Quel che è successo a quella povera e bellissima ragazza di Rimini, non così lontano da me, mi ha fatto pensare. Mi è venuto in mente un ricordo. Fu tanti anni fa. Ero giovane, avevo 22 anni, facevo l'università. Stavo da alcuni mesi con una ragazza della mia età, che studiava all'università anche lei. Il rapporto era un po' sbilanciato: per me era una relazione senza grandi impegni, per lei era una cosa serissima, destinata il prima possibile ad un matrimonio. La diversa visione del rapporto , come doveva accadere, esplose di colpo. Una sera, dopo una serata con gli amici in discoteca, facemmo una gran litigata. Chiarimmo le rispettive posizioni: io non volevo una storia così, lei voleva una cosa serissima, io ritenevo finita la storia. La riportai a casa, fermai la macchina davanti al suo portone. Non scendeva. Le dissi: siamo arrivati a casa tua. Lei rimase a bordo. Le chiesi di scendere. Niente. Lo chiesi di nuovo. Nulla. Mi disse secca: io non scendo. Le dissi: devi scendere, siamo a casa tua. Nessuna risposta. Stava lì, ferma, sguardo fisso nel parabrezza. Accesi l'auto, feci il giro dell'isolato, tornai sotto casa sua e le dissi: scendi. Nulla. Scesi dall'auto per aprire la sua portiera, portandomi appresso le chiavi perché immaginavo cosa avrebbe fatto: chiudere le sicure centralizzate. Aprii con il telecomando , mentre lei cercava di inserire ancora le sicure. La portiera si aprì, ma l'apri/chiudi/apri velocissimo fece partire l'allarme. Forte. Fortissimo. Lei stava attaccata al cambio dell'auto con un a mano e con l'altra cercava di chiudermi il braccio nella portiera. Non so come la trascinai fuori dall'auto beccandomi calci, sputi, urli, graffi. I vicini misero la testa fuori dalle finestre. Anche i genitori di lei. Sua madre urlò: cosa fate, siete pazzi? La di lei figlia intanto mi stava spaccando la borsa in testa, urlandomi di tutto, prendendo a calci me e la macchina. La madre urlò: adesso scendo. Questo distrasse la figlia per un attimo. Io al volo girai attorno alla macchina e risalii mentre lei riapriva la portiera, restando a correre di lato con mezza gamba dentro per un pezzo della via. Finalmente si staccò , credo perché la madre era giunta in strada assieme al padre e le stavano urlando di smettere. Io andai avanti a portiera semiaperta. Non me ne fregava, accelerai. Feci mezzo chilometro con la portiera aperta che sbatteva. Solo quando fui abbastanza lontano mi fermai a chiuderla. Le cerniere dovevano essere danneggiate, perché la portiera si chiudeva male. Entrava l'aria. Non me ne fregava niente. Guidai fino a casa. Arrivai. Andai in bagno. Ero pieno di graffi, perdevo sangue dalla faccia e dalla testa, avevo lividi e pesti sulla fronte, sulle braccia, sulle gambe. Il giorno dopo inventai per i miei genitori che avevano provato a rubarmi la macchina fuori dalla discoteca, e che io e l'auto eravamo ridotti così per quello. In effetti io ero conciato come ero conciato, la portiera era messa così male, la fiancata aveva tanti di quei bozzi che la mia storia sembrò credibile. La ragazza cominciò anche con le telefonate: al telefono di casa, all'epoca non esistevano cellulari. Per fortuna si limitò solo a coprire me di insulti se rispondevo. Se rispondevano i miei, stava zitta e buttava giù. Poi cominciò a saltare fuori nei posti dove ero. Un giorno me la trovai vicino a dove avevo parcheggiato l'auto. Per fortuna non ero solo, ed i miei amici furono bravi: uno andò a parlarle, uno portò via la mia macchina a casa sua, io tornai a casa accompagnato da un altro.
All'epoca non lo sapevo, ma con questa storia avevo già imparato molto sullo stalking. Avevo imparato quanto può essere folle. Assurdo. E per fortuna ne avevo assaggiato solo una versione minore. Il bonsai dello stalking. Una versione ridotta, depotenziata, eppure, già così: bruttissima. Negli anni seguenti ebbi altre storie con altre ragazze. Venni lasciato. Più volte. Ogni volta, se mi veniva voglia di telefonare alla ragazza che mi aveva lasciato per tentare di parlarle, mi veniva in mente quella storia. Quella sera con la portiera sganasciata. Con gli urli, i lividi, le ferite. Quel pomeriggio con i miei amici a fare barriera tra me e la ex. E mi passava subito la voglia. Non avrei mai potuto arrecare a qualcuno anche solo la minima parte del senso di oppressione che avevo provato. La paura di avere a che fare con un essere umano diventato folle. Senza limiti. Senza previsioni. Senza più niente.
Chissà se è capitato anche a voi. Raccontatelo.
All'epoca non lo sapevo, ma con questa storia avevo già imparato molto sullo stalking. Avevo imparato quanto può essere folle. Assurdo. E per fortuna ne avevo assaggiato solo una versione minore. Il bonsai dello stalking. Una versione ridotta, depotenziata, eppure, già così: bruttissima. Negli anni seguenti ebbi altre storie con altre ragazze. Venni lasciato. Più volte. Ogni volta, se mi veniva voglia di telefonare alla ragazza che mi aveva lasciato per tentare di parlarle, mi veniva in mente quella storia. Quella sera con la portiera sganasciata. Con gli urli, i lividi, le ferite. Quel pomeriggio con i miei amici a fare barriera tra me e la ex. E mi passava subito la voglia. Non avrei mai potuto arrecare a qualcuno anche solo la minima parte del senso di oppressione che avevo provato. La paura di avere a che fare con un essere umano diventato folle. Senza limiti. Senza previsioni. Senza più niente.
Chissà se è capitato anche a voi. Raccontatelo.