A braccetto con una puttana ... (gli occhi della gente)

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diciamo, per praticità, che "questa" vita la vivo
Quello con le "ragazze" è, normalmente, un rapporto a due, di solito senza testimoni. Ma capita, fugacemente, che altri possano rendersi conto di quello che siamo e di ciò che facciamo e che si debba in qualche modo rapportarsi alla realtà di un mondo che ci guarda ...

Capitava che lei fosse al mio braccio e che attraversassimo la strada.

Andavo a prenderla al suo angolo e la portavo in albergo … sapete bene perché ….

Allora lei mi forzava a passare nel tratto di strada meno illuminato e si guardava intorno, cercando di catturare il momento migliore per passare sulle strisce, facendosi notare il meno possibile.
Penso che avrebbe voluto essere invisibile.

Così spavalda ed esibizionista nei suoi due metri quadrati di marciapiede e così deliziosamente, teneramente ed inaspettatamente insicura in uno spazio non suo.

L’ho notato particolarmente in lei, ma molte altre – quando a loro volta mi guidavano, due passi avanti, verso le loro case – avevano lo stesso atteggiamento.

E anche in macchina, ai semafori, o rallentando in prossimità di altri automobilisti o di passanti poco discreti, la sensazione quando si incontrava lo sguardo curioso o indagatore della gente era quella che queste ragazze tutto volessero fuorché essere notate.

Non so se fosse senso pratico o qualcosa di così assurdamente simile ad una sorta di pudore …
Lei - ripeto – lo faceva spesso, salvo riprendere la sua sensuale arroganza quando il suo ruolo non poteva essere confuso o diversamente interpretato.

Così, quando si entrava in albergo e si passava davanti al portiere di notte, lei all’improvviso tornava ad essere sfacciatamente, prepotentemente, meravigliosamente puttana.
Come quasi a voler dire al basito consierge: “ sto salendo in una camera d’albergo con questo tizio che potrebbe essere mio padre, a quest’ora di notte. Mi hai guardata bene? Cosa pensi che si vada a fare? Cosa pensi che IO sia …”

Così le porte dell’ascensore si richiudevano e lei rideva di gusto, magari senza curarsi di essere sentita
“hai visto che faccia ha fatto? Cazzo … non ha mai visto una donna?”
“non una come te … piccolina …”

Noi, loro e gli altri a guardarci. Che strano.

Per me invece non è mai stato un problema. In una città non mia, dove nessuno mi conosce, mi sento completamente rilassato e volo alto dieci metri sulla morale della gente, sul giudizio frettoloso e sulla probabile condanna.

Me ne fotto. Anzi, me la godo, un po’ divertito, quando leggo nell’espressione di molti l’invidia per il ben di Dio che mi è in quel momento concesso …

Ripeto … me ne fotto …

Come se ne fotteva, quella sera, in quel ristorante, quell’attempato e rotondo signore, a fianco di una gnocca stratosferica, che aveva scritto in fronte “sono una escort da settecento euro a sera”
Entrava, sotto gli occhi di decine di avventori bisbiglianti, sotto la sferza di sorrisi maliziosi e di gomitate di intesa, con l’aria beata e serafica di chi, per l’appunto, se ne fotte.

Chissà .. forse godeva più all’idea di essere invidiato che al pensiero di quello che la strafiga gli avrebbe offerto di lì ad un paio d’ore.

Denaro. Potere. Io posso … e schiatti chi non può … Me ne fotto … e LA fotto ….

Non con le stesse motivazioni, ma mi sono sentito molto vicino a quel rubicondo, anziano puttaniere.
Anche io l’ho invidiato, ma benevolmente, e ho pensato che forse non avrei avuto la stessa sfacciataggine e la medesima faccia di bronzo, ma che certamente potevo capirlo …

Una sera camminando, parlavo con lei di come a volte fossero appariscenti e volgari le puttane.
Sapevo di poter affrontare l’argomento senza offenderla, perché pur essendo una otr aveva una classe ed un eleganza innate.

Eppure lei, ad un tratto, mi chiese timidamente, quasi avesse paura della mia risposta

“ma io … si vede che sono una puttana?”

La pensai per un attimo in una situazione diversa.

La pensai di giorno, per strada, in un negozio. Una ragazza giovane e bella. Un oggetto del desiderio per molti uomini, ma non necessariamente una puttana. Spesso è il contesto che ti condanna.

“No tesoro … non sembrerebbe mai che fai quello che fai …”

Poi fu come vederci da un punto di vista non mio. La stessa ragazza bella che attraversa la strada verso un albergo alle undici di sera, al braccio di un anonimo signore, di trentanni più vecchio

E fui dolorosamente sincero

“Sembri una puttana solo quando sei vicino a me …”

Lei sorrise, di un sorriso triste, ma mai come il mio …..
 
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Hai scritto un testo bellissimo.
Se è farina tua, la brillantezza, la lucidità, la profonda sincerità fanno di te una persona ammirevole.
Chi scrive a questi livelli ha una capacità più penetrante di vedere il mondo, un'intelligenza intrinseca, un pensiero.

Quindi, intanto, grazie.

Il tuo intervento si intitola Gli Occhi Della Gente. Quindi tu hai voluto provare ad assumere il punto di vista degli altri. Gli altri che guardano, ci vedono, a volte giudicano.
Gli altri che guardiamo, vediamo, giudichiamo... perchè più spesso, gli altri, siamo noi (e non è la citazione di una canzonetta).

Tanti anni fa, ho avuto qualcosa di più di una frequentazione assidua con una ragazza otr. Per lungo tempo, molte sere a settimana, ero ospite in casa sua. Ci volevamo bene, eravamo amici, passavamo un'ora abbracciati sul divano, distrattamente avendo davanti lo schermo tv, alternando sussurri a silenzi in un periodo nel quale entrambi, per diversi motivi, provavamo nella vita una acutissima solitudine.
Le ragazze che condividevano l'appartamento, che era una specie di porto di mare, in quell'ora passeggiavano avanti e indietro, fuori e dentro, rafficando la camera da letto di un numero impressionante di visite. Erano anni di vacche grasse, la clientela non mancava mai. In quell'ora, io vedevo passarmi davanti (sì, avete capito, davanti : la stanza col divano era anche l'atrio - soggiorno, l'anticamera del "paradiso") almeno dieci uomini, di tutte le età. Spesso, il "paradiso" era occupato, e il turnista sedeva con la sua ragazza al tavolo a due metri dal nostro divano.

Gli occhi della gente.

Gli occhi di questi clienti, che guardavano una prostituta che tutte le sere vedevano là fuori, nel suo cappotto elegante, con i lunghissimi capelli ed un fascino naturale ed incontestabile, ma appunto null'altro che una prostituta, teneramente stretta ad un ragazzo (al tempo ero giovane), con le guance a sfiorarsi, le mani a cercarsi, le piccole parole a fluire (evitavamo solo di baciarci : questi uomini avrebbero pensato, con gli occhi degli altri, che lei baciasse tutti ed inevitabilmente la avrebbero assillata con simili inevadibili richieste; le colleghe avrebbero pensato, coi loro occhi, che c'era da riferire al pappone che una di loro perdeva tempo ad innamorarsi anzichè foraggiare le casse). Occhi sorpresi; interdetti; facce incerte che domandavano mute delle spiegazioni.

"Amico di mia amica", riferiva la collega più pragmatica, non senza sottolineare, impercettibilmente affinchè solo io e la mia ragazza capissimo, il fastidio per la mia presenza ingombrante e continuativa.

Spesso andavamo in giro. A volte ci facevamo vedere, perchè è umano non voler restare ciechi e nascosti nel buio. Mi accorgevo che lei aveva bisogno e piacere di una stampa di vita normale, e che al mio fianco si sentiva riparata, non avendo quindi bisogno di sfoderare la sua normale aggressività per affrontare il mondo.
Entravamo nei negozi. Era lei, varcata la soglia, a prendermi la mano. Era quello il riparo.
E' vero : c'era pudore. Lei aratro che scavava solchi nel brandello di bordo stradale di sua competenza, lei abituata ad affrontare i lupi ogni sera, lei che aveva rischiato la vita con i malintenzionati e per salvarsi si era gettata giù da un'auto in corsa... lei, esile uccellino di quarantaquattro chili che mangiava mezza volta al giorno, lei provava un profondo e rassegnato pudore. La mia mano era il permesso di esistere nel mondo ordinario. Il permesso di avere una vita numerata con l'uno.
A mia volta, io, che cercavo il più possibile e sistematicamente, per pudore... e per viltà, di non tenerla per mano, non potevo non cedere e acconsentire. Sicchè entrambi, vinti dalle nostre disperazioni private, così insignificanti agli occhi degli altri, così violente nei nostri animi, ci denudavamo infine, ponendoci agli occhi degli altri così, mano nella mano, a braccetto, abbracciati, baciandoci.
A lei sembrava che tutti la giudicassero come se si trovasse sul marciapiede. A me sembrava che in tanti facessero solo finta di non riconoscere la puttana e di conseguenza il suo stordito cliente. Io non ce la facevo, al tempo ero un pessimo attore, a tenere a lungo gli occhi alti.
Ma lei era elegante nel passo, e soprattutto bella. Sorprendentemente, le commesse, le bariste, le cameriere, le signore.... all'epoca ancora quasi tutte italiane, erano loro a trattarla con un rispetto quasi deferente, riconoscendo in quella bellezza un qualcosa di regale e sovrano.

A volte, io la guardavo da lontano.

Viveva in un brutto lotto di condomini, disposti a U. Io, sistemandomi da una certa angolazione, non troppo in vista da qualunque sguardo, potevo vederla che scendeva dalla macchina ed attraversava il piazzale al centro della U, raggiungendo il portone, e quasi sempre prendendosi a braccetto con la persona che la accompagnava. Tutto il quartiere la sapeva puttana, dunque in quel caso lei proteggeva maternamente dagli sguardi il suo uomo di un istante, aiutando con la sua figura esile il buio a tutto dissimulare.
Con uno, che andava spesso, quasi quanto me, a trovarla, ed era - per altri motivi dai miei - un uomo ai margini, il tenersi per mano era reale e tenerissimo, ed era lei, lei proprio, che in mezzo a quel piazzale piegava la testa sulla spalla di lui, a legittimarlo, a renderlo immune dal lancio di ogni pietra.

E' vero, e lo è dolorosamente, hai indovinato : sono puttane perchè stanno con noi, al nostro fianco, da noi sormontate in atto di fiera penetrazione.

Per quello che mi riguarda, solo con gli anni ho imparato a ribaltare la vista allo specchio divenendo io stesso specchio della vista. Solo con gli anni ho imparato che la vera vita è quella di questa oscurità, ed è l'altra (nient'altro che) il cinema ed il varietà baldracco e pezzente di tutti i santi giorni.

Per dire di questo con compiutezza, tuttavia, ci sarà bisogno di un intervento a sè stante, in qualche altro luogo del forum.
 
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Hai scritto un testo bellissimo.
Se è farina tua, la brillantezza, la lucidità, la profonda sincerità fanno di te una persona ammirevole.
Chi scrive a questi livelli ha una capacità più penetrante di vedere il mondo, un'intelligenza intrinseca, un pensiero.

Quindi, intanto, grazie.

Il tuo intervento si intitola Gli Occhi Della Gente. Quindi tu hai voluto provare ad assumere il punto di vista degli altri. Gli altri che guardano, ci vedono, a volte giudicano.
Gli altri che guardiamo, vediamo, giudichiamo... perchè più spesso, gli altri, siamo noi (e non è la citazione di una canzonetta).

Tanti anni fa, ho avuto qualcosa di più di una frequentazione assidua con una ragazza otr. Per lungo tempo, molte sere a settimana, ero ospite in casa sua. Ci volevamo bene, eravamo amici, passavamo un'ora abbracciati sul divano, distrattamente avendo davanti lo schermo tv, alternando sussurri a silenzi in un periodo nel quale entrambi, per diversi motivi, provavamo nella vita una acutissima solitudine.
Le ragazze che condividevano l'appartamento, che era una specie di porto di mare, in quell'ora passeggiavano avanti e indietro, fuori e dentro, rafficando la camera da letto di un numero impressionante di visite. Erano anni di vacche grasse, la clientela non mancava mai. In quell'ora, io vedevo passarmi davanti (sì, avete capito, davanti : la stanza col divano era anche l'atrio - soggiorno, l'anticamera del "paradiso") almeno dieci uomini, di tutte le età. Spesso, il "paradiso" era occupato, e il turnista sedeva con la sua ragazza al tavolo a due metri dal nostro divano.

Gli occhi della gente.

Gli occhi di questi clienti, che guardavano una prostituta che tutte le sere vedevano là fuori, nel suo cappotto elegante, con i lunghissimi capelli ed un fascino naturale ed incontestabile, ma appunto null'altro che una prostituta, teneramente stretta ad un ragazzo (al tempo ero giovane), con le guance a sfiorarsi, le mani a cercarsi, le piccole parole a fluire (evitavamo solo di baciarci : questi uomini avrebbero pensato, con gli occhi degli altri, che lei baciasse tutti ed inevitabilmente la avrebbero assillata con simili inevadibili richieste; le colleghe avrebbero pensato, coi loro occhi, che c'era da riferire al pappone che una di loro perdeva tempo ad innamorarsi anzichè foraggiare le casse). Occhi sorpresi; interdetti; facce incerte che domandavano mute delle spiegazioni.

"Amico di mia amica", riferiva la collega più pragmatica, non senza sottolineare, impercettibilmente affinchè solo io e la mia ragazza capissimo, il fastidio per la mia presenza ingombrante e continuativa.

Spesso andavamo in giro. A volte ci facevamo vedere, perchè è umano non voler restare ciechi e nascosti nel buio. Mi accorgevo che lei aveva bisogno e piacere di una stampa di vita normale, e che al mio fianco si sentiva riparata, non avendo quindi bisogno di sfoderare la sua normale aggressività per affrontare il mondo.
Entravamo nei negozi. Era lei, varcata la soglia, a prendermi la mano. Era quello il riparo.
E' vero : c'era pudore. Lei aratro che scavava solchi nel brandello di bordo stradale di sua competenza, lei abituata ad affrontare i lupi ogni sera, lei che aveva rischiato la vita con i malintenzionati e per salvarsi si era gettata giù da un'auto in corsa... lei, esile uccellino di quarantaquattro chili che mangiava mezza volta al giorno, lei provava un profondo e rassegnato pudore. La mia mano era il permesso di esistere nel mondo ordinario. Il permesso di avere una vita numerata con l'uno.
A mia volta, io, che cercavo il più possibile e sistematicamente, per pudore... e per viltà, di non tenerla per mano, non potevo non cedere e acconsentire. Sicchè entrambi, vinti dalle nostre disperazioni private, così insignificanti agli occhi degli altri, così violente nei nostri animi, ci denudavamo infine, ponendoci agli occhi degli altri così, mano nella mano, a braccetto, abbracciati, baciandoci.
A lei sembrava che tutti la giudicassero come se si trovasse sul marciapiede. A me sembrava che in tanti facessero solo finta di non riconoscere la puttana e di conseguenza il suo stordito cliente. Io non ce la facevo, al tempo ero un pessimo attore, a tenere a lungo gli occhi alti.
Ma lei era elegante nel passo, e soprattutto bella. Sorprendentemente, le commesse, le bariste, le cameriere, le signore.... all'epoca ancora quasi tutte italiane, erano loro a trattarla con un rispetto quasi deferente, riconoscendo in quella bellezza un qualcosa di regale e sovrano.

A volte, io la guardavo da lontano.

Viveva in un brutto lotto di condomini, disposti a U. Io, sistemandomi da una certa angolazione, non troppo in vista da qualunque sguardo, potevo vederla che scendeva dalla macchina ed attraversava il piazzale al centro della U, raggiungendo il portone, e quasi sempre prendendosi a braccetto con la persona che la accompagnava. Tutto il quartiere la sapeva puttana, dunque in quel caso lei proteggeva maternamente dagli sguardi il suo uomo di un istante, aiutando con la sua figura esile il buio a tutto dissimulare.
Con uno, che andava spesso, quasi quanto me, a trovarla, ed era - per altri motivi dai miei - un uomo ai margini, il tenersi per mano era reale e tenerissimo, ed era lei, lei proprio, che in mezzo a quel piazzale piegava la testa sulla spalla di lui, a legittimarlo, a renderlo immune dal lancio di ogni pietra.

E' vero, e lo è dolorosamente, hai indovinato : sono puttane perchè stanno con noi, al nostro fianco, da noi sormontate in atto di fiera penetrazione.

Per quello che mi riguarda, solo con gli anni ho imparato a ribaltare la vista allo specchio divenendo io stesso specchio della vista. Solo con gli anni ho imparato che la vera vita è quella di questa oscurità, ed è l'altra (nient'altro che) il cinema ed il varietà baldracco e pezzente di tutti i santi giorni.

Per dire di questo con compiutezza, tuttavia, ci sarà bisogno di un intervento a sè stante, in qualche altro luogo del forum.

Quando, mesi fa, mi sono trovato qui, non pensavo a quali potessero essere i possibili sviluppi di un'esperienza del genere.

Si parlava di puttane e in quel momento mi era sufficiente.

Pensavo solo che in qualche modo avrebbe completato il mio percorso. Che avrei dovuto provare anche questo. Che avevo bisogno anche di questo.
Non più solo di farlo, il sesso, ma di parlarne, di capirlo, di condividerne le sensazioni ed il ricordo.
E di sentire come lo vivevano gli altri, questo sesso poi così meno raccontabile, questo male, non malattia, come molti vorrebbero farcelo sembrare, ma male, inteso come bisogno intenso tanto da essere doloroso, nella richiesta di essere in qualche modo lenito.

Non volevo essere più solo. Volevo capire se questo era il mio branco.

Mi piace il termine comunità, perchè rende esplicità l'idea di qualcosa che lega le persone. Oggi so di essere parte di questa comunità e le mie domande ed i miei dubbi sul perchè io sia qui e su quanto sia giusto ed utile che io sia qui si sono dissolte, trovando ogni giorno, nuove risposte.

Come oggi, CarloDircel.

Perchè qui capita che una sera ti siedi davanti alla tua tastiera e lasci le tue emozioni libere di parlare. Non è una recensione. Sai che quel che scrivi non è strettamente utile agli altri, ma aspetti.
Aspetti il riscontro e non solo nella ricerca del consenso. Aspetti di capire se sei stato capito.
Di solito gli amici ti leggono e, bontà loro, esprimono il loro gradimento e questo è già tanto, ed è bellissimo.
Poi passano i giorni e arriva, più inaspettatamente, un intervento come il tuo.

Oggi è giorno di una nuova risposta, di un'altra conferma.

Sono qui perchè le forme di condivisione di una passione sono tante, ma la più emozionante è nella scoperta di una sintonia particolare con alcune persone.
Sono lusingato per i tuoi complimenti e la mia vanità è così infantilmente appagata .... da farmi sentire in colpa ...
Ma non è questo ... l'emozione è in quello che hai scritto tu, dopo avere letto me
Potrei essere io. Quello che dici, che racconti. Le cose che hai provato e le emozioni che ti hanno soggiogato. Tutto potrebbe essere mio, come , penso, tutto ciò che ho scritto potrebbe essere tuo.

Cerco la diversità da me, qui. Amo conoscere cose nuove ed esplorare terre non mie. Ma muovermi negli spazi che più prediligo e che mi sono congeniali, potermi guardare dentro attraverso gli occhi di persone così simili a me, resta un privilegio impagabile e inaspettato.

Forse, quando sono entrato a Punterforum, pensavo che avrei dovuto passare il tempo a confrontarmi con le prestazioni degli altri, a contare quante scopate ci si fa in media in un mese o quanto tempo si riesce a tenerlo duro.
... come la sindrome della pisciata nel bagno pubblico.
Lo tiri fuori e speri sempre di avercelo più lungo di quello che sta vicino a te.

Ci sta anche questo. Ci sta l'ironia, il divertimento, la voglia di vivere, la trasgressione ed il trash.
Ma, per fortuna, qui c'è anche la voglia di emozione. Di sentire la propria e di confrontarla con quella degli altri.

Ricambio i complimenti. Quello che hai scritto è bellissimo e mi piace credere che ci saranno altre occasioni per leggerti con lo stesso piacere ….:wink:
 
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Cosa si può mai scrivere dopo questi post?
Io ho sempre detto che ciascun uomo deve accettare di essere tanto nobile quanto vile, deve fare i conti con se stesso con onestà.
Ed a voi la vita ha insegnato a farli. A me ancora non del tutto. Certe volte mi è impossibile capire se le sensibilità che avete rivelato, che certe volte sono anche le mie, questi turbamenti, siano realmente esistenti nelle persone che ho di fronte o se siano, piuttosto l'immagine del mio tumulto che proietto fuori di me.
E' anche vero che certe volte ho contribuito a rovinare, a distruggere quei fiori che certe volte spuntano sulle nostre strade.
Qaulche volta mi sta passando la voglia, vorrei andare a cogliere quei fiori, ma mi assalgono i pensieri che così bene avete esposto, ricordi, lascio stare i fiori dove stanno e, vecchio, me ne torno a casa
 
.....Io ho sempre detto che ciascun uomo deve accettare di essere tanto nobile quanto vile, deve fare i conti con se stesso con onestà.

Penso sia una delle cose più difficili in questa vita.
Essere onesti con se stessi ....

E anche quando non c'è da andare totalmente fieri per quello che si è e per ciò che si è fatto ... rimane la consolazione e la soddisfazione di essere stati abbastanza forti da saperlo ammettere ...:wink:
 
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