Auguri, Bruce!

Registrato
2 Ottobre 2008
Messaggi
221
Reaction score
13
Età
54
Località
Milano
Dico solo che uno così non c'è mai stato prima e mai più ci sarà. Consapevole di attirarmi gli strali di chi non la pensa così...
Auguri, Bruce, e complimenti a mamma Adele!

[youtube:3757txap]http://www.youtube.com/watch?v=oqN8YFvHo4Y&feature=related[/youtube:3757txap]
 

highlander

UOMO
Membership
Registrato
24 Aprile 2008
Messaggi
8.079
Reaction score
1.705
Località
Bologna
lucignolo35f ha scritto:
Dico solo che uno così non c'e' mai stato prima e mai più ci sarà. Consapevole di attirarmi gli strali di chi non la pensa così...

qualcuno potrà forse non essere d'accordo al 101%, ergo capisce poco di musica in generale e di concerti in particolare, onestamente credo che il boss dal vivo sia una delle 10 meraviglie del mondo moderno. oltre che associarmi (purtroppo in ritardo) agli auguri per il sessantesimo (sigh, oramai sono tantini...) del magnifico, riporto un articolo che mi sembra degno di essere letto:

I sessant’anni di Springsteen crocevia rock dell’America

Quando la terra trema sotto i piedi: quello è il rock’n’roll. E la terra trema sempre quando suona Bruce Springsteen. Questione di potenza e volume, questione di poesia e di narrazione, di speranza e di luce. Grande narrazione americana, molto soul e molto ritmo. Oggi il Boss compie sessant’anni, portando a compimento quell’incredibile cerchio antropologico che ha portato una musica ontologicamente «giovane» ad entrare ufficialmente nella terza età: prima di lui ci sono arrivati Paul McCartney, Mick Jagger, Bob Dylan, Pete Townshend, chiedendosi - ognuno di loro - quale fosse il segreto del tempo e cosa esattamente fosse la dignità, ben sapendo, come cantava qualche anno fa lo stesso Dylan, che è lei «la prima ad andarsene» (dignity is the first to leave). Tutto sommato hanno risposto abbastanza bene: chi ingaggiando una straordinaria lotta con la fisicità del tempo (Mick Jagger e Keith Richards, anzitutto), chi affrontando la vecchiaia con un ghigno diabolico che è un misto di sangue blues e di poesia (ancora Bobby Dylan).

MIRACOLO SUL PALCO
Ora tocca a Bruce, che è nato il 23 settembre 1949 nel New Jersey, dove il nostro si appresta a festeggiare fragorosamente: ossia con una raffica di concerti al Giants Stadium, a conclusione dell’ultimo tour mondiale. E non è un caso: perché è dal vivo che la mitologia springsteeniana trova il suo compimento. Perché è lì, vedendolo sul palco, che capisci che il Boss è l’ultimo titano del rock: capisci, cioè, che assisti alla materializzazione di un sogno che un domani, probabilmente, non ci sarà più, quell’incrocio tra utopia e fragore, racconto e mito, forza e invenzione, viscere e ideale che è la rivoluzione globale chiamata rock’n’roll.

Certo, nel mezzo ci sono un bel po’ di album, infinite storie di fan che lo seguono in mezzo mondo, una vastissima letteratura e tutti i personaggi delle sue canzoni: Mary rimasta incinta giovanissima nel suo profondo sud, Bobby Jean che è scappata di casa, Outlaw Pete che rapinò una banca all’età di sei mesi, il gypsy biker morto in Iraq mentre la sua lucente moto sta ancora lì ad aspettarlo nel garage, Johnny 99 condannato a morte e Jimmy il Santo che finì tra le lamiere della sua macchina con la scritta «destinato alla gloria» sulla fiancata... ci sono loro, ci sono i suoi «fratelli di sangue» della E Street Band e ci sono le tre ore e passa di ogni concerto del Boss. Ogni volta un appuntamento mitologico a se stante, e ogni volta ti chiedi se sia umanamente possibile che un signore di sessant’anni possa correre e sudare così, che possa scodellare ogni notte una scaletta diversa dominando alla perfezione un canzoniere immenso, ti chiedi come faccia a sfornare ancora album così diabolicamente immediati e complessi (come, per esempio, il suo penultimo Magic, realizzato con levità beachboysiana eppure durissimo atto d’accusa nei confronti dell’America di Bush), e ti chiedi come sia possibile che possa ancora fare l’amore così con la sua Telecaster e con il pubblico, con la sua band e con la storia, in un canto collettivo in cui liberazione e cognizione del dolore vivono insieme, battono insieme il ritmo delle coscienze, sotto i colpi furenti di mighty Max Weinberg alla batteria e il soffio magico di Big Clarence dentro il suo sax.

C’è chi teme che Springsteen finisca sul piedistallo come una qualunque altra istituzione: la rivista Aarp lo definisce il «saggio del rock’n’roll», il prossimo 6 dicembre riceverà dalle mani del presidente Barack Obama in person un premio alla carriera, in quasi ogni paese del creato pullulano i concerti di tributo, e lui il 30 ottobre suonerà insieme agli U2, a Paul Simon, Eric Clapton, Aretha Franklin, Stevie Wonder e una manciata di altre leggende della musica alla «Rock’n’roll Hall of Fame».

NEI PANNI DEGLI ALTRI
Ma tutto questo è molto, molto relativo: lui è uno che conosce bene le sue radici di ragazzo del New Jersey, è uno che scava nel suo passato e nelle viscere della cultura americana (da John Steinbeck a Woody Guthrie, dai bluesmen del Mississippi al pelvico Elvis, dal suo compaesano Philip Roth ai Beach Boys, dalle visioni blibliche alle backstreets delle periferie suburbane). È «nato per correre», e per questo corre come un dannato: sa che quello che lo tiene in vita è stare sul palco per la milionesima volta, è la capacità di mettersi nei panni delle persone di tutte le età che si trova di fronte nei concerti, dalla ragazza che issa sul palco per ballare Dancing in the Dark ai ragazzi abruzzesi cui ha dedicato, il 9 luglio scorso a Roma, My City of Ruins, scritta dopo il crollo delle Torri Gemelle, in un abbraccio gospel che per una notte ha reso sorelle le città dell’Aquila e di New York. La terra tremava anche quella volta. Ma non era un sisma: era solo rock’n’roll.


[move:1qvyvfq7]GRANDE BOSS!!!!![/move:1qvyvfq7]
 
Commenta
Registrato
2 Ottobre 2008
Messaggi
221
Reaction score
13
Età
54
Località
Milano
  • Creatore Discussione
  • #3
Highlander, sono d'accordo al 1000%.

All'articolo farei solo un appunto, da maniacale rompicoglioni e non certo di sostanza.
Avevo letto che "Bobby Jean" era dedicata a Miami Steve, che infatti se ne andò proprio prima della pubblicazione di "Born in the USA" e del conseguente, colossale, immane, storico tour che registrò successi senza precedenti.
Non a caso, il buon steve considera quella come una delle cazzate più grandi della sua carriera di musicista... :sarcastic_hand: :rofl:
 
Commenta
Alto