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Soggetti smarriti n. 3 – Chiara
Stavolta del tutto fuori programma, grazie al collega Sorklover che ha risvegliato il mio ricordo, procedo al recupero di quest’altro frammento nella memoria. Per ricostruire correttamente la scena, si faccia riferimento alla risposta del collega al mio recente post, nella presente sezione Amarcord, intitolato Nadja.
Intanto, è giusta l’impressione di Sorklover. La ragazza da lui rammemorata non è Nadja, che aveva i capelli neri corvini, ma – a me sembra proprio – un’altra, dai capelli biondi, il cui nome d’arte era Chiara.
Albanese, si mise all’altezza del cavalcavia che attraversa la Settevalli tra l’estate e la fine del 2003 (scusate la capacità mnemonica. Non è frutto di sostanze particolari, niente doping insomma… tutta roba mia). Indossava costantemente stivaloni rossi fino a mezza coscia, e un piccolo top che ed arrivava a malapena a coprire le mutandine. Nient’altro. Il viso era oggettivamente bruttino, ma in compenso il fisico si faceva notare. Gambe e glutei splendidi, e per natura io noto il biondo a chilometri di distanza. Una debolezza oggettiva. Non potevo non approfondire.
La timbrai due volte. La prima, una sera di quell’estate, di ritorno da un appuntamento con una loft croata. In teoria avevo già dato, ma la figura bionda ed indubbiamente attraente della ragazza mi liberò dai dubbi. Facemmo sul sedile del guidatore e, nonostante le pile mezze scariche, il lavoro di lingua di lei, veramente notevole, messo in atto con rotazioni abili e senza sosta, un vero vortice appassionato, con tanto di mugolii e respiro grosso, mi rese impossibile ogni resistenza. Lei brava, io piacevolmente quasi “pigro”.
Poi, in inverno, mi portò nel suo appartamento al Bellocchio. Sedemmo sul letto in un ambiente molto luminoso; guardandola, mezza nuda come si conciava, ero già in Larsen. Cercai qualcosa di complessivamente appagante e le chiesi di baciarla. Non fu necessario insistere a lungo. Aprii le sue labbra, leccandole sensualmente e cercandone la lingua. Rimanemmo così, con una mano le cingevo il fianco e l’altra teneva la nuca, immobili, eccettuate le nostre lingue, per due, forse tre minuti. Alla fine mi fissò con occhi compiaciuti e disse “Che carino…..”
Si era messa bene. E continuò a dovere. Solo, fu uno degli appuntamenti più temporalmente dilatati della mia storia. Per due motivi.
Il primo.
Dopo il bacio, ero pronto a scendere sotto la vita. Le sfilai le mutandine rosse, rosse come l’amor, come il Natale che stava arrivando, rosse come tutti i suoi indumenti. Ero pronto a leccarla, ma come una doccia gelata arrivo un no.
“Fermo”.
“Perché…? Non ti piace?”.
“Si, ma…”.
“Lo desidero molto, e anche tu mi sembra”.
“Non posso”.
“Che vuoi dire?”.
“Sono stata con tanti stasera, e …. non è pulita”.
A me in carriera è capitato frequentemente di dover negoziare in corsa prestazioni aggiuntive o particolari. Ma negoziare un bidè, veramente è stato un pezzo unico.
“Vedo un bagno. Potresti usarlo”.
Fu un bidè da 50. Solo Luigi XVI avrebbe pagato di più.
Aggiungo per inciso che, con ragazze igienicosanitariamente a posto, entrare in contatto con la corporeità più intima e profonda lo trovo inebriante.
Gli umori. ll sudore e l’odore. L’essenza particolare di ogni persona. L’unica vera droga ammissibile.
Appena dopo lavata, sa di meno.
Comunque, dopo un’attesa che avrebbe potuto sgonfiarmi, feci il lavoro, e le piacque parecchio, come largamente prevedibile. Glielo leggevo negli occhi che aveva un’anima disposta ai dolci piaceri. Così, il mio amico John Thomas si fece maestoso e pronto a soddisfare tutti e due.
Ma la cosa andò per le lunghe, in tutto questo frattempo, anche per un secondo fatto.
Il cellulare di lei. Squillava di continuo. E qui Sorklover non l’ha saputa giusta. Non era certo il fratello a controllare Chiara, ma il suo uomo. Un compagno geloso, che non le consentiva di trattenersi oltre il minimo indispensabile con i clienti.
Era tormentoso. Chiamò tutti i minuti, per almeno una dozzina di volte. Lei doveva tenerlo tranquillo. Gli diceva che aveva ricevuto più denaro, che il cliente voleva solo parlare e non chiedeva nulla di strano, che certo non l’aveva baciato, ma sesso non si poteva non farne.
Accettava che Chiara gli riportasse i soldi, non certo le corna. Geloso, ma la mandava a battere uguale.
Albanesi tutti app…. ehm… Albanesi strana gente.
In tutte queste pause, si consumò a tappe quel che c’era da consumare, e non fu neppure spiacevole. Con Chiara si stava bene, e d’altra parte in caso contrario non starei qui a ricordarla.
Quando fummo per andare, la fermai a cavallo della soglia. Stringendola la baciai ancora, sperando che altri inquilini passassero vedendoci in controluce, amanti di un’ora, falsari del tempo. Davo corda al mio gusto per la recita dentro la recita.
Ritornammo in strada scendendo per la lunga scalinata esterna che riporta in via Bellocchio, nella notte che avvolgeva la città infreddolita. Se la memoria non mi inganna, era sabato 15 novembre 2003. Lei si mantenne discosta, dopo essersi raccomandata : “Non mi devi baciare. Adesso, non mi devi baciare”.
Così ci lasciammo senza saluti. Girato di spalle, sentii che entrava nell’auto che la attendeva; sentii anche voce alta d'uomo. Rimproveri di un maschio geloso.
Alcune settimane più tardi, un mattino, la incrociai in compagnia di un uomo che la teneva per mano nel sottopasso tra le scale mobili ed il parcheggio di Piazza Partigiani. Parlavano in ghego di orari di partenza e viaggi.
Dopo, non l’ho vista mai più.
Stavolta del tutto fuori programma, grazie al collega Sorklover che ha risvegliato il mio ricordo, procedo al recupero di quest’altro frammento nella memoria. Per ricostruire correttamente la scena, si faccia riferimento alla risposta del collega al mio recente post, nella presente sezione Amarcord, intitolato Nadja.
Intanto, è giusta l’impressione di Sorklover. La ragazza da lui rammemorata non è Nadja, che aveva i capelli neri corvini, ma – a me sembra proprio – un’altra, dai capelli biondi, il cui nome d’arte era Chiara.
Albanese, si mise all’altezza del cavalcavia che attraversa la Settevalli tra l’estate e la fine del 2003 (scusate la capacità mnemonica. Non è frutto di sostanze particolari, niente doping insomma… tutta roba mia). Indossava costantemente stivaloni rossi fino a mezza coscia, e un piccolo top che ed arrivava a malapena a coprire le mutandine. Nient’altro. Il viso era oggettivamente bruttino, ma in compenso il fisico si faceva notare. Gambe e glutei splendidi, e per natura io noto il biondo a chilometri di distanza. Una debolezza oggettiva. Non potevo non approfondire.
La timbrai due volte. La prima, una sera di quell’estate, di ritorno da un appuntamento con una loft croata. In teoria avevo già dato, ma la figura bionda ed indubbiamente attraente della ragazza mi liberò dai dubbi. Facemmo sul sedile del guidatore e, nonostante le pile mezze scariche, il lavoro di lingua di lei, veramente notevole, messo in atto con rotazioni abili e senza sosta, un vero vortice appassionato, con tanto di mugolii e respiro grosso, mi rese impossibile ogni resistenza. Lei brava, io piacevolmente quasi “pigro”.
Poi, in inverno, mi portò nel suo appartamento al Bellocchio. Sedemmo sul letto in un ambiente molto luminoso; guardandola, mezza nuda come si conciava, ero già in Larsen. Cercai qualcosa di complessivamente appagante e le chiesi di baciarla. Non fu necessario insistere a lungo. Aprii le sue labbra, leccandole sensualmente e cercandone la lingua. Rimanemmo così, con una mano le cingevo il fianco e l’altra teneva la nuca, immobili, eccettuate le nostre lingue, per due, forse tre minuti. Alla fine mi fissò con occhi compiaciuti e disse “Che carino…..”
Si era messa bene. E continuò a dovere. Solo, fu uno degli appuntamenti più temporalmente dilatati della mia storia. Per due motivi.
Il primo.
Dopo il bacio, ero pronto a scendere sotto la vita. Le sfilai le mutandine rosse, rosse come l’amor, come il Natale che stava arrivando, rosse come tutti i suoi indumenti. Ero pronto a leccarla, ma come una doccia gelata arrivo un no.
“Fermo”.
“Perché…? Non ti piace?”.
“Si, ma…”.
“Lo desidero molto, e anche tu mi sembra”.
“Non posso”.
“Che vuoi dire?”.
“Sono stata con tanti stasera, e …. non è pulita”.
A me in carriera è capitato frequentemente di dover negoziare in corsa prestazioni aggiuntive o particolari. Ma negoziare un bidè, veramente è stato un pezzo unico.
“Vedo un bagno. Potresti usarlo”.
Fu un bidè da 50. Solo Luigi XVI avrebbe pagato di più.
Aggiungo per inciso che, con ragazze igienicosanitariamente a posto, entrare in contatto con la corporeità più intima e profonda lo trovo inebriante.
Gli umori. ll sudore e l’odore. L’essenza particolare di ogni persona. L’unica vera droga ammissibile.
Appena dopo lavata, sa di meno.
Comunque, dopo un’attesa che avrebbe potuto sgonfiarmi, feci il lavoro, e le piacque parecchio, come largamente prevedibile. Glielo leggevo negli occhi che aveva un’anima disposta ai dolci piaceri. Così, il mio amico John Thomas si fece maestoso e pronto a soddisfare tutti e due.
Ma la cosa andò per le lunghe, in tutto questo frattempo, anche per un secondo fatto.
Il cellulare di lei. Squillava di continuo. E qui Sorklover non l’ha saputa giusta. Non era certo il fratello a controllare Chiara, ma il suo uomo. Un compagno geloso, che non le consentiva di trattenersi oltre il minimo indispensabile con i clienti.
Era tormentoso. Chiamò tutti i minuti, per almeno una dozzina di volte. Lei doveva tenerlo tranquillo. Gli diceva che aveva ricevuto più denaro, che il cliente voleva solo parlare e non chiedeva nulla di strano, che certo non l’aveva baciato, ma sesso non si poteva non farne.
Accettava che Chiara gli riportasse i soldi, non certo le corna. Geloso, ma la mandava a battere uguale.
Albanesi tutti app…. ehm… Albanesi strana gente.
In tutte queste pause, si consumò a tappe quel che c’era da consumare, e non fu neppure spiacevole. Con Chiara si stava bene, e d’altra parte in caso contrario non starei qui a ricordarla.
Quando fummo per andare, la fermai a cavallo della soglia. Stringendola la baciai ancora, sperando che altri inquilini passassero vedendoci in controluce, amanti di un’ora, falsari del tempo. Davo corda al mio gusto per la recita dentro la recita.
Ritornammo in strada scendendo per la lunga scalinata esterna che riporta in via Bellocchio, nella notte che avvolgeva la città infreddolita. Se la memoria non mi inganna, era sabato 15 novembre 2003. Lei si mantenne discosta, dopo essersi raccomandata : “Non mi devi baciare. Adesso, non mi devi baciare”.
Così ci lasciammo senza saluti. Girato di spalle, sentii che entrava nell’auto che la attendeva; sentii anche voce alta d'uomo. Rimproveri di un maschio geloso.
Alcune settimane più tardi, un mattino, la incrociai in compagnia di un uomo che la teneva per mano nel sottopasso tra le scale mobili ed il parcheggio di Piazza Partigiani. Parlavano in ghego di orari di partenza e viaggi.
Dopo, non l’ho vista mai più.