Faccio un collage da varie fonti internet, ne viene fuori un interessante articolo sulla prostituzione nella storia...
[...]
"Nella Roma arcaica l'adulterio era considerato reato solo se veniva commesso dalla donna, e veniva punito in modo più severo della vicina Grecia. Era addirittura prevista la pena di morte se il pater familias lo riteneva necessario.
Le donne ufficialmente dichiarate adultere, come le donne di rango inferiore (le lavoranti nei circhi, nei teatri, nella prostituzione), vengono private a scopo punitivo del diritto di contrarre un legittimo matrimonio e della facoltà di trasmettere pieni diritti civili.
Eppure nell'antica Roma c'era un notevole permissivismo per le relazioni sessuali con prostitute: un rimedio che lo stesso Cicerone consigliava affinché i giovani non cercassero di "godersi le mogli degli altri". Naturalmente si pretendeva che le ragazze arrivassero vergini al matrimonio.
Una cosiddetta donna di "facili costumi", se non ha solo occasionali rapporti con il marito della matrona (un romano libero non è mai colpevole di adulterio), può ufficialmente convivere in famiglia come concubina.
Il concubinato, importato con molte modifiche da Atene, diviene un istituto tipicamente romano. E' sulle concubine che, ad un certo punto della storia romana, possono essere fatti gravare i rischi del parto, evitati alle spose ufficiali, protette dal sistema sociale.
La matrona non ha difficoltà ad accettare le relazioni del marito con schiave o donne non rispettabili. Secondo quanto riferisce Svetonio, era la stessa moglie che forniva ad Augusto donne del genere.
Quando le orde dei barbari, sfondati i confini, dilagheranno in tutto il mondo romano occidentale, troveranno già molto diffusa la pia donna cristiana, una donna che forse somiglia di più alla donna-domus dei tempi arcaici.
*La prostituzione a Pompei è una delle poche occupazioni pubbliche riservate alle donne, le quali sono, in questo caso, quasi sempre schiave di origine orientale.
*Il lavoro si svolge in postriboli (lupanares) che a Pompei sono oltre la ventina, posti preferibilmente presso i crocicchi di strade secondarie.
*Essi sono caraterizzati da piccole celle munite di un letto in muratura e di una porticina di legno sopra la quale è spesso dipinta una scenetta erotica, indicativa del tipo di prestazione offerta.
*La tariffa media (10-15 assi), che va tutta al tenutario (il quale paga una tassa giornaliera pari a una tariffa) corrisponde al prezzo di due porzioni di vino.
*Le ragazze, che i proprietari acquistano per un prezzo pari a circa 750 volte la tariffa media di una prestazione, hanno nomi d'arte.
*I clienti sono generalmente affezionati e grafomani (hic ego puellas multas futui).
Impossibile stabilire quando sia nata la prostituzione. Dalle memorie dei popoli vicini a noi, quali i romani, si desume che non ebbero bisogno di imparare niente dai greci: già sapevano del loro e fin dai tempi arcaici. Livio, che in altre pagine della sua opera sostiene che sarebbero stati gli eserciti stranieri a portare la luxuria a Roma, racconta che nell'epoca immediatamente successiva a Porsenna: "In quell'anno, a Roma, durante i giochi i Sabini, per capriccio, rapirono delle prostitute…ci fu gran rissa e battaglia". Quanto a Cicerone, 106 a.C., in un passo del discorso Pro Caelio sentenzia: "Se c'è qualcuno che pensa che ai giovani debbano essere vietate le relazioni amorose con prostitute, certo questi è un uomo di austere opinioni, ma è lontano non solo dalle usanze dei contemporanei, ma anche dalle consuetudini e dalla permissività degli antenati. Quando mai cose del genere non sono accadute? Quando mai sono state biasimate? Quando sono state proibite?". Quanto a Catone, l'austero per antonomasia, secondo Orazio (Satire), aveva idee piuttosto larghe in materia. Vedendo un conoscente uscire da un lupanare, o casa di tolleranza, lodò il giovanotto perché aveva sfogato la propria "increscevole libidine discendendo laggiù, senza godersi la moglie altrui." Le prostitute si dividevano in molte categorie. C'erano le "etere" o emancipate, le attrici o danzatrici che avevano contatti con personaggi pubblici, storici e filosofi (Cicerone pranzava con una certa Citeride), che non erano considerate prostitute vere e proprie poiché non concedevano il proprio corpo per denaro (magari per qualche regalino!), un gradino più in basso si trovavano le arpiste e le musicanti. Poi c'erano le prostitute considerate tali e che erano registrate, schedate nella lista degli edili. Particolare interessante e dimostrativo del maschilismo della società romana: le donne che guadagnavano denaro con il proprio corpo erano per sempre escluse da qualsiasi onore, come il matrimonio con un uomo nato libero, mentre un lenone poteva diventare cittadino romano. Le prostitute, sopra l'abito dovevano indossare la toga, cioè il vestito maschile, come dice Orazione nelle Satire, per essere riconosciute. Le prostitute propriamente dette, erano schiave che non potevano sottrarsi al loro destino. Oltre che nei postriboli dichiarati, se ne trovavano negli alberghi, nei forni o nelle rosticcerie: i proprietari tenevano queste ragazze per far divertire gli avventori. Ma, esistevano anche prostitute libere di esercitare il proprio mestiere come le ambulatrices o passeggiatrici (come si vede non c'è niente di nuovo sotto il cielo neppure nei termini), le noctilucae o falene notturne mentre noi diciamo lucciole, le bustuariae che si aggiravano nei pressi dei cimiteri e, al caso, si producevano anche come prefiche o piagnone durante i funerali. Infine c'erano le diobolariae, le infime, quelle da due soldi. Ma, chi frequentava le prostitute? I giovani innanzi tutto. Non bisogna dimenticare che secondo Dione Cassio, già all'inizio dell'età imperiale la popolazione femminile era di circa il 17% inferiore a quella maschile e che molti uomini, anche volendo, non avrebbero saputo con chi sposarsi e dovevano, dunque, frequentare le prostitute. Com'erano i lupanari? Pompei ne ha restituiti due: piccole stanze semibuie sul cui ingresso era dipinta la "specialità " erotica della donna che l'occupava.
Sotto Caligola ci fu un primo tentativo di disciplinare le "case": prostitute e tenutari sono tassati. La cosa si ripete nel 1432, quando Alfonso d'Aragona, re delle Due Sicilie, concede ad un suo confidente e sicario la "patente di roffiano". Era autorizzato, in uno stabile civile, a tenere donne consuete al meretricio, perché potessero concedersi all'ospite con pace e decoro. Il roffiano era autorizzato a tenere metà del prezzo pattuito, l'altra spettava alla donna con sua buona pace. Nel resto d'Italia, nessuno si preoccupava di controllare i bordelli: tutti sapevano che c'erano, ma fingevano di non sapere. In Francia, invece, ai tempi di Napoleone III le case funzionavano sotto il controllo di rigide legge statali. Quando l'imperatore francese decise di appoggiare i piemontesi contro gli austriaci, si preoccupò che la sua truppa avesse bordelli a disposizione ed ecco che Camillo Benso conte di Cavour nel 1859 emise un decreto che autorizzava l'apertura di "case" in Lombardia, direttamente controllate dallo stato. Ancor prima dell'unificazione d'Italia, Camillo Benso trasformò il decreto in legge. Il 15 febbraio 1860 emana il "Regolamento del servizio di sorveglianza sulla prostituzione", che segna la nascita delle "case di tolleranza" così come sono state fino alla loro chiusura. Case di tolleranza, perché tollerate dallo Stato! L'intento, era quello di controllare igienicamente la prostituzione. Le case erano divise in tre categorie: prima, seconda e terza, la legge fissava le tariffe che andavano dalle 5 lire per le case di lusso alle 2 lire per le case popolari. Per aprire un bordello era necessaria una licenza, i tenutari dovevano pagare le tasse. La legge passò con qualche fatica, ma le obiezioni maggiori non si ebbero per lo "stato tenutario", quanto perché i conservatori temevano che le case potessero trasformarsi in luoghi troppo attraenti per i clienti, i quali vi avrebbero passato troppo tempo a scapito della famiglia. L'onorevole Vigoni si batteva per l'austerità assoluta, Felice Cavallotti perorava per il bicchier di vino, una chitarra e un canto, alla fine l'ebbe vinta l'ala del Vigoni e il testo definitivo della legge Crispi approvata il 29 marzo 1888 vietava di vendere cibo, bevande di qualsiasi genere, feste, balli e canti all'interno dei locali adibiti a bordello. Vietava, inoltre, l'apertura delle medesime in prossimità di luoghi di culto, asili e scuole e, soprattutto, le persiane della casa dovevano restare sempre chiuse. Ecco il perché del nome "case chiuse".
Erano fissati per legge anche i controlli medici da effettuare sulle "pensionanti", come erano state ribattezzate le prostitute, per evitare la piaga delle malattie veneree.
Nel 1891 il ministro degli Interni Giovanni Nicotera decide di cambiare la tariffa. Poiché anche le 2 lire dell'epoca di Cavour erano troppo alte (un operaio quando lavorava guadagnava 3 lire al giorno) e molti ricorrevano alla prostituzione libera, perciò niente controllo sulle malattie veneree, ecco scendere il prezzo a 1 lira, 50 centesimi per i militari e 70 centesimi per i sottufficiali. Naturalmente, fu alzato il prezzo per i bordelli di lusso.
Tutto bene fino al 1900, quando per il solo fatto che Bresci, l'anarchico che aveva assassinato re Umberto I, avesse passato un paio di giorni chiuso in un bordello pare a meditare l'attentato, ecco levarsi voci di "vizio e crimine vanno a braccetto", il presidente del Consiglio Saracco minaccia la chiusura, poi tutto rientra.
Nel 1919 riparte una crociata per la chiusura condotta da Filippo Turati secondo il quale i bordelli servivano alla classe dirigente come strumento di dominio e di difesa, poiché i lavoratori vi si avvilivano corrompendo le loro figlie più sventurate. Ma il fascismo era alle porte e le case di tolleranza furono ampiamente tollerate. "
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"Nella Roma arcaica l'adulterio era considerato reato solo se veniva commesso dalla donna, e veniva punito in modo più severo della vicina Grecia. Era addirittura prevista la pena di morte se il pater familias lo riteneva necessario.
Le donne ufficialmente dichiarate adultere, come le donne di rango inferiore (le lavoranti nei circhi, nei teatri, nella prostituzione), vengono private a scopo punitivo del diritto di contrarre un legittimo matrimonio e della facoltà di trasmettere pieni diritti civili.
Eppure nell'antica Roma c'era un notevole permissivismo per le relazioni sessuali con prostitute: un rimedio che lo stesso Cicerone consigliava affinché i giovani non cercassero di "godersi le mogli degli altri". Naturalmente si pretendeva che le ragazze arrivassero vergini al matrimonio.
Una cosiddetta donna di "facili costumi", se non ha solo occasionali rapporti con il marito della matrona (un romano libero non è mai colpevole di adulterio), può ufficialmente convivere in famiglia come concubina.
Il concubinato, importato con molte modifiche da Atene, diviene un istituto tipicamente romano. E' sulle concubine che, ad un certo punto della storia romana, possono essere fatti gravare i rischi del parto, evitati alle spose ufficiali, protette dal sistema sociale.
La matrona non ha difficoltà ad accettare le relazioni del marito con schiave o donne non rispettabili. Secondo quanto riferisce Svetonio, era la stessa moglie che forniva ad Augusto donne del genere.
Quando le orde dei barbari, sfondati i confini, dilagheranno in tutto il mondo romano occidentale, troveranno già molto diffusa la pia donna cristiana, una donna che forse somiglia di più alla donna-domus dei tempi arcaici.
*La prostituzione a Pompei è una delle poche occupazioni pubbliche riservate alle donne, le quali sono, in questo caso, quasi sempre schiave di origine orientale.
*Il lavoro si svolge in postriboli (lupanares) che a Pompei sono oltre la ventina, posti preferibilmente presso i crocicchi di strade secondarie.
*Essi sono caraterizzati da piccole celle munite di un letto in muratura e di una porticina di legno sopra la quale è spesso dipinta una scenetta erotica, indicativa del tipo di prestazione offerta.
*La tariffa media (10-15 assi), che va tutta al tenutario (il quale paga una tassa giornaliera pari a una tariffa) corrisponde al prezzo di due porzioni di vino.
*Le ragazze, che i proprietari acquistano per un prezzo pari a circa 750 volte la tariffa media di una prestazione, hanno nomi d'arte.
*I clienti sono generalmente affezionati e grafomani (hic ego puellas multas futui).
Impossibile stabilire quando sia nata la prostituzione. Dalle memorie dei popoli vicini a noi, quali i romani, si desume che non ebbero bisogno di imparare niente dai greci: già sapevano del loro e fin dai tempi arcaici. Livio, che in altre pagine della sua opera sostiene che sarebbero stati gli eserciti stranieri a portare la luxuria a Roma, racconta che nell'epoca immediatamente successiva a Porsenna: "In quell'anno, a Roma, durante i giochi i Sabini, per capriccio, rapirono delle prostitute…ci fu gran rissa e battaglia". Quanto a Cicerone, 106 a.C., in un passo del discorso Pro Caelio sentenzia: "Se c'è qualcuno che pensa che ai giovani debbano essere vietate le relazioni amorose con prostitute, certo questi è un uomo di austere opinioni, ma è lontano non solo dalle usanze dei contemporanei, ma anche dalle consuetudini e dalla permissività degli antenati. Quando mai cose del genere non sono accadute? Quando mai sono state biasimate? Quando sono state proibite?". Quanto a Catone, l'austero per antonomasia, secondo Orazio (Satire), aveva idee piuttosto larghe in materia. Vedendo un conoscente uscire da un lupanare, o casa di tolleranza, lodò il giovanotto perché aveva sfogato la propria "increscevole libidine discendendo laggiù, senza godersi la moglie altrui." Le prostitute si dividevano in molte categorie. C'erano le "etere" o emancipate, le attrici o danzatrici che avevano contatti con personaggi pubblici, storici e filosofi (Cicerone pranzava con una certa Citeride), che non erano considerate prostitute vere e proprie poiché non concedevano il proprio corpo per denaro (magari per qualche regalino!), un gradino più in basso si trovavano le arpiste e le musicanti. Poi c'erano le prostitute considerate tali e che erano registrate, schedate nella lista degli edili. Particolare interessante e dimostrativo del maschilismo della società romana: le donne che guadagnavano denaro con il proprio corpo erano per sempre escluse da qualsiasi onore, come il matrimonio con un uomo nato libero, mentre un lenone poteva diventare cittadino romano. Le prostitute, sopra l'abito dovevano indossare la toga, cioè il vestito maschile, come dice Orazione nelle Satire, per essere riconosciute. Le prostitute propriamente dette, erano schiave che non potevano sottrarsi al loro destino. Oltre che nei postriboli dichiarati, se ne trovavano negli alberghi, nei forni o nelle rosticcerie: i proprietari tenevano queste ragazze per far divertire gli avventori. Ma, esistevano anche prostitute libere di esercitare il proprio mestiere come le ambulatrices o passeggiatrici (come si vede non c'è niente di nuovo sotto il cielo neppure nei termini), le noctilucae o falene notturne mentre noi diciamo lucciole, le bustuariae che si aggiravano nei pressi dei cimiteri e, al caso, si producevano anche come prefiche o piagnone durante i funerali. Infine c'erano le diobolariae, le infime, quelle da due soldi. Ma, chi frequentava le prostitute? I giovani innanzi tutto. Non bisogna dimenticare che secondo Dione Cassio, già all'inizio dell'età imperiale la popolazione femminile era di circa il 17% inferiore a quella maschile e che molti uomini, anche volendo, non avrebbero saputo con chi sposarsi e dovevano, dunque, frequentare le prostitute. Com'erano i lupanari? Pompei ne ha restituiti due: piccole stanze semibuie sul cui ingresso era dipinta la "specialità " erotica della donna che l'occupava.
Sotto Caligola ci fu un primo tentativo di disciplinare le "case": prostitute e tenutari sono tassati. La cosa si ripete nel 1432, quando Alfonso d'Aragona, re delle Due Sicilie, concede ad un suo confidente e sicario la "patente di roffiano". Era autorizzato, in uno stabile civile, a tenere donne consuete al meretricio, perché potessero concedersi all'ospite con pace e decoro. Il roffiano era autorizzato a tenere metà del prezzo pattuito, l'altra spettava alla donna con sua buona pace. Nel resto d'Italia, nessuno si preoccupava di controllare i bordelli: tutti sapevano che c'erano, ma fingevano di non sapere. In Francia, invece, ai tempi di Napoleone III le case funzionavano sotto il controllo di rigide legge statali. Quando l'imperatore francese decise di appoggiare i piemontesi contro gli austriaci, si preoccupò che la sua truppa avesse bordelli a disposizione ed ecco che Camillo Benso conte di Cavour nel 1859 emise un decreto che autorizzava l'apertura di "case" in Lombardia, direttamente controllate dallo stato. Ancor prima dell'unificazione d'Italia, Camillo Benso trasformò il decreto in legge. Il 15 febbraio 1860 emana il "Regolamento del servizio di sorveglianza sulla prostituzione", che segna la nascita delle "case di tolleranza" così come sono state fino alla loro chiusura. Case di tolleranza, perché tollerate dallo Stato! L'intento, era quello di controllare igienicamente la prostituzione. Le case erano divise in tre categorie: prima, seconda e terza, la legge fissava le tariffe che andavano dalle 5 lire per le case di lusso alle 2 lire per le case popolari. Per aprire un bordello era necessaria una licenza, i tenutari dovevano pagare le tasse. La legge passò con qualche fatica, ma le obiezioni maggiori non si ebbero per lo "stato tenutario", quanto perché i conservatori temevano che le case potessero trasformarsi in luoghi troppo attraenti per i clienti, i quali vi avrebbero passato troppo tempo a scapito della famiglia. L'onorevole Vigoni si batteva per l'austerità assoluta, Felice Cavallotti perorava per il bicchier di vino, una chitarra e un canto, alla fine l'ebbe vinta l'ala del Vigoni e il testo definitivo della legge Crispi approvata il 29 marzo 1888 vietava di vendere cibo, bevande di qualsiasi genere, feste, balli e canti all'interno dei locali adibiti a bordello. Vietava, inoltre, l'apertura delle medesime in prossimità di luoghi di culto, asili e scuole e, soprattutto, le persiane della casa dovevano restare sempre chiuse. Ecco il perché del nome "case chiuse".
Erano fissati per legge anche i controlli medici da effettuare sulle "pensionanti", come erano state ribattezzate le prostitute, per evitare la piaga delle malattie veneree.
Nel 1891 il ministro degli Interni Giovanni Nicotera decide di cambiare la tariffa. Poiché anche le 2 lire dell'epoca di Cavour erano troppo alte (un operaio quando lavorava guadagnava 3 lire al giorno) e molti ricorrevano alla prostituzione libera, perciò niente controllo sulle malattie veneree, ecco scendere il prezzo a 1 lira, 50 centesimi per i militari e 70 centesimi per i sottufficiali. Naturalmente, fu alzato il prezzo per i bordelli di lusso.
Tutto bene fino al 1900, quando per il solo fatto che Bresci, l'anarchico che aveva assassinato re Umberto I, avesse passato un paio di giorni chiuso in un bordello pare a meditare l'attentato, ecco levarsi voci di "vizio e crimine vanno a braccetto", il presidente del Consiglio Saracco minaccia la chiusura, poi tutto rientra.
Nel 1919 riparte una crociata per la chiusura condotta da Filippo Turati secondo il quale i bordelli servivano alla classe dirigente come strumento di dominio e di difesa, poiché i lavoratori vi si avvilivano corrompendo le loro figlie più sventurate. Ma il fascismo era alle porte e le case di tolleranza furono ampiamente tollerate. "