Oggi voglio raccontare una storia triste che purtroppo, come spesso accade nella realtà, non ha un lieto fine.
Quarantenne, reduce da un matrimonio fallito che lo aveva profondamente segnato, un lavoro tutt’altro che sicuro che riusciva a garantirgli improvvise quanto poco durature fasi di “ricchezza” …
Era tardi e faceva un gran caldo; se non fosse stato per il continuo passare delle auto le panchine del giardino a ridosso dei palazzoni sarebbero state un posto perfetto per trascorrere del tempo a sognare.
Valeva comunque la pena di provarci e, accomodatosi su quella più discosta dalla strada, si accese una sigaretta.
Illuminata dai fari delle auto di passaggio vide arrivare una sagoma scura: correva, inciampava, la sua andatura era stranamente innaturale.
La ragazza si rifugiò nel piccolo giardino dove l’ombra degli alberi, nascondendola alla vista dei passanti, le avrebbe garantito un po’ ditranquillità.
Non vide il ragazzo seduto a pochi passi da lei, aprì laborsetta e ne estrasse un telefono che cominciò ad usare quasi con frenesia.
Al terzo o quarto tentativo qualcuno finalmente le rispose e concitatamente, in una lingua strana, raccontò qualcosa.
La conversazione fu breve, evidentemente l’interlocutore tagliò corto lasciando la povera ragazza nello sconfortopiù totale.
Il ragazzo la vide sdraiarsi sulla panchina, sentiva il sommesso singhiozzare e decise di avvicinarsi per capire se potesse in qualche modo esserle di aiuto.
Vedendolo lei trasalì vistosamente e, forse, sarebbe anche scappata se avesse avuto un posto dove andare.
L’aspetto elegante, i modi gentili ed il tono pacato della voce ebbero su di lei l’effetto sperato o forse “di necessità fece virtù”, di certo la diffidenza durò poco e cominciarono a parlare.
L’italiano stentato e la voce ancora rotta dall’emozione rendevano difficile comprendere quello che diceva, ma con pazienza e buona volontà riuscì a capire l’accaduto.
Era quasi l’alba quando le chiese se voleva riposarsi a casa sua e lei, almeno per un attimo, sembrò felice.
La prese sotto braccio e, come due vecchi amici, salirono nell’appartamento.
Disinfettato il piccolo graffio sulla spalla le diede asciugamani puliti ed una tuta da ginnastica e la accompagnò in bagno.
Quando uscì, in tuta, struccata e a piedi nudi sembravaun’altra persona e sorrideva.
Davanti al caffè fumante continuarono la loro conversazione, neanche l’alba che ormai rischiarava la città era riuscita a distrarli, quasi stessero vivendo in un mondo tutto loro.
Come nelle favole più belle la mise a letto, la coprì con il lenzuolo e, accarezzandole i capelli, le chiese di dormire un po’.
Poi tornò in salotto e si sdraiò sul divano; sapeva che non sarebbe riuscito a dormire, cercò un telegiornale, ma le notizie scorrevano e lui non le ascoltava …
Passò poco tempo, lei era sulla porta, nel suo sguardo la muta richiesta di calore umano alla quale lui non seppe dire di no.
Trascorsero ore abbracciati, in silenzio, perché le parole erano ormai inutili.
L’animo nobile gli impedì di approfittare dell’intimità che il fato aveva creato e quando lei disse che il suo corpo era l’unica cosa con cui poteva pagare l’ospitalità e le attenzioni ricevute, si alzò visibilmente contrariato.
“Fai come a casa tua” le disse uscendo, se vai via chiuditi dietro la porta … spero che tu non lo faccia.
Al suo rientro la casa era pulita e in ordine, lei era ancora li, in tuta, intenta a preparare la cena con quel poco che aveva trovato nel frigorifero.
Nonostante le enormi differenze cominciò così, del tutto casualmente, una storia d’AMORE forte, di quell’amore che si nutre delle piccole cose quotidiane, fa palpitare il cuore e in ogni momento e in ogni luogo è in cima ai tuoi pensieri.
La vita della coppia scorreva tranquilla, il rapporto si era consolidato, vivevano felici in un mondo tutto loro e finalmente nacque unabambina.
Ma il lavoro di lui cominciò ad andare male, soldi in casa ne arrivavano sempre meno ed era necessario tirare la cinghia.
Le nuove difficoltà resero l’unione ancora più forte, sembrava che i problemi della vita non potessero neanche scalfire il mondo meraviglioso che si erano costruiti e che per scelta condividevano quasi solo con la loro piccola.
Nel primo pomeriggio di una giornata qualunque lui ricevette una telefonata dalla bambina che, in lacrime, gli chiese di tornare subito a casa.
La trovò che piangeva disperata e, prendendola sulle ginocchia, le chiese di raccontare l’accaduto.
Con il candore dei suoi sette anni raccontò che la mamma spesso andava a fare la spesa lasciandola da sola a casa anche per delle ore e se lei chiedeva di accompagnarla rispondeva che non era possibile, che doveva stare buona e telefonarle solo in caso di grave necessità …
Erano le sette passate quando lei rientrò a casa, bella come sempre, trucco leggero e vestito attillato esaltavano lineamenti e forme, ma l’atteggiamento era cambiato.
In quel preciso momento lui capì.
La favola ebbe fine, problemi e piccoli drammi quotidianamente riempivano la loro vita e la bambina fu costretta a pagare il prezzo delle loro colpe fino a quando non fu allontanata da loro.
Forse questo insieme alla consapevolezza di avere annientato la sua favola più bella la spinsero alla scelta estrema che, almeno per unavolta, fece in silenzio.
Ci vollero anni per recuperare il rapporto con la figlia ma alla fine, dopo sforzi di cui non si sarebbe mai creduto capace, riuscì a riaverla con se e, un po’ per volta, ricostruì quello che credeva irrimediabilmente perduto.
Oggi vivono tranquilli, un simpatico Signore sessantenne eduna bella ragazza di vent’anni che qualcuno talvolta scambia per la sua fidanzata.
Nota dell’autore
La storia insegna e, ripetere errori già commessi, è da stupidi.
Ancor più quando a pagarne le conseguenze sono le persone a noi care.
Ed io so bene, vecchio amico mio, che tu non sei uno stupido.
Quarantenne, reduce da un matrimonio fallito che lo aveva profondamente segnato, un lavoro tutt’altro che sicuro che riusciva a garantirgli improvvise quanto poco durature fasi di “ricchezza” …
Era tardi e faceva un gran caldo; se non fosse stato per il continuo passare delle auto le panchine del giardino a ridosso dei palazzoni sarebbero state un posto perfetto per trascorrere del tempo a sognare.
Valeva comunque la pena di provarci e, accomodatosi su quella più discosta dalla strada, si accese una sigaretta.
Illuminata dai fari delle auto di passaggio vide arrivare una sagoma scura: correva, inciampava, la sua andatura era stranamente innaturale.
La ragazza si rifugiò nel piccolo giardino dove l’ombra degli alberi, nascondendola alla vista dei passanti, le avrebbe garantito un po’ ditranquillità.
Non vide il ragazzo seduto a pochi passi da lei, aprì laborsetta e ne estrasse un telefono che cominciò ad usare quasi con frenesia.
Al terzo o quarto tentativo qualcuno finalmente le rispose e concitatamente, in una lingua strana, raccontò qualcosa.
La conversazione fu breve, evidentemente l’interlocutore tagliò corto lasciando la povera ragazza nello sconfortopiù totale.
Il ragazzo la vide sdraiarsi sulla panchina, sentiva il sommesso singhiozzare e decise di avvicinarsi per capire se potesse in qualche modo esserle di aiuto.
Vedendolo lei trasalì vistosamente e, forse, sarebbe anche scappata se avesse avuto un posto dove andare.
L’aspetto elegante, i modi gentili ed il tono pacato della voce ebbero su di lei l’effetto sperato o forse “di necessità fece virtù”, di certo la diffidenza durò poco e cominciarono a parlare.
L’italiano stentato e la voce ancora rotta dall’emozione rendevano difficile comprendere quello che diceva, ma con pazienza e buona volontà riuscì a capire l’accaduto.
Era quasi l’alba quando le chiese se voleva riposarsi a casa sua e lei, almeno per un attimo, sembrò felice.
La prese sotto braccio e, come due vecchi amici, salirono nell’appartamento.
Disinfettato il piccolo graffio sulla spalla le diede asciugamani puliti ed una tuta da ginnastica e la accompagnò in bagno.
Quando uscì, in tuta, struccata e a piedi nudi sembravaun’altra persona e sorrideva.
Davanti al caffè fumante continuarono la loro conversazione, neanche l’alba che ormai rischiarava la città era riuscita a distrarli, quasi stessero vivendo in un mondo tutto loro.
Come nelle favole più belle la mise a letto, la coprì con il lenzuolo e, accarezzandole i capelli, le chiese di dormire un po’.
Poi tornò in salotto e si sdraiò sul divano; sapeva che non sarebbe riuscito a dormire, cercò un telegiornale, ma le notizie scorrevano e lui non le ascoltava …
Passò poco tempo, lei era sulla porta, nel suo sguardo la muta richiesta di calore umano alla quale lui non seppe dire di no.
Trascorsero ore abbracciati, in silenzio, perché le parole erano ormai inutili.
L’animo nobile gli impedì di approfittare dell’intimità che il fato aveva creato e quando lei disse che il suo corpo era l’unica cosa con cui poteva pagare l’ospitalità e le attenzioni ricevute, si alzò visibilmente contrariato.
“Fai come a casa tua” le disse uscendo, se vai via chiuditi dietro la porta … spero che tu non lo faccia.
Al suo rientro la casa era pulita e in ordine, lei era ancora li, in tuta, intenta a preparare la cena con quel poco che aveva trovato nel frigorifero.
Nonostante le enormi differenze cominciò così, del tutto casualmente, una storia d’AMORE forte, di quell’amore che si nutre delle piccole cose quotidiane, fa palpitare il cuore e in ogni momento e in ogni luogo è in cima ai tuoi pensieri.
La vita della coppia scorreva tranquilla, il rapporto si era consolidato, vivevano felici in un mondo tutto loro e finalmente nacque unabambina.
Ma il lavoro di lui cominciò ad andare male, soldi in casa ne arrivavano sempre meno ed era necessario tirare la cinghia.
Le nuove difficoltà resero l’unione ancora più forte, sembrava che i problemi della vita non potessero neanche scalfire il mondo meraviglioso che si erano costruiti e che per scelta condividevano quasi solo con la loro piccola.
Nel primo pomeriggio di una giornata qualunque lui ricevette una telefonata dalla bambina che, in lacrime, gli chiese di tornare subito a casa.
La trovò che piangeva disperata e, prendendola sulle ginocchia, le chiese di raccontare l’accaduto.
Con il candore dei suoi sette anni raccontò che la mamma spesso andava a fare la spesa lasciandola da sola a casa anche per delle ore e se lei chiedeva di accompagnarla rispondeva che non era possibile, che doveva stare buona e telefonarle solo in caso di grave necessità …
Erano le sette passate quando lei rientrò a casa, bella come sempre, trucco leggero e vestito attillato esaltavano lineamenti e forme, ma l’atteggiamento era cambiato.
In quel preciso momento lui capì.
La favola ebbe fine, problemi e piccoli drammi quotidianamente riempivano la loro vita e la bambina fu costretta a pagare il prezzo delle loro colpe fino a quando non fu allontanata da loro.
Forse questo insieme alla consapevolezza di avere annientato la sua favola più bella la spinsero alla scelta estrema che, almeno per unavolta, fece in silenzio.
Ci vollero anni per recuperare il rapporto con la figlia ma alla fine, dopo sforzi di cui non si sarebbe mai creduto capace, riuscì a riaverla con se e, un po’ per volta, ricostruì quello che credeva irrimediabilmente perduto.
Oggi vivono tranquilli, un simpatico Signore sessantenne eduna bella ragazza di vent’anni che qualcuno talvolta scambia per la sua fidanzata.
Nota dell’autore
La storia insegna e, ripetere errori già commessi, è da stupidi.
Ancor più quando a pagarne le conseguenze sono le persone a noi care.
Ed io so bene, vecchio amico mio, che tu non sei uno stupido.