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E' mezzanotte passata. Fa freddo. Percorro veloce la strada deserta. I Led Zeppelin fanno compagnia ai miei pensieri.
C'è qualcuno che cammina sul ciglio della strada. Lo sorpasso. E' una ragazza. E' buio, è tardi, non c'è un'anima viva in giro. Accosto più avanti.
"Serve aiuto?"
Si affaccia timidamente nell'auto, visibilmente intimorita.
"Avrei bisogno di un passaggio", risponde.
"Se ti ispiro fiducia, puoi salire, ti accompagno."
Tentenna.
"Non sono di molte parole. Il peggio che ti può capitare è dover sopportare silenzi imbarazzanti". Le sorrido.
Ricambia e sale.
"Ho finito di lavorare, a volte è difficile trovare un passaggio."
"Che lavoro fai?"
"La prostituta."
L'imbarazzo arriva prima del previsto. Cerco di non sembrare troppo incuriosito o sorpreso. E' difficile. La guardo meglio. Ha un viso bambino, delicato. Capelli lunghi, lisci, biondo castano. E' proprio bella. Non ha più di 20 anni.
Mi spiega che non ha un auto propria. Lavora insieme ad un'altra ragazza, oggi assente. Al ritorno non ci sono mezzi pubblici.
Chiacchiere di rito. Si scioglie e ne sono felice. Non è banale, è piacevole da ascoltare.
Il tragitto dura già da 10 minuti. "A piedi è impossibile", le dico. Mi guarda come per sfidarmi a proporle una soluzione. Mi sento stupido per averlo detto.
"Devo fare pipì". La voce le tradisce un po' di vergogna.
'Dove lo trovo un bagno?', penso. "Che faccio? Cerco una stazione di servizio o...", lascio la frase in sospeso.
"Quando puoi accosta".
Mi fermo, apre la porta, scende, si abbassa le calze, si accovaccia. Le luci di cortesia dell'auto le illuminano le gambe. Cerco di darmi un tono e distolgo lo sguardo. E' stranamente eccitante. Sale e richiude la porta. Prende la borsa che ha con sé. "Mi cambio". Tira fuori un paio di sneaker e dei leggings.
Mi sforzo di sembrare tranquillo mentre lei di fianco è mezza nuda, come se cose del genere mi capitassero tutte le sere.
Continuiamo a conversare. Parliamo di me, lei ride.
Giungiamo a destinazione.
"Grazie mille". Mi saluta con una stretta di mano. Più la guardo e più mi piace. "Ciao. Stai attenta".
Due sere dopo sono in auto. E' di nuovo tardi. Ho il pensiero fisso di quella ragazza, di Jenzy. Nome difficile da pronunciare; me lo aveva ripetuto più di una volta e non sono ancora sicuro di dirlo bene. La raggiungo.
"Chi si rivede", mi saluta. "Mi dai di nuovo un passaggio?"
"Bè, in realtà ero venuto per fare sesso". Mi sento quasi impacciato. Non pensavo che avrei mai dovuto specificarlo con una puttana.
Ride. "Ok, ma la prossima volta vieni prima".
Sale e mi detta la strada. Sembra così sicura di sé, così padrona della situazione, diversamente dal primo incontro.
Parcheggio. Ci spogliamo entrambi. E' bassa, sarà alta meno di 1,7. Ma ha un fisco perfetto. Sembra disegnata per un manga giapponese. Magra, vita stretta. Seno procace, grande. Sarebbe degno di allattare un dio. Sedere pieno, morbido. Pelle liscissima, trasuda giovinezza.
'Ma da dove sei uscita?', penso incredulo.
Scarta un profilattico. Inizia a donarmi la bocca. Le labbra, piene, si stringono su mio membro. Va lenta, affonda cadenzata. Le sposto i capelli dal viso. Le accarezzo il collo.
Si stacca, mi guarda e sale su di me. Le afferro il sedere per facilitarle i salti. Respira piano. La guardo negli occhi. Ti puoi perdere nei suoi occhi. Profondi, vivi. Poco dopo si ferma, si appoggia sul mio petto. "Mi sono stancata. Vieni tu su di me?"
Si distende sul sedile passeggero, spalanca le gambe. La raggiungo. Le entro dentro. Mi abbasso su di lei. Spingo piano, come se non avessi il permesso di trattarla diversamente. Concludo.
Pulizie di rito, tira fuori il disinfettante e me lo offre dopo averlo usata lei. Mi parla dei suoi tatuaggi.
'Ma da dove sei uscita?', non riesco a pensare ad altro.
La riaccompagno. Le do di nuovo un passaggio a casa, insieme alla sua amica.
Siamo in albergo. Siamo sudati. Mi piace. Mi piace troppo. Sono almeno 30 minuti che i nostri corpi sono uniti. "Ma che hai fatto oggi?", mi sorride.
Sono a mio agio. Non ho ansia di dimostrare. La mente è vuota. Faccio sesso e non penso a nulla se non a quanto mi piace. In queste condizioni, raggiungo l'orgasmo molto più tardi.
Si volta, mi dà le spalle. Si china sulle ginocchia, alza il culo. La prendo da dietro. Spingo. Lei appoggia il viso sul cuscino. Le afferro il seno con una mano. Distendo il mio petto sulla sua schiena. Continuo a spingere. Appoggio il mio viso sul lato destro del suo. Si gira. Le sue labbra sfiorano la mia guancia.
'Cazzo, baciala'. Non desideravo altro. E' da quando l'ho visto la prima volta che volevo baciare quel viso bambino.
Non lo feci.
Era tutto perfetto. Se avesse rifiutato, però, si sarebbe come spezzato il momento, l'intesa. Ho sempre saputo che stavo comprando la sua compagnia, niente illusioni. Non volevo forzarla a darmi qualcosa che voleva conservare per sé.
E' il bacio che più rimpiango di non aver dato.
Mi stacco. Mi masturba. Eiaculo.
La riaccompagno.
Sono in autostrada con Jenzy. Provo a spiegarle il significato di Evil Woman dei Black Sabbath.
La sto accompagnando all'aeroporto. Fa visita alla famiglia in Albania. Mi squilla il cellulare. E' la mia ragazza. Da lì a 2 giorni l'avrei lasciata. Stavamo bene, ma avevo sempre saputo che non sarebbe stata la compagna della mia vita. Te ne accorgi perché non ti passa la voglia di giacere con altre.
"Che fai stasera?", mi domanda, vedendo la foto del contatto sul mio cellulare che continua a suonare.
"Forse vado a ballare. Ci sei mai andata qui in Italia?"
"No. In realtà non è che mi piaccia tanto".
Pensavo di essere l'unico. Da giovani sembra quasi un obbligo il divertirsi in discoteca.
"Preferisco il karaoke. A casa ci sono parecchi locali dove farlo. E' come fosse un'avventura". Non capisco di cosa stia parlando, ma il viso le si illumina.
'Ti ci porto io. Al karaoke, o in qualsiasi altro posto', pensai.
Non le dissi nulla. Mi limitai a sorriderle.
Arriviamo al centro direzionale. Deve incontrarsi con un'amica. Faranno il viaggio insieme.
Ancora non arriva. Passa un gruppo di ragazzi. Non scende.
"Che c'è?"
"Aspetti con me?"
Mi balena in mente il pensiero di tutte quelle situazioni che possono crearle disagio, apprensione, quando è fuori da sola, che lavora. Una puttana è una ragazza e qualunque uomo degno di questo appellativo ne ha riguardo. Il problema è che molti sono uomini solo all'anagrafe.
Mi rabbuio un po'. Mi interroga con lo sguardo.
Arriva l'amica.
Mi saluta. Tornerà fra 2 settimane. 'Abbi cura di te', pensai guardandola scendere.
Trascorrono mesi.
"Che hai oggi?". Siamo in albergo. La vedo assente, triste. Ha problemi con altre ragazze. Sembra sfiduciata. "Neanche la puttana puoi fare in pace", afferma. Mi si gela il sangue.
'Abbracciala, cristo', penso. Sembro un'idiota. Mi sento inadeguato. Non faccio nulla. Mi limito ad ascoltarla sfogarsi.
Sono in auto, sono con lei. Le sto sopra, mi stringe la schiena con le gambe. Fa un caldo pazzesco. Urta col piede lo stereo. La musica sale forte. Ride.
Apro la portiera, i fari di un'altra coppia illuminano l'abitacolo. Mi abbasso su di lei. Continua a ridere. Mi alzo. Spingo forte. Concludo. Mi siedo sul lato guida. Prende le salviettine. Afferro il sesso per tirarmi via il preservativo. E' rotto.
"Sei venuto dentro?". La guardo con sguardo innocente.
Scende, si accovaccia e cerca di spingere fuori il mio liquido. Il finale era stato violento, si sforza abbastanza per riuscirci. "Hai una bottiglia?". Gliene passo una. "Dopo non potrai più berci", scherza. Non ho idea di cosa stia facendo, ma con quella si aiuta nello svuotamento.
"I tuoi spermatozoi hanno una carica alta?", domanda.
'Ma di che cazzo sta parlando?', penso. "Non credo", le rispondo.
Sale e mi parla di una routine di pulizie che effettua abitualmente.
La riaccompagno al posto di lavoro. "Ecco casa mia", a metà tra il faceto e il malinconico.
'Non voglio che tu scenda. Vieni con me'. Non le dico nulla. "Ciao". Me ne vado.
Abbiamo appena finito di fare sesso. "Mi sono finite le sigarette. Possiamo fermarci a prenderle?", chiede.
Chiuso. "Vabbè, per stasera non fumo". La riaccompagno dove lavora.
Mi dirigo verso casa. Vedo una stazione di servizio aperta. Scendo. Cerco di ricordami la marca che usa. Ritorno da lei. Ride, si affaccia al finestrino, sorpresa. Le passo le sigarette. Prende la borsa per darmi i soldi spesi. Le faccio cenno di no con le mani.
Si allunga per darmi un bacio sulla guancia. Le sorrido. Me ne vado senza dirle nulla.
Non l'avrei mai più rivista, ma ancora non lo sapevo.
Torno qualche giorno dopo. Non c'è. Non mi sorprende. Spesso si assentava quando non aveva voglia di lavorare. Da quel che sapevo era indipendente. Forzata, ma dalla vita non da qualche parassita di turno.
Ripasso per più giorni. Non c'è la bottiglietta d'acqua a terra. Già so di non trovarla. Aspetto comunque una decina di minuti.
Mi fermo da una ragazza poco più avanti. Da qualche mese Jenzy veniva in auto con lei e un'altra. Mi fermo e le chiedo se Jenzy oggi lavorasse o meno.
Mi risponde che era partita per il suo paese e che sarebbe tornata tra un mese. Celo male il mio stupore. Non mi aveva detto nulla.
Trascorre più di un mese. Non c'è traccia di Jenzy. Mi fermo di nuovo dall'amica. Mi riconosce subito. "Mi dispiace, ma non torna più". Stavolta casco come un asino.
"Ma perché? Sta bene? Mica è...", non so nemmeno cosa domandarle. Mi guarda e fa spallucce.
Non sono un ingenuo. Conoscevo benissimo la natura del nostro rapporto. L'intesa, le situazioni, le emozioni, anche se vere, almeno per me, sono costruite su una base mercenaria che non avrebbe mai consentito di andare oltre. Ma avrei desiderato la possibilità di salutarla. Di guardarla e salutarla.
Quando matura la coscienza che non rivedrai più qualcuno, ti logora il pensiero di aver avuto la possibilità di dire qualcosa in più, di fare qualcosa in più rispetto a quello che alla fine hai detto o fatto.
Sono ricordi sparsi. Ho scritto questi, ne avrei potuto raccontare altri. Di certo conserverò per sempre quei momenti. Felice per quello che è stato, malinconico per quello che è stato, triste per come è finito. Le auguro il meglio. Davvero.
Vorrei solo rivederla. Magari in ristorante, di sera, con una famiglia al suo fianco, un uomo che la rispetti e un bimbo che le corre intorno. La guarderò, mi scioglierò, le sorriderò, mi ricambierà il sorriso e lasceremo che le vite scorrano separate, dopo che sono state incrociate, anche se per poco.
Non so perché l'ho scritto. Forse perché solo online si possono raccontare certe esperienze. Forse perché proverò piacere a rileggere e ricordare certi momenti. Non lo so.
C'è qualcuno che cammina sul ciglio della strada. Lo sorpasso. E' una ragazza. E' buio, è tardi, non c'è un'anima viva in giro. Accosto più avanti.
"Serve aiuto?"
Si affaccia timidamente nell'auto, visibilmente intimorita.
"Avrei bisogno di un passaggio", risponde.
"Se ti ispiro fiducia, puoi salire, ti accompagno."
Tentenna.
"Non sono di molte parole. Il peggio che ti può capitare è dover sopportare silenzi imbarazzanti". Le sorrido.
Ricambia e sale.
"Ho finito di lavorare, a volte è difficile trovare un passaggio."
"Che lavoro fai?"
"La prostituta."
L'imbarazzo arriva prima del previsto. Cerco di non sembrare troppo incuriosito o sorpreso. E' difficile. La guardo meglio. Ha un viso bambino, delicato. Capelli lunghi, lisci, biondo castano. E' proprio bella. Non ha più di 20 anni.
Mi spiega che non ha un auto propria. Lavora insieme ad un'altra ragazza, oggi assente. Al ritorno non ci sono mezzi pubblici.
Chiacchiere di rito. Si scioglie e ne sono felice. Non è banale, è piacevole da ascoltare.
Il tragitto dura già da 10 minuti. "A piedi è impossibile", le dico. Mi guarda come per sfidarmi a proporle una soluzione. Mi sento stupido per averlo detto.
"Devo fare pipì". La voce le tradisce un po' di vergogna.
'Dove lo trovo un bagno?', penso. "Che faccio? Cerco una stazione di servizio o...", lascio la frase in sospeso.
"Quando puoi accosta".
Mi fermo, apre la porta, scende, si abbassa le calze, si accovaccia. Le luci di cortesia dell'auto le illuminano le gambe. Cerco di darmi un tono e distolgo lo sguardo. E' stranamente eccitante. Sale e richiude la porta. Prende la borsa che ha con sé. "Mi cambio". Tira fuori un paio di sneaker e dei leggings.
Mi sforzo di sembrare tranquillo mentre lei di fianco è mezza nuda, come se cose del genere mi capitassero tutte le sere.
Continuiamo a conversare. Parliamo di me, lei ride.
Giungiamo a destinazione.
"Grazie mille". Mi saluta con una stretta di mano. Più la guardo e più mi piace. "Ciao. Stai attenta".
Due sere dopo sono in auto. E' di nuovo tardi. Ho il pensiero fisso di quella ragazza, di Jenzy. Nome difficile da pronunciare; me lo aveva ripetuto più di una volta e non sono ancora sicuro di dirlo bene. La raggiungo.
"Chi si rivede", mi saluta. "Mi dai di nuovo un passaggio?"
"Bè, in realtà ero venuto per fare sesso". Mi sento quasi impacciato. Non pensavo che avrei mai dovuto specificarlo con una puttana.
Ride. "Ok, ma la prossima volta vieni prima".
Sale e mi detta la strada. Sembra così sicura di sé, così padrona della situazione, diversamente dal primo incontro.
Parcheggio. Ci spogliamo entrambi. E' bassa, sarà alta meno di 1,7. Ma ha un fisco perfetto. Sembra disegnata per un manga giapponese. Magra, vita stretta. Seno procace, grande. Sarebbe degno di allattare un dio. Sedere pieno, morbido. Pelle liscissima, trasuda giovinezza.
'Ma da dove sei uscita?', penso incredulo.
Scarta un profilattico. Inizia a donarmi la bocca. Le labbra, piene, si stringono su mio membro. Va lenta, affonda cadenzata. Le sposto i capelli dal viso. Le accarezzo il collo.
Si stacca, mi guarda e sale su di me. Le afferro il sedere per facilitarle i salti. Respira piano. La guardo negli occhi. Ti puoi perdere nei suoi occhi. Profondi, vivi. Poco dopo si ferma, si appoggia sul mio petto. "Mi sono stancata. Vieni tu su di me?"
Si distende sul sedile passeggero, spalanca le gambe. La raggiungo. Le entro dentro. Mi abbasso su di lei. Spingo piano, come se non avessi il permesso di trattarla diversamente. Concludo.
Pulizie di rito, tira fuori il disinfettante e me lo offre dopo averlo usata lei. Mi parla dei suoi tatuaggi.
'Ma da dove sei uscita?', non riesco a pensare ad altro.
La riaccompagno. Le do di nuovo un passaggio a casa, insieme alla sua amica.
Siamo in albergo. Siamo sudati. Mi piace. Mi piace troppo. Sono almeno 30 minuti che i nostri corpi sono uniti. "Ma che hai fatto oggi?", mi sorride.
Sono a mio agio. Non ho ansia di dimostrare. La mente è vuota. Faccio sesso e non penso a nulla se non a quanto mi piace. In queste condizioni, raggiungo l'orgasmo molto più tardi.
Si volta, mi dà le spalle. Si china sulle ginocchia, alza il culo. La prendo da dietro. Spingo. Lei appoggia il viso sul cuscino. Le afferro il seno con una mano. Distendo il mio petto sulla sua schiena. Continuo a spingere. Appoggio il mio viso sul lato destro del suo. Si gira. Le sue labbra sfiorano la mia guancia.
'Cazzo, baciala'. Non desideravo altro. E' da quando l'ho visto la prima volta che volevo baciare quel viso bambino.
Non lo feci.
Era tutto perfetto. Se avesse rifiutato, però, si sarebbe come spezzato il momento, l'intesa. Ho sempre saputo che stavo comprando la sua compagnia, niente illusioni. Non volevo forzarla a darmi qualcosa che voleva conservare per sé.
E' il bacio che più rimpiango di non aver dato.
Mi stacco. Mi masturba. Eiaculo.
La riaccompagno.
Sono in autostrada con Jenzy. Provo a spiegarle il significato di Evil Woman dei Black Sabbath.
La sto accompagnando all'aeroporto. Fa visita alla famiglia in Albania. Mi squilla il cellulare. E' la mia ragazza. Da lì a 2 giorni l'avrei lasciata. Stavamo bene, ma avevo sempre saputo che non sarebbe stata la compagna della mia vita. Te ne accorgi perché non ti passa la voglia di giacere con altre.
"Che fai stasera?", mi domanda, vedendo la foto del contatto sul mio cellulare che continua a suonare.
"Forse vado a ballare. Ci sei mai andata qui in Italia?"
"No. In realtà non è che mi piaccia tanto".
Pensavo di essere l'unico. Da giovani sembra quasi un obbligo il divertirsi in discoteca.
"Preferisco il karaoke. A casa ci sono parecchi locali dove farlo. E' come fosse un'avventura". Non capisco di cosa stia parlando, ma il viso le si illumina.
'Ti ci porto io. Al karaoke, o in qualsiasi altro posto', pensai.
Non le dissi nulla. Mi limitai a sorriderle.
Arriviamo al centro direzionale. Deve incontrarsi con un'amica. Faranno il viaggio insieme.
Ancora non arriva. Passa un gruppo di ragazzi. Non scende.
"Che c'è?"
"Aspetti con me?"
Mi balena in mente il pensiero di tutte quelle situazioni che possono crearle disagio, apprensione, quando è fuori da sola, che lavora. Una puttana è una ragazza e qualunque uomo degno di questo appellativo ne ha riguardo. Il problema è che molti sono uomini solo all'anagrafe.
Mi rabbuio un po'. Mi interroga con lo sguardo.
Arriva l'amica.
Mi saluta. Tornerà fra 2 settimane. 'Abbi cura di te', pensai guardandola scendere.
Trascorrono mesi.
"Che hai oggi?". Siamo in albergo. La vedo assente, triste. Ha problemi con altre ragazze. Sembra sfiduciata. "Neanche la puttana puoi fare in pace", afferma. Mi si gela il sangue.
'Abbracciala, cristo', penso. Sembro un'idiota. Mi sento inadeguato. Non faccio nulla. Mi limito ad ascoltarla sfogarsi.
Sono in auto, sono con lei. Le sto sopra, mi stringe la schiena con le gambe. Fa un caldo pazzesco. Urta col piede lo stereo. La musica sale forte. Ride.
Apro la portiera, i fari di un'altra coppia illuminano l'abitacolo. Mi abbasso su di lei. Continua a ridere. Mi alzo. Spingo forte. Concludo. Mi siedo sul lato guida. Prende le salviettine. Afferro il sesso per tirarmi via il preservativo. E' rotto.
"Sei venuto dentro?". La guardo con sguardo innocente.
Scende, si accovaccia e cerca di spingere fuori il mio liquido. Il finale era stato violento, si sforza abbastanza per riuscirci. "Hai una bottiglia?". Gliene passo una. "Dopo non potrai più berci", scherza. Non ho idea di cosa stia facendo, ma con quella si aiuta nello svuotamento.
"I tuoi spermatozoi hanno una carica alta?", domanda.
'Ma di che cazzo sta parlando?', penso. "Non credo", le rispondo.
Sale e mi parla di una routine di pulizie che effettua abitualmente.
La riaccompagno al posto di lavoro. "Ecco casa mia", a metà tra il faceto e il malinconico.
'Non voglio che tu scenda. Vieni con me'. Non le dico nulla. "Ciao". Me ne vado.
Abbiamo appena finito di fare sesso. "Mi sono finite le sigarette. Possiamo fermarci a prenderle?", chiede.
Chiuso. "Vabbè, per stasera non fumo". La riaccompagno dove lavora.
Mi dirigo verso casa. Vedo una stazione di servizio aperta. Scendo. Cerco di ricordami la marca che usa. Ritorno da lei. Ride, si affaccia al finestrino, sorpresa. Le passo le sigarette. Prende la borsa per darmi i soldi spesi. Le faccio cenno di no con le mani.
Si allunga per darmi un bacio sulla guancia. Le sorrido. Me ne vado senza dirle nulla.
Non l'avrei mai più rivista, ma ancora non lo sapevo.
Torno qualche giorno dopo. Non c'è. Non mi sorprende. Spesso si assentava quando non aveva voglia di lavorare. Da quel che sapevo era indipendente. Forzata, ma dalla vita non da qualche parassita di turno.
Ripasso per più giorni. Non c'è la bottiglietta d'acqua a terra. Già so di non trovarla. Aspetto comunque una decina di minuti.
Mi fermo da una ragazza poco più avanti. Da qualche mese Jenzy veniva in auto con lei e un'altra. Mi fermo e le chiedo se Jenzy oggi lavorasse o meno.
Mi risponde che era partita per il suo paese e che sarebbe tornata tra un mese. Celo male il mio stupore. Non mi aveva detto nulla.
Trascorre più di un mese. Non c'è traccia di Jenzy. Mi fermo di nuovo dall'amica. Mi riconosce subito. "Mi dispiace, ma non torna più". Stavolta casco come un asino.
"Ma perché? Sta bene? Mica è...", non so nemmeno cosa domandarle. Mi guarda e fa spallucce.
Non sono un ingenuo. Conoscevo benissimo la natura del nostro rapporto. L'intesa, le situazioni, le emozioni, anche se vere, almeno per me, sono costruite su una base mercenaria che non avrebbe mai consentito di andare oltre. Ma avrei desiderato la possibilità di salutarla. Di guardarla e salutarla.
Quando matura la coscienza che non rivedrai più qualcuno, ti logora il pensiero di aver avuto la possibilità di dire qualcosa in più, di fare qualcosa in più rispetto a quello che alla fine hai detto o fatto.
Sono ricordi sparsi. Ho scritto questi, ne avrei potuto raccontare altri. Di certo conserverò per sempre quei momenti. Felice per quello che è stato, malinconico per quello che è stato, triste per come è finito. Le auguro il meglio. Davvero.
Vorrei solo rivederla. Magari in ristorante, di sera, con una famiglia al suo fianco, un uomo che la rispetti e un bimbo che le corre intorno. La guarderò, mi scioglierò, le sorriderò, mi ricambierà il sorriso e lasceremo che le vite scorrano separate, dopo che sono state incrociate, anche se per poco.
Non so perché l'ho scritto. Forse perché solo online si possono raccontare certe esperienze. Forse perché proverò piacere a rileggere e ricordare certi momenti. Non lo so.