Ciao
è da tempo che ce l'ho nel cassetto (in realtà sta tutto in un portatile). E' il mio diario, forse banale, il Diario di un Punter perbene (forse la Fox un giorno ci farà un telefilm).
Comincio qui a pubblicarlo, a puntate, a beneficio di quanti saranno così gentili da leggerlo. Ci riporto riflessioni e "piccole" angosce, oltre che storielle vissute in prima persona. Non voglio aprire un dibattito, ma mi piacerebbe essere meno solo di fronte a queste "piccole" angosce.
SOMMARIO
1. L’INIZIAZIONE
2. ESPERANZA DESCOBAR
3. SAUDADE
4. UNA CITTA’ PER CHIAVARE/1: TORINO
5. UNA CITTA’ PER CHIAVARE/2: MILANO
6. UNA CITTA’ PER CHIAVARE/3: ROMA
7. UNA CITTA’ PER CHIAVARE/4: NAPOLI
8. DIARIO CHIAVOLOGICO: GIORNATE ROMANE
9. MAMMA LE BULGARE!
10. PREFERISCO BALLARE IL SAMBA
11. NON SO SUONARE LA BALALAJKA
12. BOLOGNA LA GHIOTTA
13. SE HAI LA SCIMMIA …
14. TEMPO DI BILANCI
1. L’INIZIAZIONE
Questa è la storia di un’ossessione, di una dipendenza, di una folle e insensata quanto lucida pianificazione di appuntamenti sessuali a pagamento. Se non avessi paura di apparire ridicolo direi che questa è la storia di qualche sprazzo di felicità in una vita insulsa, la mia, o anche la storia di una ricerca: la ricerca della bellezza. Ma sono troppo cinico e disilluso per non ammettere che è solo una storia di puttane e puttanieri, ai tempi di internet e dei telefoni cellulari.
Vado a puttane da quando ho raggiunto e superato il primo giro di boa, quello dei trent’anni. Il sesso non mi era mai mancato, ma la varietà, assaporare la varietà dell’universo femminile, dell’universo di tette, tettine, di culi grossi, culetti, culi mosci, culi di marmo, bocche larghe, bocche strette, fighe pelose, depilate, di buchi di culo, profumati, molesti, di carni nascoste dal sapore acre, pungente, dolce, in poche parole: il chiava e fuggi … quello sì, quello mi era mancato. Da quando avevo vent’anni avevo mangiato tre o quattro tipi di minestra e sempre per periodi prolungati, con tutto il contorno di ansie e rotture di palle che solo una donna sa procreare (anche dal nulla, come noto).
Negli anni ’90 internet ancora non c’era o era poco diffuso. La telefonia mobile era un bel progetto nella testa di qualche multinazionale. Per andare a puttane si consultavano gli annunci commerciali sui quotidiani o su periodici specializzati, pagine straripanti di A.A.A.A.A…. e si andava in una cabina telefonica.
L’avvio della mia carriera di puttaniere si giovò di un periodo di lavoro all’estero, nel paese più bello del mondo, nel paese con le donne più avvenenti del mondo e ovviamente le più irresistibili prostitute del mondo: Brasil. Fu un anno di vita che per molti versi divenne occasione di transito nel mondo degli adulti, un lungo rito iniziatico per un lattante bramoso di esperienze nuove. La mia prima puttana fu un atto liberatorio, consumato senza badare allo sconcio sfasciume del troione di almeno 40 anni che la sorte beffarda mi aveva riservato. Ricordo solo un gran pompino e i miei primi “Dez mil escudos”, diecimila scudi, centomila lire, posati sul comò. Mi interessava solo rompere il guscio, archiviare la pratica, togliermi di dosso la patina da pivello, guadagnare rapidamente la sicumera del puttaniere incallito e proiettarmi in un radioso avvenire di sesso a pagamento.
Tornai in quella casa di Rua Sampaio Rodriguez una sera, dopo appena due giorni, senza telefonare, di nuovo assetato, di nuovo implorante di fronte alla megera in camicia da notte che gestiva il puttanificio. Andai in bianco, perché Susana, l’inguardabile quarantenne che l’altro ieri aveva estinto con un pompino ben affondato la mia ansia sessuale, era da poco andata via. Mi sentii ridicolo, la mia sicumera di carta vacillò, imboccai le scale con un gesto repentino per allontanarmi da quella situazione, mentre la vegliarda manager della casa mi urlava di tornare domani pomeriggio. Incapace di trovare alternative in una città ancora sconosciuta, mi ritirai in buon ordine, con una mazza di ferro tra le gambe che avrebbe fatto la felicità di chissà quante casalinghe. Ma a me non restava che pazientare fino all’indomani pomeriggio.
Alle cinque e mezza staccai dal lavoro e a grandi falcate raggiunsi la metropolitana, incurante di tutte le bellezze che generosamente incrociavano il mio sguardo, in testa solo una destinazione, una strada, un numero civico, un ascensore, un pianerottolo. Entrai e una nuova quarantenne, Ana, più graziosa e composta di Susana, si propose. Compresi dopo che Ana era alle prime armi, di sicuro una che aveva deciso in tarda età di arrotondare le sue magre entrate ufficiali. Quale miglior occasione per fare esperienza di un marchetta facile, facile, con un giovane straniero, inesperto e carino?
Durò poco, il pompino fu una sciagura, i suoi denti mi lasciarono morsi ovunque, le sue cosce bianche e massicce si serrarono su di me, impedendomi qualunque movimento. Solo con tutta la forza dei miei trent’anni ancora da compiere riuscii a portare a termine la missione. Ma avevo guadato il fiume, raggiungendo la sponda dei dannati all’inferno delle case d’appuntamento.
DM67
FINE PRIMA P
è da tempo che ce l'ho nel cassetto (in realtà sta tutto in un portatile). E' il mio diario, forse banale, il Diario di un Punter perbene (forse la Fox un giorno ci farà un telefilm).
Comincio qui a pubblicarlo, a puntate, a beneficio di quanti saranno così gentili da leggerlo. Ci riporto riflessioni e "piccole" angosce, oltre che storielle vissute in prima persona. Non voglio aprire un dibattito, ma mi piacerebbe essere meno solo di fronte a queste "piccole" angosce.
SOMMARIO
1. L’INIZIAZIONE
2. ESPERANZA DESCOBAR
3. SAUDADE
4. UNA CITTA’ PER CHIAVARE/1: TORINO
5. UNA CITTA’ PER CHIAVARE/2: MILANO
6. UNA CITTA’ PER CHIAVARE/3: ROMA
7. UNA CITTA’ PER CHIAVARE/4: NAPOLI
8. DIARIO CHIAVOLOGICO: GIORNATE ROMANE
9. MAMMA LE BULGARE!
10. PREFERISCO BALLARE IL SAMBA
11. NON SO SUONARE LA BALALAJKA
12. BOLOGNA LA GHIOTTA
13. SE HAI LA SCIMMIA …
14. TEMPO DI BILANCI
1. L’INIZIAZIONE
Questa è la storia di un’ossessione, di una dipendenza, di una folle e insensata quanto lucida pianificazione di appuntamenti sessuali a pagamento. Se non avessi paura di apparire ridicolo direi che questa è la storia di qualche sprazzo di felicità in una vita insulsa, la mia, o anche la storia di una ricerca: la ricerca della bellezza. Ma sono troppo cinico e disilluso per non ammettere che è solo una storia di puttane e puttanieri, ai tempi di internet e dei telefoni cellulari.
Vado a puttane da quando ho raggiunto e superato il primo giro di boa, quello dei trent’anni. Il sesso non mi era mai mancato, ma la varietà, assaporare la varietà dell’universo femminile, dell’universo di tette, tettine, di culi grossi, culetti, culi mosci, culi di marmo, bocche larghe, bocche strette, fighe pelose, depilate, di buchi di culo, profumati, molesti, di carni nascoste dal sapore acre, pungente, dolce, in poche parole: il chiava e fuggi … quello sì, quello mi era mancato. Da quando avevo vent’anni avevo mangiato tre o quattro tipi di minestra e sempre per periodi prolungati, con tutto il contorno di ansie e rotture di palle che solo una donna sa procreare (anche dal nulla, come noto).
Negli anni ’90 internet ancora non c’era o era poco diffuso. La telefonia mobile era un bel progetto nella testa di qualche multinazionale. Per andare a puttane si consultavano gli annunci commerciali sui quotidiani o su periodici specializzati, pagine straripanti di A.A.A.A.A…. e si andava in una cabina telefonica.
L’avvio della mia carriera di puttaniere si giovò di un periodo di lavoro all’estero, nel paese più bello del mondo, nel paese con le donne più avvenenti del mondo e ovviamente le più irresistibili prostitute del mondo: Brasil. Fu un anno di vita che per molti versi divenne occasione di transito nel mondo degli adulti, un lungo rito iniziatico per un lattante bramoso di esperienze nuove. La mia prima puttana fu un atto liberatorio, consumato senza badare allo sconcio sfasciume del troione di almeno 40 anni che la sorte beffarda mi aveva riservato. Ricordo solo un gran pompino e i miei primi “Dez mil escudos”, diecimila scudi, centomila lire, posati sul comò. Mi interessava solo rompere il guscio, archiviare la pratica, togliermi di dosso la patina da pivello, guadagnare rapidamente la sicumera del puttaniere incallito e proiettarmi in un radioso avvenire di sesso a pagamento.
Tornai in quella casa di Rua Sampaio Rodriguez una sera, dopo appena due giorni, senza telefonare, di nuovo assetato, di nuovo implorante di fronte alla megera in camicia da notte che gestiva il puttanificio. Andai in bianco, perché Susana, l’inguardabile quarantenne che l’altro ieri aveva estinto con un pompino ben affondato la mia ansia sessuale, era da poco andata via. Mi sentii ridicolo, la mia sicumera di carta vacillò, imboccai le scale con un gesto repentino per allontanarmi da quella situazione, mentre la vegliarda manager della casa mi urlava di tornare domani pomeriggio. Incapace di trovare alternative in una città ancora sconosciuta, mi ritirai in buon ordine, con una mazza di ferro tra le gambe che avrebbe fatto la felicità di chissà quante casalinghe. Ma a me non restava che pazientare fino all’indomani pomeriggio.
Alle cinque e mezza staccai dal lavoro e a grandi falcate raggiunsi la metropolitana, incurante di tutte le bellezze che generosamente incrociavano il mio sguardo, in testa solo una destinazione, una strada, un numero civico, un ascensore, un pianerottolo. Entrai e una nuova quarantenne, Ana, più graziosa e composta di Susana, si propose. Compresi dopo che Ana era alle prime armi, di sicuro una che aveva deciso in tarda età di arrotondare le sue magre entrate ufficiali. Quale miglior occasione per fare esperienza di un marchetta facile, facile, con un giovane straniero, inesperto e carino?
Durò poco, il pompino fu una sciagura, i suoi denti mi lasciarono morsi ovunque, le sue cosce bianche e massicce si serrarono su di me, impedendomi qualunque movimento. Solo con tutta la forza dei miei trent’anni ancora da compiere riuscii a portare a termine la missione. Ma avevo guadato il fiume, raggiungendo la sponda dei dannati all’inferno delle case d’appuntamento.
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