Nadja - Perugia

CarloDircel

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Soggetti smarriti n. 2 : Nadja

Poiché sembra che sia questa la sezione giusta in cui scambiare informazioni sulle ombre del passato, accontento gli amministratori collocando il post direttamente su Amarcord.

Dico prima : se riconoscete nella figura oggetto del racconto la ragazza, vi prego, semmai ne avete, di aggiungere le notizie che ritenete essere in grado di dare al proposito. Infatti, sarei contento di sapere che cosa LA PERSONA nel seguito del tempo possa essere divenuta. La figurina nella notte che lei, come tutte le altre, è e fu, dietro le quinte lascia il posto alla persona umana, che in fondo è sempre l’oggetto della mia ricerca, e spero anche della vostra.

Nadja, dicevo. Nadja arrivò a Perugia nell’estate 2003, molto giovane. Si mise alla fermata d’autobus di via Settevalli, di fronte a ciò che poi divenne lo 075. Era insieme ad una collega, albanese come lei, che ricordo vagamente per le carni floride e i seni enormi. Nadja, all’inizio, si chiamava Mary, pronunciato come scritto anziché all’inglese, e aveva i capelli neri corvini e tutti dritti, come una punk. Decisamente, avrei potuto incontrarla a Londra o Berlino, e sarebbe stato un personaggio da cartolina illustrata della fauna cittadina. Invece, lei veniva da di là del nostro mare, a navigare in quest’altro mare di periferia urbana, in caccia di miraggi consumisti e vaghi sogni di benessere. Da non biasimare, in assoluto, perché fare i soldi per le vie brevi è un pensiero che abbiamo avuto (e abbiamo) anche tutti noi.

Il viso era bello, ed i capelli notevoli ed inconsueti: non si poteva non provare a conoscerla.
Dopo una prima breve esperienza sul sedile del passeggero, la seconda volta, il giorno di Pasquetta 2004, con fuori un tempo da lupi, fui da lei al Bellocchio. Portava una t-shirt bianca con la foto di una bambina. Sotto, prorompevano i seni. Ma non consentiva di toccare. Non si poteva toccare nulla. Diffidente, non partecipativa, pur riuscendo ad evitare un atteggiamento scontroso. Sul letto, tolte le mutandine, mi innamorai del folto e bellissimo, per forma e sostanza, pelo nero. Era oggettivamente molto eccitante. Gambe, glutei, corporatura, tutto ben conformato. Altezza circa 1 e 65. Non consentì altro che una normale collegiale. Io, a queste condizioni, non mi diverto: non reagiva a nulla, come fosse di sasso (e lo era : sembrava star lì per necessità e basta). Così, mi sfilai e la feci finire di bocca. Specialità in cui, volente o nolente che fosse, era portentosa. Sembrava allacciarti come un guanto caldo, con ritmo costante senza frenesia. Impossibile resistere a lungo.
“Mamma mia, quanto hai sborrato”, disse ridacchiando. Ecco, finalmente si scioglieva.
Parlammo. Cercai di sganciarmi da una relazione puramente meccanica. Fatte le cose, avevo occhi sgombri per vedere la persona. Mi disse che quel giorno compiva gli anni. Venti anni
Rimanemmo a lungo. Mi insegnò anche la coniugazione del presente del verbo essere
“Une jam. Ti je. Ai eshte. Ne jemi. Ju jeni. Ata jane.” Finchè non la seppi a memoria senza sbagliare.

Passò del tempo. Come sempre, dimenticai. Nuove avventure presero il suo posto, nel giro permanente della ruota ebbra di umori, sudori e furore.
Venne così la notte di Natale del 2004. Solito giro con la gang, solita convivialità da feste. Sul tardi il congedo. E quindi, a perdere, giro esplorativo.
Lei al solito posto.
“Noooo… Non ci posso credere!!!” I danni della televisione, anche sugli stranieri. Parlava come Aldo.
Mi stava simpatica, parecchio. E avevo voglia di tirar tardi con lei.
Stavolta mi condusse in via Palermo, in cima poco prima del semaforo, sulla sinistra. Non era casa sua. Ci stavano “Francesca” e “Diana”, ricordate? Le due moldave del distributore Esso, la piccolina bellissima e la lungagnona scorbutica e sosia di Olivia di Braccio di Ferro (cugine, peraltro). In quel periodo, Mary (non ancora Nadja) utilizzava una stanza lì, a patto di non dormirci (non aveva il permesso di soggiorno; le altre due, in qualche modo, sì). Avevamo desiderio di parlare, anche se lei aveva bisogno di totalizzare entro mattina una certa somma, perchè aveva un aereo per Tirana, per tornare a casa.
Stavolta, il ghiaccio era rotto a monte. Accettava le mie carezze, i miei bacini. Fui delicato, per non deluderla. Capivo che conosceva più che altro il solo tipo rude di maschio da OTR (che peraltro so interpretare, ci mancherebbe). Le mie carezze ebbero l’autorizzazione a farsi via via più profonde. Toccai il bottoncino magico in mezzo al folto del pelo nero, che avrei voluto mangiare, persino, se avesse permesso di essere leccata. Invece “non chiedemi cose strane”. Regole comportamentali ormai ferree. Ma mentre toccavo, vedevo che si scaldava. Ci piacevamo. Mi toccò anche lei. Giocò con il mio sesso. Poi mi fece scivolare delicatamente sopra di lei.
La presi piano. Avevo capito che cosa cercava : qualcuno che sapesse coglierla con sensibilità. E d’altra parte, avere nel repertorio più registri, sapersi adattare alla partner, non è forse un tratto distintivo non solo del punter, ma di ogni seduttore?
Le si fece più fitto il respiro. “Mi piaci tantisimo, perché hai modo delicato”. Una sola “s”, come tutte le straniere, e l’articolo ancora non lo metteva. La parola “delicato”. E pensare che la prima volta l’avevo sodomizzata di gusto, il gusto sadico dello sventrare. Improvvisamente prese a muoversi velocemente col bacino, mentre la bocca si avvinghiò alla mia e la sua lingua durissima duellò con la mia. Così i gemiti le divennero urla, soffocate nella mia gola, e l’anima le si schiantò in un profondo e sofferente orgasmo.
Mi guardò, quasi vergognosa. Quasi avesse commesso una marachella. Una prostituta non dovrebbe mai cedere, no? Non dicono così gli scrittori, tipo Erri de Luca, maschi tutti quanti e schematici tutti quanti? Le frasette da temino elementare, adatte a lettori elementari.
“Io ho fatto…” disse ridacchiando.
Fumammo. La padrona di casa non avrebbe approvato il cattivo odore, così Nadja – Mary prese un deodorante spray da appartamento e lo spruzzò qua e là… e poi anche sul suo sesso, per pagliacciare.
Ci reincontrammo altre volte. Ogni tanto spariva, poi ritornava. Raccontava che era stata a Milano, a Roma. Che a Roma divideva l’appartamento con altre due, e che il viavai notturno innervosiva la dirimpettaia, che le urlava “puttana! puttana!” E le diceva di rispondere “no, puttana è quest’altra, io sono troia e la terza è mignotta”.

In generale, aveva assunto un linguaggio, diciamo, disinvolto, ma io non lo trovavo volgare. E nonostante la estrema ritrosia nel concedersi per qualcosa di più del solo corpo mentre eravamo vermi nudi, aveva invece una specie di fame di mettersi a nudo l’anima. Mi confidava.
“Gli uomini credono che io riesca a venire trentadue volte per sera”. “Faccio questo lavoro perché, quando avrò i soldi da parte, voglio mettere su un bowling tutto mio”.
“Nadja (nel frattempo era diventata per me Nadja, che peraltro era il vero nome), sei vuoi restare qui lascia da parte le favole, trovati un lavoro vero e fai la vita di tutti. Ti fa male sognare.”.
“Lo faccio per mia madre. Voglio darle una vecchiaia tranquilla”.
E poi : “ Anche tu devi trovarti una e stare con lei sola”.
“Ce l’ho, una, Nadja. Ma una non mi basta, e due sono troppe. E il mio male è che dovunque io vada mi sento prigioniero”.
“Ma anche quando stai con me ti senti legato”.

Nadja capiva al volo. Il mestiere, se non già la sua vivacità, le aveva insegnato a leggere gli occhi degli altri.

Per farmi i dispetti, mi telefonava il sabato sera, mentre conducevo la parte sociale della vita ufficiale. Dopo voleva sapere se la mia lei si era ingelosita, o se gli amici mi facevano le faccette. Le volevo un gran bene, per questo.

L’ultima volta, ci vedemmo ad aprile 2006. Era tornata da uno dei soliti viaggi romani. Stava ancora dalle moldave, ma queste, la corta e la lunga, non volevano più che ci portasse gente (specialmente quando, come nel mio caso, rubava loro i clienti). Così, le dissi “Passa a casa. Vai a cambiarti. Andiamo in un locale”.
Era il suo compleanno, di nuovo. Volevo che festeggiasse.
Dovevo essere pazzo anch’io, perché la portai in un notissimo posto in centro storico. Ma il rischio, non sempre calcolato al millimetro, fa parte della mia seconda vita.
Stemmo ore. Lei pareva trasognata mentre le tenevo le mani e glie le carezzavo. Il resto della gente non esisteva. Sembravamo veri amanti. Il tasto giusto, con lei, era sempre la delicatezza.
“Portami a fare l’amore. Lo voglio tanto”.
“No, Nadja. Non ti devi innamorare di me. Lo sai come sono fatto, e il modo come ci siamo conosciuti. Siamo amici, questo è molto di più”.

Io sono fatto così. Prima di tutto, l’amore, se esiste, è una cosa seria. E poi, se una qualunque donna perde i sensi per me, io perdo immediatamente ogni interesse per lei. Io cerco la sfida. La seduzione impossibile. Il gioco. La recita. Il teatro.

Per il resto, c’è già la vita ufficiale.

La riaccompagnai a casa. Ci abbracciammo forte. Io sapevo che non l’avrei più vista.
Mi cercò spesso, per mesi. Anche tramite “Francesca”, la moldava.
“La fai soffrire. Nadja ti vuole bene”.
“Dille che le voglio bene anch’io.”:

Alla fine di quel 2006, Francesca mi disse che se ne era andata. Poi cancellò il numero. E non ne seppi più nulla.
 
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Sei stato cattivo con lei !!!! A parte le sciocchezze bellissima storia raccontata ancor meglio !
 
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In quegli anni frequentavo settimanalmente Perugia e la sera mi facevo regolarmente un puttan-tour.....ricordo qualche albanese al ponte di via Settevalli, sotto la superstrada, una in particolare di cui ricordo gli insoliti stivali sopra il ginocchio di vernice neri e rossi....vestita sempre un pò fetish. Era piccolina, ma non ricordo tutti quei particolari fisici sopra descritti e nemmeno il nome: me la trombai due-tre volte nel suo appartamento al Bellocchio....faceva sconti ( anche 30 cucuzze a casa! )perchè le ero simpatico e nonostante cominciasse freddamente anche lei alla fine ti baciava in bocca, ma solo affettuosamente e non da porcona consumata. Mi raccontava che era controllata dal fratello che se avesse saputo quello che faceva l'avrebbe ammazzata, a sua detta. Un giorno mi aveva detto che sarebbe arrivata anche la madre a Perugia e che per un pò non si sarebbe vista......poi l'ho persa di vista. Ma non credo sia lei quella descritta dal collega.
 
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CarloDircel

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Ciao;
quella della cattiveria, in assoluto, non è una sciocchezza. Per due motivi, di cui il primo è che, tra le altre cose, io sono anche cattivo. Non è malvagità gratuita. E' che io così mi riconosco, se mi guardo dentro.
Il secondo è che bisogna essere consapevoli di non dover spingere il gioco oltre i limiti dell'irrimediabile. E' meglio per me, ed è meglio anche per la ragazza. Per cui, meglio un taglio drastico, forse duro, ma salutare.
 
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CarloDircel

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Hai ragione : non hai descritto Nadja. Credo proprio che tu abbia descritto Chiara. Per il quale amarcord, ti rimando al post che adesso metterò a disposizione appunto su Amarcord.
 
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