Apologia del Maestro Alberto Manzi in morte di Michael Nicholas Salvatore Bongiorno
Lo ammetto. Erano 50 anni che lo tenevo d'occhio. E adesso mi dispiace.
Funerali di stato, capperina.
Con lui se ne va il mio personale osservatorio sull'infamia sociale della comunicazione di massa. Quella che ha comandato lo “sviluppo” del sapere televisivo comune. E tutto il resto, visto che nella imperante onirocrazia postcostituzionale, i media alla fin fine, tirano i fili di tutte le opinioni. Forse, persino della mia.
Il personale è politico? O il personale è televisivo? Che il politico sia televisivo, ormai lo sanno anche i sassi.
Lui fu il prodormo.
Fin da bambino, io di quello diffidavo. Mi ci aveva l'aria di uno mica tanto per la quale.
Se uno così, mi dicevo ancora infante, può stare in TV, perché non io? Perché non la perpetua di Don Luigi o il figlio del barbiere? Perché non lo scarpolino di via Ripamonti 73?
Ma il maestro Manzi, qualcuno se lo ricorda?
Lui, il Manzi, lavorava per l'unificazione nazionale. Una lingua un popolo.
Istruzione per tutti, strumenti condivisi, conoscenza. Anche solo un minimo di cifre per intendersi e scambiarsi. Per conoscersi. Grazie a lui mezzo milione di italiani conseguì la licenza elementare. Lui, che scriveva e conduceva “non è mai troppo tardi”, insieme a Telescuola e la Scuola Radio Elettra di Torino, è stato la bandiera di una rinascita nazionale unitaria.
L'idea di un progresso che passava dalla conoscenza, anche minima, ma condivisa.
La scuola dell'imparare e del fare. Un'idea innovativa della televisione, che ci hanno copiato in altri 72 paesi. Mica caccole.
Io, il Manzi, lo preferivo alla TV dei ragazzi e a Carosello.
Cercavo di indovinare prima cosa avrebbe detto, quel magnifico intellettuale organico. Lui si che era uno che “sapeva”. Aveva spessore. Quel che diceva era il frutto di un pensiero onesto.
E l'idea della lavagna luminosa e dei disegni non era solo divertente, era magica.
Imberbe e già spaccamaroni. I miei si tiravano i capelli, increduli di aver generato un figlio tanto cagacazzo. Fev, esci di casa, vai a giocare con gli altri bambini!
Già pensavano ai corsi della Scuola Radio Elettra di Torino, per sedare le mie paturnie intellettuali. A laurà, caplùn.
Ma il Mike no. Lui è stato un grande anticipatore. Lui non lavorava per l'unificazione nazionale, lavorava per l'omologazione nazionale.
Non è facile da spiegare (fin da piccolo mi puzzava) ma quello lì era il grande fratello prima del GF moderno.
Povero Orwell, chissà come si sta rivoltando nella tomba!
Il Maikone ha rappresentato la banalizzazione rassicurante, il trionfo della ragion bruta. L'apoteosi della mediocrità.
Partigiano? Massì, dai, era con Montanelli a San Vittore. Giovane con passaporto americano. Appena l'hanno trasferito a Bolzano, l'han scambiato e fine della fiera.
Mio zio, intanto, moriva sull'appennino.
Ma fa niente. Vanno così, queste cose.
Con questo rassicurante pedigree, l'uomo non poteva che farcela. Perfetto per la comunicazione. Totalmente vuoto.
Non come i cavalli di pura razza politica che riempiono i nostri telegiornali con dichiarazioni di puro effetto immaginifico, certo. Non faccio nomi, perché non vorrei fare Schifanosissimi Casini con i Bei Guaglioni.
Ma lui, lui ne è stato il prodromo, il precursore; l'archetipo, come direbbe uno che fa finta di conoscere Young.
Ma tant'è.
Il luogo comune portato a regola e la frase fatta per farsi capire da ciascuno.
Odio citare il grande mistificatore Umbertino Quello lì, quello che ancora oggi non apre bocca senza sputare sentenze e senza esimersi di plagiare qualcun altro. Ma nel suo saggio ci aveva preso, capperina: “...mediocrità assoluta, grazie alla quale lo spettatore vede glorificato e insignito ufficialmente di autorità nazionale il ritratto dei propri limiti...”.
Ero troppo piccolo per leggerlo, figuriamoci, ma ci ero arrivato lo stesso.
Caplun, va a laurà, altarché la chitara!
Il Mike era rassicurante. Il Manzi, a suo modo, inquietante.
Ti dava qualche speranza, ma ti prometteva fatica.
Il grande Maestro Manzi lavorava dando l'esempio. Volete diventare colti come me?
Allora dovete studiare, dovete darvi da fare.
So che siete stanchi del lavoro nei campi o nelle officine.
Ma non è poi tanto difficile, ascoltate e capirete. E più capirete e più avrete voglia di capire.
Ma ci vuole impegno. Impegno, costanza e applicazione. Saper ascoltare e avere un progetto di sé.
Il Maestro Mike trattava invece la conoscenza con superiore ignoranza.
I quiz, santa polenta.
Lui non sapeva le risposte, questo mi ha sempre turbato, ma faceva le domande.
Nello scambio simbolico televisivo l'equazione derivante aveva una sola soluzione non banale: chi domina questo gioco non è il sapiente. In altre parole, l'intellettuale è solo un concorrente. Vince la somma grazie ad un'abilità che non possiede chi gliela concede.
E poi, che importanza ha conoscere nei minimi particolari la tragedia greca?
I concorrenti passano, il quizzatore rimane.
Santa farina martoriata dell'immacolato mulino bianco.
Allegria!
Niente è peggio dell'allegria, quando non ce ne sono ragioni.
Già grandicello, tempi di complotti di stato, l'allegria si sprecava.
È stato il momento migliore del grande Mike. Anche perché il suo concorrente mediatico, il povero intellettuale Maestro Manzi, ormai era stato pensionato televisivamente. Le tette e i culi facevano più audience.
Nella semantica del Grande Fratello, uscire dalla casa significa smettere di esistere.
Per cui, povero maestro, era tornato dove doveva stare: a scuola.
Che bisogno c'era di cultura di base in televisione? La televisione “è la cultura”.
E poi, bisognava proprio reprimerla questa inopportuna “coscienza collettiva”. Roba nuova, che faceva dire alla gente quel che pensava e riempiva le piazze.
Ha fatto più il Maikone di mille cariche della polizia.
Lui lavorava sulla profilassi. Addormentava le coscienze.
Ancor prima delle Telenovele.
Che grande anticipatore!
Fate pure la rivoluzione, ma non toccatemi il Rischiatutto!
Era lo slogan delle casalinghe d'assalto. Interi plotoni, ne aveva reclutato.
E senza neppure ricorrere al mercenariato. Bastava un click dei primi telecomandi.
Un precursore.
Nel mentre, il Grande Maestro Manzi (laureato, lo sottolineo, in biologia, pedagogia e filosofia, dopo studi nautici e magistrali...) si era rifiutato di redigere le appena introdotte "schede di valutazione", che con la riforma della scuola avevano sostituito la pagella. Era il 1981: Manzi si rifiutò di scrivere 'ste cazzo di valutazioni con la seguente motivazione: «non posso bollare un ragazzo con un giudizio perché il ragazzo cambia, è in movimento; se il prossimo anno uno legge il giudizio che ho dato quest'anno l'abbiamo bollato per i prossimi anni».
Da poco ho appreso che la sua "disobbedienza" gli valse la sospensione dall'insegnamento e dalla paga. L'anno successivo il Ministero della Pubblica Istruzione tornò a far pressione su di lui cercando di convincerlo a redigere regolarmente le valutazioni. Manzi dichiarò di non avere cambiato opinione, ma si mostrò disponibile a redigere una valutazione riepilogativa comune per tutti i ragazzi tramite un timbro; il giudizio era: "fa quel che può, quel che non può non fa". Il Ministero della Pubblica Istruzione rispose inorridito che le valutazioni timbrate non erano ammesse. E Manzi rispose:«Non c'è problema posso scriverlo anche a penna»
Allegria!
Il grande Mike, da giovane, non doveva averla pensata come il Maestro Alberto Manzi, perché a lui, anche se non era troppo tardi, la scuola non andava tanto giù. Si era diplomato dopo essere stato rimandato in matematica e fisica, e con grande fatica.
E non aveva certo pensato di frequentare l'università, dopo. Che bisogno c'era?
Figlio d'avvocato, invischiato nella politica con la potente lobby italo-americana, che bisogno aveva di “cultura”? Quando poteva tranquillamente fare il giornalista, anche se mal pagato, e spassarsela tra States e Italietta.
Tutti i dettagli possono essere reperiti nella sua biografia su Wikipedia.
Ma fu un precursore vero. Una grande esempio per le nuove generazioni.
Il grande sogno avverato.
L'onirocrazia dominante vuole che: se ha potuto lui, allora posso anch'io.
Sappiamo tutti che non è così.
La regola vale solo se si parte delle stesse condizioni. E pochi, siamo onesti, hanno il padre avvocato e lobbista italo-americano.
Ma il messaggio, intanto passa.
E tanto più rassicurante, in quanto il Maikone è tanto simile a noi, tanto ignorante, tanto banale e tanto portatore di luogo comune da commuovere.
I funerali di stato, certo, se li merita tutti.
Ho visto le lacrime di Fiorello e Fazio.
Fiorello e Fazio mi piacciono, anche se, a loro, modo sono portatori di un messaggio altrettando banalizzante.
Il fatto che fossero “amici” di Mike non mi sorprende e non mi turba.
Quello che mi turba davvero è che entrambi, nel loro ricordo, abbiano confuso il Mike uomo con il Mike immagine. Del primo non so niente. Magari era davvero una brava persona (anche se ne dubito fortemente).
Ma i due comici hanno commesso un errore enorme, sul piano della comunicazione. Posso capirli, anche loro devono mangiare.
Concentriamoci un attimo su questo aspetto. Qualche giorno fa un nostro collega qui sul forum è stato bannato per aver postato una cosa sicuramente spiacevole, di natura violenta (anche se sicuramente simulata) e poco opportuna.
Alcuni amici hanno dichiarato che è un bravo ragazzo e che ha solo un po' esagerato nel crearsi un personaggio.
Se posso permettermi, nel forum tu sei quello che scrivi. Il testo in questi ambienti diventa quel che sei. Il tuo stile ti connota e ti riconosce. Il tuoi contenuti, sempre che esista davvero una differenza tra significato e significante, sono quel che sei.
Magari sul lavoro sei il più remissivo, umile e obbediente dei travet. Magari, in famiglia sei il più amorevole dei padri. Ma se quando sei sul forum il tuo avatar è John Rambo e le tue affermazioni sono “no violence non fuck”, bene, sul forum sei “Rambo che dice: no violence non fuck”, non il sottomesso travet, non l'amorevole padre.
Qui, siamo testo.
Mike era immagine televisiva. Era pubblicamente, senza scomodare Habermas, un'icona complessa.
Un'immagine enigmatica e difficile da decifrare, senza ricorrere ad un'analisi semiologica rigorosa e, forse, anche ad un serio discorso “politico”.
Fazio e Fiorello hanno commesso l'errore semantico di non fare questo distinguo.
Hanno omesso di dire che, sul piano dell'immagine televisiva, il nostro ha rappresentato il trionfo del nulla programmatico, l'apoteosi della banalità, la vittoria dell'ignoranza sulla cultura. Quella vera, quella che costa fatica.
O forse non hanno fatto nessun errore.
Forse, più semplicemente, ormai è tutto così.
Quando si esce dalla casa con le telecamere, si smette di esistere. Il GF è diventato più vero della verità.
Per tutte queste ragioni, non mi sono sorpreso per i funerali di Stato.
Questo Stato (difficile usare la s maiuscola, ma le abitudini sono dure a morire) deve a lui le proprie fondamenta culturali almeno quanto deve al nostro primo ministro (le minuscole sono volute) le pietre miliari della sua politica. Del resto, il migliore statista degli ultimi 250 anni, ce lo meritiamo tutto. L'onirocrazia impera.
Invito il Mezzo milione di italiani per i quali non è stato troppo tardi, e tutti coloro che la pensano come me, più modestamente, ad andare alla spicciolata al Verano, a Roma, se ne avranno occasione, per un piccolo saluto al Grande Maestro Manzi.
Forse non “bilancerà” i sontuosi funerali di stato a chi allo stato ha dato tanto, ma darà il segno di una nostalgia.
Nessuna glorificazione, per Manzi, solo un ricordo. Perché ormai, quello che lui rappresentava, quello per cui aveva lavorato, è ormai uscito dalla casa con le telecamere.
Il GF ha vinto. Allegria!
In attesa di nuovi barbari.
Lo ammetto. Erano 50 anni che lo tenevo d'occhio. E adesso mi dispiace.
Funerali di stato, capperina.
Con lui se ne va il mio personale osservatorio sull'infamia sociale della comunicazione di massa. Quella che ha comandato lo “sviluppo” del sapere televisivo comune. E tutto il resto, visto che nella imperante onirocrazia postcostituzionale, i media alla fin fine, tirano i fili di tutte le opinioni. Forse, persino della mia.
Il personale è politico? O il personale è televisivo? Che il politico sia televisivo, ormai lo sanno anche i sassi.
Lui fu il prodormo.
Fin da bambino, io di quello diffidavo. Mi ci aveva l'aria di uno mica tanto per la quale.
Se uno così, mi dicevo ancora infante, può stare in TV, perché non io? Perché non la perpetua di Don Luigi o il figlio del barbiere? Perché non lo scarpolino di via Ripamonti 73?
Ma il maestro Manzi, qualcuno se lo ricorda?
Lui, il Manzi, lavorava per l'unificazione nazionale. Una lingua un popolo.
Istruzione per tutti, strumenti condivisi, conoscenza. Anche solo un minimo di cifre per intendersi e scambiarsi. Per conoscersi. Grazie a lui mezzo milione di italiani conseguì la licenza elementare. Lui, che scriveva e conduceva “non è mai troppo tardi”, insieme a Telescuola e la Scuola Radio Elettra di Torino, è stato la bandiera di una rinascita nazionale unitaria.
L'idea di un progresso che passava dalla conoscenza, anche minima, ma condivisa.
La scuola dell'imparare e del fare. Un'idea innovativa della televisione, che ci hanno copiato in altri 72 paesi. Mica caccole.
Io, il Manzi, lo preferivo alla TV dei ragazzi e a Carosello.
Cercavo di indovinare prima cosa avrebbe detto, quel magnifico intellettuale organico. Lui si che era uno che “sapeva”. Aveva spessore. Quel che diceva era il frutto di un pensiero onesto.
E l'idea della lavagna luminosa e dei disegni non era solo divertente, era magica.
Imberbe e già spaccamaroni. I miei si tiravano i capelli, increduli di aver generato un figlio tanto cagacazzo. Fev, esci di casa, vai a giocare con gli altri bambini!
Già pensavano ai corsi della Scuola Radio Elettra di Torino, per sedare le mie paturnie intellettuali. A laurà, caplùn.
Ma il Mike no. Lui è stato un grande anticipatore. Lui non lavorava per l'unificazione nazionale, lavorava per l'omologazione nazionale.
Non è facile da spiegare (fin da piccolo mi puzzava) ma quello lì era il grande fratello prima del GF moderno.
Povero Orwell, chissà come si sta rivoltando nella tomba!
Il Maikone ha rappresentato la banalizzazione rassicurante, il trionfo della ragion bruta. L'apoteosi della mediocrità.
Partigiano? Massì, dai, era con Montanelli a San Vittore. Giovane con passaporto americano. Appena l'hanno trasferito a Bolzano, l'han scambiato e fine della fiera.
Mio zio, intanto, moriva sull'appennino.
Ma fa niente. Vanno così, queste cose.
Con questo rassicurante pedigree, l'uomo non poteva che farcela. Perfetto per la comunicazione. Totalmente vuoto.
Non come i cavalli di pura razza politica che riempiono i nostri telegiornali con dichiarazioni di puro effetto immaginifico, certo. Non faccio nomi, perché non vorrei fare Schifanosissimi Casini con i Bei Guaglioni.
Ma lui, lui ne è stato il prodromo, il precursore; l'archetipo, come direbbe uno che fa finta di conoscere Young.
Ma tant'è.
Il luogo comune portato a regola e la frase fatta per farsi capire da ciascuno.
Odio citare il grande mistificatore Umbertino Quello lì, quello che ancora oggi non apre bocca senza sputare sentenze e senza esimersi di plagiare qualcun altro. Ma nel suo saggio ci aveva preso, capperina: “...mediocrità assoluta, grazie alla quale lo spettatore vede glorificato e insignito ufficialmente di autorità nazionale il ritratto dei propri limiti...”.
Ero troppo piccolo per leggerlo, figuriamoci, ma ci ero arrivato lo stesso.
Caplun, va a laurà, altarché la chitara!
Il Mike era rassicurante. Il Manzi, a suo modo, inquietante.
Ti dava qualche speranza, ma ti prometteva fatica.
Il grande Maestro Manzi lavorava dando l'esempio. Volete diventare colti come me?
Allora dovete studiare, dovete darvi da fare.
So che siete stanchi del lavoro nei campi o nelle officine.
Ma non è poi tanto difficile, ascoltate e capirete. E più capirete e più avrete voglia di capire.
Ma ci vuole impegno. Impegno, costanza e applicazione. Saper ascoltare e avere un progetto di sé.
Il Maestro Mike trattava invece la conoscenza con superiore ignoranza.
I quiz, santa polenta.
Lui non sapeva le risposte, questo mi ha sempre turbato, ma faceva le domande.
Nello scambio simbolico televisivo l'equazione derivante aveva una sola soluzione non banale: chi domina questo gioco non è il sapiente. In altre parole, l'intellettuale è solo un concorrente. Vince la somma grazie ad un'abilità che non possiede chi gliela concede.
E poi, che importanza ha conoscere nei minimi particolari la tragedia greca?
I concorrenti passano, il quizzatore rimane.
Santa farina martoriata dell'immacolato mulino bianco.
Allegria!
Niente è peggio dell'allegria, quando non ce ne sono ragioni.
Già grandicello, tempi di complotti di stato, l'allegria si sprecava.
È stato il momento migliore del grande Mike. Anche perché il suo concorrente mediatico, il povero intellettuale Maestro Manzi, ormai era stato pensionato televisivamente. Le tette e i culi facevano più audience.
Nella semantica del Grande Fratello, uscire dalla casa significa smettere di esistere.
Per cui, povero maestro, era tornato dove doveva stare: a scuola.
Che bisogno c'era di cultura di base in televisione? La televisione “è la cultura”.
E poi, bisognava proprio reprimerla questa inopportuna “coscienza collettiva”. Roba nuova, che faceva dire alla gente quel che pensava e riempiva le piazze.
Ha fatto più il Maikone di mille cariche della polizia.
Lui lavorava sulla profilassi. Addormentava le coscienze.
Ancor prima delle Telenovele.
Che grande anticipatore!
Fate pure la rivoluzione, ma non toccatemi il Rischiatutto!
Era lo slogan delle casalinghe d'assalto. Interi plotoni, ne aveva reclutato.
E senza neppure ricorrere al mercenariato. Bastava un click dei primi telecomandi.
Un precursore.
Nel mentre, il Grande Maestro Manzi (laureato, lo sottolineo, in biologia, pedagogia e filosofia, dopo studi nautici e magistrali...) si era rifiutato di redigere le appena introdotte "schede di valutazione", che con la riforma della scuola avevano sostituito la pagella. Era il 1981: Manzi si rifiutò di scrivere 'ste cazzo di valutazioni con la seguente motivazione: «non posso bollare un ragazzo con un giudizio perché il ragazzo cambia, è in movimento; se il prossimo anno uno legge il giudizio che ho dato quest'anno l'abbiamo bollato per i prossimi anni».
Da poco ho appreso che la sua "disobbedienza" gli valse la sospensione dall'insegnamento e dalla paga. L'anno successivo il Ministero della Pubblica Istruzione tornò a far pressione su di lui cercando di convincerlo a redigere regolarmente le valutazioni. Manzi dichiarò di non avere cambiato opinione, ma si mostrò disponibile a redigere una valutazione riepilogativa comune per tutti i ragazzi tramite un timbro; il giudizio era: "fa quel che può, quel che non può non fa". Il Ministero della Pubblica Istruzione rispose inorridito che le valutazioni timbrate non erano ammesse. E Manzi rispose:«Non c'è problema posso scriverlo anche a penna»
Allegria!
Il grande Mike, da giovane, non doveva averla pensata come il Maestro Alberto Manzi, perché a lui, anche se non era troppo tardi, la scuola non andava tanto giù. Si era diplomato dopo essere stato rimandato in matematica e fisica, e con grande fatica.
E non aveva certo pensato di frequentare l'università, dopo. Che bisogno c'era?
Figlio d'avvocato, invischiato nella politica con la potente lobby italo-americana, che bisogno aveva di “cultura”? Quando poteva tranquillamente fare il giornalista, anche se mal pagato, e spassarsela tra States e Italietta.
Tutti i dettagli possono essere reperiti nella sua biografia su Wikipedia.
Ma fu un precursore vero. Una grande esempio per le nuove generazioni.
Il grande sogno avverato.
L'onirocrazia dominante vuole che: se ha potuto lui, allora posso anch'io.
Sappiamo tutti che non è così.
La regola vale solo se si parte delle stesse condizioni. E pochi, siamo onesti, hanno il padre avvocato e lobbista italo-americano.
Ma il messaggio, intanto passa.
E tanto più rassicurante, in quanto il Maikone è tanto simile a noi, tanto ignorante, tanto banale e tanto portatore di luogo comune da commuovere.
I funerali di stato, certo, se li merita tutti.
Ho visto le lacrime di Fiorello e Fazio.
Fiorello e Fazio mi piacciono, anche se, a loro, modo sono portatori di un messaggio altrettando banalizzante.
Il fatto che fossero “amici” di Mike non mi sorprende e non mi turba.
Quello che mi turba davvero è che entrambi, nel loro ricordo, abbiano confuso il Mike uomo con il Mike immagine. Del primo non so niente. Magari era davvero una brava persona (anche se ne dubito fortemente).
Ma i due comici hanno commesso un errore enorme, sul piano della comunicazione. Posso capirli, anche loro devono mangiare.
Concentriamoci un attimo su questo aspetto. Qualche giorno fa un nostro collega qui sul forum è stato bannato per aver postato una cosa sicuramente spiacevole, di natura violenta (anche se sicuramente simulata) e poco opportuna.
Alcuni amici hanno dichiarato che è un bravo ragazzo e che ha solo un po' esagerato nel crearsi un personaggio.
Se posso permettermi, nel forum tu sei quello che scrivi. Il testo in questi ambienti diventa quel che sei. Il tuo stile ti connota e ti riconosce. Il tuoi contenuti, sempre che esista davvero una differenza tra significato e significante, sono quel che sei.
Magari sul lavoro sei il più remissivo, umile e obbediente dei travet. Magari, in famiglia sei il più amorevole dei padri. Ma se quando sei sul forum il tuo avatar è John Rambo e le tue affermazioni sono “no violence non fuck”, bene, sul forum sei “Rambo che dice: no violence non fuck”, non il sottomesso travet, non l'amorevole padre.
Qui, siamo testo.
Mike era immagine televisiva. Era pubblicamente, senza scomodare Habermas, un'icona complessa.
Un'immagine enigmatica e difficile da decifrare, senza ricorrere ad un'analisi semiologica rigorosa e, forse, anche ad un serio discorso “politico”.
Fazio e Fiorello hanno commesso l'errore semantico di non fare questo distinguo.
Hanno omesso di dire che, sul piano dell'immagine televisiva, il nostro ha rappresentato il trionfo del nulla programmatico, l'apoteosi della banalità, la vittoria dell'ignoranza sulla cultura. Quella vera, quella che costa fatica.
O forse non hanno fatto nessun errore.
Forse, più semplicemente, ormai è tutto così.
Quando si esce dalla casa con le telecamere, si smette di esistere. Il GF è diventato più vero della verità.
Per tutte queste ragioni, non mi sono sorpreso per i funerali di Stato.
Questo Stato (difficile usare la s maiuscola, ma le abitudini sono dure a morire) deve a lui le proprie fondamenta culturali almeno quanto deve al nostro primo ministro (le minuscole sono volute) le pietre miliari della sua politica. Del resto, il migliore statista degli ultimi 250 anni, ce lo meritiamo tutto. L'onirocrazia impera.
Invito il Mezzo milione di italiani per i quali non è stato troppo tardi, e tutti coloro che la pensano come me, più modestamente, ad andare alla spicciolata al Verano, a Roma, se ne avranno occasione, per un piccolo saluto al Grande Maestro Manzi.
Forse non “bilancerà” i sontuosi funerali di stato a chi allo stato ha dato tanto, ma darà il segno di una nostalgia.
Nessuna glorificazione, per Manzi, solo un ricordo. Perché ormai, quello che lui rappresentava, quello per cui aveva lavorato, è ormai uscito dalla casa con le telecamere.
Il GF ha vinto. Allegria!
In attesa di nuovi barbari.