Scusate, sono un po' di corsa ma l'argomento mi intriga (o forse era il culo? Vabbè ...) quindi scrivo di getto, senza rileggere troppo. Se qualcosa dovesse risultare disconrdante e/o non troppo chiaro, vedremo di dibatterne più avanti. Intanto butto lì alcune mie idee.
Intanto, inizierei a dividere la situazione in due parti.
La prima parte è quella relativa allo specifico della situazione indicata dal Marchese e cioè quella legata a tal Isabella Santacroce. Non descriverò il personaggio, potete trovarne descrizioni più o meno veritiere in ogni dove sul web ma prepferirei dilungarmi sulla situazione più filosofico-psicologica.
E' indubbio che fare arte è un lavoro sempre più difficile. Ed è anche indubbio che dare il giusto merito all'arte è assai molto più arduo. Anche perchè come è possibile dire che un qualsiasi tipo di opera è bella? Meglio, come è possibile dire che è più bella di un'altra? L'arte è tanto oggettiva quanto soggettiva. Di certo la bellezza non può essere data dall'apprezzamento delle masse. Suvvia, ritengo magnifiche opere d'arte diverse canzoni minori di De Gregori, di Dalla, di De Andrè, di Conte, ma molte di queste sono state probabilmente ascoltate ed apprezzate da molte meno persone rispetto alle ultime hit di Gabbani ... E' pur vero che se una cosa è bella per tanti diventa bella comunque, a prescindere. Ma sto un po' troppo divangando sulla meritocrazia, particolarmente invocata dalla scrittrice nel suo sproloquio al mondo. Ha comunque ragione la ragazza, la meritocrazia non è applicata. Ma questo è insito nella sua natura perchè è talmente soggettiva che non può esistere.
Nello scritto, però, si nota ovviamente un'interiorità complessa. Una ragazza che invoca meritocrazia dando per scontato che se questa esistesse e fosse applicata lei sarebbe in cima alla lista denota una tendenza egocentrista non indifferente. Ma soprattutto un'elevazione del proprio essere al di sopra di ogni fatica, di ogni sforzo, di ogni sacrificio. Lei deve poter scrivere senza rotture di balle perchè è capace di farlo. Dovrebbe poterlo fare come e quando vuole. Ed il mondo dovrebbe riconoscerle questa superiorità tecnico-stilistica. Ma non è forse vero ch estima ed apprezzamento non vanno richiesti bensì meritati? E non è forse vero che se lei si spinge a scrivere "perchè la Letteratura lo chiede" non dovrebbe farsi tanti problemi sul risultato di quello che scrive? Letteratura apprezzerà comunque, indipendentemente dal fatto che vinca un Campiello o meno. Questo sforzo non le da a sufficienza per campare? Cara mia, Letteratura ha chiesto di scrivere, non ha detto che saresti diventata ricca. Anzi, probabilmente nel sacrificio, nel sudore, nelle difficoltà Letteratura pensa che darai il meglio. Non sia mai che adagiata nella sfarzosità e nella caducità del castello di Herrenchiemsee lei perda vena poetica e capacità di scrittura ...
Anche l'aspetto asociale mi pare molto insito nella scritto. Mi scelgo gli amici, mi scelgo le letture, mi scelgo la vita. Tutto questo scegliere è anti-sociale. Io non scelgo i miei compagni di vita, io vivo con loro. Scegliere significa limitare, significa non curarsi, significa cercare accondiscendenza. Non sempre, intendiamoci, ma spesso sì.
Detto questo, e passerei alla seconda parte, non credo che quello che venga inteso dalla scrittrice sia una tendenza a prostituirsi. Nè fisicamente nè mentalmente. Direi tutt'altro. E' certamente, come detto, un richiamo ad una maggiore giustizia (la meritocrazia la lascerei da altre parti) ed una denuncia di una società che nelle sue sovrastrutture sociali ha certamente un qualcosa di marcio, di corrotto. L'avere la possibilità di esprimersi senza dover pensare alla pagnotta non è uno scendere a compromessi. Infatti si parla di mecenatismo e cioè un qualcuno che mantiene l'artista senza chiedere nulla in cambio se non la soddisfazione di aver aiutato l' Arte. Non la vedo, ripeto, come forma di prostituzione ma di ricerca di libertà in senso ampio. Dico questo perchè una forma di prostituzione potrebbe essere quella di adattare la propria scittura alle volontà delle case editrici, alla lettura di massa, magari oscurando il proprio stile, la proria indole. Non di certo affidarsi per il proprio mantenimento a qualcuno che può permetterselo senza chiedere nulla in cambio. Quindi la prostituzione, anche intellettuale o mediata, è molto più nella quotidianità che nell'eccellenza. Non è, comunque, propria del rapporto mecenate/artista. Non esiste il do ut des in questo caso. Se preferite, non esiste il darla per avere.
L'episodio dell'essersi offerta come escort a pagamento, a maggior ragione, non mi fa pensare alla prostituzione in senso stretto. Mi fa pensare più ad una boutade non tanto pubblicitaria bensì insita nella natura della ragazza e cioè la trasgressione. Come dire ... Faccio sesso in mille modi e con mille uomini, perchè non provare la sensazione di venire pagata per farlo? Un'ulteriore esperienza di vita.