gli chiedo se posso entrare.
Lui mi spiega che gli dispiace molto, ma non c'è posto.
Gli offro un sigaro, ma lui sembra irremovibile.
Vabbé, mi dico, faccio due passi e provo a calmarmi. Torno e mi rimetto in branda.
Giro intorno all'isolato, aspirando dal mio mozzicone di sigaro.
Nella strada parallela a quella dove dormiamo c'è un po' di animazione.
Due lampioni illuminano fiocamente la via, dove qualcuno cammina con calma.
C'è un ristorante, da cui viene il ritmo di una salsa. E una dulceria poco più avanti.
Un buttadentro mi invita a entrare nel primo.
E, visto che proseguo, mi chiede se voglio dei sigari.
Gli mostro evidente che sto fumando e faccio la gimcana tra i ragazzi seduti sui marciapiedi a chattare con i telefonini.
È la globalizzazione che avanza.
Davanti alla dulceria ci sono due coppie di turisti a un tavolino, che bevono cioccolato al rum.
Sono nordici, forse tedeschi.
Dentro, un gruppetto di ragazze suona e balla su una predella.
C'è nessuno.
Giro sulla traversa con un sospiro di scoramento e mi avvio verso la casa particular.
Ehi, mi fa Paul mentre svolto.
Che ci fai qui? Chiedo.
Lui mi mostra evidente le due ragazze sotto il portico alle sue spalle.
Volevo farti una sorpresa, ridacchia.
Cazzo, no, mi dico. Sono troppo stanco.
Mi accendo un altro sigaro e mi gratto la testa perplesso.
Dai, cazzo! Insiste, è mezz'ora che contratto. E sono riuscito a spuntare la notte per sessanta Cuc.
A testa? Mi stupisco.
Cazzarola, sono circa cinquantacinque euro. È regalato.
No, fa lui, entrambe.
Scuoto la testa divertito.
Mi spiace, mi scuso, ma sono troppo stanco.
Dai, insiste deluso, anch'io sono stanchissimo. 'Stanotte me ne sono fatte quattro e ho pure guidato.
Ha ragione, ovviamente.
Non è solo la questione del prezzo stracciato. È che forse un po' di sesso mi potrebbe calmare. E anche lui, probabilmente, è un po' nervoso.
Ma non so. Abbiamo solo una stanza, cazzarola.
E dopo, io vorrei dormire.
Mentre lui mi sa che, avendo contrattato per tutta la notte, si vorrà divertire fino a tardi.
Vabbé che la mia potrebbe tranquillamente spostarsi nel suo letto, una volta fatto.
Ma non so, sono perplesso. Non mi va.
Forse, in fondo in fondo, c'è anche la questione competitiva.
Non mi sento tanto in forma. E non mi va di sfigurare. Ho quasi il doppio dei suoi anni.
Scuoto ancora la testa.
Inoltre, anche se è improbabile, se qualcuno ci becca, con lui la ragazza rischia poco. Con me, che sono molto più anziano, le scatterebbe subito un fermo per prostituzione.
La legge a Cuba è così.
E poi, 'ste ragazzine non le ho neppure viste in faccia. È vero che Paul ragiona con il puffo rosa, ma non è scriteriato. E non rischierebbe con delle minorenni.
Troppi dubbi. Segno che non ne ho voglia davvero.
E poi, ragiona, come facciamo?
Vuol dire che se non mi va, non sa come organizzarsi. Abbiamo solo quella stanza.
Facciamo, propongo, che le prendi entrambe. Io dormo in macchina.
Mannò, protesta, non è giusto. E poi, miseria, hai ragione. Sono stanco pure io e mi sono lasciato prendere dalla contrattazione. Ma sono a pezzi.
Tranquillo, lo rassicuro, non sarà la prima volta che dormo in macchina e vedrai che ce la fai anche senza il mio aiuto.
Lui sorride divertito e fa segno alle ragazze di seguirci.

Paul mi ha dato le chiavi che teneva in tasca.
E mentre salgono per la scala esterna riesco a intravedere la mercanzia.
Il mio amico sa scegliere. Da dietro direi che sono molto carine. Gamba lunga, entrambe sul metro e settanta, culetto invitante.
Ma quando apre la porta e accende la luce, sono già fuori vista, per cui non riesco a valutarle per davanti.
Vabbé, mi accomodo dalla parte del trasportato, blocco le porte dall'interno, si sa mai, e mi copro con la felpina.
La Chevy è grande e comoda. Abbasso il sedile e mi giro appena sul fianco.
Per dispormi al sonno, fantastico sulla patata a biscottino della Cristina, la fidelizzata russa con cui ho fatto l'amore prima di partire. E pensandola mi addormento come un angioletto.

Mi sveglio che sto ancora sognando il sesso gonfio e grondante umori della ragazza russa.
Un metro e ottanta di sensualità irrefrenabile.
Le russe mi fanno morire. Fanno sesso per fisiologia, non per amore.
Mi sento compiaciuto, ma avverto un generale malessere. Un indolenzimento alla schiena e una fitta al ventre.
Puttana! Mi lamento.
I fosfori della Chevy comandano l'una e un quarto.
Provo ad alzarmi, ma mi piego immediatamente per il dolore.
Devo immediatamente andare in bagno.
Probabilmente colpa dei gamberetti in salsa.
Come cazzo faccio? Mi chiedo uscendo precipitosamente dalla macchina.
Sto per farmela addosso.
Salgo precipitosamente le scale ed entro nell'appartamentino.
Non accendo la luce.
Ma un piccolo bagliore viene dal salottino.
Una delle due ragazze siede sul divanetto completamente nuda, le gambe sotto il sedere, a giocare con il Pad del mio amico.
Lui, invece, è sul suo letto, strettamente abbracciato con l'altra pupa.
Entrambi dormono.
'Fanculo, forse era davvero troppo stanco anche lui.
La bimba sveglia mi fa un gesto interrogativo con il mento.
La ignoro e mi fiondo in bagno.
Appena in tempo.
Non è diarrea, ma quasi.
Mi libero del ponderoso fagotto e mi sento immediatamente meglio.
Apro la finestrella che dà sulla campagna e decido di farmi una doccia.

Mi sono rivestito.
Torno nella stanza e mi accomodo di fianco alla donzella sveglia.
Lei alza gli occhi per farmi un rapido sorriso. E continua imperturbabile a giocare.
È una roba che con conosco, con palline che rimbalzano da tutte le parti e mostri che ogni tanto escono dal nulla per mangiare degli ostacoli.
La ragazza emana calore e un leggerissimo piacevole odore di figa.
Del resto, a gambe incrociate e senza niente addosso, la patata è del tutto esposta.
È molto carina. Bel visino sottile da meticcia.
Una seconda di seno ben portante, pelle scura e liscia.
Finalmente il gioco finisce e lei prima di ricominciare un'altra partita, mi chiede in un inglese stentato se voglio scopare.
Scuoto la testa e le chiedo in spagnolo com'è andata con il mio amico.
Oh, sbuffa, ha fatto qualcosa con lei e poi si sono addormentati.
Ma non capisco bene, i cubani parlano uno spagnolo terribile. Cubagnolo, come dicono con sottile auto ironia.
Perché non insieme? Chiedo evidente.
La ragazzina scuote la testa.
No, spiega, siamo sorelle. Io Ana, lei Amelia.
Piacere, borbotto.
Si vede che Paul era davvero sfatto.
Valuto meglio la tinca.
Quanti anni hai? Chiedo.
Diciannove, risponde.
E comincia una nuova partita.
È verosimile.
Clicca con calma sulle sue palline. E ogni tanto si gratta il pube glabro.
La lunga chioma sciolta le scende fino all'ombelico.
Vado a fumare, sospiro.
Ed esco sul terrazzo dietro.
Mi accendo uno dei falsi Cohiba del padrone di casa. E mi siedo a prendere il fresco su una delle grandi sedie a dondolo.
Il vento sa di cacao e di zucchero.
Da qualche parte, lontano, qualcuno sta cantando la nostra stronza canzone che non vuol dire un cazzo.
Se me sale la babita
Yo no lo puedo evitar
La ragazzina viene a sedersi nella sedia di fianco alla mia.
Si è infilata una striminzita maglietta che la lascia scoperta dalle anche in giù e fuma una sigaretta.
Si è legata i capelli dietro con un elastico.
Deve essersi stancata di giocare allo stronzo giochino on-line.
Tu sei il padre? Chiede a bassa voce.
No, sorrido, sono il nonno.
Capisce che la sto prendendo in giro e ridacchia divertita.
Lavoriamo insieme, spiego.
Annuisce e spegne la cicca.
Torna a mettersi le gambe sotto il sedere.
E si gratta di nuovo la grilla.
La trovo molto più sexy adesso.
La canzone continua senza sosta. L'accompagnamento di chitarra è impreciso e alterno.
Cuando Juanica y Chan Chan
En el mar cernían arena
Como sacudía el jibe
A Chan Chan le daba pena
Magari anche solo un pompino, che so?
È pagato.
Solo che, al contrario, mi ispirerebbe una leccatina.
Mi faccio l'idea che potrei prenderla in braccio e toccarla un po'.
Lei sembra capire.
Vuoi che scopiamo? Chiede con espressione furbetta.
Le faccio segno di venire da me.
E lei si accoccola sul mio ventre.
Il mio affare si è improvvisamente inturgidito.
Lei me lo tocca da fuori e ridacchia di nuovo complimentativa.
Non è una professionista, è evidente.
Le chiedo cosa fa nella vita.
Studio, mi dice, comunicazione sociale.
Non so cosa voglia dire, ma lei sembra convinta.
Mi slaccia maldestramente i pantaloni.
Poi mi allunga le labbra.
Accidenti, non me l'aspettavo.
Ci baciamo un po'.
Le tocco la patatina e lei mi stringe appena l'affare.
Mia sorella fa legge, sussurra staccandosi, siamo gemelle. Ma non uguali, solo somiglianti un po'.
Si sfila la maglietta per farsi toccare anche sopra.
E mi sbottona la camicia.
Mi alzo per spogliarmi.
E poi torniamo ad abbracciarci.
Lei mi accarezza il puffo calvo e ogni tanto mi infila la lingua tra le labbra.
È abbastanza bagnatina.
Dopo un po' che ci tocchiamo, lei scende e si inginocchia tra le mie gambe.
E me lo prende in bocca.
Lo succhia un po', fin troppo piano.
Io la guido tenendola per la testa.
Ma non sembra convinta.
Per cui, la tiro su per le spalle.
E lei si mette cavalcioni sul mio ventre.
Sfrega la patatina sul mio affare e sorride.
Il condom, le ricordo.
Lei alza le spalle.
Cazzo! La fermo.
Lei mi sussurra che non ha preservativi. E se ne ho io, ok.
Porca puttana, lo sapevo. Con le non professioniste è sempre un casino.
Paul? Chiedo.
Lei scuote la testa non capendo.
Hanno messo il condom? Preciso.
Alza di nuovo le spalle.
Quel cretino.
Pensavo ne avesse lui. Io non mi sono preso su niente.
La pupa continua a premere leggermente la sua piega umida sulla mia cappella.
Se non smettiamo subito, entra.
Per cui, la spingo gentilmente da una parte e la bacio di nuovo.
Lei non capisce bene.
La faccio accomodare meglio e mi inginocchio io tra le sue gambe.
Glie le apro un po' e la lecco.
Prima piano piano, poi più decisamente.
Lei subito sembra non reagire.
Poi, mi stringe le mani sulla testa e fa qualche piccolo sospiro.
Viene.
Cazzarola, viene. Viene sul serio.
Senza troppa enfasi, scuotendo appena le anche. Ma viene.
Alzo le fauci da fiero pasto e mi allungo a baciarla di nuovo.
Lei mi ricambia con apparente riconoscenza.
Facciamo senza plastico, mi sussurra in un orecchio.
No, scuoto la testa, non va bene. Non farlo mai.
Lei annuisce poco convinta.
Dietro, propone, così non rischio di rimanere gravida.
Sorrido incredulo.
Dietro, spiego, è ancora più pericoloso. E poi, non abbiamo niente per ungerlo.
Alza di nuovo le spalle incurante.
Mi prende una mano e se la porta sulla patatina in un implicito invito.
La tocco di nuovo. E lei sospira.
Dopo una pausa, hanno ripreso a cantare.
La musica arriva intermittente. Probabilmente viene dal ristorante.
Limpia el camino de pajas
Que yo me quiero sentar
En aquél tronco que veo
Y así no puedo llegar
Neppure loro sono professionisti.
Nessuno, mormora la ragazzina, me lo aveva mai fatto.
Mi sorride timida.
Nessuno ti ha mai leccata? Perplimo.
No, fa lei con un sorriso stentato.
Continuo a toccarle la patata, sempre più bagnata.
Gli uomini, spiega, non lo fanno, qui da noi. Non è, come dire? considerato virile.
Capito, sorrido.
Non sono abituata, aggiunge imbarazzata, scusa.
La bacio di nuovo.
Vuoi che te lo faccio ancora? Propongo.
Grazie, risponde seria.
Questa volta alza meglio il bacino.
Poggia le gambe in posa un po' spastica ai braccioli della sedia a dondolo.
Così, è più comodo anche per me.
Le do due lappatine e lei mi prende di nuovo la testa con una mano.
Mi spinge sotto.
Subito non capisco.
Poi allungo la lingua a lambirle il buchino dietro.
E la lecco a fondo.
Lei si stringe un seno e rotea il bacino.
Si abbassa di nuovo, per farsi leccare per davanti.
E viene immediatamente.
Questa volta con maggiore evidenza. Scuote le lunghe gambe e ansima a lungo.
Il mio affare ormai è incontrollabile.
Teso e violaceo.
Mi alzo e lei me lo imbocca senza esitazione.
Lo pompa per qualche minuto, salivando e sbrodolando.
Ma, come so, difficilmente verrò in questo modo.
A dar retta al mio ingrifamento, la farei girare, le insaliverei il sedere e glielo infilerei senza tante storie.
Ma cerco di essere ragionevole.
Torno a sedermi e me la tiro sopra.
Mi sego un po', mentre lei mi guarda con occhio spento e capello ormai arruffato.
Ti vengo in bocca, decido.
Ok, risponde senza entusiasmo.
Accelero un po' la manipolazione. E quando sono quasi pronto la spingo ad abbassarsi sul mio affare.
Lei lo imbocca appena e lo succhia solo per un attimo.
Mi inarco per la tensione.
E il fiotto parte copioso e irruente.
Lei si irrigidisce. Lo prende tutto.
E non appena le mie contrazioni si affievoliscono, lascia cadere il bolo appiccicoso sul mio pube.
Poi si gira a sorridermi triste.
Provo a baciarla, ma lei si tira via con aria scontrosa.
Sempre in bocca, mormora alzandosi.
Si infila rabbiosamente la maglietta e torna dentro.
Immagino vada a sciacquarsi la bocca.
Adesso non si sente più la musica.
Del resto, devono essere le due passate.
Canticchio a bassa voce, pervaso da un'improvviso senso di rilassatezza.
De Alto Cedro voy para Marcané
Llego a Cueto, voy para Mayarí
Mi allungo a prendere il fazzoletto dalla tasca dei pantaloni e mi pulisco sommariamente.
A Mayarì non credo ci passeremo, è un po' fuori strada.
E poi, pare non ci sia niente di particolarmente interessante.
Con tutto che, ovunque tu vada, c'è sempre qualcosa che merita di essere visto, annusato, assaggiato. O semplicemente ascoltato.
Anche solo una cazzo di canzone che non vuol dire niente
 
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Questo racconto è frutto della mia fantasia. Eventuali riferimenti a persone esistenti e a situazioni reali è del tutto casuale

La breve pacificazione incontenibile della pazza zingara saggia

Pazza di una zingara.
Il cazzo le piace da morire, questo è sicuro.
Lo avevo capito al primo sguardo, quando ci eravamo incontrati in ambulatorio, la settimana prima.
Lei stava aspettando gli esiti degli esami, io che Cristina facesse un prelievo.
Un solo sguardo scuro di presagi. Avevo capito subito che sarebbe finita così.
'Fanculo.
Spingo il mio affare ancora più profondamente nel suo sedere.
Non è comodo. Lei stesa su un fianco, con una mano le tengo un po' su una gamba, con l'altra le stringo la nuca sottile, come le piace.
Ha raccolto i folti capelli neri in una voluminosa coda, che si sparge sul lenzuolo ad ogni colpo.
Lei si stringe un capezzolo indurito e si tocca per davanti.
Ogni volta che lentamente raggiungo il fondo, lei emette un piccolo singulto sincopato.
Gli occhi chiusi e la punta della lingua tra i denti.
Guardami, troia, ordino.
Lei torce appena il collo e alza le palpebre su un occhio velato di piacere.
Pazza di una zingara. Ci conosciamo da solo una settimana e sono tre volte che sta da me tutto un pomeriggio per cento euro.
Non lo fa solo per i soldi. Lo fa perché il cazzo le piace da morire.
Le sue regole sono semplici. Prima la scopo in figa fino a quando non viene.
E non ci vuole molto.
Poi la inculo, fino a quando non vengo io, dentro.
Con lei che si tocca e viene ancora un paio di volte. Immancabilmente quando le inondo l'intestino.
Bocca non le piace.
Zingara pazza.
Prima ha voluto che accendesi la radiosveglia a basso volume. E una piccola brezza entra dalla finestra spalancata.
È giugno, non fa caldissimo, ma siamo entrambi madidi di sudore.
Cazzo, mormora, è più di un'ora che mi scopi in culo.
Deve esserci uno speciale sui Led, alla radio, perché è un po' che mandano i loro brani più famosi. Adesso trasmettono Going to California.
Non ti piace? Rispondo arrochito spingendomi ancor più profondamente dentro di lei.
Certo, ansima, ma adesso mi sembra di dover cagare. Devo andare in bagno.
Ok, mi rassegno.
Esco con un piccolo rumore di risucchio e lei si massaggia amorevolmente lo sfintere.
Ma non ci sono segni di merda.
Neppure sul mio affare.
Si controlla il dito.
Poi si alza e ancheggiando va in bagno. Fare la troia le viene naturale.
Quando la settimana prima ero entrato in ambulatorio con Cristina, la mia fidelizzata russa, lei era seduta su una poltroncina verde, da sola. Ce n'era tutta una fila, poggiate a una parete.
E nessuno in giro. A parte un'infermiera, che cazzeggiava in fondo al corridoio con delle provette.
Le lunghe gambe accavallate nei jeans stinti. I sandalini aperti e una maglietta abbastanza scollata.
Evidentemente troia.
Cristina aveva alzato il nasino sprezzante, riconoscendo una possibile concorrente. Per ribadire la sua indubitabile superiorità.
Ma miope com'è, e senza occhiali per via che secondo lei non le donano, non sarebbe certo riuscita a ricostruire.
La zingarella ci aveva fissato per un attimo, valutandoci.
Un vecchio stronzo e una puttanona russa.
Questo il verdetto.
Le due sembravano i prototipi di due estremismi zoccoleschi. Quelli che preferisco.
Cristina, bionda sul metro e ottanta, con il tipico visino da russa brava bambina e curve mozzafiato.
L'altra, mora e scura, velina con abbondanze nei posti giusti. Espressione vorace, tipica di tutte le zingare. E un'aura di tristezza nostalgica.
Ci eravamo seduti dall'altra parte del corridoio, mentre aspettavamo che chiamassero la mia pupa per il prelievo.
E lei aveva nascosto il nasino tra le pagine di una rivista femminile. Ce n'era un mucchio sul tavolino in mezzo al corridoio.
Pazza di una zingara.
Mentre Anna è in bagno, mi accarezzo l'affare turgido.
Ora stanno trasmettendo una delle mie preferite, Rain Song.
Ha tirato l'acqua e sento che traffica con il bidè.
Così, la raggiungo.
Si sta lavando voluttuosamente tra le cosce, accucciata sul sanitario. Una sigaretta appena accesa tra le labbra.
Si gira a guardarmi con il suo sorriso storto.
È tutto perfetto, in lei, tranne uno dei due denti davanti, un po' storto.
Mi lavo il pinco e mi siedo sul water a osservarla.
Le prendo la cicca e faccio un tiro.
Ce l'hai troppo grosso, sospira.
Si è sciolta i capelli. E il suo visino sembra ancora più sottile.
Mi aveva detto di avere un figlio. Ma nel suo aspetto niente sembra testimoniare questa affermazione.
Patatina quasi infantile, pelle liscia dappertutto. Seno alto, una seconda, con capezzoli larghi e morbidi. Che si appuntiscono indurendosi, al primo tocco.
Le ripasso la cicca. Lei si alza e si asciuga tra la gambe.
Questa volta, decide tirando avidamente, mettiamo un po' di crema.
Nonostante le mie dimensioni non troppo comode, di solito, si inumidisce solo con la saliva.
Prende una scatola di pomata di mia moglie. Annusa divertita e ci intinge appena un dito.
Se vuoi, propongo accomodante, facciamo figa.
No, scuote la testa con il solito sorriso sghembo, ho già sborrato due volte per davanti. Voglio Che mi vieni dietro.
Mi alzo anch'io e la seguo in camera da letto, mentre lei si infila delicatamente il dito unto nel culo e si massaggia lo sfintere.
Pazza di una zingara.
Si stende su un fianco e si raccoglie di nuovo la folta chioma con un elastico.
Mi metto dietro di lei e, con un piccolo sforzo, entro.
Lei soffia e torna a stringersi un capezzolo e a sfrugnarsi per davanti.
Per questo c'è l'ho sempre duro quando sono con lei. Ti accorgi subito che il cazzo le piace da morire.
Anche Cristina mi piace per la stessa ragione. Ma Cristina è giocosa, con lei è tutto liturgia scherzosa e attesa di essere sorpresi.
Anna è straziante, scopa come se fosse l'ultima volta in vita sua.
Era bastato uno sguardo, quando eravamo in ambulatorio, per capire che presto me la sarei scopata in culo.
Avevano chiamato Cristina quasi subito.
È sempre un po' preoccupata quando facciamo le analisi, ma è la regola che ci siamo dati per tranquillità reciproca. Io le avevo fatte la settimana prima.
Così, mi aveva sorriso poco convinta e aveva seguito l'infermiere in ambulatorio.
Anche solo la vista del suo posteriore nel vestitino corto mi provocava mancamenti.
Cristina è uno schianto. Soprattutto quando non se ne rende conto.
La ragazzina seduta di fronte mi aveva sorriso sardonica.
Conosco la tua amica, aveva sussurrato.
Si era guadata intorno, a controllare la mossa. Ma in giro c'era solo la solita infermiera che riordinava le sue provette su un carrello, in fondo al corridoio.
Poi si era alzata con mossa elegante e si era venuta a sedere sulla poltroncina alla mia destra.
Lavora in Stalingrado, dall'altra parte dove sto io, aveva precisato in un ottimo italiano, dall'accento vagamente orientale.
Che strano, non l'avevo mai notata. E sì che ci passo spesso.
Non vengo tanto, aveva aggiunto, solo la sera qualche volta. Il pomeriggio lavoro a Borgo.
Anche lì ci passo spesso, ma non ricordavo di averla mai vista.
Anna, si presentò allungandomi la manina.
Anche lei doveva essere un po' nervosa per via delle analisi, perché scuoteva ossessivamente un ginocchio.
Si accorse che lo avevo notato e smise.
Mi sorrise stentata.
La ragazza non era tanto aggiornata. Cristina non scende in strada da qualche settimana.
Da quando ha trovato casa con Monica.
Le piace lavorare insieme alla sua amica russa, si fanno compagnia e parlano ininterrottamente nella loro lingua. E massimo a mezzanotte chiudono bottega.
Così, può uscire con i suoi conoscenti in orari un po' meno proibitivi.
E spesso viene da me sul tardi. E rimane a dormire.
Sempre per i soliti maledetti cento talleri.
Cristina è esuberante e divertente. Il sesso per lei è fisiologia, le piace da morire, ma non nasconde alcun significato.
Anna è un enigma.
Apri gli occhi, troia, ripeto.
E lei spalanca i fari obbediente.
Tira fuori la lingua in un invito a farsi baciare.
Così, le faccio torcere il collo e le succhio le labbra.
Più di così non posso entrare, ma spingo lo stesso.
Lei si tocca lo stomaco, come per dire che mi sente fino a lì.
Pazza di una zingara.
Mi allungo a spegnere la radiosveglia, non sopporto Stairway to Heaven.
Poi le accarezzo il ventre, le natiche e le cosce. Non una smagliatura, un segno, un'imperfezione.
Tu non hai figli, mormoro.
La ragazza chiude ancora gli occhi e dondola il busto per farmi entrare anche di più.
Io sono la madre di tutti, risponde con un labile sorriso.
Le stringo più forte la nuca e lei accelera la sua manipolazione anteriore.
Poi scuote il bacino, come fa ogni volta che viene.
Nel senso, rantola leccandosi le labbra, che siete tutti figli di puttana.
Ridacchio stupito da tanta saggezza.
Ed esco lentamente dal suo culo.
Lei mi fissa offesa.
Ma è solo per stenderla supina e metterla a rana.
Soffia di nuovo, mentre la penetro fino alle palle.
La settimana prima, dopo che ci eravamo presentati, l'infermiera che trafficava con le provette era sparita.
Sei in ansia per le analisi? Le avevo chiesto.
E tu? Fece spavalda.
No, alzai le spalle, con lei facciamo tutto senza, ma ci teniamo controllati. Io le ho fatte giovedì scorso, tutto negativo.
La bimba aveva annuito seria.
Si vedeva che avrebbe voluto accendersi una sigaretta. Ma lì, ovviamente, non si poteva.
Ho fatto la stronza, sospirò, l'anno scorso. Per un periodo ho fatto cabrio con tutti quelli che me lo chiedevano. Anche la mia amica lo faceva e adesso si è ammalata.
Grave? Domandai abbassando la voce.
No, annasò, non ha preso l'HIV, ma ha un sacco di cose che non vanno. Al fegato e alle ovaie. Le scende della roba dalla figa e adesso è in cura con degli antibiotici. Ma dovrà prendere molte medicine diverse, non so. Non può neppure lavorare.
E tu, mi informai, hai qualche sintomo?
Non so, scosse ancora la testa, non capisco. Sono sempre stanca.
Proprio in quel momento l'infermiera era tornata con una busta in mano.
La ragazza si era alzata e l'aveva raggiunta.
Poi era tornata a sedersi, mentre l'infermiera ricominciava a trafficare con le sue provette.
La bimba scuoteva ancora nervosamente il ginocchio, ma sembrava troppo preoccupata per obbligarsi a tenere un contegno.
Adesso era chiaro perché mi aveva agganciato.
Aprila tu, disse infatti porgendomi la busta.
Ok, avevo accettato.
E l'avevo aperta.
Tutto a posto, avevo sorriso.
E lei aveva tirato un sospirone di sollievo.
Grazie, aveva sussurrato prendendo il telefono, dammi il tuo numero.
E il giorno dopo, mi aveva chiamato.
Mi appoggio tutto sul suo ventre, per baciarla.
Sono pesante, ma a lei piace.
Così, però, non riesce a toccarsi.
Per cui, mi tiro su e le tengo entrambe le gambe.
Dalla patata gonfia le esce un rivolo di umori, che le scende tra le pieghe inguinali, a macchiare il lenzuolo.
Non mi ha mai fatto fretta, 'sta stronza, e mai che mi abbia chiesto cosa o come fare.
Tutto molto semplice e naturale. Dritti allo scopo. Con la sola condizione che prima viene lei. Dopo posso fare tutto quello che voglio.
Anche bocca, se credo.
Ma mi ha detto che non le piace, per cui evito.
Il cazzo comincia a farmi un po' male, con tutto quello sfregamento. E ho i coglioni gonfi e indolenziti.
Per cui, accelero appena e le vengo dentro.
Come sempre, lei ne approfitta per seguirmi toccandosi furiosamente per davanti.
Scuote le anche e le spalle con movimento spastico. E poi si abbandona a braccia aperte, gli occhi chiusi, ansimando leggermente.
Troia, le sussurro in un orecchio accasciandomi sul suo petto.
Sì, ammette.
Mentre il suo buchino dilatato si contrae lentamente.
Mi tiro di lato.
E lei si allunga ad abbracciarmi. Mi poggia la testa sopra la spalla e tira su col naso.
Adesso, come ogni volta, fumeremo una sigaretta.
Stremati e madidi di sudore.
Parlando stancamente, fino ad addormentarci per qualche minuto.
È così che mi ha raccontato di avere un figlio, che i suoi sono morti e che ha studiato al liceo e si era iscritta all'università. Che ha cominciato a fare la puttana perché il suo fidanzato serbo l'ha fatta diventare cocainomane e l'ha costretta per mantenersi la scimmia.
Probabilmente mi ha raccontato solo un sacco di balle.
Pazza di una zingara.
Infatti, prende una delle mie sigarette dal pacchetto sul comodino e l'accende.
Torna ad abbracciarmi e aspira voluttuosamente.
Tu hai capito che non sono normale, vero? Mormora.
Un po', confermo.
Tu scherzi, balbetta, ma quando avevo dieci anni, mia mamma mi ha mandata da una psicologa.
A Giurgiu?
No, a Cremona, i miei sono venuti qui che io avevo quattro anni.
Ecco spiegato perché questa tinca parla tanto bene italiano.
È che, sibila apparentemente imbarazzata, si erano accorti che mi toccavo tutto il giorno, non smettevo mai. Anche a scuola. È stata la maestra che lo ha detto ai miei, anche se mia mamma si era già accorta che avevo qualcosa di strano.
E cosa avevi di strano? Chiedo accendendomi anch'io una sigaretta.
Da quando fumo meno, le paglie sono meravigliose.
Ma dai! Sbotta, non è normale. Se fosse per me, scoperei sempre. A quel tempo avevo imparato che se mi toccavo, il prurito in mezzo alle gambe passava. Ma dopo cinque minuti tornava. E adesso è ancora così. Mi hai rotto il culo per oltre un'ora e se ce l'avessi duro ricomincerei immediatamente.
Rifacciamolo, propongo ironico.
Lei alza un sopracciglio osservando dubbiosa il mio affare quasi del tutto sgonfio e leggermente pulsante.
Ho ancora il tuo sperma dentro, mormora, vuoi vedere mentre lo butto fuori?
Ok, accetto interessato.
Lei mi prende l'affare con una mano e me lo tira piano.
Porco, mi sussurra compiaciuta vedendo che reagisce immediatamente, l'idea di vedermi cagare la tua sborra ti eccita.
È che sei una grandissima troia, mi complimento ritualmente.
Non pratico usualmente il turpiloquio, ma lei mi ha detto che le piace.
Chissà se è vero. Ormai non credo a nessuna delle cose che dice.
Pazza di una zingara.
Ma ha ragione. Il mio mio affare si è parecchio imbaldanzito.
Con mossa rapida, mi viene sopra dandomi la schiena. E tenendolo con entrambe le mani riesce a infilarselo nella patata. Come sempre, piuttosto stretta.
È bagnatissima ed entra abbastanza facilmente, anche se sono ancora un po' floscio.
Ma stare nella sua cosina calda, mi rintosta.
Si piega un po' in avanti e prova a buttare fuori la sborra dal culo.
Spinge, contraendo spasmodicamente gli sfinteri.
Ecco, sospira cominciando a emettere la mia roba dal sedere.
È densa e scura, forse mista a merda.
Il fiotto è misero, mi finisce sulla pancia.
Ne ho ancora, assicura con voce arrochita.
E ne caga una altro po', con un rumore contenuto di scoreggia.
Il mio cazzo adesso è teso e sensibile.
Sento che sta per venire di nuovo.
Troia, ripeto ritualmente.
Si tira un po' su e si sposta a puntarselo sul sedere.
E si abbassa lentamente per incularsi di nuovo.
Una regressione sadico anale, mormora girando il collo a fissarmi.
Mi sembra di averlo infilato in una morsa. Il filetto mi fa un male cane ed è tanto stretto che è impossibile anche il minimo movimento.
Te l'ha detto la psicologa? Chiedo a denti stretti.
Sì, annuisce nonostante la smorfia di dolore, sai cosa vuol dire?
Che ti piace farti strapazzare un po', singulto.
In estrema sintesi, sibila, si può dire anche così.
Si tira su con un sospiro di sollievo.
Il mio affare è teso all'inverosimile, violaceo e con le vene gonfie.
Adesso, però, ammette, mi stavo facendo strapazzare un po' troppo.
Mi si stende vicina e mi abbraccia.
Prende una salvietta dal comodino e mi pulisce la pancia.
Tu mi racconti sempre un sacco di palle, mormoro.
È vero, sospira.
Mi prende l'affare con una mano e mi masturba lentamente.
Ha assunto un'espressione pensierosa e triste.
Ma ci sa maledettamente fare, con la mano.
La tua amica, dice a bassa voce, la tua amica Cristina, sai come mai mi fa invidia?
A parte che è una figa fotonica, commento impertinente.
A parte quello, annuisce, che è maledettamente vero, è davvero una gnocca imperiale.
Dai, la incito, spara.
È che si vede subito, osserva, che a lei godere viene facile.
Annuisco stupito.
È così, vero? Insiste.
Intanto, la mia cappella si è gonfiata quasi dolorosamente. E sto per venire.
Non voglio dire che è una persona semplice o banale, commenta seria, è che ha un atteggiamento naturale verso verso tutto e si vede che è così anche con il sesso.
Infatti, ammetto.
Mentre io, sorride amara, ho tanti orgasmi ma non sono mai soddisfatta.
Ma ti piace, la contraddico.
Dalla finestra adesso viene un po' d'aria.
Sono ancora fradicio di sudore, ma mi dà un po' di sollievo.
Non so, alza le spalle.
Ha accelerato la sua manipolazione. Il mio affare è sempre più teso.
Sto per venire una seconda volta. Alla mia età e con la mia prostata infiammata è un caso davvero eccezionale.
Sai perché vengo da te così spesso? Chiede con una piega amara nello sguardo.
Perché sono bellissimo, scopo da dio e ti pago un casino di soldi, cerco di scherzare.
E riesco, in effetti, a strapparle una risata cristallina.
Ma torna subito seria.
Anche per questo, ovviamente sorride amara, ma soprattutto perché, dopo, stiamo qui a parlare e ci addormentiamo. È l'unico momento di pace vera che ho.
Ma dura solo qualche minuto, obietto cominciando a inarcare la schiena.
L'unico momento di pace che ho, ribadisce accelerando.
Mi allunga le labbra. E vengo mentre mi bacia dolcemente.
Ora possiamo dormire un po', mi bisbiglia in un orecchio quando smetto di scuotermi.
Mi giro su un fianco ammirato, per allungarle ancora le labbra.
E lei chiude gli occhi rilassando le membra.
Ora dormiamo, bisbiglia staccandosi.
E mi appoggia teneramente la testa sulla spalla.
Mentre la mia sborra gocciola lentamente dalla mia pancia sul lenzuolo, macchiato di merda e di umori.
 
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[FONT=&quot]Mattina fresca per una Domenica di metà agosto, arrivo a lavoro in anticipo come solito, cambio con il collega stanco dalla nottata, anche le chiacchiere ne risentono, normale amministrazione.[/FONT][FONT=&quot]
[/FONT]

[FONT=&quot]Parte il mio turno compilo le due scartoffie d'ufficio ed organizzo la mia "fazenda" (vedesi foto, mancano solo gli ungulati e tutti gli allegri componenti della canzone nella vecchia fattoria ) fatta di #ordinedisordine.[/FONT]
[FONT=&quot]Music zapping su youtube per carburare, laptop acceso come porta di viaggi fantastici.[/FONT]
[FONT=&quot]Mi diletto a fare ogni cosa mi viene ispirazione, insomma come usano fare i bambini ,il superfluo la fa da padrona: pulisco le scarpe , mi metto le creme idratanti, riparo la borsa della palestra logora dal non palestrare e alle dieci sono già con un blackwood acceso che gusto avidamente infischiandomene del fumo lento.[/FONT]
[FONT=&quot]Questo lento produrre mi porta ad aggiornarmi sulla situazione punteristica ed in una triangolazione mentale degna della selecao mi viene in mente una boccheggiante frase " ...ma tu mi leggi...?"[/FONT]
[FONT=&quot]
[/FONT]

[FONT=&quot]Il tempo scorre veloce e mentre sbuccio le uova sode vado a sbirciare il post dell' amico interrogante, inizio a leggere e già dalle prime righe riconosco lo stile corsaiolo accelerazioni e repentine frenate, zoomate e tutto campo, che sono di vita vissuta; come un grande regista orchestra nella sua mente e traspone su pellicola.[/FONT]
[FONT=&quot]
[/FONT]

[FONT=&quot]Continuo a mangiare e a leggere ed in breve vengo preso da un fremito, anche se annoiato dal mio compito giornaliero, questa divagazione mi provoca un' erezione che supero solo con una bella sorsata di acqua ed un' urinata liberatoria (nel senso che il 70% di questa finisce fuori, meno che nel buco)[/FONT]
[FONT=&quot]
[/FONT]

[FONT=&quot]Mi accendo un toscanello, mi viene da ridere con in sottofondo il buon Lucio quando scorgo luoghi conosciuti che anche se impietosamente vengono definiti alla stregua del fetido .[/FONT]
[FONT=&quot]
[/FONT]

[FONT=&quot]Leggere queste righe o meglio questi spaccati di viscerale vissuto, mi ricorda un ballerino classico accompagnato dal violino stridente e pizzicato, che si salverebbe con quei vigorosi e leggiadri saltelli sul filo di una temibile katana.[/FONT]
[FONT=&quot]
I movimenti narrativi rappresentano alla perfezione l'atto carnale in tutta la sua forza primordiale, intrecciato a spaccati di realtà.


Mi fermo qui non volevo dire solo uno scontato Grande Master, perché come riesci a titillare la materia grigia con la tua penna non è cosa da poco , grazie della regalata compagnia.
[/FONT]

P.s. non volevo in alcun modo scimmiottare lo stile preparato con la mia impreparazione...




Saluti pieni di ammirazione .






WALLS
 
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wow, walls, detto da te non è solo un complimento, è una grande soddisfazione. ogni bene, caro amico
 
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grazie, Syria. spero diverta voi leggere quanto diverte me scrivere. ogni bene a te
 
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La conquista della posizione eretta

Non potevo farci niente, con la Simo andava così.
Mi bastava averla nei dintorni per procurarmi erezioni incontrollabili.
Non che avessimo avuto occasione di sperimentarlo fuori dalla sua casa in una traversa di via Ferrarese, certo.
Ma era cromosomico.
A dire il vero, quel giorno avevo preso un cincinino di pirlimpimpina.
Ma ormai erano passate diverse ore. E in ogni caso, non era quello.
Appena la vedevo, immancabilmente mi veniva duro. E mi rimaneva duro per tutto il tempo.
Non che avessimo avuto occasione di sperimentarlo oltre l'ora per cui la pagavo, ma, insomma, era comunque una cosa che alimentava la mia autostima.
Quel giorno, comunque, l'avevo chiamata tardi, quasi a ora di cena. Prima non potevo. E, a quanto pare, non poteva neppure lei.
E lei mi aveva preso lo stesso, anche se quando ero arrivato doveva appena aver finito con un altro. E di cucinare.
In corridoio c'era un buon odore di carne in umido con le patate i peperoni.
Non mangiavo dalla sera prima e mi aveva preso un certo languore.
Ma non ero mica lì per sfamarmi, ero lì perché l'erezione è una delle poche cose per cui vale la pena vivere.
La Simo mi aveva accolto con il solito sorriso vagamente sardonico. Era un poco imbarazzata, perché non aveva fatto in tempo a prepararsi.
E invece che in intimo nero e tacchissimi, si stringeva addosso una leggera vestaglia da camera, inadatta alla stagione.
A casa sua faceva piuttosto caldo, ma fuori nevicava.
Tutto bene? Mi aveva chiesto abbracciandomi e stringendomi amichevolmente la panza sotto la giacca d'ordinanza.
Ero uscito dal lavoro e mi ero fiondato lì.
Yes! Avevo esclamato.
E lei era scoppiata a ridere.
Delle volte parlavamo in inglese, per divertimento. Sparavamo strafalcioni madornali solo per prendere in torta l'altro. Per vedere se capiva nonostante.
La Simo era una sagoma. Aveva studiato a scuola inglese e tedesco. E se la cavava con diverse altre lingue. Soprattutto quella che aveva in bocca.
Non che avessimo avuto occasione di sperimentare la cosa, al di fuori delle chiacchiere spiritose che facevamo immancabilmente prima e dopo aver scopato.
Comunque, mi aveva fatto entrare nella sua stanza, la prima a sinistra nel corridoio e mi aveva allungato un altro bacino affettuoso.
Poca lingua, certo.
La sua teoria, che trovavo intrigante, era che culo e bacio il cliente se li deve guadagnare.
Mica con in soldi, eh. Se era per quello, le sganciavo sempre solo 80 gardenie.
Era che, secondo lei c'era una forma di seduzione che passava per un corteggiamento implicito.
In fondo, l'amore è la cosa più intima che un uomo e una donna possono fare.
Anche se pagato, il sesso implica una reciprocità. Empatia, simpatia, ironia.
Non che avessimo avuto occasione di fare particolari passi avanti in questa dialettica, fino al allora.
Ma mi ritenevo comunque abbastanza soddisfatto di essere passato dai secchi rifiuti di digitalizzarla internamente anche solo per davanti a simpatiche battute sulle dimensioni del mio dito quando glielo infilavo dietro. Con allusioni all'enorme difficoltà che avrebbe comportato sostituirlo con il mio ditolone centrale.
E in effetti, nonostante glie l'avessi appoggiato per gioco qualche volta sullo sfinterino, la prospettiva di una penetrazione posteriore sembrava lungi dall'appropinquarsi.
Ma, e questo era ancora più positivo, i bacini a stampo degli inizi, si erano poco alla volta evoluti in languidi sfregamenti di labbra, furtivi sfioramenti di lingua e qualche raro risucchio.
E la sua patatina, tanto secca le prime volte, da diverse sedute non sembrava necessitare di ausili lubrificatori, dopo che l'avevo oralmente o digitalmente trattata.
Insomma il work era in progress.
Ma soprattutto, il social era diventato divertente da morire.
Ok, aveva detto quella sera, mentre mi sedevo sul suo letto, dopo ti presento la mia amica Miky.
Ok avevo annuito cominciando a spogliarmi.
La Simo si tolse le comode pantofole e mi osservò divertita intraprendere la complessa sequenza di azioni che comporta rimanere nudi.
Era da almeno quattro sedute, quindi un mese, che mi diceva che sarebbe arrivata questa sua amica dal suo paese, con cui avrebbe diviso le spese di casa e, forse, lavorato insieme.
Ero già nudo, ed eretto all'inverosimile, quando lei si aprì per davanti la vestaglia. Rivelando il pelino biondiccio, accuratamente regolato, e le sue tette superlative.
Che la palpavo sempre con grande piacere, nonostante il suo disappunto.
Secondo lei erano troppo grosse.
Io ho sempre avuto preferenza per le donne alte a curvilinee. Senza esagerare, ovviamente.
E la Simo era quel genere di pupa che solletica il mio patrimonio genetico.
Alta, bionda, occhi verdi. Tettona, culona e maledettamente sexy.
Soprattutto quando non lo sapeva.
Non che avessimo avuto occasione di sperimentare il contrario, perché lei sembrava sempre incurante della propria prorompente vitalità (citazione per gente della mia età …).
Vado un attimo in bagno, aveva aggiunto, scusa, ma non ho fatto in tempo a prepararmi.
Quasi tutte le puttane che conosco non vedono l'ora di vantarsi di quanto lavorino. Invece la Simo sembrava sempre imbarazzata nell'affrontare questo argomento.
Ma era evidente che qualcuno se ne era andato da poco.
Un vago sentore di dopobarba aleggiava ancora nella stanza (forse lo stesso della citazione di cui sopra).
Mentre l'aspettavo, presi i soldi dal portafogli e li misi sul comò. Poi mi stesi di fianco, con la becca che, come sempre accadeva con lei nei paraggi, aveva assunto dimensioni sconvenienti, almeno per quando si è in pubblico.
Il mio affare non è un mostro di lunghezza, su, giusto una spannina. Ma il calibro è notevole, tanto da rendere qualche volta laboriosa anche una penetrazione anteriore. E qualcuna delle ragazze meno esperte trova difficoltà anche a trattarlo oralmente.
E di questo, posso assicurare, ho avuto occasione di sperimentare parecchio.
In ogni caso, passa solo qualche minuto e la mia ragazzona torna.
Nella sua vestaglia ancora aperta per davanti, come se ne era andata, e seguita dalla sua amica.
Dalla porta aperta sul corridoio entra immediatamente un lancinante odore di pietanza speziata, che mi provoca un improvviso languore.
La Miki, mi dice indicandola.
Ehi, le dico.
La ragazza mi allunga la mano e io glie la stringo.
Piacere, balbetto.
Lei annuisce fissando sorpresa il mio affare.
Sono parecchio imbarazzato.
La Miky è in jeans e maglioncino. Anche lei è alta, ma ha giusto una taglia di meno della Simo.
Mora, con gli occhi azzurri.
Le ungheresi, cazzarola, quando sono fighe, sono fighe davvero.
Si siedono entrambe sulla sponda del letto, dall'altra parte di dove mi sono steso io, e cominciamo a chiacchierare.
Nonostante mi senta un po' disorientato, il mio affare è sempre più gonfio e la cappella è diventata violacea. La situazione sta assumendo contorni surreali.
Siamo amiche da tanto tempo, spiega la Miky, abbiamo lavorato in Germania per un anno.
Parla italiano abbastanza bene.
Poi, si intromette la Simo, lei è andata in Belgio, mentre io sono venuta qui.
Interessante, mento.
La Miky continua a fissarmi l'affare con espressione vagamente inquietante.
Poi, precisa, le cose in Belgio si sono messe male e sono stata a Milano un paio di mesi, precisa, quando lei lavorava là.
Ecco spiegato perché parla italiano. Piuttosto bene, peraltro.
Ma non si viveva, a Milano, sbuffa la Simo. Tutto costava tantissimo.
E non si lavorava tanto, osserva l'altra.
Quando eravamo a scuola, aggiunge la Simo, andavamo in chiesa insieme.
Sono sempre meno lucido. Non capisco se mi stiano prendendo in giro.
La mia amica è parecchio impegnativa, quando si mette a scherzare.
Ma, fa improvvisamente la Miky alzandosi, voi dovete scopare. Scusate, magari parliamo dopo. O un'altra volta.
Sì, fa la Simo, che è molto tardi.
In effetti, sono quasi le otto e mezza.
La moretta sorride imbarazzata fissando ancora il mio affare e si defila.
L'odore di carne in umido, comunque, ha già impregnato la stanza.
La Simo si toglie la vestaglia e si viene ad allungare contro di me.
Il sesso è un specie di liturgia.
Ci abbracciamo e ci tocchiamo un po'.
Lei gioca con le mie maniglie e la pelle cadente del petto.
Sembra che la mia ciccia la diverta.
Le stringo il seno, facendo sbuffare come il solito.
Ma i suoi capezzoli, che sono larghi e distesi a riposo, si inturgidiscono immediatamente.
La bacio sulle labbra e lei mi ricambia appena.
Ti piace la mia amica? Chiede lamentosa staccandosi.
Sì, ammetto, è molto bella.
Lei sembra un po' delusa.
Non bella come te, aggiungo galante, ma è davvero molto attraente.
Sembra rassicurata da questa precisazione.
Per cui scende a baciarmi il petto e allunga la manina.
Una volta, propone incerta stringendomelo sapientemente, se vuoi lo facciamo con lei.
Certo, accetto.
Ora, ridacchia, ti faccio un pompino come si deve.
Non lo ammetterebbe mai, ma parlare male la imbarazza. Di suo, sarebbe timida ed educata.
E dopo ti scopo, anticipo la sua battuta.
Certo, ciangotta sballottando le tette, dopo mi riempi con il tuo bel cazzone.
Contro ogni abitudine, lo imbocca subito e lo ingoia profondamente.
Emerge arrossendo e ride di nuovo.
Ma riprende subito a succhiarlo.
Lo fa con un impeto inusuale.
E il mio affare si impenna ulteriormente.
Mentre mi succhia, la faccio girare appena e le infilo due dita nella patata, da dietro.
Come ormai immancabilmente accade, la sua papera è già bagnatella.
Dai, propongo arrochito dall'eccitazione, mettiamo il preservativo.
La bimba sembra un po' confusa e accaldata. Si allunga a prendere la scatola dal comodino e strappa una confezione con i denti. Poi mi srotola abilmente il plasticone sull'affare.
Ma, mormora, se vuoi, posso chiamarla già adesso.
Con la Simo, questo era uno dei ragionamenti auto suggestivi preferiti. Durante i preliminari, spesso le facevo proposte intriganti. Del tipo che una volta ci saremmo visti al cinema, come due sconosciuti, e ci saremmo masturbati a vicenda. O avrei portato un amico, per una doppia, uno molto meno dotato di me, adatto al suo tesorino posteriore. O, ancora, di farlo con un'altra ragazza, magari senza limiti.
Ogni tanto, questa cosa dello scopare cabrio usciva.
Non che abbia mai avuto occasione di sperimentare, perché arrivati al dunque lei immancabilmente prendeva un goldone e me lo infilava con sapiente professionalità.
E non che avessimo avuto modo di sperimentare nessuna di queste situazioni. Perché poi finiva che lei allargava le gambe e io mi ci ficcavo dentro senza esitazioni.
Non so, confesso, non ci ho pensato.
La bimba mi si stende a fianco e mi allunga un altro bacino.
Cioè, sussurra, non so neppure io. Ma è appena arrivata, non ha soldi, non so.
Posso darvi altri cinquanta, spiego, non ho altro.
Penso che vada bene, annasa la pupa, solo che, non so. Non è facile, voglio dire.
Ma l'avete fatto sicuramente altre volte, alzo le spalle.
Sì, ammette, ma, insomma, non so. È passato tanto tempo.
E, cerco di capire, non sai se puoi fare quel che fai di solito con me, quando c'è lei.
Eh, annuisce arrossendo ulteriormente, non so. Non posso baciarti, lei non lo fa, almeno non credo. Non so se puoi mettermi il dito dietro. Insomma, non è facile. Noi siamo abituati ormai così, ma non è sempre così.
Capisco, sospiro.
E davvero capisco finalmente la sua forma di empatia.
Con ogni cliente è diverso, evidentemente.
Forse non è una buona idea, mormora.
La complicità che mi eccita tanto con lei si è un tantino appannata.
Ad essere sincero, non sono neppure tanto eccitato dall'idea di farmene due.
Ma per un ardimentoso come me, il dovere viene prima di tutto.
Facciamo una cosa standard, l'assicuro, chiamala. Se trovi che sto sbagliando qualcosa, mi fai l'occhiolino.
Ok, ridacchia facendomelo.
'Sta tinca è irresistibile. Meno male che non lo sa (credo …).
Si alza ed esce.
Al suo profumo discreto di sudore sano e sapone subentra l'effluvio sempre più greve di carne in umido.
Le sento parlamentare dalla cucina.
Forse non stavamo facendo la cosa giusta.
Non avevo capito fino a quel momento la cifra speciale della nostra relazione.
E questo rischiava di comprometterla, in effetti.
Mi accesi una sigaretta e presi l'ultima banconota rimasta dal portafogli.
Non glieli davo mai in mano, sempre sul comò.
Poi si stesi supino, al centro del letto, con il cazzo sempre trionfalmente eretto.
Ma il preservativo si era quasi sfilato. Per cui lo tolsi e lo buttai nel posacenere
Ehi, fa la Miky entrando timidamente, la Simo torna subito. È andata in bagno.
La ragazza si sfila i jeans e il maglione.
Gamba lunga e culetto impertinente. Solo una seconda di seno.
Si toglie anche l'intimo, mostrando tutta la sua glabrezza. Ma sembra tentennare.
Forse non vuole cominciare senza la sua amica.
Si siede sul bordo del letto e mi indica il cazzo con un pacato sorriso.
Niente culo, eh! Mette avanti le mani.
Certo, ridacchio.
Torna la Simo. Anche se chiude la porta, l'odore di goulasch è imprescindibile.
Spinge la sua amica a stendermisi contro. E si mette dietro di lei.
Non so bene come fare.
Accarezzo il seno della Miky. È meno di soddisfazione, ma anche i suoi capezzolini si gonfiano un pochetto.
La Simo l'abbraccia da dietro. E allunga una mano a stringermi il petto.
Sa che mi piace.
Non so bene come cominciare.
Ma la Miky, sorprendendo tutta la compagnia, mi allunga le labbra e ci diamo qualche bacio umido.
La Simo mi guarda interdetta.
Ma come? Sembra chiedersi.
Per non essere da meno, non appena la sua amica si stacca, si allunga a superarle la spalla e mi infila pure lei la lingua in bocca.
Si tira via e ridacchiano entrambe piuttosto imbarazzate.
La Miky, che forse non aveva capito che sarebbe stata messa in mezzo, si gira dalla sua parte e le tocca le tette.
Non avevo chiesto la lesbicata. E non mi sembra alla portata di nessuna delle due.
Non che abbia avuto occasione di verificarlo, fino a quel momento.
In ogni caso, le infilo l'affare incontenibile tra le natiche e allungo pure io una mano a toccare il pube della Simo.
L'altra la infilo sotto la testa della Miky, in modo da poterla aiutare nella faticosa missione manipolatoria delle mega mammelle dell'amica.
La ragazza torce il collo e mi sorride invitante.
Mi allunga ancora le labbra.
E questa volta, invece dei piccoli baci umidi che mi ha dato prima, mi succhia avidamente la lingua.
Qui si mette bene, mi dico orgoglioso di me stesso.
Il mio affare le si è infilato tra le cosce. Sfrega contro l'umido della sua passerina, spuntando dall'altra parte.
Non appena se ne accorge, la Simo lo prende con due dita e lo tira leggermente.
Intanto, mi sono fatto strada con la mano tra le sue gambe, che tiene un po' strette, e ho raggiunto il suo cicciolino bello umidiccio.
La Miky ride di nuovo cristallina e ci mette un ditino pure lei.
La Simo può essere da meno?
Spinge più decisamente la mia cappella sulla patata dell'amica, facendola ridacchiare.
E provocandomi un ulteriore sussulto.
Sa che sono lentissimo a venire, per cui ci va tranquilla.
Ora che succede?
Spinta dalla manina della bionda, la mia cappella finisce per entrare un cincinino nella patata della Miky.
La brunetta si irrigidisce, ma esco immediatamente e riprendo a sfregarla da fuori.
Siamo tutti un po' confusi.
La Miky si sta chiedendo sorpresa se stiamo per fare tutto cabrio, la Simo non sa bene se sono abbastanza fidelizzato per fare cabrio. Io se me la sento di fare cabrio.
'Fanculo.
La punto ed entro.
La Miky torce il collo per farsi baciare.
Lo spingo lentamente fino in fondo. E lei emette un piccolo ansito.
È abbastanza agevole, nonostante lo strettume.
La Simo mi fissa interdetta e mi fa una serie abbastanza comica di occhiolini.
Che ignoro, causa ingrifamento.
La morettina si stacca dalle mie labbra e si piega in avanti. Poggia la testolina sulle tette della bionda e l'abbraccia.
La Simo le accarezza i capelli e mi guarda scuotendo la testa.
Sono mesi che ne parlavamo. E alla prima, lo faccio con un'altra.
Mi allungo a baciarla.
Nonostante il disappunto, mi infila decisamente la lingua in bocca.
Le prendo il viso tra le mani. E le accarezzo il collo.
Come sempre, quando faccio così, lei arrossisce un po'. È un gesto che giudica un po' troppo intimo. E ardito, per la cifra del nostro rapporto.
Poi, torno a stringere un seno della Miky. La spingo a rimettersi dritta.
La brunetta esegue e ridacchia imbarazzata.
Si dicono qualcosa nella loro lingua.
Poi scoppiano entrambe a ridere.
Che c'è? Indago.
Non è vero che andavamo in chiesa insieme, dice la Simo ridanciana, a quei tempi lei era già troppo troia.
Ma che bastarda! Inveisce scherzosamente l'altra.
La sto scopando con una lentezza che potrebbe risultare esasperante. Ma mi viene così. E non mi sembra che la ragazza ne sia infastidita.
Lei, aggiunge girandosi a guardarmi, si è fatta metà città.
La ragazza è sorridente e leggermente accaldata. I lunghi capelli scuri le scendono sul viso.
La metà maschile, precisa la Simo, ma sempre dopo che te li eri scopati tu.
Tornano a ridere cristalline.
Lo sapevo che prima mi stavano prendendo per il culo. E anche adesso, a dire il vero.
Esco lentamente, la spingo a stendersi sulla schiena e la penetro nuovamente.
La bimba mi fissa intensamente con i suoi occhi azzurri e si lecca le labbra.
Continuo a muovermi lentamente.
Cerco le sue labbra, ma lei finge di baciarmi, per poi tirarsi via. Mi dà qualche leccatina alle labbra, sempre sorridendo.
La Simo mi fa delle smorfie di disgusto, sbuffando per tutte 'ste smancerie.
Adesso sembra impaziente.
Ma la capisco. Sono il suo cliente, io.
Mi spingo profondamente dentro la Miky, sempre lentamente. Poi esco con un piccolo rumore di risucchio.
E mi stendo sulla schiena.
Adesso tocca a me, fa la Simo simulando malincuore.
Eh, fa l'altra, ti tocca.
Cambiamo preservativo? Ironizzo.
Le due ridacchiano nervosamente.
La bionda mi viene sopra, mi prende l'affare con due dita e se lo guida dentro.
Deve essersi eccitata un pochettino, la Simo, perché raramente le sono entrato tanto facilmente.
Simula una seria concentrazione, mista a onerosa ritrosia.
È un duro lavoro, mormora seria.
E ricominciano a ghignare.
Porca puttana, mi sta piacendo da morire. La sua patatina calda mi risucchia.
E non riesco a trattenermi da spingerglielo dentro sempre più forte.
Le due si scambiano qualche altra battuta nella loro lingua.
Questa volta non ridono, ma prendono espressioni sarcastiche.
Fisso entrambe interrogativo.
Dice che sta godendo, sorride la Miky.
Ma che troia! Inveisce l'altra.
È fatta così, ironizza ancora la morettina, le piace grosso, duro e tutto dentro.
Ma non è vero! Ridacchia la Simo, a me piace dolcemente. Sono romantica.
See, romantica, borbotta l'amica.
E scoppiano di nuovo a ridere.
Contro ogni abitudine, sento un guizzo su per la schiena.
I testicoli gonfi e una quasi sgradevole impellenza.
In queste condizioni, nessuna delle due mi finirà di bocca, è matematico.
Per cui, spingo la Simo a tirarsi su.
Lei si accomoda al mio fianco in un piccolo loto e sorride stentata all'amica.
Adesso sembrano un po' imbarazzate.
Forse pentite.
Mostro ad entrambe l'evidenza del mio affare pulsante, gonfio all'inverosimile, ripiegato dolorosamente all'insù e pronto a scaricarsi.
Abbiate pietà, le scongiuro ironicamente.
Ma sembrano aver cambiato leggermente umore.
Anche se titubante, la Simo me lo impugna. E mi guarda con un'espressione seria.
E anche l'altra, allunga la manina.
Me lo stringono piano. La cappella è tanto tesa che non c'è bisogno di tirarlo.
La Miky mi viene più vicina. E ci baciamo dolcemente.
Poi mi giro verso la Simo.
Anche lei mi infila pacatamente la lingua tra le labbra.
E quando si stacca, inarco la schiena e comincio a eiaculare.
A lunghe ondate, la sborra esce con un piccolo spruzzo, insolitamente densa.
Per fortuna, nessuna delle due smette di stringermi l'affare.
Mi arriva fino al petto.
Così, dopo qualche secondo, la Miky si allunga a prendere della salviette umide dal comodino.
Ne passa un paio all'amica. E dopo essersi pulite sommariamente le mani, mi sfregano il petto e la pancia.
Dopo il coito, dice il proverbio, la bestia è triste.
Ma io mi sento piuttosto contento. Spossato, certo, e bisognoso di una doccia e di una sana ronfata.
Ma per niente triste.
Di solito, dopo che sono venuto, con la Simo ci abbracciamo e stiamo a parlare accarezzandoci.
Ma nessuna delle due sembra dell'umore.
Adesso che l'abbiamo fatto, sembrano inclini a riconsiderare la cosa come un'enorme cazzata.
Probabilmente a ragione.
Vado in bagno, annuncio.
Mi alzo faticosamente ed esco in corridoio.
L'odore di carne in umido mi assale. Facendomi brontolare lo stomaco.
Mi lavo il pinco e sommariamente il petto e le ascelle.
Quando esco, ancora totalmente biotto, vedo che la Miky è in cucina.
Si è rivestita solo per di sopra, sta fumando e traffica con una pentola.
Ha acceso il gas e sta riscaldando lo spezzatino.
Ha calzato delle ridicole ciabatte pelose a forma di orsetto.
La trovo quasi più desiderabile così.
L'odore adesso è tanto intenso che mi manca il respiro.
Ma la raggiungo e l'abbraccio da dietro.
Lei mi ricambia con un bacino e sorride imbarazzata.
Sa che è colpa sua se le cose sono andate così.
Le accarezzo il pube esposto.
Si gira e mi allunga di nuovo le labbra.
Mentre ci baciamo dolcemente, entra anche la Simo.
Si è messa un maglioncino e uno slip del tutto insufficiente a coprirle il pelino biondo.
Mi stacco e me la tiro contro. Mentre l'altra torna ad occuparsi della pentola sul gas.
Non vorrai mica ricominciare? Prova a scherzare.
Non posso farci niente, il mio affare è diventato di nuovo duro.
No so, scuoto la testa, mi piacerebbe. Ma sono stanco, non mangio da ieri e dovrei dormire.
Lei fa una smorfia. Me lo accarezza delicatamente.
Sembra titubare.
Ti va un po' di carne? Propone l'altra spegnendo la fiamma sotto la pentola.
Perché no? Mi dico.
Non che avessimo ancora avuto modo di sperimentarlo fino ad allora, voglio dire.
Vatti a mettere qualcosa addosso, ridacchia la Simo, che altrimenti con quell'enorme cazzo mi distraggo.
Scoppiano entrambe a ridere.
Ma si sente che sono nervose.
Così, vado a infilarmi la camicia e i pantaloni e torno.
Sulla tovaglia ci sono tre piatti. La Simo li sta riempiendo di spezzatino.
La Miky, che intanto si è messa un leggings nero, sta versando il vino nei bicchieri. E in un cestino ci sono pane e grissini.
Così mi siedo. E, nonostante la fastidiosa erezione, mi metto il tovagliolo al collo.
Spezzo il pane, bevo un sorso del loro aspro vino rosso. E comincio a mangiare.
 
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19 Ottobre 2014
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dimenticavo.
Il racconto che precede è frutto della mia fantasia. Eventuali riferimenti a persone esistenti e a situazioni reali è del tutto casuale
 
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