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CARATTERISTICHE GENERALI
NOME: Anisa
CITTA DELL'INCONTRO: Casalazzara (RM)
ZONA: via Pontina Vecchia presso questo spiazzo.
NAZIONALITA': nigeriana
ETA': +20 -25
SERVIZI OFFERTI (vedi DIZIONARIO): bj, rai1
COMPENSO RICHIESTO: 10'
COMPENSO CONCORDATO: 10'
DURATA DELL'INCONTRO: 30'
DESCRIZIONE FISICA: piccola, esile, grossa bardatura rastafariana in testa e pancino completamente scarificato
ATTITUDINE: gentile e accomodante, profonde molto impegno
LA MIA RECENSIONE:
Erano i giorni del Grande Incendio della Pontina quando, tagliato fuori mio malgrado dal consorzio civile e dalla parte di mondo che mi preme, mi misi a cercare una strada che non fosse la solita per provare a tornarmene a casa.
Di lontano, colonne artificiali bianco-grigie sbracciavano in cielo; di vicino, pattuglie e lampeggianti e cartelli e agenti sbarravano il passo a quanti avrebbero arrischiato volentieri lo scorrimento veloce affianco all'inferno, e pure dentro volendo.
Sonnecchio disperso lungo la Pontina Vecchia – formalmente strada dismessa dall'ANAS – finché non vedo un'auto parcheggiata e una black carina poco distante. Rifaccio il percorso, mi accosto ma non mi convince tanto da tirare il freno a mano.
Riparto ma ci ripenso come i cornuti. Nel mentre riacciuffo la piazzola l'auto ferma è scomparsa ed è apparsa al suo posto la ragazza che era occupata a farsi chiavare. Colgo l'occasione in un attimo perché mi piace e mi colpisce.
Giovane, piccola di statura e smilza di corporatura, ha una capigliatura rastafariana tricolore artificiale annodata in testa e ricadente fino alle spalle; indossa dei sandaletti, dei jeans lunghi col risvolto e una canottiera nera semitrasparente aperta sul ventre.
Proprio sul ventre mostra una scarificazione che così ampia non l'avevo mai vista. Cicatrici a forma di rombi orizzontali e occhielli le occupano tutta la pancia dai seni all'inguine, da fianco a fianco. Lo spettacolo è impressionante.
Se non fosse per le scarifiazioni, non sembrerebbe affatto provenire dalla Nigeria (come tuttavia mi ha poi confermato) ma dall'Etiopia o dall'Abissinia, non solo per il cespuglione rasta, per le unghie dei piedi pittate in alternanza di verde e di rosso, per l'abbigliamento piuttosto inconsueto per una stradale ma soprattutto per via del colorito chiaro, cappuccino, e per le fattezze del volto e della testa, una testolina tonda, un visetto che nulla ha dell'Africa Nera e Nerissima. Chissà a quale particolare etnia appartiene, chissà quale tribù taglia a brandelli le proprie figlie, chissà cosa vogliono significare quelle geometrie di carne, quegli astrattismi di dolore e sangue.
Anisa mi precede veloce scendendo a balzoni nel vallone alle sue spalle. Una lunga scalinata irregolare serpeggia verso il basso, fatta di conci di mattoni ognuno dei quali tenuto in posizione da una coppia di pali di legno: un'opera d'ingegneria spontanea e di necessità niente affatto scontata ed anzi ragguardevole per la pochezza di mezzi a disposizione e per l'impegno che deve aver richiesto.
Sul fondo, Anisa già rassetta la sua capannuccia: quattro montanti in legno uniti da altrettante travi orizzontali, circondati da due lati da un telo frangisole verde per ostacolare la vista di chi si affacci dall'alto o di chi s'intrattenga col la collega poco distante, steso anche in alto come copertura dalle foglie o dalle zozzerie varie (vegetali e animali) cadenti dai rami.
L'arredo conta un tappeto ed un mobile rettangolare su cui sono disposti due grossi cuscini quadrati ed uno stipo per borsa, preservativi e fazzoletti umidi e secchi. Mi accorgo di dilungarmi sempre troppo nella descrizione di come sono di volta in volta accomodate le location delle stradali appiedate ma queste rivestono ai miei occhi un fascino particolare: somigliano un po' all'abitazione di un moderno Robinson Crusoe che, suo malgrado escluso dalla civiltà, raccoglie e riadatta quanto la civiltà ha gettato in mare (e il mare, in questo caso, è la campagna usata a mo' di discarica e il ciglio della strada la battigia dove gli scarti si accumulano); sembrano anche dei rifugi di fortuna di qualche fortunato (o sfortunato a seconda di come si voglia leggere la situazione) sopravvissuto ad un disastro apocalittico che, un po' per nostalgia ed un po' per inerzia, cerchi di riproporre senza riuscirci appieno quanto gli era abituale vedersi attorno. Insomma, questi angoletti di bosco con fattezze di stanze pitocche hanno ai miei occhi un che di tenero e commovente.
Mi copre di verde-menta e succhia che è un sollucchero quando ancora me ne sto in piedi, mussolinianamente piantato petto in fuori e mani sui fianchi, sguardo a rimirar d'intorno finché non calo il muso a guardare il lavoretto. Perché a guardare la ragazzetta accucciata sotto di me c'è senz'altro più gusto. Ma più gusto ancora c'è nello stare comodi.
Mi siedo gambe penzoloni, saggio la tenuta dei cuscini e mi stravacco di schiena ed Anisa, che ha seguito i miei movimenti senza staccare la bocca, è sempre lì a ciucciare profonda. Le accarezzo le gote dalla piega delle labbra all'attaccatura dell'acconciatura elaborata, stimo le dimensioni della sua bocca, mi lascio sciabordare dai cambi di ritmo e dal pescaggio che ho nella sua gola.
Succhia, succhia, succhia, per dieci minuti mi godo spaparanzato le sue labbrucce. Dieci minuti sono tanti per una stradale. Dieci minuti sono tantissimi per una nigeriana. Mi rialzo sui gomiti ma Anisa non si distoglie da lì. Agito un poco il bacino a destra e a sinistra come se sprimicciassi il cuscino e Anisa tuttavia non coglie. Le tocco il culo e mi alzo e continua a ciucciare spostandosi in sintonia con me.
Ho come l'impressione che voglia farmi venire di bocca o – il che fa lo stesso – che non voglia proprio scopare. Delicatamente le scosto le spalle e capisce che la copula non può essere procrastinata oltre. Mi appropinquo per la pecoreccia come d'uso presso la maggior parte delle sue colleghe (che sembrano stimarla quasi l'unica posizione esistente) ma con un cenno mi blocca.
Stende la schiena sui cuscini, alza le gambe al cielo a 90° e – avvicinatomi – con un altro cenno mi fa intendere di aspettare. Si sputa sulle dita, si friziona le parti basse e mi dà il via libera. Con calma però e con delicatezza, mi fa capire. Ha due labbra inferiori grosse come panetti, tumide, enfie, coi peli radi e cespugliosi. Ha proprio delle labbrone sproporzionate alla sua figura esile ed hanno il loro porco perché.
La penetrazione è difficoltosa, benché condotta a rilento. Le tengo le caviglie su una mia spalla e tento a gambe unite; le divarico le gambe, caviglie una per spalla e poi sui fianchi, ma il risultato non migliora. Spostatasi su un fianco, provo anche in quel modo ma le scappa qualche smorfia che non dev'essere stata di piacere. Da retro, pancia sul morbido, il risultato non migliora.
Più di una volta sono stato lì lì per desistere. Più di una volta Anisa mi ha riacciuffato e s'è rimessa il mio cazzo in punta di fica per tentare maggior fortuna. Alla fine, dopo una mezz'ora spartita equamente fra bocchino e mimica di una scopata, rinuncio alle sue grazie e mi accomiato chiedendomi a quale altra pratica possa essere stata sottoposta in gioventù.
NOME: Anisa
CITTA DELL'INCONTRO: Casalazzara (RM)
ZONA: via Pontina Vecchia presso questo spiazzo.
NAZIONALITA': nigeriana
ETA': +20 -25
SERVIZI OFFERTI (vedi DIZIONARIO): bj, rai1
COMPENSO RICHIESTO: 10'
COMPENSO CONCORDATO: 10'
DURATA DELL'INCONTRO: 30'
DESCRIZIONE FISICA: piccola, esile, grossa bardatura rastafariana in testa e pancino completamente scarificato
ATTITUDINE: gentile e accomodante, profonde molto impegno
LA MIA RECENSIONE:
Erano i giorni del Grande Incendio della Pontina quando, tagliato fuori mio malgrado dal consorzio civile e dalla parte di mondo che mi preme, mi misi a cercare una strada che non fosse la solita per provare a tornarmene a casa.
Di lontano, colonne artificiali bianco-grigie sbracciavano in cielo; di vicino, pattuglie e lampeggianti e cartelli e agenti sbarravano il passo a quanti avrebbero arrischiato volentieri lo scorrimento veloce affianco all'inferno, e pure dentro volendo.
Sonnecchio disperso lungo la Pontina Vecchia – formalmente strada dismessa dall'ANAS – finché non vedo un'auto parcheggiata e una black carina poco distante. Rifaccio il percorso, mi accosto ma non mi convince tanto da tirare il freno a mano.
Riparto ma ci ripenso come i cornuti. Nel mentre riacciuffo la piazzola l'auto ferma è scomparsa ed è apparsa al suo posto la ragazza che era occupata a farsi chiavare. Colgo l'occasione in un attimo perché mi piace e mi colpisce.
Giovane, piccola di statura e smilza di corporatura, ha una capigliatura rastafariana tricolore artificiale annodata in testa e ricadente fino alle spalle; indossa dei sandaletti, dei jeans lunghi col risvolto e una canottiera nera semitrasparente aperta sul ventre.
Proprio sul ventre mostra una scarificazione che così ampia non l'avevo mai vista. Cicatrici a forma di rombi orizzontali e occhielli le occupano tutta la pancia dai seni all'inguine, da fianco a fianco. Lo spettacolo è impressionante.
Se non fosse per le scarifiazioni, non sembrerebbe affatto provenire dalla Nigeria (come tuttavia mi ha poi confermato) ma dall'Etiopia o dall'Abissinia, non solo per il cespuglione rasta, per le unghie dei piedi pittate in alternanza di verde e di rosso, per l'abbigliamento piuttosto inconsueto per una stradale ma soprattutto per via del colorito chiaro, cappuccino, e per le fattezze del volto e della testa, una testolina tonda, un visetto che nulla ha dell'Africa Nera e Nerissima. Chissà a quale particolare etnia appartiene, chissà quale tribù taglia a brandelli le proprie figlie, chissà cosa vogliono significare quelle geometrie di carne, quegli astrattismi di dolore e sangue.
Anisa mi precede veloce scendendo a balzoni nel vallone alle sue spalle. Una lunga scalinata irregolare serpeggia verso il basso, fatta di conci di mattoni ognuno dei quali tenuto in posizione da una coppia di pali di legno: un'opera d'ingegneria spontanea e di necessità niente affatto scontata ed anzi ragguardevole per la pochezza di mezzi a disposizione e per l'impegno che deve aver richiesto.
Sul fondo, Anisa già rassetta la sua capannuccia: quattro montanti in legno uniti da altrettante travi orizzontali, circondati da due lati da un telo frangisole verde per ostacolare la vista di chi si affacci dall'alto o di chi s'intrattenga col la collega poco distante, steso anche in alto come copertura dalle foglie o dalle zozzerie varie (vegetali e animali) cadenti dai rami.
L'arredo conta un tappeto ed un mobile rettangolare su cui sono disposti due grossi cuscini quadrati ed uno stipo per borsa, preservativi e fazzoletti umidi e secchi. Mi accorgo di dilungarmi sempre troppo nella descrizione di come sono di volta in volta accomodate le location delle stradali appiedate ma queste rivestono ai miei occhi un fascino particolare: somigliano un po' all'abitazione di un moderno Robinson Crusoe che, suo malgrado escluso dalla civiltà, raccoglie e riadatta quanto la civiltà ha gettato in mare (e il mare, in questo caso, è la campagna usata a mo' di discarica e il ciglio della strada la battigia dove gli scarti si accumulano); sembrano anche dei rifugi di fortuna di qualche fortunato (o sfortunato a seconda di come si voglia leggere la situazione) sopravvissuto ad un disastro apocalittico che, un po' per nostalgia ed un po' per inerzia, cerchi di riproporre senza riuscirci appieno quanto gli era abituale vedersi attorno. Insomma, questi angoletti di bosco con fattezze di stanze pitocche hanno ai miei occhi un che di tenero e commovente.
Mi copre di verde-menta e succhia che è un sollucchero quando ancora me ne sto in piedi, mussolinianamente piantato petto in fuori e mani sui fianchi, sguardo a rimirar d'intorno finché non calo il muso a guardare il lavoretto. Perché a guardare la ragazzetta accucciata sotto di me c'è senz'altro più gusto. Ma più gusto ancora c'è nello stare comodi.
Mi siedo gambe penzoloni, saggio la tenuta dei cuscini e mi stravacco di schiena ed Anisa, che ha seguito i miei movimenti senza staccare la bocca, è sempre lì a ciucciare profonda. Le accarezzo le gote dalla piega delle labbra all'attaccatura dell'acconciatura elaborata, stimo le dimensioni della sua bocca, mi lascio sciabordare dai cambi di ritmo e dal pescaggio che ho nella sua gola.
Succhia, succhia, succhia, per dieci minuti mi godo spaparanzato le sue labbrucce. Dieci minuti sono tanti per una stradale. Dieci minuti sono tantissimi per una nigeriana. Mi rialzo sui gomiti ma Anisa non si distoglie da lì. Agito un poco il bacino a destra e a sinistra come se sprimicciassi il cuscino e Anisa tuttavia non coglie. Le tocco il culo e mi alzo e continua a ciucciare spostandosi in sintonia con me.
Ho come l'impressione che voglia farmi venire di bocca o – il che fa lo stesso – che non voglia proprio scopare. Delicatamente le scosto le spalle e capisce che la copula non può essere procrastinata oltre. Mi appropinquo per la pecoreccia come d'uso presso la maggior parte delle sue colleghe (che sembrano stimarla quasi l'unica posizione esistente) ma con un cenno mi blocca.
Stende la schiena sui cuscini, alza le gambe al cielo a 90° e – avvicinatomi – con un altro cenno mi fa intendere di aspettare. Si sputa sulle dita, si friziona le parti basse e mi dà il via libera. Con calma però e con delicatezza, mi fa capire. Ha due labbra inferiori grosse come panetti, tumide, enfie, coi peli radi e cespugliosi. Ha proprio delle labbrone sproporzionate alla sua figura esile ed hanno il loro porco perché.
La penetrazione è difficoltosa, benché condotta a rilento. Le tengo le caviglie su una mia spalla e tento a gambe unite; le divarico le gambe, caviglie una per spalla e poi sui fianchi, ma il risultato non migliora. Spostatasi su un fianco, provo anche in quel modo ma le scappa qualche smorfia che non dev'essere stata di piacere. Da retro, pancia sul morbido, il risultato non migliora.
Più di una volta sono stato lì lì per desistere. Più di una volta Anisa mi ha riacciuffato e s'è rimessa il mio cazzo in punta di fica per tentare maggior fortuna. Alla fine, dopo una mezz'ora spartita equamente fra bocchino e mimica di una scopata, rinuncio alle sue grazie e mi accomiato chiedendomi a quale altra pratica possa essere stata sottoposta in gioventù.