CARO DIARIO

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Ciao
è da tempo che ce l'ho nel cassetto (in realtà sta tutto in un portatile). E' il mio diario, forse banale, il Diario di un Punter perbene (forse la Fox un giorno ci farà un telefilm).
Comincio qui a pubblicarlo, a puntate, a beneficio di quanti saranno così gentili da leggerlo. Ci riporto riflessioni e "piccole" angosce, oltre che storielle vissute in prima persona. Non voglio aprire un dibattito, ma mi piacerebbe essere meno solo di fronte a queste "piccole" angosce.

SOMMARIO
1. L’INIZIAZIONE
2. ESPERANZA DESCOBAR
3. SAUDADE
4. UNA CITTA’ PER CHIAVARE/1: TORINO
5. UNA CITTA’ PER CHIAVARE/2: MILANO
6. UNA CITTA’ PER CHIAVARE/3: ROMA
7. UNA CITTA’ PER CHIAVARE/4: NAPOLI
8. DIARIO CHIAVOLOGICO: GIORNATE ROMANE
9. MAMMA LE BULGARE!
10. PREFERISCO BALLARE IL SAMBA
11. NON SO SUONARE LA BALALAJKA
12. BOLOGNA LA GHIOTTA
13. SE HAI LA SCIMMIA …
14. TEMPO DI BILANCI


1. L’INIZIAZIONE
Questa è la storia di un’ossessione, di una dipendenza, di una folle e insensata quanto lucida pianificazione di appuntamenti sessuali a pagamento. Se non avessi paura di apparire ridicolo direi che questa è la storia di qualche sprazzo di felicità in una vita insulsa, la mia, o anche la storia di una ricerca: la ricerca della bellezza. Ma sono troppo cinico e disilluso per non ammettere che è solo una storia di puttane e puttanieri, ai tempi di internet e dei telefoni cellulari.
Vado a puttane da quando ho raggiunto e superato il primo giro di boa, quello dei trent’anni. Il sesso non mi era mai mancato, ma la varietà, assaporare la varietà dell’universo femminile, dell’universo di tette, tettine, di culi grossi, culetti, culi mosci, culi di marmo, bocche larghe, bocche strette, fighe pelose, depilate, di buchi di culo, profumati, molesti, di carni nascoste dal sapore acre, pungente, dolce, in poche parole: il chiava e fuggi … quello sì, quello mi era mancato. Da quando avevo vent’anni avevo mangiato tre o quattro tipi di minestra e sempre per periodi prolungati, con tutto il contorno di ansie e rotture di palle che solo una donna sa procreare (anche dal nulla, come noto).
Negli anni ’90 internet ancora non c’era o era poco diffuso. La telefonia mobile era un bel progetto nella testa di qualche multinazionale. Per andare a puttane si consultavano gli annunci commerciali sui quotidiani o su periodici specializzati, pagine straripanti di A.A.A.A.A…. e si andava in una cabina telefonica.
L’avvio della mia carriera di puttaniere si giovò di un periodo di lavoro all’estero, nel paese più bello del mondo, nel paese con le donne più avvenenti del mondo e ovviamente le più irresistibili prostitute del mondo: Brasil. Fu un anno di vita che per molti versi divenne occasione di transito nel mondo degli adulti, un lungo rito iniziatico per un lattante bramoso di esperienze nuove. La mia prima puttana fu un atto liberatorio, consumato senza badare allo sconcio sfasciume del troione di almeno 40 anni che la sorte beffarda mi aveva riservato. Ricordo solo un gran pompino e i miei primi “Dez mil escudos”, diecimila scudi, centomila lire, posati sul comò. Mi interessava solo rompere il guscio, archiviare la pratica, togliermi di dosso la patina da pivello, guadagnare rapidamente la sicumera del puttaniere incallito e proiettarmi in un radioso avvenire di sesso a pagamento.
Tornai in quella casa di Rua Sampaio Rodriguez una sera, dopo appena due giorni, senza telefonare, di nuovo assetato, di nuovo implorante di fronte alla megera in camicia da notte che gestiva il puttanificio. Andai in bianco, perché Susana, l’inguardabile quarantenne che l’altro ieri aveva estinto con un pompino ben affondato la mia ansia sessuale, era da poco andata via. Mi sentii ridicolo, la mia sicumera di carta vacillò, imboccai le scale con un gesto repentino per allontanarmi da quella situazione, mentre la vegliarda manager della casa mi urlava di tornare domani pomeriggio. Incapace di trovare alternative in una città ancora sconosciuta, mi ritirai in buon ordine, con una mazza di ferro tra le gambe che avrebbe fatto la felicità di chissà quante casalinghe. Ma a me non restava che pazientare fino all’indomani pomeriggio.
Alle cinque e mezza staccai dal lavoro e a grandi falcate raggiunsi la metropolitana, incurante di tutte le bellezze che generosamente incrociavano il mio sguardo, in testa solo una destinazione, una strada, un numero civico, un ascensore, un pianerottolo. Entrai e una nuova quarantenne, Ana, più graziosa e composta di Susana, si propose. Compresi dopo che Ana era alle prime armi, di sicuro una che aveva deciso in tarda età di arrotondare le sue magre entrate ufficiali. Quale miglior occasione per fare esperienza di un marchetta facile, facile, con un giovane straniero, inesperto e carino?
Durò poco, il pompino fu una sciagura, i suoi denti mi lasciarono morsi ovunque, le sue cosce bianche e massicce si serrarono su di me, impedendomi qualunque movimento. Solo con tutta la forza dei miei trent’anni ancora da compiere riuscii a portare a termine la missione. Ma avevo guadato il fiume, raggiungendo la sponda dei dannati all’inferno delle case d’appuntamento.


DM67
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Sei favoloso. Grande la descrizione del periodo in cui internet e la telefonia non erano ancora esplosi, ma anche all'epoca avevamo in tasca la chiave del problema. Le mitiche schede telefoniche che usavamo dentro quelle cabine che esalavano un inconfondibile odore di piscio.
Se ti rivolgi alla Feltrinelli chiamami: scriverò io la prefazione al tuo libro/diario (quella parte all'inizio del libro che nessuno legge mai).
 
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Tra la via Emilia e il west
ti scrivo ancora prima di iniziare a leggere il primo capitolo per ringraziarti di questa tua importante condivisione.
Veramente grazie, condividere i pensieri è gli stati d'animo e le angoscie è a volte più importante che condividere recensioni.
Anch'io ho pagine sparse, storie singole, anedotti, email, piano piano le sto organizzando...
 
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Sono d'accordo con te barile. Anch'io a furia di scrivere su PFI ho praticamente srotolato quasi tutta la storia dei miei 20 anni da punter. Praticamente senza che me ne accorgessi ho scritto quello che se uno me lo avesse chiesto non ci sarei mai riuscito. Non riuscirei a mettere insieme tutti i pezzi scritti in quanto dispersi nella vastità del forum. Ed è proprio come hai detto tu, il bello sta nell'aver parlato dei nostri pensieri, cosa non facile, più che dei nostri porno racconti che rimangono fini a se stessi.
Emozioni, angosce, astuzie, scontri, divertimento, paure, squallore, desideri, salute, morbosità, tristezze, avventure, ebbrezza. Ecco quello che emerge da PFI. Grazie a tutti noi. Questa è la verità su questo mondo.
 
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colleghi, grazie di quore :heart:
Non speravo in tanta lusinghiera accoglienza. Ma perchè non riordiniamo davvero i nostri rispettivi appunti e lanciamo l'idea di una raccolta di racconti? Da pubblicare? Non lo so, di sicuro sono tutte storie vissute, impresse con la crudezza del linguaggio ispirato dalla mazza ancora palpitante (in genere io scrivo a caldo), che varrebbe la pena ricucire e rimettere in ordine. Io ci sto provando ... :rofl:

atè a proxima

DM67
 
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ESPERANZA DESCOBAR/1
Dopo un mese padroneggiavo la lingua, le telefonate divennero più circostanziate e fruttuose, vere e proprie interviste. Riuscii a fare la mia prima selezione basata sugli elementi raccolti, optando per una casa in un quartiere periferico di Recife. Sapevo di andare a trovare un appartamento con ben cinque ragazze, tutte giovani, un’ampia scelta che avrebbe finalmente garantito il buon esito dell’investimento. Le mie dissestate finanze non avrebbero tollerato altri fallimenti.
Con il cuore in gola attesi che la porta si aprisse, indeciso sul da farsi se mi si fossero presentate altre 5 invereconde bagascie. Mi aprì Nadine, un sorriso smagliante su carnagione mulatta. Rilassai il viso contratto, restituendo il sorriso. Le cose sembravano mettersi bene. Fui portato in salotto, dove sedute attendevano altre quattro fighette dal corpo morbido e sinuoso, leggermente sofferenti per il caldo soffocante che cominciava a incapsulare la città. Nadine fece le presentazioni, affinché potessi scegliere: “… Amanda …. Paula …Maria … Julia …”. Ognuna delle fighette si alzò ammiccante e venne a salutarmi con un bacetto sulla guancia: “Muito prazer … “. Sorrisi e mi sforzai di essere galantuomo con tutte, ma la mia scelta l’avevo già fatta. Non riuscivo a togliermi dalla testa le voluminose natiche di Nadine che nel corridoio che portava al salotto per pochi istanti avevano camminato davanti a me, strette in un pantacollant viola. Nadine, uno spettacolare esemplare di puledra brasiliana, non molto alta, formosa e procace nei punti giusti. Non l’avevo mai fatto con una mulatta, restai incantato a guardare le pieghe rosee della sua fica che squarciavano la pelle ambrata e il pelo scurissimo, accettando di buon grado di essere guidato dalla sua dolcezza, prima in un succoso 69 e poi in una irresistibile pecorina. Nadine fu davvero una bella esperienza, una di quelle che ti riconciliano con vita, con il mondo, con l’universo. Per il resto della sera, ciondolai sul lungomare della Boa Viagem, consumando gli ultimi spiccioli in cerveja di pessima qualità.
Nello stesso appartamento ritornai altre due volte, qualche tempo dopo. L’estate imperava, Nadine era partita per chissà dove. Pretesi ragazze sempre diverse, alla ricerca di nuovi brividi caldi. Ora che la mia carriera di puttaniere era inesorabilmente avviata, potevo pormi domande esistenziali decisive: “Chiedere o non chiedere un rapporto anale? Come chiedere, che parole usare? Avrei suscitato una sommossa? Mi avrebbero scacciato tirandomi dietro le scarpe coi tacchi alti? Avrei azzeccato l’entrata?”. Ma il mio primo rapporto anale arrivò più tardi, dopo l’estate. I quotidiani che consultavo febbrilmente cominciavano ad inserire nella sezione “Relazioni sociali” dei riquadri pubblicitari che incorniciavano ambigui richiami di centri estetici e centri benessere. Mi ci vollero un paio di mesi e la fine del periodo lavorativo alle porte per decidere di telefonare a uno di questi centri. Qualcosa nella grafica di questi annunci mi insospettiva, ma rinviavo sempre, temendo una figuraccia. E se poi erano davvero dei centri benessere? Un pomeriggio, immerso nella inquietudine malinconica di cui mi riempiva la consueta passeggiata lungo la Ribeira, decisi di presentarmi direttamente ad un centro benessere del Bairro Novo, una casa a due piani che dall’esterno appariva come una sorta di casa cantoniera. Suonai al campanello, la porta fece uno scatto e si aprì. Nella penombra dell’ingresso vidi una freccia che mi invitata a salire al primo piano. Soltanto salendo le scale mi accorsi di un forte odore di incenso o qualcosa di simile. Trovai un’altra porta, un altro campanello. Suonai, altro scatto e fui finalmente dentro. Una ragazza robusta, piuttosto arcigna, mi accolse dietro una reception, che separava l’ingresso dal lungo corridoio dietro di lei. “Il signore è qui per un massaggio? Aveva telefonato per prenotare?”. Feci cenno che sì, che desideravo un massaggio, ma che non avevo chiamato prima. Il silenzio attorno a noi si tagliava con il coltello. La grassona mi scrutò per qualche istante e poi aggiunse risoluta: “Va bene, va bene. Entri nel salottino, che le mando le ragazze disponibili”. In un secondo diventò tutto chiaro: quello era un bordello. E che bordello! Quelle che una dopo l’altra entrarono nel salottino erano tutte stangone perfettamente agghindate e pettinate, reggicalze di pizzo nero o bianco, tacchi vertiginosi, camicette o giacche di seta a coprire malamente tutto il ben di Dio.
Ne passai in rassegna sette e andai nel pallone davanti a cotanta beltà. Per ultima entrò la grassona, ebbi un sussulto, come uno che dopo essere stato cinque minuti in Paradiso ripiomba all’Inferno. Lei sorrise beffarda e mi chiese se avessi fatto la mia scelta. Esitai, perché in quel turbinio di tette e culi non avevo memorizzato i nomi. Ricordavo solo il nome della prima, Diana, la classica bambolona bionda. Poi più niente. Mi aveva colpito una mulatta con un fisico snello, da pantera, ma scelsi Diana perché era l’unica di cui ricordassi il nome. “Ok, stanza 14, può concordare direttamente con lei tutto quanto”. Percorsi il lungo corridoio, tutto era pulito e in ordine e dalle stanze chiuse non si udiva né ahi né bai. La porta della stanza 14 era miracolosamente socchiusa. Non so come, la grassona aveva comunicato a Diana che avrebbe avuto visite. Diana mi accolse con un sorriso smagliante. Era mozambicana, di padre e madre portoghesi. “Tu sei italiano? Ah … però parli bene la nostra lingua”. Ormai ero abituato a quelle chiacchiere di circostanza. Quando dicevo di essere italiano tutte quante si mostravano sorprese e dicevano: “Ah … parli bene però”.
Diana aggiunse una variante: “E ce l’hai la fidanzata?” Colto di sorpresa, mentii e dissi di no. Mi guardò a lungo mentre mi spogliavo con i suoi occhioni blu e poi disse: “E come mai? Perché non hai la fidanzata?”. “Non lo so … ” tagliai corto. Mi chiese se volevo fare la doccia, indicando una cabina attrezzata in un angolo della stanza, arredata solo con il letto e qualche suppellettile. Dissi che l’avevo appena fatta, la facevo sempre quando, anche se non avevo programmato nulla, l’istinto mi diceva come sarebbe andata a finire la giornata. Diana sparò le sue tariffe, con lucidità professionale. Si partiva da un massaggio semplice 3 mila scudi, poi un massaggio con orgasmo 5 mila scudi, e così via. Mi feci forza, dicendomi ora o mai più: “E anale… anale lo faresti?”. “Sì, sì, sono completa. Qua lo siamo quasi tutte ...”.Ah ecco! Ecco che cosa veniva a dire quella misteriosa indicazione che spesso leggevo sugli annunci. Se una scriveva di essere “completa” veniva a dire che poteva prenderlo nel culo. Fantastico, avevo impiegato un anno, ma ora sapevo che cosa chiedere al telefono senza imbarazzi di sorta.
Il rapporto anale con Diana durò tre secondi netti. Mi eccitati talmente alla vista delle sue candide rotondità posteriori, che appena lo infilai dentro, me ne venni come un pivello di quattordici anni. Diana non comprese subito che cosa era avvenuto e continuò a muoversi ansimando. Dovetti bloccarla, imbarazzatissimo, per sfilarmi. Diana si voltò agitando la sua chioma bionda, con una espressione di sorpresa che mi fece arrossire, ma subito recuperò: “Ora ho capito perché sei venuto qui. Volevi provare questo. Infatti, me lo stavo chiedendo, perché sei troppo carino per andare con le prostitute. Secondo me tu ce l’hai la fidanzata, italiano bugiardo …”. Sorrisi, ammettendo la bugia, e mi resi conto che forse aveva ragione lei: la mia fissazione non erano le puttane in quanto tali, ma la loro completezza, come si diceva nel lessico che avevo appena imparato.

 
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2. ESPERANZA DESCOBAR/2
Il giorno dopo approcciai al telefono un altro annuncio con riquadro incorniciato. Questo era più esplicito però: “Toby’s Girls”. Chiamai e mi rispose un uomo, certo Kike. Dopo qualche secondo d’imbarazzo da parte mia, concordammo la prestazione: “Preferirei una ragazza completa”. Kike mi disse che non c’erano problemi se ero disposto a cacciare 20 mila scudi e mi diede l’indirizzo e l’ora. Era una traversa di Avenida Domingos Ferreira, facilissima da raggiungere. Bene, trafelato arrivai in zona alle sei e un quarto e cercai il civico giusto. “Cazzo ma… ma…, ma al numero XX c’è una pensione!” Che storia è questa, e ora come cazzo faccio? Ma questo è cretino, non mi ha detto che era una pensione. Trovai una cabina telefonica e richiamai: “Mr. Kike, ma devo entrare in quella pensione?!” E lui: “Certo! Che problema c’è? Lei entra e dice che la mando io, non si preoccupi. Ha problemi? Se ha problemi me lo dica, perché la ragazza è già in viaggio”. Comprimendo la voglia di mandarlo affanculo in italiano, chiusi la telefonata con un sommesso: “No, no, ve bene, faccio come mi ha detto”. Entrato in questa cazzo di pensione, trovai alle reception due signore anziane che mi scrutavano con il sopracciglio aggrottato. Bene, pure questo! Ma non si poteva mettere un ometto per sbrigare ‘ste cose?
Dissi che mi mandava Mr Kike e subito le due rilassarono l’espressione contratta del viso, aprendo un sorriso a 36 denti, ovviamente giallognoli. Poi una delle due mi allungo il telefono sul banco della reception, dicendo che Mr. Kike voleva parlare con me. Ancora? Presi la cornetta alquanto infastidito. “Allora, tutto ok?” “Sì, sì…” E lui: “Dunque, allora le mando una ragazza da 20 mila scudi, da 25 mila scudi o da 30 mila scudi?” Persi la pazienza e irritato risposi: “Ma che storia è questa? Non abbiamo già preso accordi?” Mi accorsi che le due alla reception origliavano spudoratamente e mi irritai ancora di più. Voltai le spalle e mi curvai sulla cornetta, perché Kike imperterrito continuava: “Ma perché? Non ha i soldi? Forse il signore non ha portato i soldi …”
“Lei non si preoccupi. Io ho quello che devo avere. Non mi interessa altro. L’accordo l’abbiamo già fatto, no?”
“Va bene, va bene, volevo solo dirle che ci sono ragazze da 20 mila, da 25 mila, da… “
“N-O-N M-I I-N-T-E-R-E-S-S-A !!”.
Passai bruscamente il telefono a una delle due megere, mentre ancora Kike blaterava le sue assurdità. L’altra megera mi diede la chiave di una camera, al secondo piano. Salii le scale incazzato nero per aver dovuto sostenere tutto quel pandemonio davanti alla reception di una pensione, con due vecchie bagascie brasiliane ad origliare. Cercai la 22 e aprii, non sapendo se dentro ci fosse già qualcuno. Non c’era nessuno, c’erano solo specchi, su tutte le pareti, faretti soffusi puntati sul letto, filodiffusione, quel che si dice: un’alcova tecnologica. Mi rilassai, l’ambientino non mi dispiaceva. Dopo cinque minuti bussarono alla porta: “Avanti!” Entrò una ricciolona bionda di carnagione chiara, ansimante. Si scusò per il ritardo. Io disteso sul letto con le mani dietro la testa radiografai accuratamente le sue natiche disegnate dal jeans attillato . Stese la mano per presentarsi: “Ana Paula…”, ma trillò il cellulare, arnese infernale che si andava diffondendo in quegli anni con modelli sempre più piccoli. Era Kike. Ana Paula si isolò per una manciata di secondi passeggiando nervosamente per la stanza. Ne approfittai per fare altre radiografie al suo culo. Conclusi che era proprio un gran culo. Bene. La sentii litigare con quel rompipalle di Kike. Poi ritornò da me e con il cellulare all’orecchio mi chiese di vedere i soldi, pregandomi con un’occhiata languida di non fare opposizione. Figurarsi se volevo fare storie! Ormai mi ero fatto un’idea precisa del suo culo a mandolino e neanche con le cannonate sarei andato via prima di averne avuto il totale controllo. Tirai fuori i ventimila e li lasciai sul letto, sperando che Kike si togliesse dalle palle alla svelta. Ana Paula lo tranquillizzò e subito dopo chiuse finalmente la telefonata. Si scusò di nuovo abbandonando la borsa su una sedia, mi chiese se volevo prima fare la doccia con lei. Non rifiutai, tutto quell’andirivieni mi aveva fatto sudare come un maiale. Fu una doccia bollente.
Ana Paula aveva un fisico scolpito che, come dichiarato dalla mia erezione istantanea, non mi era indifferente. Palpeggiai violentemente il suo culo, mentre la sua lingua roteava nella mia bocca. Poi con un gesto fulmineo Ana Paula sparì dalla mia vista e accovacciata sul piatto doccia si dedicò allo sfiancamento di quell’affare turgido che avvertiva all’altezza del suo ventre. Un pompino bagnato da una doccia calda è davvero una bella cosa, consigliabile soprattutto se la pompinara diventa gradualmente passiva e ti invita a possedere la sua bocca come se fosse una fica. E’ quello che fece Ana Paula, adagiando la schiena ad una parete della doccia. Stringendo quella testa piena di riccioli bagnati cominciai a martellare in mezzo alle sue capienti fauci, rincoglionito di vapori. Dopo qualche minuto avvertii la contrazione dello scroto che metteva in moto il circuito di espulsione dello sperma e cercai di divincolarmi, ma Ana Paula con una mano schiacciata sulle mie chiappe mi invitò a non desistere. “Questa mi vuole fregare” pensai. Feci perno sulla testa riccioluta e bruscamente la costrinsi a staccarsi, appena in tempo. Lei fece: “?”, delusa. Io risposi che stavo per mollarle tutto in gola e che erano passati sì e no dieci minuti. Troppo presto per chiudere, o no? Ana Paula si alzò e guardandomi negli occhi mi sussurrò: “…Oi, temos todo o tempo… ”. Compresi allora che nelle sue intenzioni quello voleva essere solo il primo atto e che il pomeriggio si annunciava lungo, ma mi sentii un cretino lo stesso. Non sapendo come ripartire mi abbassai alla ricerca della sua fica bagnata, sperando di farle dimenticare la mia goffaggine. Ana Paula assecondò, aprendo leggermente le cosce. Poi afferrò le mie orecchie e tenendo la fica puntata sulla mia bocca ne abusò facendo violentemente ondeggiare il bacino. Cercai di accontentarla, trattenni il fiato, bevvi fiotti di acqua bollente, ingoiai peli ed umori sapidi: non volevo deluderla di nuovo. Dopo un’interminabile manciata di minuti in apnea la sentii rilassare la presa sulle orecchie, ma continuai a far andare la lingua a spasso per la sua fica. Poco dopo Ana Paula, tirandomi i capelli, cacciò fuori un: “OOOOhhhhhhhhhh…..”, poi singhiozzò parole incomprensibili e mi allontanò con entrambe le mani. Mi tolsi da quella scomoda posizione e la guardai. Era tutta rossa, con gli occhi bassi, mormorò qualcosa e guizzò fuori dalla doccia.
Due accappatoi ci aspettavano, si era creato un silenzio strano. Lei stordita con un sospirone si tuffò sul letto a pancia in giù. Io in piedi ad asciugarmi nervosamente la capigliatura, in attesa di un gesto, di un suo ammiccamento. Arrivò subito: “Qual è il suo programma, signore? Ha chiesto una ragazza completa… Porcellino, non si fanno certe cose, lo sa?“ disse mentre, guardandomi di sottecchi, sollevava leggermente il culo sotto l’accappatoio come se volesse invitarmi all’assalto. “Beh sì…” confermai dopo una pausa: “Sarebbe quello che voglio, in effetti…”. Intanto mi ero liberato dell’accappatoio per stendermi al suo fianco. Il mio cazzo cominciò a palpitare seguendo l’accelerazione del battito cardiaco e in dieci secondi mi ritrovai con un manico più manico di prima. Ana Paula allungò furtivamente la mano e cominciò ad occuparsene, dapprima con carezze distratte, poi impugnando tutta l’asta. Infine con una mano a conca sotto le palle e l’altra che sembrava collegata ad un motorino elettrico spremette fuori l’impossibile, lasciandomi attonito ed esausto. La lasciai fare, tanto era solo il primo atto.
Ana Paula scattò dal letto diretta in bagno a lavarsi le mani grondanti di sperma. Aspettai che uscisse per rimbalzarle la battuta allusiva di prima: “E ora? Che facciamo? Non crederai di essertela cavata così?”. Ana Paula lanciò uno sguardo all’orologio e fece. “Eh! Ma abbiamo ancora tempo. Se ne fanno di cose in mezz’ora!”. E aggiunse sorniona scuotendo il mio cazzo tramortito: “Io sono pronta, ma tu?”. Ho sempre avuto difficoltà di ripresa, una fase refrattaria di almeno 10 - 15 minuti. Glielo dissi, aggiungendo che non sapevo ci fossero limiti di tempo, che non mi piaceva avere fretta. Ana Paula si levò l’orologio e me lo mise sotto il naso: “In teoria il nostro incontro dovrebbe durare un’ora, non lo sapevi? Fa niente, a un leccafiche come te posso dare una proroga, ma bada! Alle sette ti lascio a cazzo diritto e me ne vado. Ho un impegno a cena…” e giù una risatina malefica. “Ma la tua fica aveva un sapore speciale … è colpa tua…“ provai a replicare. Ana Paula ripose l’orologio nella sua borsa ridendo, aveva gradito quel complimento triviale, ma non era stata lei a spostare la conversazione improvvisamente su toni volgari? Poco dopo mi allungò un biglietto da visita, dicendomi che la prossima volta avrei potuta contattarla direttamente, che Kike era un rompicoglioni, che voleva autogestirsi. “Per ventimila scudi, ci sarò sempre per te, signore”. Aveva trent’anni e doveva capitalizzare i suoi sforzi. Sapeva di essere nella fase migliore per una squillo, la fase in cui un fisico ancora florido si unisce alla giusta dose di cinismo e di maturità affettiva, per offrire non semplici scopate ma esperienze che lasciano il segno. E in effetti Ana Paula lasciò il segno. Raramente ho riscontrato l’analoga capacità di concedersi fino in fondo, fino a regalarsi anche un orgasmo, e nello stesso tempo di riportare tutto nella giusta cornice del sesso a pagamento. Le doti di una puttana perfetta.
Restammo accoccolati a scambiare chiacchiere e opinioni sulla vita, sulla città, sul mio lavoro, sul suo lavoro di copertura: segretaria d’azienda, fino a che la vidi scomparire sotto il lenzuolo. Bastò il suo alito sulla cappella e due slinguate a risvegliare il mio amichetto, che era rimasto in vigile attesa. Ana Paula riemerse soddisfatta e con una inversione di marcia repentina mi diede le terga, mentre accoglieva in bocca il turgore riconquistato. Inutile dire che la vista delle sue solide natiche bianche rinvigorirono definitivamente l’amichetto, che si fece lapideo di colpo. Non avevo mai, fino ad allora, azzardato un succhiello anale, per diffidenza, per un senso distorto dell’igiene, non so. Stavolta la tentazione fu più forte: troppo burrosa e delicata mi apparve la consistenza di quella cavità crespata e rosea, incastonata tra due natiche che riempivano le mani. Dapprima timidamente, poi voracemente, per un prolungato intervallo, da un lato godetti passivamente della capacità orale di Ana Paula, dall’altro mi dedicai attivamente a saggiare con la lingua l’arrendevolezza della membrana che, come ultimo baluardo, ancora mi separava dal sesso completo.
Solo quando sentii di nuovo lo scroto entrare pericolosamente in funzione mi liberai da quella trappola e pretesi da Ana Paula ciò che mi spettava. Lei non fece una piega, si alzò dal letto, aprì la borsa e tirò fuori due preservativi: “Ti chiedo solo il doppio cappuccio … se la quantità di sborra che produci è quella che ho visto prima, uno solo non basta … c’è il rischio che si rompa … capisci?“. Ne convenni e attesi di essere incappucciato, due volte. A cose fatte, il mio cazzo non sembrava più un cazzo, ma un fallo finto in lattice bianco. Ana Paula guardò il suo capolavoro soddisfatta e si mise a 90° con una mano protesa dietro, pronta ad accogliere quell’affare di rivestito di gomma e guidarlo sulla retta via. Mi accostai tremante, cercando di dominare le emozioni (per niente al mondo avrei voluto ripetere la performance da centometrista consumata con la mozambicana del Bairro Novo) affidai il cazzo/fallo alla mano protesa, aggiustai la mira, bussai ed entrai come un coltello arroventato entra nel burro. Rimasi immobile, in attesa del contraccolpo, convinto che da lì a qualche secondo me ne sarei venuto di nuovo come un pivello. E invece lo scroto restò immobile. Cominciai timidamente a stantuffare, godendo finalmente della visione in diretta della profanazione di un fantastico culo bianco. Lo scroto? Immobile. Presi fiducia e restando piantato dov’ero mi sollevai sulle gambe, in configurazione doggystyle. Da quella posizione ebbi il dominio assoluto delle operazioni e per Ana Paula non ci fu più scampo.
Mentre febbrilmente possedevo quel culo nella mia mente scorrevano scene di film porno in cui famosi attori francesi (Christophe, Yves il Fungo, Richard…) in doggystyle sodomizzavano culi di bellezza inarrivabile, profferti senza pudore da pulzelle ungheresi, ceche, russe. Finalmente facevo la stessa cosa! Realizzavo la fantasia sessuale di sempre, da quando avevo dieci anni, mai appagata. Furono pochi minuti ma di esaltazione sessuale, di rapimento totale, di trasporto in un'altra dimensione, durante i quali Ana Paula non disse nulla e non si mosse di un millimetro, restando plasticamente piegata in avanti. Lanciai un rapido sguardo alle specchiere laterali: Ana Paula sembrava un condannato in attesa di decapitazione, gli occhi socchiusi, il volto adagiato su un lato, irrigidito in una smorfia strana, tra dolore e stupore. Ammirai anche me stesso. Il mio doggystyle non aveva niente da invidiare a quello dei pornodivi francesi: il cinematismo copulatorio poggiava su polpacci e glutei tesi allo spasimo, mentre le mani, strette saldamente alla spalliera del letto, facevano da contrafforti. Mi venne in mente l’immagine di un fantino in sella alla sua puledra, lanciata allo sprint finale. E nel pieno dello sprint finale mi trovavo io. La frequenza copulatoria aumentò, Ana Paula biascicò qualche lamento, lo scroto cominciò a pompare, la mente si offuscò, mi fermai, si fermò il tempo, esplose l’orgasmo. Uno dei più belli che io ricordi.

 
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:ok: :clapping: ..ottimo dm67..davvero grande ..possiedi una vena narrativa non indifferente..i capitoli del tuo "saggio"..me li gusterò uno alla volta..non vanno letti tutti d'un fiato..vanno "centellinati" come un ottimo vino..e io adesso inizo a "centellinare" :biggrin:
 
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DM67 ha scritto:
Per ultima entrò la grassona, ebbi un sussulto, come uno che dopo essere stato cinque minuti in Paradiso ripiomba all’Inferno.
Grandissimo! Qui ho veramente temuto per te.
 
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vespero ha scritto:
:ok: :clapping: ..ottimo dm67..davvero grande ..possiedi una vena narrativa non indifferente..i capitoli del tuo "saggio"..me li gusterò uno alla volta..non vanno letti tutti d'un fiato..vanno "centellinati" come un ottimo vino..e io adesso inizo a "centellinare" :biggrin:

Troppo buono...

DM67 :thank_you2:
 
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3. SAUDADE
Il giorno dopo lasciavo Recife e il Brasile. Un aereo mi riportava a casa, con un fardello di pensieri e rimpianti, non ultimo quello di non aver saputo godere appieno di quell’anno di libertà. Ah, se solo mi fossi deciso prima a considerare quegli annunci con la cornicetta! Avrei certamente dilapidato ingenti risorse, ma sarei diventato più esperto e felice. Non c’era da lamentarsi comunque, non avevo vinto il mio campionato ma un piazzamento da UEFA non potevo negarmelo. E certamente fu quella la prima sgrossata al puttaniere impenitente che in seguito sarei diventato.
L’anno successivo andai in letargo, la vita quotidiana della provincia meridionale mi offrì il suo volto duro, quasi a ripagarmi delle gozzoviglie dell’anno precedente: non ebbi voglia e tempo di coltivare quelle attività dissolute, anche perché l’offerta sul territorio era davvero scadente. Mi chiusi a riccio, inutile dire che le finanze non brillavano, ma soprattutto fu l’umore che per quasi tutto l’anno sfiorò la depressione. A giugno una mail mi informò di una iniziativa commerciale che avrebbe potuto darmi qualche chance di rilancio professionale. Si sarebbe tenuta a settembre, a Recife!!. Fu come rivedere la luce. Il mio cuore sussultò e mi arrivò in gola. Il fato? O fado? Boh, sta di fatto che avevo l’occasione per ritornare nel meraviglioso Paese che era stata teatro delle mie scorribande puttanesche, nella città che mi aveva tenuto a Battesimo e svezzato. Avrei ricominciato dagli annunci con la cornicetta, senza dubbio, inaccettabili per me ormai incontri sessuali privi del requisito della completezza. Organizzai la trasferta d’affari e vissi con palpitazione i mesi seguenti che mi separavano dalla partenza. L’estate trascorsa in famiglia mi avrebbe certamente depresso definitivamente se non avessi avuto quella speranza di ri-vivere ore di sesso sfrenato e, soprattutto, perfezionare la mia tecnica sodomitica.
Fa un certo effetto ritornare sui luoghi che ti hanno visto bighellonare, curiosare, assaporare sensazioni colte al volo e in ogni dove, afferrando giorno per giorno quello che la vita concede. Guardando la città dal taxi, l’emozione fu così forte che a tratti mi sentii galleggiare, come se una spinta dall’alto in basso mi sollevasse da terra. Non ho più provato quella sensazione. Sceso dal taxi, feci incetta di quotidiani e mi sistemai in un hotel della Boa Viagem. O Diario de Parnambuco era rimasto identico in tutto, ma la sezione Classificados, la sezione gli annunci, era diventata molto più corposa: ora riempiva quattro facciate del giornale e non era più relegata nelle ultime ma campeggiava nella parte centrale; il paragrafo Relax, con almeno 200 inserzioni, occupava una facciata intera, anziché la solita mezza colonna. Aprii un magazine locale che sapevo essere orientato alla proposta di divertimento in città e al mercato del sesso: bar, pub, spettacoli, disco, night club, convivio… Minchia! Trenta pagine di convivio. Non credevo ai miei occhi: l’offerta di incontri sessuali in un anno si era decuplicata.
Feci una doccia per smaltire un po’ la febbre che davanti a quell’ipermercato del sesso si era impossessata di me. Il problema ora era selezionare, separare il grano dalla granaglia, non farsi accecare da luci e lustrini, per identificare le l’offerte migliori, e soprattutto: intercettare le proposte fasulle (quelli che poi nei forum specializzati sarebbero stati chiamati Missili). La mia trasferta durava una decina di giorni certo e avrei avuto tutto il tempo per recuperare, ma con quel ventaglio di scelte sarebbe stato insopportabile incappare in maliarde incanutite, bagascie decrepite, simil-femmine con le ragnatele tra le gambe, e lasciare ad altri la carne fresca. E poi, il tempo non era tutto sommato tantissimo, c’erano anche gli impegni lavorativi, non potevo mica andare a puttane tutto il giorno!
Annotai le inserzioni che mi sembravano più promettenti, soprattutto quelle che riportavano una indicazione di età della signorina che gentilmente concedeva le sue grazie. Delle foto avrebbero aiutato, ma eravamo ancora in pieni anni ’90, la società dell’immagine tardava ancora, bisognava aguzzare la vista e l’ingegno, decifrare lo stile e il lessico dell’annuncio, come in una caccia al tesoro. Alla fine stilai una lista con una ventina di numeri di telefono. Era sufficiente per una prima uscita. Mi precipitai fuori dall’hotel alla ricerca di una cabina telefonica discreta, in qualche vicolo. La individuai dopo una mezz’ora, arrampicandomi sulla Mustardinha. Mi guardai in giro, un gruppetto di pensionati giocava a domino su una panchina in pietra godendo del sole pomeridiano, due ragazzini si rincorrevano, le loro voci risuonavano fragorose nel silenzio imperturbato da mezzi di locomozione. Era proprio la mia cabina. Entrai e mi chiusi dentro, ignorato, almeno così mi era sembrato, dal gruppetto di anziani, concentrati sul gioco. Iniziai a telefonare e constatai soddisfatto che il mio portoghese reggeva alla grande. Annotai indirizzi e notizie varie, compreso l’onorario richiesto. Dopo una decina di telefonate non avevo ancora trovato, però, riscontri di completezza, nonostante gli annunci fossero espliciti in tal senso. “Ma perché scrivi “completa” se poi completa non sei??” “Lo è una mia amica, ma oggi non c’è… io sono brava però, ti faccio un bel pompino al naturale, fino in fondo e …” “See…see, vabbè… in caso ti richiamo”.
Mah! Santa pazienza, proprio oggi dovevano proclamare lo sciopero delle rotte inculo a Recife. Vuoi vedere che i 20 numeri che ho annotato sono pochi? Girai il foglio del blocco notes e l’occhio cadde sull’ultima annotazione: “22 ANOS..., Desinibida. Completa.. Tudo nas calmas.. Apertadinha.. Apartamentos privados.. 24horas Telef……”. Massì, cominciamo dal fondo della pagina e procediamo allincontrario. Mi rispose una voce femminile talmente rauca che per attribuirla ad una ventiduenne non bastava tutta la mia fantasia. Restai attonito per qualche secondo, sicuro di aver composto male il numero. Poi la voce gracchiò musica per le mie orecchie. Disse che potevo andare a trovarli in Praça de Espanha, che avevano una ampia scelta di appartamenti privati e di servizi, con ragazze professionali diversamente performanti, aggiungendo che erano in grado di soddisfare le esigenze più disparate, e che l’onorario delle ragazze era a tempo: 10 mila mezz’ora, 20 un’ora, venticinquemila un’ora con supplemento per il servizio completo. Disse proprio così: “… con supplemento”. Il messaggio era chiaro: “Vuoi un bel culetto da sodomizzare”? Ok, sei il pollo per noi”. “O senhor quer uma marcaçao”?
Prenotai per l’indomani mattina, spiegando le mie esigenze. La manager rauca disse che avrebbe fatto di tutto per farmi trovare almeno tre ragazze “completissimas e apertadinhas”. Queste due parole rimbalzarono nei miei sogni tutta la notte, foriere non solo di una rapporto anale ma anche di un rapporto anale con una fanciulla aperta quanto basta, non sfondata, non slabbrata, avvolgente, “apertadinha”. Che lingua fantastica il portoghese!
Arrivai in Praça de Espanha per le 10.30. L’appuntamento era per le 11.00. L’edificio in cui dovevo entrare era un anonimo condominio di sette-otto piani. La targa di una ditta di import-export mi avrebbe guidato. Entrai in un bar e sorseggiando un’acqua tonica attesi l’ora giusta per muovermi. Alle 10.50 bussai al citofono della ditta di import-export, diedi le mie generalità, false ovviamente: “Secondo piano” rispose la voce rauca con cui ieri avevo concordato tutto al telefono. La voce rauca, vidi subito dopo, che corrispondeva ad una cinquantenne bruna ben pettinata e snella che, pensai, da giovane doveva essere stata nel ramo. Mi spiegò nuovamente tutto e mi fece accomodare in una stanzetta laterale, con gli scaffali ricolmi di raccoglitori con l’anno scritto sopra. Chissà se era la contabilità del puttanificio o quella della ditta di import-export?! Poco dopo udii bussare alla porta e senza che io dicessi nulla nella stanzetta entrarono tre donzelle sorridenti, vestite con tailleur scuro, camicetta chiara, scarpe a tacco altissimo. La signora fece le presentazioni: “A Xana … A Barbara … A Carol … le nostre ragazze complete più belle per lei…”. Inutile dire che la scelta l’avevo fatta dopo due secondi, incrociando lo sguardo di Xana, una brunetta con i capelli a caschetto e il fisico longilineo, la più alta delle tre. Non ebbi dunque difficoltà e non persi tempo a valutare più di tanto le doti fisiche di ciascuna. A dire il vero non sopportavo quel momento, non riuscivo a xxxarmi di dosso la mia cultura progressista e trovavo imbarazzante andare a misurare o soppesare le qualità fisiche di una fanciulla, lo trovavo umiliante per me e per loro. La scelta fu quindi rapida e decisa: “Xana”. La signora fece uscire le altre due e mi invitò ad accomodarmi di nuovo alla reception all’ingresso. Poi diede una chiave a Xana, che mi invitò a seguirla. Uscimmo dall’edificio, Xana avanti, io dietro a rimirare il suo culo magro e duro sotto la gonna leggera. Avevo scelto bene, non aveva solo una culetto ben fatto, anche se non molto formoso per i miei gusti, ma anche molta eleganza nel camminare. Era senza dubbio una offerta di livello superiore, per palati raffinati.
Dopo duecento metri entrammo in un altro anonimo condominio di sette- otto piani. Salimmo in ascensore, in silenzio. La sua bellezza composta, il suo portamento da modella, mi intimidivano, non riuscivo ad attaccare discorso. Una volta dentro nell’appartamento feci la solita stupida domanda, per rompere il ghiaccio: “E tu di dove sei?” ”Di Olinda, un villaggio vicino alla città, lo conosci?”. Anche la sua voce era elegante, flautata. Era così perfetta che quasi mi dispiaceva sbatterglielo nel culo. L’appartamento mi sembrò molto grande, ma doveva essere completamente spoglio, le nostre parole per quanto pronunciate a bassa voce rimbombarono nel corridoio. Xana mi guidò in una camera da letto, con le serrande basse. Accese un lume su un tavolino, comparvero un letto, due comodini, altro tavolino con sedie, due tappeti, pareti imbiancate da poco, tutto molto essenziale e in qualche misura squallido. Con quel popò di ragazze avrebbero potuto anche comprare un qualche arredo, un quadro, che so. Mi lamentai con Xana, che intanto si era seduta sul letto, accavallando le lunghe gambe. Lei si giustificò, disse che potevamo cambiare se non gradivo, che quello in effetti era un appartamento in allestimento da poco. Risposi brutalmente che mi interessava solo fotterla, che dell’appartamento non m’importava un fico secco. Non so come mi venne, tutto d’un tratto qualcosa scattò dentro di me e decise di calare il sipario sulla recita del gentiluomo. Eravamo lì per fottere e l’avrei fottuta a sangue, non mi importava dell’appartamento, non mi importava del suo portamento, del suo tailleur, delle sue scarpe. Da quel momento in poi per me sarebbe stata solo un culo, tornito e sodo, anzi: un buco di culo. Xana rimase sorpresa da quell’improvvisa accelerazione, ma non si scompose più di tanto. Sussurrò soltanto: “Ok…” si alzò lentamente e cominciò a spogliarsi. Mi spogliai anche io, levai scarpe e pantaloni voltandole le spalle, spiando di tanto in tanto le sue reazioni. Forse avevo esagerato, ma che mi aveva preso? Forse l’avevo offesa, forse …. All’improvviso la sentii muovere qualche passo alle mie spalle, non feci in tempo a voltarmi che mi arrivò un sonoro schiaffo sul culo, a piene mani: “Hai proprio un bel culo, lo sai?”. – “Sss… sssìì” balbettai, mi girai imbarazzato e la vidi, indosso uno slip scosciatissimo e le scarpe a tacco alto, bellissima, slanciata, sguardo severo, di sfida, incrinato da un sorrisetto a mezza bocca che tradiva la finzione, il gioco di ruoli. Mi incartai nello sbottonare la camicia. Xana guardandomi fisso negli occhi lo fece per me. L’avevo sfidata ed ora non era all’altezza, questa era le verità.
La sua bellezza, la sua compostezza altera, mi dominavano psicologicamente, ecco perché prima ero scattato, avevo tentato di liberarmi da quel complesso di inferiorità, volevo essere io a dominarla. Restai in mutande, Xana cominciò ad accarezzare le mie zone più vulnerabili, poi afferrò il bordo dello slip con un dito mi trasportò nei pressi del letto, sempre in silenzio, sempre altera, con la sua sterminata schiena ben eretta. Sedette in punta al letto e con un solo gesto abbassò i miei slip fino alle ginocchia. Il mio cazzo fece la sua comparsa, pronto a tutto, a immergersi in una bocca calda e capiente, ma quello che seguì non fu un pompino, fu una tortura, perpetrata dalla sua lingua ai danni della mia cappella scoperta: colpi di punta, tocchi di piatto, movimenti roteanti, sul frenulo, sul prepuzio, sull’orifizio uretrale, tutto il campionario della troia indispettita e dispettosa. Dopo cinque minuti e oltre di quello strazio, mi spazientii, mi liberai dello slip, scattai in avanti e la bloccai sul letto, salendole sul seno a cavalcioni.
Il mio cazzo a pochi centimetri dalla sua bocca gridava vendetta, ma l’ingresso risultava sbarrato dalla dispettosa proprietaria. E qui ebbi un colpo di genio: con due dita serrai il nasino di Xana, costringendola a respirare con la bocca, e alla prima boccata d’aria glielo piantai dentro d’un colpo, come il cucchiaio che imbocca le bimbe che non vogliono saperne della pappa. L’eccessivo impeto dell’imboccata rischiò di soffocarla, Xana lacrimò, ma non si scompose, anzi si organizzò alla svelta per accogliere le cucchiaiate successive. Le liberai il naso ma continuai a fotterla in bocca, spostando tutto il corpo in avanti, gli occhi sbarrati sulla parete di fronte, spoglia e imbiancata da poco. Xana ingollò tutto, cucchiaiata dopo cucchiaiata, restando in silenzio, senza un accenno di ribellione, dimostrandosi una fanciulla orgogliosamente professionale.
Mi resi conto di quanto fosse ben ferrata sul fronte orale quando vidi sparire tra le sue fauci l’intera erezione, cosa che avrebbe dovuto provocarle un qualche accenno di rigurgito o un qualche lacrimuccia. E invece niente. Mi fermai, mi sfilai dal suo esofago arroventato e scesi dal letto, volevo dedicarmi all’esame degli altri orifizi. Lei, ripulendosi la bocca come un muratore che ha appena buttato giù un bicchiere di vino. si sollevò sui gomiti e attese le mie mosse. Le sfilai lo slip, lasciandola con le scarpe. Mi aspettavo una fica ben curata, di quelle con il pelo raso e ben disegnato, mi trovai a tu per tu con un pelo arruffato e piuttosto lungo, contraltare di un buco di culo perfettamente glabro. Optai per l’ispezione di quest’ultimo. Forse presagendo le mie intenzioni Xana si voltò e facendo leva sui gomiti si mise a culo per aria, restituendomi la sublime visione di due natiche bianchissime e levigate.
Generalmente prediligo il culo a natica ampia, piena, meglio se disegna il profilo svasato di un’anfora. Ma il culo di Xana, due natiche quasi diritte benché piene e rotonde, mi sembrò ugualmente molto desiderabile. Si lasciava cingere con facilità dalle mie mani, che quasi i pollici potevano toccarsi, profumava di buono, qualcosa tra la vaniglia e la cannella. Lo divaricai leggermente e mi soffermai ad osservare la conformazione del minuscolo sfintere, ne constatai la rigidezza con una lieve pressione, cominciai a chiedermi come avrai fatto ad averne ragione e se c’era spazio a sufficienza per il mio cazzo già imbardato per le migliori occasioni. Una bella slinguazzata avrebbe aiutato di sicuro. Tenendo il solco anale ben aperto, tuffai la faccia in avanti e attaccai a massaggiarne il centro con la lingua piatta, concedendo qualche rapida incursione più in basso, alla zona perinea e alla fica, che pian pianino era pure sbocciata fuori dalla folta pelliccia naturale che la ricopriva.
La gentile crespatura dell’ano cominciò a reagire alla saliva e poco dopo cedette definitivamente il passo alla lingua a trivella e al pollice a martello. Per tutta la durata del massaggio linguale Xana fu tutta un: “OOOOhhh… OOOhhh…OOOOhhh…”, troppo enfatica per essere vera. Soddisfatto del mio lavoro preparatorio, mollai la presa. Xana si sedette in punta al letto e mi offrì nuovamente la sua abilità pompatoria. Anziché rifiutare, accolsi l’invito, inconsapevole che potesse essere una subdola trappola. In due minuti il lavoro sapiente di Xana mi portò sull’orlo del baratro, cercai di sottrarmi, ma fui più debole. Afferrai la testa di Xana con l’intenzione di allontanarla da me, e invece mi ritrovai a tenerla premuta verso di me, per incollare la sua bocca alla base dell’asta: sparai tutto dentro, giù per l’esofago. Xana stavolta mugolò, tossì, rigurgitò, ma non osò sfilarsi.
Coglione, coglione! Quanto ero stato coglione! Mi fiondai per il corridoio, alla ricerca di un bagno. Quanto tempo avevo? Cazzo, non avevo guardato l’orologio. Ora lo sfintere si sarebbe di nuovo irrigidito, tutto il lavoro preparatorio sarebbe andato sprecato. Vuoi vedere che questa mi frega? Xana mi seguì, si accomodò sul bidet mentre io al lavabo speravo nell’azione tonificante dell’acqua fredda. I suoi sguardi erano furtivi quanto eloquenti: era contenta di averla fatta franca. E a pensarci bene, forse non sarei mai riuscito a penetrare quel suo culetto, troppo “apertadinho”.
“Torniamo di là o vuoi continuare qui, in bagno?” Continuare? In bagno? Ma di cosa cazzo sparlava questa troietta? E ancora: “Non vorrai già andartene?”. Restai basito per qualche secondo, poi mi ripresi: “Ma qui è scomodo … e poi ho bisogno di cinque minuti, mi hai svuotato!” E lei: “Non avevi detto che volevi fottermi e basta?” Xana consumò la sua vendetta, fredda. Non avrei saputo che cosa replicare, ma Xana non me ne diede neanche il tempo. Si alzò dal bidet, diede un asciugata alla fica e al culo, e venne alle mie spalle, mentre, fiducioso nelle qualità rinfrescanti dell’acqua fredda, ero rimasto piantato con il cazzo nel lavabo.
Già il solo contatto con la sua sagoma longilinea, con i suoi seni appena accennati ma puntuti, con il pelo della fica a strusciarsi tra le mie chiappe, aveva sortito un immediato recupero, ma Xana si spinse oltre e fece un capolavoro. Schiacciò con decisione sul dispenser del sapone liquido, insaponò il mio glande e iniziò a masturbarlo, con due dita aperte a forbice. Ritrovai turgore in una batter d’occhio. “Andiamo di là, qui è scomodo … ”, disse Xana facendomi il verso. Afferrò il suo capolavoro di restauro e mi riportò al traino in camera da letto. La seguii, incantato.
Mi guidò verso il tavolino senza lume, vicino alla finestra. Non so da dove era intanto spuntato un preservativo. Mi lasciai incappucciare. Poi Xana, facendo perno sul tavolino, si piegò leggermente in avanti, porgendomi le natiche: “Leccami come hai fatto prima…” Non me lo feci ripetere, mi inginocchiai ed eseguii, tanto più che più leccavo le sue intimità, più ritrovavo vigore e libido. Dopo pochi secondi lo sfintere mi sembrò elastico e cedevole, pronto ad accogliere qualunque dimensione. Mi sollevai, puntai l’attrezzo, facendoci leva sugli alluci, diedi un colpo di reni impetuoso: il mio cazzo scomparve, risucchiato tutto dentro. Avevo dosato male le forze. Xana emise un altro dei suoi prolungati: “OOOOhhhhhhh….” e si sfilò, spostandosi in avanti con tutto il tavolino. “Scusa … forse è meglio spostarsi sul letto“ provai a giustificarmi, ma Xana non disse nulla. Ripristinò la sua posizione semi piegata sul tavolino e attese: voleva essere posseduta lì, su quel cazzo di tavolino. La situazione era alquanto difficile, il tavolino zoppicava, Xana era troppo alta e io stentavo a ritrovare la mira. Xana comprese le mie difficoltà e mi anticipò, appiattendo tutto il ventre sul tavolino, che cigolò pericolosamente. Il suo culo mi venne incontro in tutto il suo candido splendore. Fissai un piede ad un angolo del tavolino, mettendone a rischio la stabilità. Mi ritrovai con l’attrezzo perfettamente allineato al centro delle chiappe. Alla cieca cercai l’uscio, trovandolo quasi subito, già bell’e spalancato. Mi ancorai alle spalle da mannequin di Xana, cominciai un movimento ondulatorio leggero che mi consentiva di rimanere in equilibrio e di spingere con regolarità e precisione dentro a quel culo. Anche se non avevo molto esperienza in fatto di perforazione posteriore, sapevo che per niente al mondo andava abbandonato il presidio di un deretano testé violato. L’orgasmo giunse come sempre troppo presto, ma fu un’apoteosi.

 
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4. UNA CITTA’ PER CHIAVARE/1: TORINO
Il ritorno a Recife mi consacrò irreversibilmente alla vita da puttaniere, una vita di sotterfugi e pretesti, alibi e bugie, una continua partita a scacchi con sé stessi, con i propri affetti familiari, per concedersi a quella vita parallela che pretende spazi e tempi sempre più ampi. Solo chi ha fatto la stessa cosa, per anni, mentre scorre la vita ordinaria di ogni giorno, può sapere a che cosa si può arrivare per addentare la tua dose di sesso liberato da mediazioni sentimentali. Squallidi piede-a terre o eleganti attici, non c’è differenza per il puttaniere impenitente: l’importante è aggiungere il tuo sigillo, il tuo pezzo di scottex alla pattumiera già ricolma di fazzolettini maleodoranti e profilattici che grondano sperma ancora calda.
Bastano una manciata di giorni all’anno, una, due volte al mese, stacchi la mente da tutto, cerchi l’anonimato, anche con te stesso, diventi lupo solitario alla ricerca di giovani prede da azzannare, da fare a brandelli, di corpi voluttuosi da straziare, da violare, di intimi cunicoli da invadere, possedere, per mezz’ora o poco più. Ma non sei tu, è il lupo, solitario, che pianifica, verifica, sceglie l’itinerario, si mette in azione.
Fu Torino, a cavallo tra la fine degli anni novanta e l’inizio del nuovo millennio, a regalarmi una sequenza interminabile di scopate, a volta formidabili, altre volte vere e proprie ciofeche. Ci andavo una volta al mese a Torino, per lavoro, ma lavoravo poco e passavo invece molto tempo su Secondamano, giornale di inserzioni commerciali sul mercato dell’usato, con un ampia sezione dedicata alle …”Relazioni Personali”. Non c’erano foto, solo poche righe, da interpretare, da metabolizzare. Il pericolo non era tanto quello di andare incontro a prestazioni poco soddisfacenti, quanto quello di imbattersi in veri e propri scorfani, inspiegabilmente dediti alla prostituzione. Normalmente procedevo per fasi, con metodo: prima cerchiavo gli annunci più promettenti e annotavo i numeri di telefono, poi mi attaccavo al cellulare, che nel frattempo era entrato nella vita di tutti e quindi anche nella mia; poi, in base alla conduzione della telefonata da parte dell’interlocutrice di turno, in base alla sua voce, (stanca, squillante, rauca, paziente, sbrigativa, ecc.) procedevo con un sistema classificatorio, basato sulle stelline, da 1 a 5 stelline. Annotavo nomi, nazionalità, indirizzi, prestazioni presunte, tariffe, tutto a penna. Poi, possibilmente su un singolo foglietto, ricopiavo in bella scrittura, solo quelle da tre stelline insù. Scartavo senza appello quelle da una o due stelline. Appioppavo una o due stelline alle telefonate scortesi, a quelle troppo fredde, alle voci cariche di fumo, ma era anche la nazionalità che faceva lievitare o scendere il punteggio. Penso di non aver mai dato più di tre stelline alle spagnole, alle colombiane, alle cubane, al ceppo ispanico in genere. Le brasiliane prendevano sempre da 4 a 5 stelline, e avevo inventato il 5plus per le ungheresi, le ceche, le polacche, le russe. Le italiane non mi attraevano più di tanto e ancora oggi le rifuggo.
Completato un elenco di 10-15 opzioni, partivo con la localizzazione su mappa degli indirizzi. Questo portava alla selezione finale. Mi è sempre piaciuto, clima permettendo, muovermi a piedi; quindi cassavo o mettevo in subordine le opzioni troppo decentrate o periferiche rispetto al mio albergo. Poi se c’era da prendere un autobus per raggiungere un 5plus, rinunciavo alla mia passeggiata. Diventando più facoltoso scoprii il taxi, mezzo ideale per andare a puttane. Mediamente in mezz’ora ti portano nella via giusta, al civico giusto e non devi affannarti a cercare la via più breve, con il rischio sempre in agguato di girare in tondo come un coglione alla ricerca della stradina, del vicolo, della piazzetta giusta. Quante volte, ho consumato le suole perché davanti a un bivio ho imboccato la strada sbagliata, scoprendo dopo chilometri che sarei dovuto andare dall’altra parte. E quante volte sono stato vicino alla meta, ma seguendo mappe mal disegnate o le scarse indicazioni topografiche rintracciabili lungo le vie delle nostre belle città italiane ho seguito traiettorie incredibilmente tortuose, per ritrovarmi dopo mezz’ora, con i piedi indolenziti, ad un tiro di schioppo da dov’ero partito. E come sono brutte certe zone delle nostre città. Torino, come Roma, Milano, è pieno di posti eleganti, ma quanti posti orribili: caseggiati, stradoni anonimi, cavalcavia, circonvallazioni, sottopassi, fettine inconcludenti di terra aggredite dalla sterpaglia, tra un casermone e un palazzaccio. Sulle mappe tutto questo traspare appena e con gli occhi inesperti di quegli anni non era leggibile l’assurda conformazione di certe zone. Conoscevo poco la città e mi capitava spesso di avventurarmi su bretelle e raccordi, convinto di poterli attraversare con le mie gambine. Non è proprio lo scenario ideale per passeggiare, per cercare una traversa e poi un maledetto civico appena leggibile sulla parete, con il cuore in gola e l’ormone ululante nei testicoli, confuso, rintronato e frustato, perché vorresti solo scaricare lo scroto in un culo o in una bocca e invece sei lì sudato e stravolto che cerchi di coprire distanze enormi che ti separano dall’agognato obiettivo, ma hai solo le tue gambine. E chissà perché le vie del sesso a pagamento portano quasi sempre in questi suburbi e raramente in centro.
Torino, quanti ricordi, nonostante la memoria dopo dieci anni sbiadisca molti particolari. Claudia, la topolona bionda sulla trentina, da Praga con furore, monolocale dignitoso nei pressi del CTO, potrei ancora segarmi rimembrando quel culo candido e pieno pazientemente offerto alla mia inesperienza su un letto cigolante come pochi: almeno 4-5 visite; Silvia, la teen polacca col jeans attillato che prima strusciò le sue chiappette di marmo sul mio basso ventre e poi me le negò, preferendo soffocarmi con la sua fichetta profumata: una visita; Ania, l’attricetta russa (a suo dire) che con sapienti bugie e ammiccamenti alleggerì molto il mio portafoglio, mi fece un massaggio con un olio misto a Vodka, miracoloso, prima di subire due selvaggi assalti per un’ora abbondante, una visita, reciproca soddisfazione; Carmela, la bizzarra ragazzotta siciliana, certamente non prof., bruttina ma con un culo pazzesco e vergine, unico e irripetibile esempio di vera deflorazione anale di cui sia mai stato protagonista, in un orrido monolocale con soppalco, credo di averle aperto una strada molto fruttuosa: una visita; lady Giuly, la milf faccia da porca e fisico scolpito,. mitica geisha della piazza torinese, il trans di via Pastrengo, la velina in trasferta da Milano, direttamente dagli studi di Canale 5 alle marchette, complice la riservatezza torinese, i solarium, la stupenda Giulia,.
Intanto, era comparsa la prima agorà virtuale per puttanieri che io ricordi, un web-forum artigianale e quasi commovente, dedicato al movimento puttanista della città. Cominciai a pubblicare le mie storie, a leggere quelle dei colleghi lettori di Secondamano, a fare amicizia virtuale con alcuni di essi, avendo quasi esclusivamente Secondamano come base di partenza. Quel forum riempì un vuoto, si creò un movimento di solidarietà e interscambio di informazioni che divenne rapidamente di essenziale importanza per selezionare l’offerta, per avventurarsi nel mondo delle troie senza rischiare o limitando i rischi di incontri con bagasce sdentate e grasse. Quel forum, non ricordo neanche più come si chiamasse, perì così com’era nato, senza preavviso, ma indicò la strada. Intanto internet era già divenuta una fenomenale bacheca di puttane, con foto, descrizione, numero di telefono, prestazioni offerte: tutto ciò che serviva per un acquisto meditato e pianificato di sesso. L’attività di catalogazione, schedatura, che ciascun puttaniere con lucida follia conduceva per coltivare il suo piccolo mondo parallelo, ribaltata nel web, si intrecciò dapprima con stessa folle condotta dei suoi consimili, e subito dopo con le attività di marketing e benchmarking della fica e del culo filtrate da siti web specializzati, costruiti da marpioni che, fiutato il business, realizzarono incredibili progetti imprenditoriali di e-commerce. Casi esemplari, e siamo all’oggi, quei siti di e-commerce sessuale che si chiamano forum e che si propongono come train du union ideale tra domanda e offerta, concedendo ai puttanieri la possibilità e opportunità di commentare le qualità fisiche e le prestazioni delle signorine che proponevano le loro grazie e i loro servizi in appositi spazi di inserzione pubblicitaria nello stesso sito. Qui nacquero le recensioni e qui nasce e si sviluppa il linguaggio, fatto di acronimi e neologismi, del recensore - puttaniere. Tanto per cominciare bisognava distinguere e classificare le puttane con una terminologia più sofisticata: escort (prostitute d’alto bordo), loftwalker (prostitute d’appartamento), streetwalker (battone). La terminologia anglosassone si infiltrò per rendere meno cruda e più elegante (?) anche l’identificazione delle prestazioni: blowjob per pompino, a-level per indicare le fanciulle inculabili, daty per leccata di fica, cim per sborrata in bocca, cob per sborrata sulle tette, ecc: un turbinio di cazzate e ipocrisie linguistiche per mistificare la realtà, la sola realtà, e cioè che internet era diventato un enorme brulicante puttanaio, come mai nessuno aveva immaginato o avrebbe potuto immaginare. Il mondo di Secondamano divenne Medioevo.

 
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5. UNA CITTA’ PER CHIAVARE/2: MILANO
Se Recife e Torino ospitarono le fasi adolescenziali del mio personale percorso da puttaniere, dandomi una sgrossata, Milano sancì il passaggio alla maturità vera e propria e l’approdo alla padronanza assoluta dei propri mezzi, delle proprie esigenze, delle proprie emozioni.
Fu subito benzina sul fuoco, amore cannibalesco, voglia dirompente di divorare l’offerta che nel frattempo si appalesava sul web, sempre più ricca e stordente. Milano cominciò ad essere meta abituale delle mie trasferte lavorative dall’inizio del 2002. Avevo all’attivo già una cinquantina di incontri, tutti perfettamente scolpiti in una memoria ancora acerba e poco gravida di ricordi. Ma già sul finire del 2001 c’era stato l’incontro con Eva, ungherese di Via Guinizzelli, scovata sul Secondamano milanese, a farmi capire che a Milano sarebbe stata tutta un’altra musica. Dopo una due giorni convegnistica mi ero preso il pomeriggio, fermamente convinto ad infilare qualcosa di piacevole tra i noiosi relatori ai quali ero stato costretto, e il volo di ritorno. Comprai Secondamano e quasi tuffai l’indice a caso, disposto a prendere quello che passava il convento senza farmi troppi problemi, purché si scaricasse lo scroto. La voce di Eva al telefono fu un richiamo immediato, irresistibile. Non usò i vezzeggiativi che le latine usavano per rivolgersi al cliente, non fece gridolini e fu avara nella descrizione. Provai a insistere con qualche domanda sulle sue fattezze e sulle sue prestazioni, ma lei si limitò a ripetere: “Glielo ho già detto … sono molto bella … non si preoccupi … possiamo fare tutto, ci mettiamo d’accordo … se vuol venire, mi richiami una mezz’ora prima e ….” – “Sì, sì, sto arrivando, per le quattro sono lì … “ A ripensarci ora, non so come Eva, sentendomi agitato e laido come le devo essere sembrato, riuscì a non irritarsi. Anzi, sprigionò tutta la sensualità di una voce arrochita, scandendo ogni singola parola con assoluta padronanza della lingua. Ricordo di aver pensato: Questa mi spenna … ma chissenefrega!
Il pianeta Ungheria mi era quasi del tutto sconosciuto, quantunque l’avessi da sempre bramato, come quello ceco o russo. Non stetti lì a fare altre telefonate per valutare che cos’altro proponesse il Mibtel: il tempo era poco, la strada segnata. Quando entrai nell’appartamento in penombra, il cuore cominciò a battere velocemente, trepidante per la visione che di lì a poco avrei avuto. Il battito rallentò e quasi si fermò davanti ad una specie di Marylin, vestita di bianco. Barcollai al pensiero che fosse tutta per me, poi la seguii nel salottino dove tutto poi si sarebbe svolto. Senza indugiare mi chiese: “Duecentomila (cento euro!!) per un rapporto normale, quattrocento per il sedere, se le interessa …” Continuava a darmi del Lei la puttana, ma non ci feci caso. Ero troppo impegnato a dissimulare con un sorriso da ebete l’esultanza per le ultime parole che avevo udito. Mi interessava il suo culo? Mah… forse sì, visto che dall’ingresso al salottino gli avevo fatto la radiografia, sfruttando le trasparenze del vestito bianco che indossava. E stavo proprio pensando: Minchia com’è alto sto’ culo! Com’è imperioso! Figurati se lo dà via! Minchia che culo! Perfetto! … Quando lei si volta e guardandomi diritto negli occhi proferisce quelle insperate parole: “.. quattrocento per il sedere, se le interessa …” . E io, scioccato, ma col sorriso da ebete ben impresso: “Mah… sì, può interessarmi, come no? Mahh… va bene, quattrocento hai detto? E’ tutto quello che ho in tasca, ma… va bene” - “Ok, allora vado in bagno a prepararmi. Tu spogliati, magari”. Ora che stavo per incularmela, aveva deciso di abbandonare il “lei”, sciogliendosi in un ampio sorriso. La cosa un po’ mi dispiacque. Già me la vedevo implorare: “La PREGO, mi INCULI piano, FACCIA piano la prego …“. E invece era passata al TU. Peccato.
Quel tono perentorio e deciso tra l’altro lasciava intendere che sì certo me la sarei inchiappettata ma non mi facessi troppe illusioni su chi avrebbe condotto il gioco. Mi sfilai i vestiti poggiando tutto su una sedia e guardandomi finalmente attorno: non vedevo letti, solo un divano in tessuto, con le solite scene di caccia disegnate sopra. Boh, forse mi avrebbe chiamato di là … e poi: “Vado a prepararmi” ma che avrà voluto dire? Immaginai che stesse facendo qualche irrigazione rettale per rilassare e pulire il passaggio. L’euforia arrivò a livelli tali che corsi il rischio di venirmene lì sul posto. Eva ritornò con un corpetto strizza tette, calze e reggicalze, tutto di ininterrotto pizzo bianco, chanel bianche ai piedi. La chioma ossigenata restava perfettamente raccolta in un pettine di madreperla. Era uno splendore di femmina. Da un mobile che non avevo minimamente notato, senza dire nulla, con un gesto fulmineo tirò fuori un letto a una piazza e mezzo, che scese trasversale ad un grande specchio a parete, che invece avevo intravisto prima. Hai capito, come si è organizzata la troia! Eva sedette ritta sul bordo del letto e mi invitò a fare altrettanto, battendo la manina affianco a sé. Lo fece con un sorrisetto ironico e il sopracciglio inarcato, come a dire: Mio caro … tu non sai che cosa ti aspetta. Mi accostai con passo timido e quando le fui vicino mi chinai e le rubai un tiepido bacio sulle labbra. Eva rimase sorpresa per qualche secondo ma non arretrò. Anzi, tirò fuori una lingua puntuta e il tiepido bacio divenne subito bollente. Non avevo mai baciato una puttana. Ne restai travolto. Mi inginocchiai, con intenzioni più che evidenti. Lei, slacciato un bottone strategico del corpetto, dischiuse le cosce e si concesse alla mia bocca, appoggiandosi sui gomiti, come a dire: Vediamo un po’ che sai fare ….
Mi immersi in quel trionfo di lingerie ancora intonsa, mirando alla felicità attraverso l’unico varco aperto. Le sue cosce, ancora velate di pizzo bianco, poco dopo si serrarono a tenaglia e con sorpresa avvertii la sua mano premere decisa sulla mia nuca. Trattenni il fiato e per non so quanto restai incollato a quella fica, incurante del collant che si impigliava nella mia rasatura vecchia di due giorni. Poi lei sussurrò qualcosa, rintronato mi sembrò di percepire un richiamo all’ordine: “Vogliamo scopare, prego?”. Mi rialzai e mi resi conto che in tutto quel tempo avevo solo leccato, una fica sapida e gustosa certo, ma senza ricevere nulla in cambio. Mi riavvicinai e con linguaggio gestuale ma eloquente pretesi il mio pompino. Invertimmo l’ordine dei fattori: io riverso sul letto, lei in piedi, china sul mio cazzo ululante. Qualche affondo dal prepuzio alla base e ben presto le sue lusinghe orali mi portarono a vibrare come un’arpa. Indeciso se spararle tutto in gola o andare al secondo atto, scattai in piedi, come in preda alle convulsioni. Eva fece: “???” ma afferrò subito il problema e si mise a ridere - la bastarda. “Che fai? Vieni di già?” Divenni statua di sale, attesi che lo scroto si decontraesse e che l’incipiente onda di piena rifluisse. Eva ridacchiava, impunemente soddisfatta. Meditai vendetta e chiesi il piatto forte della casa: “Sbaglio o si era parlato di … SEDERE?” E lei ancora ridendo: “Sissì, maaa … aspetta che mi tolgo tutto, questo reggicalze è bello, ma così scomodo ….” - “Lascia su le scarpe, ok?”. Eva annuì e con una mossa si sfilò il corpetto, disvelando due bocce tese e rotonde. Smise di ridere e ritornò professionale. Aprì un cassetto e tirò fuori gli arnesi del mestiere, mi incappucciò, passò un ditino di luan sul solco da arare, ne passò qualche grammo anche sull’aratro. Mi disse che non le piaceva usarne molto, perché non le faceva sentire nulla. Prese possesso del lettino, mettendosi a pecorina. “Vieni …”.
Il suo culo campeggiava per aria, riempiendo e illuminando tutta la stanza: due emisferi immacolati, incredibilmente paffuti e floridi, vergati da una delicata scanalatura rosa, sboccante in un alveolo appena accennato. Cominciai a pensare dove mai avrei trovato lo spazio per passare. E invece lo spazio, dopo qualche incertezza iniziale che fece indispettire Eva, si liberò subitaneo: l’alveolo divenne pertugio, poi sbrego, squarcio, cratere, sempre più ingordo e capace: il classico Miracolo del Culo.
Tornai da Eva qualche mese dopo, correva l'anno 2002: duecento euro, stesso identico copione. Stavo per farci l’abbonamento, ma persi le sue tracce. Per sempre.

 
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6. UNA CITTA’ PER CHIAVARE/3: ROMA
Nello svezzamento di un puttaniere, non può mancare un pezzo di esperienza acquisita sulla piazza capitale, soprattutto perché Roma vuol dire Brasil. Sette volte su dieci, anche oggi, se telefoni becchi una brasiliana, due volte su dieci becchi un’ispanica, soprattutto venezuelane, una volta su dieci ti capita una ragazza dell’est, una russa, una polacca, raramente un’ungherese. E’ così: le brasiliane padroneggiano il mercato e lo fanno con spirito imprenditoriale e intelligenza, consapevoli dei propri straordinari mezzi fisici.
L’offerta della città eterna, prima dell’avvento di internet, trovò nella sezione annunci economici del Messaggero (ribattezzato Menzognero dagli addetti ai lavori) la principale fonte di notizie. Dopo alcuni sopralluoghi però avevo capito che le inserzioni del Menzognero andavano prese con le pinze, perché troppo spesso, attratto da promesse di floride fanciulle, mi ero ritrovato con clamorosi cessi di quaranta o cinquant’anni e avevo repentinamente girato i tacchi. La piazza romana richiedeva una non comune capacità di lettura e parametrizzazione dell’annuncio secondo indicatori tutti da inventare. Fu così che constatai l’estrema affidabilità del marchio Brasil: leggevo “giovane brasiliana” e sempre davanti a giovani e molto carine fanciulle, carioca o pauliste, mi ritrovavo.
Le mie trasferte romane erano delle vere e proprie toccate e fuga, senza pernottamento. Non potevo permettermi di girare a vuoto, avevo bisogno di andare a colpo sicuro. La buona sorte che spesso mi ha accompagnato nelle scorribande puttanesche mi fece scovare un appartamento in zona Manzoni, via Principe Eugenio, con un interessante giro di topoline brasiliane, non più che ventenni. Era talmente garantito il prodotto in quell’appartamento intestato ad una società di studi economici, che a un certo punto smisi di cercare altrove e non comprai nemmeno più il Menzognero: mi presentavo direttamente al citofono di quel lupanare e squillavo, attendevo un paio di minuti, poi il portone si apriva e io salivo al secondo piano facendo i gradini a due a due. Appena giunto sul pianerottolo, la porta dell’appartamento si apriva a scatto con incredibile tempismo. Entravo e una ragazzetta carina ma non dedita alla professione mi faceva un sorriso di approvazione e senza dire nulla mi accompagnava nell’ultima stanza in fondo al corridoio, mentre tutt'attorno il silenzio regnava sovrano. Dopo un paio di minuti la porta della stanza si apriva ed entrava una ragazza: non ho mai capito se fosse quella libera al momento o se tutto funzionasse come dal dentista, con il medico che si sposta da uno studio all’altro per non avere tempi morti.
L’elegante palazzo in via Principe Eugenio divenne per me una piacevole consuetudine che nel corso del 2000 mi consentì di rimpinguare il mio carnet di sodomizzatore con una serie di culi in età da apprendistato, alcuni tra i più belli che mi siano passati tra le mani, certamente i più acerbi. Se esistesse una laurea in puttanologia, il periodo di Principe Eugenio sarebbe per me il periodo di stesura della tesi finale: “Materiali e metodi avanzati per l'ANalisi di una colonna rettale in fase di crescita”. Senza togliere che in nessun altro posto mi è capitato di vivere le emozioni di una sorta di appuntamento al buio, seduto su una sedia con gli occhi puntati sulla porta, pronto a realizzare con poche rapide occhiate se il destino fosse stato benevolo o meno. Una di queste apparizioni a sorpresa fu Emanuela, una paulista con il fisico da top model, gambe da fenicottero e capelli fino all’incavo delle natiche. Strabiliante bellezza, Emanuela, con la pelle di porcellana, che, anche in preda alla scimmia più devastante, mi è sempre riuscito difficile strapazzare davvero, per paura che si rompesse. Con Emanuela feci quello che poi mai avrei più fatto e cioè una quintupla di visite in meno di un mese. E ogni volta, culminava tutto in un’inculata lieve e prolungata. La troietta, altro che porcellana, in realtà reggeva benissimo gli assalti più brutali e anzi mi incoraggiava a fotterla forte, godendo del potere che aveva capito di esercitare su di me. Fui io a interrompere la frequentazione dell’appartamento di Principe Eugenio, perché la cosa con Emanuela stava prendendo una piega ossessiva, perché più glielo sbattevo nel culo più cresceva in me la sensazione che ci fosse un’affinità elettiva tra noi. Era vero? Boh! Elucubrazioni da puttaniere in formazione, senza cinismo, facile preda della rete tesa da una zoccoletta paulista col corpo da top model. Quando, dopo qualche mese, tornai su via Principe Eugenio, il citofono restò muto: non rispose nessuno. Io ci restai malissimo e incredulo mi attaccai al bottone per un quarto d’ora come un naufrago si attaccherebbe ad un pezzo di legno. Qualche giorno dopo, in perlustrazione casuale sul web, lessi di uno zelante questore che aveva sgominato diverse case chiuse nella Capitale, tutte gestite da ragazze brasiliane.
Roma non era e non è solo Brasil ovviamente. Numerose sono le signore indigene, stagionate ma ancora performanti, che arrotondano concedendo quel che resta delle grazie di un tempo o che professano a tempo pieno l’arte del sesso a pagamento. Due di queste, Barbara e Giorgia, baldracca tutta culo la prima, longilinea e palestrata la seconda, hanno rappresentato a lungo vere e propri cantieri – scuola, medaglie immancabili sulla giacca del puttaniere capitolino. Barbara la visitai due volte, Giorgia, oltre che passaggio obbligato, è stata ancora di salvezza in diverse circostanze, quando tutto remava contro e trovare una zoccola appena decente, dopo la chiusura forzata di Principe Eugenio ed altri postriboli della città, era diventato un terno a lotto.
Per farmi il culo di Barbara la prima volta, passai quasi tutto il pomeriggio in auto nell’agro romano dalle parti di Casal Morena, tra bretelle e sottopassi, con un caldo bestiale, alla ricerca del cazzo di introvabile quartiere di nuova edificazione dove abitava la bagascia. Tanta ottusa perseveranza si spiega soltanto se si considera il lato occulto del puttaniere, dominato dalla regressione della ragion critica a puro istinto animale. Tanta lucida ostinazione, quantunque episodica, trova dimora soltanto nel capitolo a sé stante della traiettoria, già di per sé folle, del puttaniere sodomita, spesso popolato da fantasmi e governato dall’inseguimento dissociativo di una singola parte del corpo femminile, se questa è capace di richiamare tutto il sangue dal cervello al basso ventre. E ciò vale, forse ancor più, quando la perfezione di un culo si accompagna al disfacimento di tutto il resto, oppure, spingendosi ancora più in là, quando a un culo perfetto corrisponde una faccia inguardabile. In poche parole, ciò che Barbara rappresentò per me, essendo capace di considerare, e per due volte, dettagli superflui l’età e lo sfasciume fisico a generale di questa signora di Latina, pur di zappare con veemenza nell’orto racchiuso dalle sue chiappone massicce e levigate.
Giorgia, location nei pressi della stazione Tiburtina, mi accoglieva sempre con la frase: “Ma quanto sei bello…”, non so quanto sincera e quanto di circostanza. Ciò non mi impediva di sbatterglielo nel culo regolarmente, perché, anche se non glielo mai detto, il suo taglio corto, da mistress, mi infoiava parecchio. Per non parlare delle sue scarpe alte e dei suoi polpacci torniti. Per restare in tema di cantieri – scuola della piazza capitolina, come non ricordare altre figure che senza possibilità di smentita definirei: MITICHE? Carla, Margherita, Samantha, Daiana … Quanto bene avete fatto!!.
Ma nelle trombate romane rimase a lungo riferimento assoluto una topolona brasiliana di stazza superiore. Biondissima e straordinariamente procace, Claudia esercitò in un sottoscala di via Paisiello per circa tre anni. Possedeva un culo così grosso e alto che neanche la fantasia malata di un inguaribile sodomita, immaginando i suoi balocchi ideali, avrebbe potuto concepire e desiderare, una vera e propria sfida, vinta, alla forza di gravità, piantato come un trofeo sotto un girovita diafano, sorretto da due gambe affusolate a caviglia sottile. In poche parole: un regalo di Madre Natura. Ho perso il conto delle visite, ricordo solamente che l’ultima volta che decisi di andare a verificare se quel culo fosse vero o un prodotto delle mie allucinazioni, aspettai fuori più di un’ora, per poi desistere. E conservo ancora il rimpianto di non essermi aggrappato un’ultima volta ai glutei smisurati di Claudia, prima che il sottoscala di via Paisiello chiudesse i battenti definitivamente.
Via Principe Eugenio, navi scuola, Claudia e … Ionella Dantes, diva del porno di quarto ordine capitolino, approdata successivamente alla corte di Sua Maestà Andrea Nobili. Quando la incontrai la prima volta era semplicemente Eva, rumena, biondina, location in pieno Trastevere, inserzione su Puntorosso, correva l’A.D. 2002. Era una neofita del mestiere, sinceramente pudica e imbarazzata dalla situazione. Altroché pornostar! E io ne approfittai, finché durò l’incantesimo.
Per un puttaniere che sta coltivando il bastardo che è in lui non c’é niente di meglio che temprare uno strumento di piacere non troppo logoro, propenso ad opporre una timida resistenza, per poi inevitabilmente rassegnarsi alle attenzioni più lascive del suo carnefice. Non ho mai capito quanto fosse vera e quanto fosse di facciata la sua esitazione, ma lo devo confessare: tornai da Eva/Ionella più e più volte non perché particolarmente attratto dalle sue grazie, ma per centellinare la sottomissione di quella che mi sembrava una puttanella riluttante e immatura. Spiare i suoi occhi indecisi quando le chiedevo di girarsi, domare i suoi tentativi di sottrarsi quando la profanazione della sua ampolla più intima principiava, godere dei suoi balbettii e mugugni sconsolati quando centimetro dopo centimetro guadagnavo la fiducia del suo sfintere, eccezionalmente sviluppato ma ancora rigido, appropriarmi anche della potente vibrazione liberatoria che percorreva la sua schiena quando avvertiva che le ostilità erano cessate e non rimaneva che accogliere la scarica finale: sono stati questi i motivi di una frequentazione assidua, al limite della dipendenza. Tutto il resto, il seno a coppa di champagne, gli zigomi alti, la bocca ben disegnata, persino la perfetta conformazione delle natiche, non ha mai contato nulla.
Poi arrivò Ionella Dantes, che un giorno mi propose l’acquisto del suo primo dvd amatoriale e ancora non distribuito. L’animo timido e acerbo di Eva, che l’aveva resa tanto erotica ai miei occhi, gradualmente si eclissò e io smisi di esserne schiavo.

 
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DM67 ha scritto:
internet era diventato un enorme brulicante puttanaio, come mai nessuno aveva immaginato o avrebbe potuto immaginare. Il mondo di Secondamano divenne Medioevo.
Grande!! :clapping: :clapping:
E' fantastico leggerti!!
 
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:biggrin: ci stai prendendo in giro,secondo me tu scrivi best seller da tempo :biggrin: :biggrin:
attento qualcuno ti potrebbe rubare quanto stai splendidamente scrivendo complimenti ancora :bye:
 
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mario bianchi ha scritto:
:biggrin: ci stai prendendo in giro,secondo me tu scrivi best seller da tempo :biggrin: :biggrin:
attento qualcuno ti potrebbe rubare quanto stai splendidamente scrivendo complimenti ancora :bye:

addirittura!!! ma dici sul serio? che ti devo dire? grazie :thank_you2: ma non ho intenzione di tutelare la proprietà intellettuale delle cazzate che scrivo, se a questo volevi alludere .... :spiteful:

ciao

DM67
 
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