CARO DIARIO

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fucus ha scritto:
allora DM,
a napoli stiamo aspettando!

Cazz... proprio su Napoli sono un po' in difficoltà. Non avevo scritto molto real-time e i pochi ricordi sono piuttosto sbiaditi. Del resto, l'offerta della città a livello loft, almeno all'epoca, non era questo granchè. Comunque, cercherò di rimediare alla falla, ma ci tengo a dire che parlerò di frequentazioni abbastanza datate (2000/2001), oggi ovviamente irreperibili.

ciao
DM67
 
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- CONTINUA -

UNA CITTA’ PER CHIAVARE/4: NAPOLI
Napoli divenne il centro delle mie attività professionali tra il ‘99 e il 2000. L’offerta di sesso a pagamento, almeno quella trasparente a livello di case d’appuntamento, era condensata in una mezza pagina del Mattino, che compravo in una stazione di servizio ogni qual volta mi recavo nella capitale del sud per lavoro. Non era una grande offerta quella napoletana e me ne resi conto infilando un’incredibile sequenza di barrique di diametro generoso, provenienza perlopiù Venezuela, fra l’altro avverse al sesso anale, mia croce e delizia da sempre. Non mi scoraggiai, mi svuotai in tutti i fusti in rovere che passava il convento a 100 mila lire e continuai a cercare l’annuncio giusto.
Rassegnato ad abbassare l’asticella - ma quante barrique avrei dovuto ancora chiavare? - ogni volta che superavo la soglia di una casa d’appuntamento all’Arenella o ad Agnano, attendevo con disincanto che dietro la porta si materializzasse l’ennesima taglia forte. Per questo quando comparve Liliana, cubana, mulatinha, bassina ma ben proporzionata, analmente agnostica, mi sembrò quasi un miracolo. Liliana, poco meno che trentenne, sia per la carenza di concorrenza, sia per alcune sue caratteristiche di cui dirò tra poco, per lungo tempo fu una mia fissazione, rivelandosi infine un altro dei tanti riti iniziatici verso la completezza sessuale.
Ricordo nitidamente gli schiamazzi chiocci e le grasse risate con cui rispondeva ai miei goffi tentativi di avere ragione del suo culo, un culo rigoglioso che la stronza protendeva all’infuori in maniera provocatoria, ma che in realtà raramente aveva dischiuso agli estranei. L’impressione che mi avesse solo attirato nella sua rete, con la promessa di sodomia facile, si fece presto strada nella mia mente.
Sta figlia e ‘ndrocchia ci metteva un secondo a mettersi a novanta, e non appena mi sentiva armeggiare come un maldestro scassinatore dietro di lei se ne usciva: “… Hahahhaha…aahhhh … amor, deve ancora crescere … ” cose così, e poi giù con: …hahahhaha…. Infine, con gesti misurati mi accompagnava verso la fica. Passavo alla cassa, uscivo da quella casa e rimanevo a baloccarmi con l’umiliante sensazione che per quanto lei fosse disponibile, ero io a non essere capace di farmi il suo culo. Così, inculare Liliana divenne un punto d’onore.
Ogni settimana, per 5-6 volte feci ritorno nella sua casa di S. Maria del Pianto, senza ottenere quello che bramavo. Davanti a quel culo nero, sodo come solo un culo nero sa essere, tutto proteso verso di me, non sapevo esattamente che cosa fare. Sapevo solo che senza un aiutino da parte sua non avrei mai azzeccato l’entrata, che in tutto quel nero si mimetizzava. Poi un pomeriggio, non so se Liliana si impietosì e decise di venirmi incontro o se ebbi fortuna o che altro, ma riuscii a forzare quello scrigno scuro. Fu un attimo, avvertii una stretta insolita sul glande, quasi un morso, per niente piacevole, Liliana smise di ridere e cominciò ad ansimare in maniera ritmata. Appena mi resi conto di che cosa era successo, che non ero scivolato nella fica come al solito, andai in confusione e me ne venni. Ma ormai avevo capito, avevo capito che dovevo abbassare il mirino di un paio di gradi zenitali. La settimana successiva feci strame del culo di Liliana, incurante della sua voce chioccia e dei suoi commenti da bagascia: “ … Ehhh! Ma come sei diventato cattivo, mio amor…. Proprio cattivo uuuhhh…” E intanto: “Uff.. uff…”. Andò avanti da gennaio a maggio. Poi Liliana scomparve, sostituita da una barrique in noce, manco a dirlo: venezuelana.
Ripresi la mia ricerca, imbattendomi quasi subito in Claudia, stangona argentina poco più che trentenne, faccia quasi inguardabile, ma, come spesso accade, grandissimo, morbidissimo deretano (deve essere una regola del meretricio: se hai il culo grosso, ti appioppano il nome Claudia). Quando la conobbi, operava in un ufficio al Centro Direzionale, di fianco a ditte di import/export, informatica, ecc. La cosa era davvero comoda: parcheggio e anonimato garantiti. Qualche mese più tardi Claudia si spostò in Corso Malta, location al piano terra di una palazzina elegante, molto esposta ai commenti del vicinato.
Se Liliana era analmente agnostica Claudia era analmente terrorizzata. Mi ci volle qualche mese di frequentazione e 200 mila lire per convincerla a girarmi le spalle. La ricordo con tenerezza, prona sul letto, come una bambina in attesa dell’infermiere per l’iniezione. Il patto era che non appena il dolore per lei fosse diventato insopportabile io avrei desistito e non glielo avrei più chiesto di fare quella “cosa brutta”. Consapevole di giocarmi tutto in una puntata sola, la preparai a lungo, banchettando tra le sue natiche pasciute. L’orifizio apparve subito morbido e trattabile al contatto con la lingua, tanto da farmi dubitare che fosse tutta una recita per alzare la posta. Forse lo era, ma ovviamente abbozzai e stetti al gioco. A gesti guidai le mani di Claudia a tener esposta l’ampolla anale e con dolcezza espropriai un pezzetto della sua intimità più segreta. Non riuscii a penetrare in profondità, ma fu ugualmente una esperienza molto appagante. Mentre io intingevo il biscotto lei mi sussurrò commenti lusinghieri: “… Bravo amor, come sei bravo… come sei bravo tuuuu … uuahh”, che mi fecero sentire pioniere sulle vie del culo.
Vinta la scommessa, introdurmi nelle generose chiappe di Claudia, sempre con perizia, mai selvaggiamente, divenne una costante che accompagnò quasi tutti i miei viaggi di andata e ritorno napoletani. Momenti indimenticabili, che con la loro fasulla autenticità scolpirono un pezzo importante del mio itinerario di puttaniere. Fra l'altro, di gran lunga la mia preferita nell’avaro scenario partenopeo, Claudia, l’argentina di Corso Malta, rimane l’unica puttana di cui mi sia realmente innamorato un pochino e che mi sarebbe piaciuto frequentare al di fuori del suo luogo di lavoro. L’ultima volta che l’ho incontrata è stato, credo, a fine 2003.
Gli incontri con Claudia furono intercalati di tanto in tanto con altri incontri, ovviamente, che lei mi rinfacciava con fare indagatore quando una settimana non mi vedeva: “Con chi mi ha tradito il mio amor questa volta?”. In particolare trovai una valida alternativa in Raissa, spagnola di San Sebastian, paesi baschi. Un po’ più avanti con l’età, ma tutt’altro che fisicamente disfatta, Raissa si rivelò da subito una mignotta molto abile con la bocca, punto debole di Claudia. Quando mi veniva lo schiribizzo di un bocchino ben eseguito, deviavo per Via Nuova Poggioreale, dove Raissa per un annetto esercitò in un semi-interrato, ingresso indipendente con porta in ferro.
I bocchini di Raissa, portati fino in fondo con irruenza, inginocchiata per terra o seduta sul letto, esercitarono una forza attrattiva che non poche volte ebbe la meglio sul desiderio di trivellare il culone di Claudia. Raissa aveva poi un’altra singolarità che la rendeva irresistibile a miei occhi: non si presentava e non sbocchinava mai completamente nuda. Alle scarpe col tacco alto da flamengo, costante fissa ai suoi piedi, accompagnava a volte collant e giarrettiere, a volte minigonne in jeans, a volte corpetti di pizzo scadente. Aveva insomma sempre quel tocco da battona trasandata, anche se pulitissima e profumatissima, che, unito alla semi-oscurità e alla fatiscenza dell’ambientino di lavoro, dava alla visita le aspettative e le emozioni di una discesa lampo agli inferi terreni, che per l’antropologo innato e incosciente che era in me all’epoca, non aveva prezzo.
Nonostante ciò, il rapporto con Raissa non decollò mai del tutto. Per quanto fosse capace con la bocca, Raissa aveva nell'inabilità anale un fattore fortemente limitante. Non per mancanza di disponibilità, anzi, Raissa a suo modo mi concesse più volte di esplorare il suo bel mandolino, piccolo e turgido come quello di una top model. Il problema era un altro.
Ci sono culi che nascondono valli sfinteriche sconfinate, rosate o scure, che con solchi a curva ampia finiscono nel punto di minimo depressionario. Ci sono culi, anche bellissimi da fuori, che quando li apri non nascondono nulla. La valle sfinterica è quasi inesistente, forse ricurva all’interno. Sono culi che sembrano sforacchiati alla meno peggio dal chirurgo. Il culo di Raissa era mandolino di tal fatta, privo di conca anale, un pertugio di dimensioni ridottissime, senza forma, di impressionante rigidezza, una porta chiusa a doppia mandata. Inutile provare a bussare. Per questo motivo, appagata la frenesia di un bocchino con scarico nell'esofago, non la cercai più di tanto, preferendole Claudia, per sempre Claudia.
 
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DIARIO CHIAVOLOGICO 2004: GIORNATE ROMANE


Tiffany
Domenica, si sa, non è semplicissimo arrangiare una loft di livello. Facile prevedere che le uniche a rispondere siano dei veri cessi. Meno facile prevedere che questi cessi avanzino anche delle richieste assurde. Non solo cessi, anche presuntuose. E’ il caso del cesso che vado a trovare in largo Orazi e Curazi, zona Appia: venezuelana, età indefinibile ma certamente sugli –anta, lineamenti molto forti, smagliature dappertutto, un pettorale esagerato sostenuto con qualche impalcatura invisibile nel reggiseno. Entro e subito avverto una sensazione di repellenza epidermica per la tipa in questione che, quando le chiedo il servizio completo, mi fa: “100 normale, 300 completo” (!). Giro i tacchi e vado via, tutto contento per lo scampato pericolo. Se mi avesse chiesto 150 cucuzze magari ora sarei qui a fare la mappatura delle smagliature e della cellulite. E invece la sorte, che fino ad allora mi aveva un po’ perseguitato, cambia idea e decide che quella domenica mi meritavo una gran bella scopata. Richiamo il numero di tale Pamela, che fino ad due ore prima non dava segni di vita e…concordo un appuntamento per le 8.00 p.m.
Colmo di emozione mi reco al civico indicatomi di E. Filiberto, salgo ed intravedo una porta socchiusa che mi attende. Entro e in un microsecondo butto occhiate dappertutto … L’ambiente è carino, la tipa che mi cammina davanti lungo il corridoio è davvero una figa esagerata, alta e carrozzata davanti e dietro, ma….non è Pamela! Si chiama Tiffany, avrà sì e no vent’anni, è mora, la pelle è ambrata ma non troppo, porta l’apparecchio ai denti e mi sorride con uno sguardo furbetto: “100 per una cosa normale, con calma, bla, bla…”. La interrompo. Quello che voglio sapere è altro:“Anale? Lo fai?”. “No, anale non faccio, perché sono vergine”. Non so perché, mentre la tipa ridacchia, con tutto quel bendiddio davanti riesco a dire: “Ok, allora fa niente, sarà per la prossima volta” e faccio per andarmene. La tipa rimane sorpresa: “Aspetta, forse per…400, sono vergine, ma…forse…”. E io: “Ok fa niente, se non lo fai…”. “Dai facciamo una cosa normale…guarda che bello seno, che belle gambe…bla…bla...” “No, senti….sei bellissima, ma io…”. Quando voglio so imputarmi.“Ok aspetta, forse mia amica di là…quanto puoi fare” “Mah, 150, massimo 200, dipende, vediamo questa tua amica…”.

Tiffany ritorna dopo qualche minuto ma con cattive notizie. Pare che nessuno voglia prenderlo nel culo in quell’appartamento. Rassegnato, faccio per andare via quando vengo trattenuto per il braccio dalla topa esagerata con l’apparecchio: “Aspetta…per 200, posso provare io…”. La cosa mi puzza, mi metto subito sulla difensiva: “No senti, se sei vergine, non è il caso…”. “Sono QUASI vergine…” sottolinea lei. Mi pareva strano che una topa brasiliana di queste fattezze non l’avesse mai…Rinsavisco: “Sei sicura? Non è che poi, ti fai male e….”. “Sissì…è che lo faccio raramente, sai, solo con il mio ragazzo…due o tre volte all’anno…fammi vedere tuo cazzo, prima”. Tiro fuori il belino, che stupido non è, e fa di tutto per ripiegare su sé stesso. “Uhm…non è piccolo, ma….ok, vediamo…fai piano, ti prego”. Gli ululati di gioia dell’amico là sotto sono tali mi sembra di essere all’Olimpico. “Non ti preoccupare, non sono un novellino…”. “Non sei che cosa? Un…?”. “Niente, abbi fede”.

Sono tanto euforico che non me la sento di chiedere anche un bj cabrio e iniziano le danze. Me la ripasso tutta con la lingua per una buona mezz’ora, prima di cominciare a scoparla. La sua pelle è di miele, le sue tette clamorose (c’è sicuramente l’intervento del chirurgo, ma sembrano autentiche) il daty è stato ottimo e abbondante, con le mie mani piantate sotto le sue chiappone e lei a schiena inarcata, a rendermi più comodo il pasto. Grondante di umori, insiste per rendermi il favore e così, mentre mi spompina a tutta gola, constato con le dita che l’ingresso posteriore è effettivamente poco predisposto all’uso. Dopo un paio di posizioni convenzionali, durante le quali ho modo di apprezzare l’ospitalità della sua bella figa umida, penso che è stata già una esperienza che è valsa la spesa, ma pregusto il momento clou.

Orbene, nella mia modesta esperienza di analizzatore, mi sono sempre cimentato con deretani più o meno aperti, più o meno stretti, ma sempre resi agevoli da un uso frequente. Mai mi era capitato di dovermi cimentare in una deflorazione (o QUASI). Il timore principale era quello che sarei stato costretto mio malgrado a lasciare il lavoro a metà, rinunciando a inzuppare tutto il biscottino. Quando ancora presagivo tutto ciò, mi sono ritrovato piantato saldamente fra le inospitali ma superbe chiappe della tipa, con lei ansimante di sincero terrore. Dopo qualche secondo di fiera resistenza per difendere le posizioni guadagnate, sono sprofondato dentro, toccando il paradiso con un dito. Non saprei descrivervi le sensazioni che ho provato nello stringere per i fianchi questo meraviglioso esemplare di femmina paulista e nel sapere che il suo battito cardiaco e il ritmo intermittente del suo respiro dipendevano dalle mie oscillazioni dietro di lei. Sono stati pochi minuti, perché in un passaggio così stretto e avvolgente e difficile trattenersi, ma rimarranno credo per sempre scolpiti nella mia memoria.

E solo alla memoria mi potrò affidare per il futuro (sigh), perché non credo che potrò ripetere. Tiffany da lunedì ritorna nella sua vera sede di lavoro: Viterbo!! Anche per questo, a cose fatte, mi viene presentata Angelica, la ragazza che probabilmente prima ha rifiutato di essere sodomizzata. E’ biondina, denti sporgenti ma senza apparecchio, un pettorale alla seconda, poco attraente in definitiva (ma penso che dopo Tiffany molte fanciulle mi appariranno poco interessanti d’ora innnanzi). Angelica mi dice che lì in quell’appartamento potrò trovare anche Pamela, che in quel momento è assente (e sostituita da Tiffany). Insomma, per chiudere, mi è andata davvero di lusso: ho evitato un cesso venezuelano, ho schivato una stronzetta brasiliana, ho scopato e analizzato un esemplare unico di brasilera pelle di miele. Lei mi ha congedato dicendomi che ero stato davvero fortunato ad avere il suo culo, visto che non lo dà via mai (o QUASI). Io le ho risposto che incuneandomi tra le sue natiche callipigie avevo spianato la strada che la porterà ad uno straordinario successo in quel lavoro.

KELLY
Nella seconda delle mie giornate romane mi aggiro già attorno alle undici di mattina dalle parti di via Principe U. Obiettivo: Olga, la loft russa con annuncio sul giornale, non raggiungibile al telefono se non attraverso il suo invitante messaggio in segreteria: “Ciao, sono Olga, sono di Russia..bla..bla...”. Provo a citofonare ma non ricevo risposta. Capisco dopo qualche sguardo in giro che un certo numero di distinti signori è fermo in attesa sui marciapiedi che costeggiano il viale, chi più sotto,chi più sopra, chi col giornale sportivo e chi senza. Insomma ci sta la fila come dal medico, dalle prime ore del mattino. Decido che non fa per me e anche se a malincuore rinuncio alla mia ricetta. Eppoi preferisco gli specialisti ai medici generici, anche se costano un po’ di piu’. Mi attacco al telefono, sempre annunci dal quotidiano della capitale. Provo quello di una sedicente studentessa 23enne, completissima, che riceve in zona Manzoni, ingresso indipendente. Mi risponde una ragazza brasiliana (tanto per cambiare) che parla un perfetto italiano: “Magari è davvero una studentessa 23enne” penso. E’ una bellissima giornata di sole, imbocco a piedi viale Manzoni e vado alla ricerca di questo ingresso indipendente. Effettivamente l’ingresso è molto indipendente e comodo: classico scantinato di elegante fabbricato con tanto di cancellate, ma non bisogna attraversare cortili o percorrere chilometri senza radar, basta scendere qualche gradino direttamente da Viale Manzoni e si arriva a destinazione. La ragazza si presenta come Kelly, ma i 23 li ha passati da un pezzo. Trattasi di donna sessualmente matura, con due grosse sise ballonzolanti. Da sotto il baby doll con cui mi riceve intravedo un grasso culo e un vitino non proprio da vespa. Insomma , è una che davanti a un piatto di pasta non si fa pregare e che non entra in una palestra da anni. Tuttavia il risultato complessivo, anche grazie all'altezza, non è disdicevole, anzi... trasuda una certa sensualità da tanta smisurata opulenza. Per il servizio completissimo dell’annuncio sul giornale mi chiede 150 caramelline, ma non vuole sentir parlare di bbj. In altre occasioni avrei insistito ma stavolta mi lascio convincere: i modi di fare della tipa mi appaiono forieri di una sessione tranquilla e disinvolta. E così è stato. Daty prolungato e bagnato, bj in relax fino alle tonsille, anal agevole e profondo. Concludo con lei distesa sulla pancia e a culo per aria: penetrazione molto gratificante. Unica nota stonata: il suo cellulare che non cessa di vibrare e di bippare. Forse avrei fatto bene a chiederle di spegnerlo.

EVA
La tripletta romana si conclude nel pomeriggio. Sono atteso da Eva alias Ionella Dantes, ungherese, 22 anni, promettente stella del porno italiano. Sarà anche promettente ma a me dà la netta impressione di saperci fare ancora poco con il cazzo. Non è la divoratrice di uomini che ti aspetteresti e anzi è verosimile che il suo produttore le abbia suggerito di fare qualche marchetta per fare esperienza, oltre che per arrotondare. Nelle solite chiacchiere di avvio mi dice di aver fatto diversi mestieri e di essere infine approdata al mestiere più antico del mondo. Il suoi occhi bassi mentre lo dice mi attizzano più dell’idea di trombare una futura pornodiva. E’ quella che si dice una bella presenza, Ionella: lineamenti regolari, un bel paio di chiappe marmoreee, seni perfetti a coppa di champagne, una pelle turgida e bianca, appena venata da smagliature sui fianchi, un po’ grossolane le gambe, ma l’altezza c’è e contribuisce ad ammorbidire questo piccolo difetto. Come intrattenitrice sessuale, se non si pretende partecipazione e trasporto, non è neanche malvagia, tutto sommato. Per antipasto: blank bj ben fatto. Per primo: 69 con ricco assaggio di umori acri prodotti dal suo sfintere ampio e scurissimo - fra l’altro mi è parso che preferisse la lingua a trivella nel culo piuttosto che le slinguazzate sul clitoride, quindi mi sono servito senza indugio alcuno, tenendo saldamente spalancate le sue belle natiche di marmo - Per finire: anal profondo, guadagnato centimetro per centimetro, perché quello di Eva non è solo un bel culo ma anche un culo in cui non si sprofonda al primo colpo – e questo conforta la mia ipotesi sulla scarsa longevità della sua affiliazione all’universo delle benefattrici sessuali.
 
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MAMMA LE BULGARE!

Ci fu un periodo tra il 2003 e il 2004 in cui in due traverse di Corso Buenos Aires fu molto attiva una pattuglia di giovani bulgare disposte davvero a tutto. Le due location erano piuttosto squallide: bilocali sudici e incasinati come raramente mi è capitato di vedere, le tariffe non erano proprio popolari, ma in quel periodo l’ingoio alla bulgara divenne famoso e dibattuto tra internauti: Judith, biondina, snella, molto carina, e Sani, mora, formosa, non bellissima, tennero banco con un servizio davvero completo e audace.
Judith la visitai solo una volta, nonostante fosse più vistosa della collega e anche più capace nell’ingoio. Motivo: la sua scarsa propensione all’anal, non in senso fisico, quanto come atteggiamento mentale. Percepii subito un’energia negativa, un’ostilità ottusamente frapposta tra me e quelle chiappette golose. Ne ebbi ragione solo con dosi massicce di baby oil, non provai quasi nulla e lei soffrì terribilmente. Cancellata.
Con Sani, invece, mi fissai. Divenne per me tappa obbligata ogni volta che andavo in trasferta a Milano, non perché fosse particolarmente predisposta al B-side use, al contrario perché questa ragazza della porta accanto, 1 e 60 scarsi, visino simpatico, tettine piccole, fianchi che da vestita non avresti mai immaginato, consapevole di non avere molte altre frecce, concedeva il suo bel culone in modo così impacciato da rappresentare una sfida sempre diversa e una miniera di sensazioni: non riuscivo mai a saziarmene. Quel culo avvolgente e indomito, che diventava docile dopo pazienti tentativi di scasso, tornava a sturbare i miei pensieri già il giorno dopo esserci stato dentro e averne goduto. Un paio di volte l’inquietudine raggiunse livelli tali che dovetti organizzare trasferte pretestuose per ritornare rapidamente a trovare pace tra le sue natiche.
Quando il suo annuncio scomparve da tutti i siti a stento assorbii il colpo e mi sembrò di non riuscire a rimpiazzarla. Insomma, una fissazione, da cui uscii definitivamente grazie al deludente incontro che ebbi al suo ritorno su piazza: era l’ottobre del 2005. Ecco gli appunti di viaggio dell’epoca.

SANI
E’ stata una tornata di bighellonaggio puttanesco piuttosto sfortunata: neanche un’inculata seria, di quelle che entri ed esci come vuoi, facendo scorrere l’attrezzo dalla punta alle base. Cosicché quando ho rivisto l’annuncio di Sani (nel frattempo divenuta Radi) trasecolo, felice. Telefono e in mezz’ora mi fiondo nel suo bugigattolo al primo piano. Mi ritrovo davanti una vamp, dimagrita, capelli meshati e riccioluti, quasi irriconoscibile. Per due secondi squilla un campanello d’allarme: il cambiamento di look presagisce anche un cambiamento d’indole? Faccio finta di non sentire. Imbambolato dalla prospettiva di rientrare in possesso di quel giocattolo, vado avanti.
Tre minuti di trattativa e la sessione comincia a snodarsi, ma non posso fare a meno di annotare che la sua tecnica pompinaria è peggiorata. Saranno le meshes? A un certo punto, per farle capire che è la bocca che deve lavorare, mi vedo costretto a bloccare la sua manina sul letto. Va meglio, ma siamo lontani da una bella pompa. Comincio a pensare che forse il ricordo che conservavo di lei era esageratamente generoso. Passiamo al 69. Linguo-scandaglio in profondità quello che da lì a poco sarà il mio focus. Niente da dire, questo me lo ricordavo bene: ha proprio un bel bucio de culo.
Quando le chiedo di andare al dunque, mi dice che vorrebbe stare lei sopra. Faccio finta di non aver sentito e mi alzo in piedi, indicandole a gesti la posizione a pecora. Si alza anche lei e fa per prendere il baby-oil che ha lì sul mobile. La blocco: “Non hai qualcos’altro? Questo corrode, si può rompere il preservativo e anche se non si rompe poi… ti dà bruciore…”. Con il suo comico italiano mi conferma che: “Ecco, sì, …infatti, per quello… dopo, la sera, sì… tutta la notte…”. “Non hai una pomata, qualcosa….”? “No… ho solo questo….”. “Vabbè senti, lascia stare, mi arrangio da solo…”. “Sicuro? Forse se vado io sopra…”. Ancora? Fra un po’ mi girano.
Le indico il letto, imperterrito. Il suo culetto a pecora è davvero uno spettacolo, bianco e duro come il marmo. Uno sputo in mano e sistemo il belino. Un altro sputo e cerco di agevolarmi la strada con il pollice. Lei protesta subito. Smetto, ma ho avuto modo di sondare che non sarà un’impresa titanica. Con la consueta dolcezza-decisione tento di assestare il primo colpetto. Non ho particolari difficoltà ad entrare, ma dopo 5-6 cm la tipa si ritrae, stringe le chiappe, mi chiede se può andare lei sopra. Che palle! Andiamo avanti così per un quarto d’ora buono: 5-6 cm dentro, poi le si allontana sputandomi fuori, di nuovo dentro, poi fuori. Le palle cominciano a fumarmi.
Tento il blitz con un colpo di maglio, ma è peggio: il suo culo si chiude a tenaglia. Sono rassegnato: a furia di fare dentro e fuori, ormai ci sono. Mi sfilo il preservativo e le irroro la gola. Alla fine quasi mi chiede scusa, consapevole che non mi ha reso un servizio dimezzato, ma non riesco ad essere tanto bastardo da mostrarmi scontento. Rido e scherzo, “parliamo” di cibo e le porgo pure tutte le 200 cucuzze concordate – dopotutto non vedo tracce di sperma sul pavimento. Tuttavia, esco abbastanza deluso, ma soprattutto insoddisfatto e con l’arnese ancora in tiro.

Ben mi sta! Così imparo! Non mi vedrai più, altro che fissazione! Mi ero quasi innamorato, sigh! Un culo così, sprecato in un ridicolo intingi il biscottino ed esci, come se fosse un cappuccino! Quasi, quasi torno da Lia, prendo un taxi e… massì, Sani, Radi, andate affanc …!

LIA
Lia, stupenda ungherese con trascorsi da entreneuse nei night club di Lugano, l’avevo conosciuta esattamente un anno prima, Ottobre 2004. Ricordo nitidamente che quando, dopo avermi fatto entrare, mi aveva guardato sorniona con i suoi occhi verde smeraldo ed un sorriso appena disegnato da due labbra carnose e ampie, ero rimasto folgorato dal fascino innato di questa donna. Stavo quasi per darmi un pizzicotto: mi sembrava di sognare. Con movenze feline mi aveva accompagnato in camera da letto, saturando l’ambiente di sensualità, mentre io pensavo: “Questa mi porta via anche le mutande …”. Invece no, Lia aveva confermato tutti i suoi servizi, senza minimamente giocare al rialzo. Nonostante ciò, ero rimasto guardingo e diffidente, in attesa della sorpresina che avrebbe rovinato tutto: “Vedrai che non si farà neanche sfiorare … ”. E invece, non ci avevo azzeccato neanche questa volta: Lia aveva esordito con un lingua in bocca fragrante di collutorio appena passato che oltre a rassicurarmi sull’igiene personale aveva fatto drizzare ogni pelo del mio corpo. Accondiscendente quanto basta, Lia ci tenne a chiarire che non spompinava a crudo il primo venuto: “Dipende dall’odore”, mi aveva detto senza tanti panegirici. Non so se il mio profumasse, sta di fatto che un pompino eseguito da Lia difficilmente abbandona i tuoi ricordi, se hai la fortuna di infilarglielo in bocca senza cappuccio. Lia inghiotte lentamente, fino in fondo, tendendo allo spasimo le sue belle labbra, ma con espressione rilassata, quasi soave, mentre gli zigomi del suo ovale perfetto si imporporano leggermente. Indelebili rimangono pure i gridolini e gli scuotimenti della sua schiena inarcata quando si abusa del suo ingresso posteriore o anche la sua lingua puntuta che ti fruga tra le chiappe, quando tu, durante un imperdibile testa-coda, abbandoni la fica per dedicarti ad un meritato succhiello anale.

L’intermezzo ungherese tuttavia non riuscì a seppellire definitivamente la cocente delusione bulgara. Qualche mese dopo cercai la riprova del presunto mutamento antropologico della pattuglia bulgara: da generose ingoiatrici di sperma a stronzette stuzzica cazzi. Possibile? Dovevo indagare. Bloccato a Milano da una nevicata copiosa, seppur satollo da una due giorni tutta Brasil, decisi di raccogliere ulteriori indizi. Stesso squallido bugigattolo, ragazza nuova: Mila.

MILA
Al telefono, una voce suadente opportunamente interrogata risponde in perfetto italiano: “Parto da 80, per il servizio completo 50 in +, tutto coperto”. “Ok, arrivo…” Saranno duecento metri dal mio hotel, ma ho il tempo di raccogliere le idee: questa non fa parte dell’esercito succhia-sperma, anzi fa tutto coperto, dunque il mutamento genetico della pattuglia bulgara è più che evidente. Vediamo se anche con l’anal fa la difficile.
Entro e mi trovo davanti una florida ragazzona, sguardo intrigante, qualche chiletto distribuito qua e là, ma quanta salute! Carne turgida e bianca, una terza abbondante “all natural” e, come avrò modo di scoprire conversando con lei, incorniciata da riccioloni neri, anche una bella testolina. Prestazioni certamente standard, non degne di chi l’ha preceduta nella stessa location, ma almeno un elemento di conferma c’è: belle terga, poco traforate.
Tali sono quelle di Mila e l’accesso non è né immediato né agevole. Lei lo sa, ma quando il mio primo assalto è andato quasi a vuoto, non si è tirata indietro e soprattutto non ha tentato di dirottare i miei piani. Rimanendo in posizione, ha atteso l’esito dei lavori in corso per allargare la strada, prima col dito indice, poi con il medio, infine con entrambe. Il secondo assalto è quindi andato in porto, ma in modo non del tutto esente da quel tantino di difficoltà che dà più soddisfazione quando si riesce nell’intento di andare fino in fondo alla faccenda.
 
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10. PREFERISCO BALLARE IL SAMBA

Quanto Brasile nelle mie chiavate a pagamento! E quale varietà femminile sforna questo fantastico Paese: nere, mulatte, bianche, formose, snelle, longilinee, alte, basse, bionde, more… con una caratteristica in comune, mai tradita: un gran culo. Non mi sono mai imbattuto in una brasilera che non avesse un gran culo. Anche la brasilera più longilinea, più snella, con un girovita 38, quando la giri ti spara in faccia due emisferi che fuoriescono dal profilo della coscia con una curva morbida e molto, ma molto, accentuata e disegnano il celebre “culo alla brasiliana”.
Decidere di andare a chiavare una brasiliana è un po’ come stipulare una polizza con la più affidabile compagnia di assicurazioni: lo fai per non avere sgradite sorprese. Sono rare le brasiliane stronze, scostanti, poco professionali. Grandi attrici, certo, esperte illusioniste del sesso, ma se sei all’inizio, con il palato ancora grossolano, non cerchi tanto la girlfriend experience (GFE) o il sottile coinvolgimento celebrale, quanto piuttosto un bell’animale da letto, da strapazzare senza tanti problemi. E le brasiliane sono sempre degli straordinari animali da letto, da ripassare da cima a fondo.
Purtroppo o per fortuna sono anche delle igieniste e l’uso del cappuccio è quasi sempre tassativo, ma per il resto, quando mai ti capiterà di infilarti comodamente in due chiappe smisurate se non con una brasiliana? E dunque sbattersi una brasiliana è l’opzione numero uno, la più semplice e sicura, soprattutto per il puttaniere medio, con i suoi bisogni elementari e le sue aspirazioni sessuali mediocri. E’ come quando hai fame e se fuori casa in una città che conosci poco e ti serve un ristorante: cerca che ti ricerca vai a sbattere sempre su una pizza o un piatto di pasta pomodori e basilico, mica ti metti a cercare l’antipasto di pesce o altre pietanze da gourmet. E che c’è di meglio?
Nei miei puttan tour milanesi, la chiavata brasilera rimane l’appuntamento di apertura, quello che ti svuota i coglioni prima di affrontare altri target più complessi. A Milano la scelta brasiliana è vastissima. Alcune sono diventate delle vere e proprie icone, a torto o ragione degli imprescindibili diktat. Prendete Fabiana, per esempio, via Imbonati, piazzale Maciacchini: fisico clamoroso, culo superlativo, una sex-machine capace di domare il cazzo di un cammello. Per non parlare di Marina, gioiellino ambrato di via Leoncavallo, delle minute ma stratosferiche fighette July ed Emanuela in via Cavallari, delle porcelline di Piazza Duomo Dalila e Melissa, delle tante patatine di Porta Romana e Porta Genova.
Le mie predilette restarono per un paio d’anni tra il 2006 e il 2007, Giulia di Via Savona e Arianna di zona stazione, suscitando un acceso dibattito sul web, poiché non trattavasi esattamente dell'artiglieria pesante nel reggimento carioca-paulista schierato in forze nella capitale lombarda.

Dopo aver dichiarato la chiavata con Giulia dovetti pure sopportare le allusioni di quanti sostenevano si trattasse di un trans operato. E per quanto riguarda Arianna, pare fossi uno dei pochi ad agognare un cesso simile: tutti a fare commenti sul mio fegato, senza mettere in conto che per un malato di sesso anale come me il grandissimo culo di Arianna era motivo più che sufficiente per ignorare la sua faccia da Nonna Abelarda.

GIULIA
(ANCORA IN ESERCIZIO GIULIA SELENE)
Alle 10,00 di stamattina, dopo una fremente consultazione del mio ultimo database milanese, decido che mi ci vuole una sana chiavata mattutina. Comincio a chiamare tutti i numeri che mi vengono davanti, ma tra telefoni spenti e risposte inadeguate (no anal), los cogliones cominciano a girarmi. Poi butto l’occhio sulle foto di tale Amira. Il suo fisico appena sbocciato e la sua pelle candida mi attizzano. La chiamo. Dice di essere brasiliana di pelle bianca e di fare tutto, anche se: “Tutto protetto”. Vabbè, mi accontenterò di sodomizzare le tue chiappette morbide. “Quanto chiedi?”. “Parto da settanta amor, poi dipende…ci mettiamo d’accordo qua”. Mumble, mumble…Odio questo tipo di risposta, ma vabbè…zona piazza Gerusalemme.
Sono quasi sull’uscio, quando una vocina interna mi dice che, comunque, hai visto mai, è sempre meglio portarsi una cartuccia di riserva. Cerco sul database il numero di una mia vecchia conoscenza, anch’essa brasiliana, che dovrebbe essere rientrata da poco. La chiamo. Il telefono trilla, ma nessuno risponde. Ok, lo scroto protesta, non posso più indugiare. “Taxi! Piazza Gerusalemme”.
Arrivo trafelato, pregustando il biancore delle chiappette brasiliane che poco prima mi salutavano dallo schermo del portatile. “Chissà se saranno anche riluttanti ad aprirsi come piace a me…”, mi dico, e sto già fantasticando. Citofono:“6° piano, tesoro”. L’ascensore è funzionante. Ottimo, sto arrivando. Solita porta socchiusa, entro e…toh! A me pare proprio araba, altro che brasiliana! E le foto sono sue come sono mie le foto di Richard Gere, anche se il fisico, grosso modo, corrisponde. “Allora?” - Sono cento per una cosa tranquilla fatta con calma... Eddue! Altra frase che odio. “Ok, ma io sono venuto per esplorare il tuo culetto. Si può, vero?” – Strabuzza gli occhi. E’ proprio araba. “Sì, ma non per cento…” – Ah! E per quanto?” – Completo sono duecentocinquanta. “Tutto protetto?” – Tutto, sì. “Ok, ciao”.
Giro i tacchi e imbocco l’uscita. Lo scroto protesta, ma io lo mando affanc… a lui e all’araba che dice di essere brasiliana. Perché poi, va a capire. Esco, piazza Gerusalemme. Chiamo il radio-taxi. “Rimini 79 in quattro minuti”. Intanto riprovo a chiamare Giulia, la mia vecchia conoscenza, brasiliana autentica di Rio.
Ho anche un conto in sospeso con lei. L’ultima volta, 5-6 sei mesi addietro, mi aveva portato in cottura a smorzacandela, stabilendo lei il ritmo delle danze. Cosicché quando l’avevo messa a 90 gradi per incularla, non avevo fatto in tempo a intingere il pennello che ero esploso come un adoloscente. Perciò, me l’ero segnata.
“Pronto? Sì amor, ci sono, sto trabagliandu, sì…”. Il taxi arriva dopo trenta secondi. “Via Savona, per cortesia”. Sto arrivando! Chiappone brasiliane dorate dal sole d’Ipanema, stavolta vi apro come un cocco! Giulia mi accoglie con abitino rosso corto. E’ dimagrita. Le scarpe alte slanciano le sue gambe da gazzella. E’ proprio una bella femmina di 1 metro e 80, ma il trucco esagerato le dà un aria da travone. Glielo avevo anche detto di truccarsi meno pesantemente, ma evidentemente c’è chi le consiglia di abbondare. E così il suo giro di clienti non è all’altezza delle sue potenzialità, perché effettivamente, guardando le foto su web, qualche dubbio viene.
Iniziamo le danze sul lettone. Giulia non fa pompini cabrio, ma conosce certi giochini senza cappuccio che forse sono anche meglio. Dopo averti ripassato scroto, palle e randello con la lingua, srotola il condom con la bocca e inizia a pompare. E’ brava, è capiente, è tranquilla. Ma è anche furbetta. Dopo i preliminari, con voce suadente ti fa: “Vado io sopra”? Se ci caschi, sei finito: la puttana serra le cosce e comincia a chiavarti a ritmo forsennato. Tu sei lì, quasi immobilizzato, che cerchi di ragionare, di accennare una reazione, di impostare una strategia, ma non puoi fare altro che stringere le sue tettone rifatte e sbattere il pube sulle sue chiappone dorate dal sole d’Ipanema. E poco dopo, soccombere. Quindi: “Vado io sopra”? “No, no, facciamo a pecora”. E poco dopo, molto poco dopo: “Facciamo culo”?
Ora, non voglio essere pedante, ma anche inculare una come Giulia, se non sei almeno uno e ottanta, è mica uno scherzo. E’ questione di… come dire? “Geometrie”. Lei poi ci mette del suo, per renderti più arduo il compito: non è apertissima, non usa lubrificanti e, soprattutto, non fa niente per aiutarti a trovare il punto GG, quello della Geometria Giusta. Si mette a culo all’aria e buonanotte al secchio.
Da notare che il suo “Culo all’aria”, vista la stazza della tipa, rimane a circa un metro e cinquanta da terra. Tu, se non sei un metro e ottanta, con il tuo cosino ritto, rimani a circa un metro da terra. Come colmare questo dislivello? Questo è il problema da geometra che ti poni, mentre lei, culo all’aria, sembra voler dirti: “Vuoi il mio culo? Sono cacchi tuoi”. Perciò è fondamentale dedicare, prima dell’assalto, una buona manciata di minuti a slinguazzare l’occhio bruno al centro delle chiappane dorate dal sole d’Ipanema che, dal suo metro e cinquanta di quota, ti guarda quasi negli occhi, attizzandoti ulteriormente. E Giulia, almeno in questo, non si sottrae: anzi, sembra gradire.
Poi, essendo fortemente sconsigliato provare qualunque assalto stando con i piedi a terra (si otterranno solo miseri inzuppamenti e innocui stropicciamenti), occorre salire sul letto con entrambe le zampe, portare il corpo in avanti a coprire la schiena di Giulia e da lì, alla cieca, cercare l’ingresso giusto. Trovato l’ingresso, i problemi non sono finiti, perché la tipa, anche se involontariamente, comincerà a cambiare configurazione, portandosi gradualmente quasi a 180 gradi, dai 90 iniziali. Non è un male: se nel frattempo, non vi ha sputato fuori, ce l’avete in pugno e potrete consumare un lauto pasto comodamente seduti. Standole sopra in questo modo e tenendole le chiappe ben aperte ho avuto la mia vendetta. Non è stata l’inculata ideale, ma credo che ancora le bruci il culo.

ARIANNA
Ecco la confessione che pochi avrebbero fatto e che anch’io sono stato tentato di tenere per me, serbata nei meandri delle mie memorie meno gratificanti per l’Ego. Vado a riferire, infatti, su un incontro di cui ci sarebbe poco da vantarsi, ma i labirinti della sessualità maschile sono frastagliati e a volte impenetrabili anche a chi ne subisce gli influssi. Stasera non ho trombato esattamente una di quelle strafighe tutte tirate che ti fulminano con uno sguardo e nemmeno una di quelle ninfette giovani e fresche, ancora poco violate. Stasera ho trombato un bagascione brasiliano che molti ometti, credo, non sfiorerebbero nemmeno con un dito o che, ne sono sicuro, molti non esiterebbero a definire: "UN CESSO".
Ma stasera avevo voglia esattamente di quello: di montare una scrofa, di strapazzarla senza ritegno, di incunearmi nelle sue natiche ovali e di riempirmi le mani con le sue mammelle penzolanti. E in questi casi: la bellezza non serve, anzi può essere un ostacolo. Stasera ho trombato Arianna, bahiana sui vent’anni, capelli ossigenati, 1,60 scarsi, culo straripante ma molto ben fatto, pettorale all natural voluminoso e morbido. Lo so: la sua faccia non proprio da sirena farebbe venire i brividi incontrandola di notte. Ma io ho avuto cura di stare sempre alle sue spalle. E da dietro posso assicurare che Arianna esalta il fondo di verità di molte espressioni proverbiali: “Il vino buono sta nella botte piccola” o “Donna nana, tutta tana”.
Spesso ci si sofferma sulle capacità (s)pompinatorie delle zoccole, analizzando tecnica e generosità con cui viene consumato l’atto orale. Ebbene penso che bisognerebbe fare lo stesso per le zoccole, ormai maggioranza, che si dichiarano “sodomizzabili”, perché, per dare via il culo, certamente è fondamentale una certa vocazione, ma anche in questo caso ci vuole una certa tecnica.
In una ipotetica graduatoria che tenesse conto di tecnica, gestualità del viso e generosità nel concedere il lato B, Arianna, senza troppi giri di parole, è un’inculata superlativa, oserei dire che Arianna è “l’inculata”. E questo livello di purezza nell’atto sodomizzatorio, si ottiene soprattutto grazie alla sua fisicità senza orpelli: faccia al limite dell’inguardabile, incorniciata da lunghi capelli biondo platino, corporatura tracagnotta con latteria e culo spettacolari. Insomma, una così, sembra essere stata costruita per nient’altro che per essere inculata. Peraltro, la dotazione strettamente anale di Arianna, ancorché già perforata da altri, si concretizza in maniera sorprendentemente apertadinha (avvolgente e spiroidale), risucchiandoti tutto e subito.
Quando sei tutto dentro di lei, gli occhi di Arianna si chiudono, contraendosi, le labbra si stringono, le sopracciglia si inarcano, chiedendo una tregua. Ma la scomposta bruttezza di una faccia già inguardabile non può suscitare pietà. E così non solo non le concedi alcuna tregua, ma cominci a martellare con colpi sempre più potenti, perché quella faccia vuoi vederla ancora più deformata, ancora più deturpata da smorfie di dolore, ancora più repellente. E quando, in un crescendo di ferocia animale, ti ritrovi a sbavare lungo la sua schiena curva, fino ad ansimare di piacere a un centimetro dalle sue orecchie, Arianna capisce che è finita, ma rimane in posa ad occhi chiusi, sbuffando leggermente, ma senza proferire parola, consentendo di scolpire nella propria memoria l’immagine dell’inculata perfetta che sa regalare.

Infine ci fu Nadia, signora 40enne, capitolo a parte. La vidi solo una volta, intuendo subito che sarei diventato schiavo della sua femminilità.

NADIA
Nadia è stata un'esperienza davvero straordinaria, ma pericolosa per la propria stabilità affettiva, talmente coinvolgente da restarne turbati come pivelli. Nel mio girovagare da frequentatore di loftwalker ho sempre incontrato fanciulle più o meno giovani, più o meno gnocche, più o meno porche, più o meno capaci di fingersi sconvolte da un autentico orgasmo. Non mi ero mai imbattuto, invece, in una che, oltre a farsi pagare, scopa perché le piace scopare e che veramente vuole trarre piacere dal corpo degli ometti o degli omaccioni che la vanno a trovare.
Ora, non mi sono mai posto il problema di dare piacere ad una puttana, diciamo che non è mai rientrato tra i miei obiettivi, essendo stato sempre concentrato esclusivamente sul mio piacere e anche perché non ho mai creduto alle favole. Mi era anche capitato di leggere su forum di puttanieri e siti vari, colleghi che raccontavano di cunnilingus molto bagnati, di gemiti di piacere e di orgasmi veri (addirittura anali), con l’intento di evidenziare la partecipazione attiva se non il sincero coinvolgimento della pulzella sotto esame. Dall’alto delle mie incrollabili certezze di puttaniere ormai navigato, tuttavia, avevo sempre preso queste annotazioni come fantasie ed aggiustamenti narrativi o come frutto di candide illusioni, dovute alla giovane età del puttaniere narratore o, magari, ispirate da fanciulle particolarmente brave a recitare. Ebbene, Nadia ha azzerato tutte le mie certezze, perché il suo orgasmo è durato un paio di minuti, lasciando una larga macchia sul letto. Ma la cosa che mi ha turbato più di altre è che questo orgasmo la tipa l’ha cercato insistentemente, tenendomi la testa con le mani, anche quando, un paio di volte, ho accennato una piccola protesta per il fatto che ero stato io a comprare le sue prestazioni (ben 200 roselline) e non il contrario. Inutile dire che essere stato gentilmente ma fermamente convinto dalle sue mani ad interessarmi della sua passerina in trepidante attesa, mi aveva attizzato più di ogni pompino che avrei potuto facilmente ricevere. Si è, insomma, instaurato un arrapante gioco delle parti in cui ogni volta che sollevavo il capo per riprendere fiato venivo prontamente richiamato all’ordine e “costretto” a rituffarmi giù. Fortuna che, dopo un’indicibile fatica durata una mezz’ora abbondante, finalmente, l’ho sentita vibrare, percossa da una scossa elettrica. E una brodaglia tiepida ha cominciato a irrorarmi bocca e muso. Come un soldato deciso a portare a termine la sua missione sono rimasto in apnea per un tempo infinito a ricevere quel fiotto dolce e intenso, rimanendo con la bocca incollata ai suoi sussulti (che se ancora ci penso mi viene duro). Solo quando ho sentito le sue mani spingermi via mi sono staccato e, stordito, mi sono accasciato sull’altro lato del letto.
Con la mente attraversata da sensi di colpa e assurdità simili ho cominciato a chiedermi che cazzo fosse successo e com'era possibile che..., mentre lei cercava di riportare tutto alla normalità, facendo ampio uso di carta assorbente e salviettine. Fortunatamente il trillo (o meglio la vibrazione) del suo cellulare mi ha immediatamente restituito il senso delle cose. Lo stesso meccanismo deve essere scattato nella testa di Nadia, che si è rifatta sotto, simpaticamente, con il chiaro intento di adempiere al suo dovere. Non mi sono fatto pregare e tutto è ritornato nel rassicurante alveo di un incontro puttana-puttaniere, anche se particolarmente singolare. Dopo essermi concesso ai suoi giochini orali in ogni dove e al suo pompino molto (forse troppo) aspirato, ho preteso di sintonizzarmi sul mio canale preferito: RAI2. E lì ho finalmente scaricato tutta la tensione.
Non credo di voler rifare l’esperienza. Troppo rischiosa.
 
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11. NON SO SUONARE LA BALALAJKA

Nella mia esperienza di puttaniere medio non sono riuscito a farmi una precisa opinione delle russe. Non c’è uno standard: sono ragazze dolcissime e disponibili in taluni casi, delle stronze come poco in taluni altri. Ho cercato una qualche correlazione socio-geografica, assumendo l'ipotesi di lavoro secondo cui: quelle di provenienza rurale sono ben disposte, quelle di città se la tirano. Il campione è poco rappresentativo ma una qualche conferma con valore statistico c’è: lo scannatoio di Via Carnevali, alla Bovisa, ad esempio, notissima alcova di brave campagnole, non strafiche ma carine, capaci di distinguersi come vere e proprie benefattrici, tariffa sempre attorno a 50-80 rose, menù ad alti livelli, completo anche di linguainbocca; I bugigattoli in Via Frisi, al contrario, per qualche insondabile motivo destinazione privilegiata di stronzette poco volenterose e furbe. Eccone una clamorosa.

CELESTE
Celeste riceve in Via Frisi, una piccola via nei pressi di Corso Buenos Aires molto nota ai puttanieri meneghini. La chiamo nel primo pomeriggio e dopo le solite richieste di informazioni varie, mi catapulto sotto il suo portone, pensando che, come tutte le loft, fosse lì ad attendere. E invece no. La chiamo per chiederle gli ultimi ragguagli sull’accesso e questa fa:"Ma io non ti ho detto di venire...adesso non posso, sono ad un corso (?)". Udita la risposta, avrei fatto bene a rivolgermi altrove, ma si sa, le cazzate maturano lentamente. "Ok, allora quando possiamo vederci" le chiedo, e lei "Fra due ore".
Riorganizzo i miei appuntamenti di lavoro e mi presento all'ora concordata. La chiamo, e questa non risponde. La richiamo tre volte e alla terza volta mi fa: "Sono appena uscita dalla metro, sto arrivando". Wow! Allora penso: "Ora mi nascondo come l'ispettore Clouseau dietro una pianta per gustarmi l'arrivo della fanciulla". Detto fatto, ma della fanciulla nemmeno l'ombra. Passano venti minuti e la richiamo: " Ci siamo?" e lei: "Ma io sto aspettando te, sono qui". Invece di pensare:"Questa è una stronza, faccio ancora in tempo a levare le tende", mi arrovello stupidamente. "Ma da dove cazzo è entrata??".
Salgo su e la tipina non è niente male: "E' stato un parto travagliato, ma ne valeva la pena" penso. Rispetto alle foto è notevolmente più magra. Somiglia vagamente (sottolineo vagamente) a Nicole Kidman in quel film: "Birthday girl", dove la splendida Nicole recita la parte di una ragazza russa che molla una fregatura clamorosa ad un tipo che l'aveva conosciuta per corrispondenza. Glielo dico anche: "Hai gli occhi di Nicole Kidman", lei ridacchia ma dubito che abbia capito di chi sto parlando. E qui comincia la tragedia o la commedia, non so.
Mi fa spogliare, si spoglia a sua volta, mi sculetta davanti, mi inebria le narici con un forte profumo di figa, e poi attacca il racconto della sua vita. Io la assecondo, perché sono una persona educata, anche se capisco che mi sta raccontando un sacco di frottole. Passano venti minuti e questa non smette. Cerco di farle capire che vorrei impiegare diversamente quel letto dove siamo sdraiati, ma è come rapita dalla trama del suo sceneggiato. Dopo una mezz'ora sono stufo e rispondo a monosillabi, ma soprattutto dopo aver sniffato figa senza poterla assaggiare sono carico a pallettoni. Decido di fare la prima mossa e, mentre lei mi delucida sulla sua tesi di laurea in Fisica della materia (!), mi porto all'altezza della sorgente del profumo che ha riempito la stanza stordendomi.
Celeste, incurante delle mie manovre, tiene le cosce incrociate a saracinesca. Allora le faccio il solletico e quando scorgo un varco mi ci ficco tutto dentro. Avvio un delicatissimo saporitissimo cunnilinugus. La tipa si bagna un bel po'. Alzo gli occhi, convinto di vederla a testa indietro in preda a convulsioni di piacere e invece me la trovo con gli sgranati che fissano il mio operare. Sembra stupita come una signora di una certa età che nel corso di una cena dovesse ricevere il piedino di chi le siede di fronte. Intuisco che le sfuggono alcuni piccoli particolari: non siamo a cena, lei è una puttana, io il suo cliente (che, fra l'altro ha già liquidato il suo onorario). Mentre sono ancora attaccato, squilla il suo cellulare. Lei si divincola per rispondere e... - E' arrivato altro cliente, tuo tempo finito. Io penso sia uno scherzo e non mi catafotto di un millimetro dal letto. Ma lei si riveste. Con molta pazienza ed educazione le faccio notare che non ho ricevuto il servizio concordato. E lei: "Come no? Tu sei qui già da tre quarti d'ora, non vado oltre trenta minuti". Come dire: sono stata pure troppo buona a farmi leccare la fica.
Anche se non è il massimo affrontare simili discussioni nudo sul letto mentre la troietta che pensavi di scopare a sangue si è rivestita, cerco di ragionare: “Guarda che se abbiamo perso tempo è colpa tua, che hai insistito per raccontarmi la tua vita”. Quasi si incazza perché non trovato di mio gradimento lo sceneggiato, ma poi accondiscende: “Ok, concedo te altri cinque minuti”.
Intanto arriva l'altro cliente alla porta, lei mette fuori il naso e gli dice di aspettare 5 minuti. Rientra, ma ormai ho pensato che è meglio rivestirmi e tornare a casa a farmi una sega. Non sono cose da matti? In anni di onorata carriera non avevo mai incontrato una persona più sgradevole. Grazie tante Celeste.

Ed eccone un'altra ...

NATASHA
Natasha è davvero una bella figliola certo e non si capisce perché sia dovuta ricorrere alla falsificazione delle foto nella sua inserzione web. Al telefono mi dice: “Chiamami 10 minuti prima, ok?”. Ok dico io, ma poi mi tocca aspettarla sotto al portone (e sotto un caldo boia) per ben 45 minuti: la stronzetta è andata a fare shopping. Al telefono mi dice che è completa, che pompa senza gommino e che parte da ottanta. E io penso: “… Parte da ottanta, male che vada, se mi concedo qualche optional, me la cavo con velocità sostanzialmente nei limiti”. Ho sbagliato a pensarlo?
Sì, ho sbagliato, perché dal vivo per il suo bel culetto mi chiede 300 cucuzze (diconsi trecento), sostenendo che quelli sono i prezzi al consumo sul mercato milanese (mi vuole fare pure lezione d’economia, ‘sta strunz…). Accenno una protesta, ricordandole che l’ho aspettata tre quarti d’ora e che al telefono aveva parlato di 80, ma lei rilancia, protestando a sua volta per le mie titubanze: “…Stavo facendo shopping e mi hai fatto rientrare…ti ho detto che PARTO da ottanta, MA … bla … bla … bla …”.
La ascolto distrattamente, perché pensieri più importanti mi rimbalzano nella scatola cranica.
- No scusa, per la cronaca: “Ma…”, non l’hai MAI detto…
- Sei così fica che io per trapanarti il culo li tirerei pure fuori 300 cucuzzielli, se li avessi prelevati…
- Quand’è che devo fare il tagliando alla macchina?
- Chissà che caldo fuori … però a che gran pezzo di gnocca mi tocca rinunciare, i suoi effluvi hanno saturato la stanza come se fosse una cagna in calore.


Sorrido a denti stretti e, quasi senza accorgermene, faccio due passi per guadagnare l’uscita: “Pazienza, meglio che vado…”. La tipa, scura in volto (corrucciata è davvero irresistibile, non devo guardarla), mi segue con lo sguardo e con l’ultimo fiato mi lancia una proposta: “Senti, per 150 posso fare bocca fino alla fine … se vuoi …”. Mi giro così lentamente che sembro Clint in Duello al sole. Se voglio? Per un istante penso di aver avuto un’allucinazione uditiva. Chiedo chiarimenti: “BBJ? CIM, COF o COB?” - E lei: “??” - “No niente, mi hai convinto”.
Mi spoglio, lei si fionda in bagno, ritorna con delle salviettine umidificate che utilizza con perizia sul mio prepuzio. Poco dopo parte l’aspirapolvere: 2000 WATT!!. Cerco di sottrarmi, agitando braccia e gambe. E lei: “Ti piace eh?” - “EEEEHHHHH…come no…sissì…mi piace, mmm… come mi piace…mmm...”. Ci mancava solo l’incoraggiamento: l’aspirapolvere riparte e, implacabile, noncurante, ingoia tutto. Mi guardo intorno alla ricerca di un corpo contundente per fermare questa vergognosa aggressione ai miei genitali, ma non trovo niente. Lei ogni tanto alza uno sguardo languido, ebbro di recitazione: “Ti piace?” - E io: “EEEEEEHHHHHH….”.
Ripenso alla pompa meditativa che mi aveva fatto Janet (rumena) dieci giorni fa (Sigh!) e, nonostante l’aspirapolvere, riesco a raggiungere un apprezzabile turgore. Sono passati 3 minuti scarsi, la tipa prova a tirarmi il collo con la manina: già mi vuole congedare. La fermo, butto lì: “Posso leccarti anch’io?”. Non faccio in tempo a pensare come rintuzzare un possibile diniego che Natasha mi porge le terga. E immediatamente riattacca l’aspirapolvere.
Per un bel po’ non faccio niente. Rimango in religiosa contemplazione della mega-fica di questa strafica sbalorditiva: le grandi labbra sono gigantesche e prominenti! Ecco perché spandono il loro acre odore nel raggio di decine di metri. Poco dopo scopro che anche il clitoride non scherza. Vorrei avventarmi e rendere pan per focaccia, ma preferisco procedere con slinguazzate piatte e lente, come faccio di solito. La tipa non si bagna ma continua a mugolare come in un film porno di quart’ordine. La carne senza sugo non è che mi piaccia molto e quindi mi avvento (stavolta sì) sull’occhio bruno in mezzo alle rosee chiappe e ne faccio indigestione. Intanto l’aspirapolvere non si concede pause ma la bio-meccanica del 69 è inadatta al ritmo forsennato di prima. E così mentre ricevo un pompino decisamente migliore, proseguo la mia vorace percussione linguistica dell'ano e mi maledico per non aver prelevato la folle somma che mi avrebbe consentito di dare la giusta soddisfazione all’istinto del sodomita.
Per distrarmi ogni tanto vado a dare una ripassata alle gigantesche grandi labbra che stanno più sotto, ma quello sfintere che non potrò violare è ormai riuscito a toccare le corde più sensibili della mia mente contorta: in breve mi ritrovo al capolinea.
Come un naufrago in attesa dell’onda che lo strapperà dalla zattera resto attaccato alle chiappe rosee di Natasha. E quando sento che anche il midollo spinale vorrebbe risalire mi sciolgo nella sua bocca. Non ho la visuale libera purtroppo, ma la bocca di Natasha compie un lavoro esemplare, accogliendo tutto il magma eruttante per poi restituirmelo gradualmente sul pube. Peccato, sarebbe stato uno spettacolo da prima fila.
 
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te sei un grande senza se e senza ma :good: ..secondo me potresti pubblicare un libro :biggrin: ..mi viene in mente anche un titolo : "reminiscenze di un puttaniere".. :biggrin:
 
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12. BOLOGNA LA GHIOTTA

La città di Bologna è un altro immancabile APPUNTAMENTO per puttanieri provetti o navigati. Non pantagruelica come quella meneghina, l’offerta bolognese conserva ancora gran parte della genuinità, difficilmente riscontrabile altrove, che affonda le radici nella storia millenaria dei bordelli della città. Il parallelo con la gastronomia godereccia che ha reso celebre la città è fin troppo immediato, tanto che Bologna nell’immaginario universale rappresenta la capitale della mortadella, dei tortellini e … dei pompini.
Al pari di mortadella e tortellino, il pompino alla bolognese non è uno stereotipo, bensì una liturgia. Non aperitivo, ma piatto forte di un incontro sessuale, non contorno ma ricetta principe della femmina bolognese doc, da cucinare con studiata lentezza, da gustare esclusivamente per via orale, comodamente seduta o rannicchiata, fino ad ingoiare ogni fiotto del prezioso distillato finale, suprema certificazione di qualità del prodotto.
E’ un codice non scritto, quello del pompino alla bolognese, così pervasivo e immanente che chiunque, meretrice straniera o italiana, ha dovuto farci i conti, sapendo di essere destinata alla marginalità e in ultima analisi al trasloco in altra località nel momento in cui non ne avesse accettato tutti i crismi. Un codice che rende quasi superflua la consueta indagine telefonica del puttaniere medio, tendente ad appurare se la parte orale della sessione sarà mediata dal fastidioso lattice di una condom.
Ho attraversato in lungo e in largo questa città di modesta estensione, nutrito campionario di luoghi del piacere, mercenario e non, con la certezza quasi assoluta che un pompino nudo e crudo mi sarebbe stato offerto spontaneamente, senza bisogno di tante cerimonie. A onor del vero devo dire che lo spirito autentico del codice sessuale bolognese l’ho ritrovato nella Bologna dei quartieri periferici piuttosto che in quella del centro. E’ nei quartieri, San Vitale su tutti, che hanno messo radici le puttane più fedeli al totem bolognese, laddove in centro, nei pressi della stazione o della Fiera, albergano sovente truppe di passaggio, refrattarie a permearsi della sessuo-weltanschauung della città delle Torri.
E così faccio ritorno a Bologna sempre più volentieri, per lavoro o soltanto per diletto. Spesso, per la prima scarica, per rompere il ghiaccio, mi reco da Marta, in via Massarenti. Marta è russa, ma sia fisicamente che umanamente è il prototipo della signora di mezza età della Bologna bene, dedita alle marchette per piacere, piuttosto che per necessità. Poppe enormi, fianchi larghi, eccezionale pompinara, concessionaria di licenza anale, tutto a buon mercato, scoparsi la Marta è come pasteggiare solo a mortadella e crescentine: sai che ti rimane tutto sullo stomaco, che magari rinunci a pietanze più elaborate, ma non puoi fare a meno di pensare che niente di lascerà più satollo. In più risparmi, quindi non hai dubbi.

Faccio la conoscenza di Marta sul finire del settembre 2006, in maniera rocambolesca. Avevo adocchiato la sua inserzione in quello che allora era un sito minore di annunci. Atterrato a Bologna e parcheggiato in hotel verso le cinque del pomeriggio, non mi fermo neanche a disfare la valigia, in testa soltanto un destino: via Massarenti. Arrivato sotto casa sua, la chiamo, ma non mi risponde. Poco male, c’è da fare un po’ di anticamera. Mi guardo in giro alla ricerca di un baretto e mi avvedo di un collega in auto, parcheggiato sull’altro lato della strada, cellulare in mano, che tamburella nervosamente sullo sterzo. Andiamo bene! E’ evidente che non sono l’unico ad apprezzare le curve generose della popputa chiappona russo – emiliana. Passa mezz’ora e il suo cellulare tace ancora. Sono indeciso, scambio uno sguardo in stile duello al sole con il collega dall’altra parte della strada, che intanto è sceso dalla macchina. Io mi avvicino al portone in segno di sfida. Passa un altro quarto d’ora, ho anche lasciato un messaggio in segreteria, non ne posso più: abbandono il campo. Il collega tira un sospiro di sollievo.
Provo a sentire altre inserzioniste dello stesso sito e due di queste mi confermano la percorribilità rettologica senza troppe pretese: sono una brasiliana e una venezuelana. La prima sta in via S. Isaia, l’altra in via Donato Creti. Mi butto il pari e il dispari e propendo per Giuliana che al telefono mi è sembrata più gentile. In mezz’ora arrivo in Via Creti, la chiamo: è libera! “Primo piano, amore”. Sguscio nel suo appartamento e…. Minchia! E questa chi è? Sembra Nonna Papera con le tette rifatte. Entro ugualmente nella sua alcova e… “Allora amore, una coisa tranquila, fatta pene, con un massaigggiu così…sono 150” “Eh???!! Veramente avevi detto 100… “Stiamo tranquilli… ti faciu massaiggggiu … così… mi piasci…e…”. Ecco, ora dovrei mangiarmi i coglioni per non essere rimasto sotto casa di Marta ad aspettare pazientemente il mio turno. Divento volgare e aggressivo: “Ma? Almeno me lo succhi senza protezione?” “No amore, tuttu proteitu…” “AH!!” Ho già deciso, ma ormai andiamo fino in fondo: “E il culo? Sei completa, no?” “No amore, essu non fasciu… mi piasci maissagiare con calma…e così, tranquili…” “Ok, ciao…” In sintesi: Nonna Papera venezuelana, in via D. Creti: tutto protetto, no anal, 150 rose. Complimenti, avrà molto tempo libero a sua disposizione.
Cazzo, sono già le sette e sono ancora all’asciutto. Strada facendo mi dico che non mi conviene rischiare una terza fregatura consecutiva e che è meglio lasciar perdere la brasilera via S. Isaia. Mi dirigo verso un noto scannatoio in viale Pietramellara, zona stazione. “Citofono xxxxxx, amore…terzo piano”. In trenta secondi mi ritrovo al cospetto di tale Daniela, venezuelana, poco più che ventenne, faccia rotonda. Non mi attrae molto quello che vedo, ma decido di procedere. Non ricordo esattamente quali prestazioni avesse garantito al telefono e decido di bleffare: “Allora, mi hai detto: pompino scoperto e culo…100, no?” Ricevo un distratto cenno di assenso.
Le tette sono notevoli, anche se orribilmente deturpate dalla cicatrici di una operazione di riduzione, dalla decima alla settima! Me le spupazzo un po’ e penso che quasi quasi una spagnoletta non sarebbe una cattiva idea. Il pompino non è malvagio, ma nemmeno mi manda in visibilio. Al 69 la figa sa di lattice, mentre l’entrata posteriore sondata con un ditino preannuncia un percorso impegnativo. Dopo cinque minuti mi incappuccia e… cominciano le schermaglie per trovare la posizione giusta con cui approcciare la perforazione anale. “Vengo io sopra” “No alla pecorina” “No, meglio di fianco” “Alla pecorina!” “Vieni tu sopra”. Insomma, le provo tutte, ma la tipa non collabora e quando avverte che la perforazione sta per diventare irreversibile si ritrae. “Così ti fai solo male” provo a farla ragionare. “Dai facciamo figa adesso…” mi implora. Le sorrido amabilmente e la rimetto a 90 gradi. “Ma, amore… è la terza volta…no, no, ah!” Niente! Ero quasi entrato, ma questa cretina non collabora: con il glande appena dentro mi molla di nuovo, stendendosi su un fianco. Sono furioso ma non batto ciglio. La inseguo di lato e… finalmente glielo piazzo dentro. Non è il massimo, ma capisco che più di questo non riuscirò ad ottenere. La cretina invece continua a lamentarsi come se piantato tra le sue natiche ci fosse Rocco e non io. Mi ritorna in mente la spagnoletta. Chiedo all’interessata se posso scappucciarmi e innaffiarle le tette. “Sissì, ti prego…”. Mi alzo in piedi mentre lei si rassetta tutta contenta di essere svicolata dal suo destino e si siede sulla punta del letto, offrendomi il valico tra le sue belle tettone. Mi abbandono a quel massaggio portentoso e dopo un paio di minuti esplodo. Nelle chiacchiere post-sessione le dico che se non gradisce farselo appioppare nel culo è meglio non vendere l’articolo, perché in quel modo si fa solo male e non rende un gran servizio. Ma questa è tonta o ci fa: “Ma tu hai fatto quattro volte… di solito faccio fare una sola. E comunque, mi hanno detto di non farlo più di una volta al giorno”. “Azz! E perchè?” “Perché sinò, non è bene…si…si…si può…” “Rovinare?” “Eccu sì…non è bene…mi hanno detto…”. Mah! Imbocco il corridoio ed esco. In trattoria mi sfondo di tagliatelle e Lambrusco.

Il giorno dopo, di buon mattino, sono di nuovo in via Massarenti: voglio essere il primo. Chiamo la topona russo - emiliana: segreteria telefonica. Ecchecazzo, comincio ad averne la palle piene. Fortunatamente stavolta mi ero premunito una via d’uscita nei paraggi: Anastasia, russa anche lei, via Toso Montanari. Con un aggravio di 50 rose promette le identiche prestazioni della topona, ma in compenso potrebbe essere sua figlia. Eppoi mi ha arrapato come al telefono mi ha detto che: “… se vuoi il sedere sono 50 in più…”. Lo chiamano tutte “culo” e sentire dire “… il se-de-re...” mi ha fatto venire i brividi sotto allo scroto.
La location è un appartamentino in una traversa molto tranquilla di via Mengoli. Anastasia mi raccomanda di entrare con discrezione e di usare le scale: “Primo piano, caro”. Non posso fare a meno di notare che anche “caro” è una novità. Mi accoglie con calze a rete (che terrà sempre su) e scarpe col tacco alto, argentate. E’ un fiorellino poco più che ventenne, un leggero velo di abbrozzatura che le dona moltissimo, visetto incorniciato da capelli lunghi e due occhioni sempre mobili, attentissimi. Peccato per le tettine appena accennate, ma Anastasia mi piace davvero tanto. Ci stendiamo sul letto. Cerco le sue labbra e parte un bacio lunghissimo, con le lingue che si cercano. La spio di sottecchi e vedo che ha gli occhi chiusi, concentrati sul bacio. Brava bambina.
Non smetterei mai di baciarla, ma là sotto l’amico ha già annusato la sua fighetta depilata e non ci sta più nella pelle. Reclama quella bocca tutta per lui. Parte un bocchino dolcissimo, profondo e implacabile. “Vuoi leccarmi?” Vorrei rispondere che non aspettavo altro, ma mi limito ad assentire con un gesto del capo. Comincia un sessantanove coinvolgente, con lei distesa su di me e le gambe per aria. Faccio incetta della sua fighetta rosata davvero sapida e del suo burroso culetto. Poi mi incappuccia con la bocca, si siede sopra di me e oplà… l’amico scompare prima nella fighetta umida e poi tra le sue burrose chiappette. Finisco d’incularla alla pecorina, ma è sempre lei a condurre, con la sua vocina sexy e gli occhioni che non stanno mai fermi. Davvero una bella trombata.

Timbrata Anastasia, rimango in zona Massarenti per il pranzo. Non so se è per via del peperoncino, che ho cosparso abbondantemente sulle pietanze, ma alle tre e mezza sono di nuovo in tiro, con il chiodo fisso della topona russa. Non posso andare via da Bologna senza aver marcato questo pezzo di territorio. In fondo che cos’è un puttaniere se non un cane randagio, che vaga in lungo e in largo solo per lasciare più pisciatine possibili in ogni angolo del pianeta? E poi rischio di aggiungere questo rimpianto ai tanti altri, troppi, rimpianti della mia vita. Non posso.
La chiamo. Segreteria telefonica. Questa stuzzicaminchia è sempre impegnata. Sto per rinunciare quando un sms mi avverte che l’utente ha riacceso il telefono. Chiamo. Finalmente libera. Entro nel palazzo, salgo al terzo piano, non trovo la porta. Scendo, risalgo, con lei al telefono: “Dai amore … guarda, c’è una porta a vetro…, terzo piano…ti sto aspettando con la porta aperta...” Sto facendo la figura del pivellino, ma sta cazzo di porta non la trovo. Poi intravedo un porta a vetro, pensavo fosse un finestrone, invece è una porta. Il pianerottolo continua dietro questa cazzo di porta. La attraverso come un treno e finalmente ecco la porta socchiusa, che mi attende.
Appena ce l’ho davanti non posso fare a meno di notare un’incredibile somiglianza con una attrice romagnola che venti anni fa mi aiutò molto a crescere, soprattutto quando recitò in un film di Tinto Brass, allegra rivisitazione della Locandiera di Goldoni. Ride, mi abbraccia e comincia a strapazzarmi la bocca con dei baci profondi e prolungati. Colto di sorpresa le metto le mani dappertutto. Tasto due belle chiappone, sorprendentemente dure vista la mole. E’ davvero tanta roba, chissà come doveva essere solo una decina d’anni fa. Fa tutto lei, mi spoglia, mi stende, mi succhia fino al midollo. Poi chiede se mi piace leccare la figa: “Porc… è la mia passione”. Per una manciata di minuti mi faccio una lavata di faccia con quella figona aperta. Ma l’odore e anche il sapore risentono della frenetica attività a cui si sottopone la topona. Il pasto tende al rancido. Dopo un po’ si gira e mi porge un preservativo. M’incappuccio, afferro le sue chiappone per usarle come base d’appoggio e la sbatto come un forsennato. Grondo sudore come un cammello. “Dai… dai… ora nel culo…”. Non mi faccio certo pregare. Entro senza difficoltà e cerco di stantuffare piano piano. Ma la visione del mio cazzo che entra ed esce da quel valico aperto tra due montagne di carne candida mi manda il cervello in brodo di giuggiole. Non resisto, comincio a stantuffare di nuovo a tutta birra e dopo un po’ sono fottuto ed esausto. Grazie Bologna.
 
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SE HAI LA SCIMMIA …

Da quando il cinismo dilagante della società moderna si è fatto strada anche nel mio cuore, riesco a placare la scimmia, che sempre più spesso mi attanaglia, il corpo e la mente, solo con una tripletta. La tripletta di culi è diventato il mio metadone, l’unica terapia che riesca a lenire il livello di dipendenza dal sesso anale cui sono stato capace di arrivare. Questi momenti di crisi di astinenza si presentano con sintomi ben precisi che oramai ho imparato a riconoscere: comincio a balbettare, divento smanioso e inconcludente, per arrivare alla sera privo di forze e con la netta sensazione di non aver combinato un cazzo. E’ quello il momento di ricorrere all’auto-medicazione: prendo un aereo, destinazione Milano o Roma, sfondo tre culi e ritorno lo stakanovista di sempre, tre culi uno dietro l’altro, meglio se nella stessa giornata, tre culi e ritorno il solito affabulatore figlio di puttana con i clienti, tre bei culi e il mio sistema nervoso si rivitalizza. E la scimmia mi abbandona per un po’.
La cronaca degli eventi di un paio di questi momenti di crisi verticale, messa nero su bianco con la pistola ancora fumante di sperma, fotografa l’escalation paranoica della disperata ricerca della dose curativa di metadone. Siamo in pieno Inverno 2006, nella prima sequenza, nell’Autunno 2007 nella seconda, scenario ideale la piazza milanese.



Milano, Dicembre 2006

Lunedì mattina, sbrigate alcune semplici incombenze lavorative, mi aggiro come un giaguaro pronto a colpire dalle parti della Stazione. Obiettivo n. 1: Laura, bionda ungherese, età indefinibile ma sicuramente avanzata, a quanto pare capace di farti: “Scoppiare il cazzo.”
La chiamo verso le undici, pregustando una mattinata tutta fuoco e fiamme. Mi risponde una che in italiano perfetto, oserei dire: “Televisivo”, mi dice: “Ma tesoro, dove entra lo mettiamo…” eggiù una grassa risata che sembra pre-registrata. Annoto mentalmente l’indirizzo e mi avvio, curioso di scoprire quale mangiatrice di uomini si celi dietro questa voce tanto televisiva da sembrare, a pensarci bene, l’imitazione di una nota attrice/conduttrice (fighetta svizzera che ha trovato l’America in italia).
Dopo una decina di minuti a piedi arrivo nei paraggi del numero civico giusto. Ho l’impressione di essere davanti ad una banca (boh?). Richiamo, per ricevere indicazioni più precise, ma…la sorte beffarda ha intanto lavorato alle mie spalle: “No tesoro, sono fuori… non pensavo che… possiamo fare alle… alle… all’una e un quarto, più o meno”. “Ok, ti richiamo”. Chiudo la comunicazione e non sono per niente contento della piega che sta prendendo la giornata. Il piano era di cominciare di buon ora per farmi un paio o tre di troiette fino a sera. Scatta il piano B. Tiro fuori la lista e me la faccio tutta, fino in fondo. Venti chiamate, nessuna risposta (sigh!!), tante il telefono del tutto staccato. La giornata si mette decisamente male. Ci mancava lo sciopero delle troie! Disperato chiamo una mia vecchia conoscenza, che esercita in zona: Arianna. So già che pretenderà velocità eccessive, ma che posso fare? Sono disperato e in preda ad una crisi isterica. Fa pure freddo. Mi tocca ripassare da Ariannona per la terza volta! Ma lì, prende corpo quello che non esito a definire: “Un complotto contro il sottoscritto”. Non risponde nemmeno Arianna chiappe d’oro. Compongo vertiginosamente un'altra decina di numeri, sono le dodici cazzo, qualcuna avrà fatto la CRUMIRA. Ma niente, tutto inutile, hanno aderito tutte compatte allo sciopero. Che cazzo avranno da scioperare poi ‘ste troie! (Beh sì, forse i turni di lavoro troppo massacranti).
Alquanto sconfortato mi ritiro in albergo, per riordinare le idee. Vado a pranzo con un amico, sperando che nel frattempo mi arrivi qualche messaggio di riapertura dei cancelli della fabbrica del troiame. Incredibile amisci: solo da due telefoni su trenta circa dei chiamati in mattinata mi arrivano segnali di ripresa attività. Ritorno in albergo quando sono già le cinque e vedo sfumare la mia giornata tuttotroie. Consulto il portatile nervosamente e comincio a chiamare numeri che avevo messo in secondo piano. In pochi minuti infilo sei indirizzi e altrettante offerte – poco convincenti - di servizi: Amalia, ungherese, Ascanio Sforza, all covered e anal: “Parto da 100”. Serena, brasileira di pelle ambrata, Trivulzio, all covered e anal: “Per l’anal voglio 200”. Giulia ed Emily, ungheresi, Porta Venezia, all covered e anal, 200 km/h. Gabriella, ungherese, Mercadante, all covered + anal, 300 km/h (sseee!). Yulia, inizio di viale Padova: “Sì, sono completa, ma vieni che parliamo di tutto di persona”. La fabbrica del troiame ha riaperto i battenti, ma a quanto pare lo sciopero ha sortito un ragguardevole quanto inaccettabile aumento contrattuale. Il sindacato dei puttanieri si è evidentemente calato le braghe.

Sono quasi rassegnato alla sorella della mancina (ma ormai sono a corto di fantasia) quando, così, tanto per provare, chiamo tale Emily Freitas. Come tutti, penso, diffido degli annunci con nome e cognome, presaghi di sgradita sorpresona tra le gambe. E quindi non avrei mai chiamato questa signorina se oggi non si fosse materializzato un destino tanto avverso, che mi ha portato fino a lei. E mi sarei perso una delle migliori scopate della mia pluriennale carriera di puttaniere. Mi convinco ad andare almeno a vedere di che si tratta perché la sua voce al telefono è suadente, ma soprattutto: posso raggiungerla con una passeggiatina di cinque minuti dall’albergo!!. Col senno di poi, non posso dire che il fato mi è stato avverso, più semplicemente direi che ha voluto prendermi per il culo.
Emily Freitas è una cavallina storna di razza mulatinha, anni 24-25, fisico slurp slurp, pelle levigata, che si bagna in due minuti e che non esita a spalmarti la sua fica grondante di umori sulla faccia, che non risparmia le sue belle labbrone, prezioso orpello dell’etnia africana che scorre nel suo sangue, slinguazzandoti in bocca fino a passarti la caramella alla menta che sta masticando, mordicchiandoti qua e là fino a farti soccombere di dolce dolore, che ti sugge prepotentemente l’uccello (anche se la parte uncovered è solo abilmente accennata), che si penetra l’ano con un dito mentre tu cerchi di infilarci dentro la lingua (e la caramella), che ti scopa in posizioni così plastiche che ti sembra di essere in un film porno, che ti offre le sue chiappe marmoree e voluminose con rara generosità, e che, infine, con una presa da lotta greco-romana, spingendoti da dietro con le piante dei piedi, ti costringe a rimanere schiacciato sul suo culo, per spillarti fino all’ultima goccia di sperma. Il tutto in 40 minuti di eccezionale intensità, a 150 km/h.
Martedì mattina soccombo sotto gli impegni lavorativi che nel frattempo si sono accumulati. Si sa, se passi una giornata intera a caccia di troie, mettendo tutto il resto in secondo piano, poi ne paghi le conseguenze. Purtroppo la bella trombata con la furietta nera Emily già alle undici mostra la corda e sono di nuovo in fissa davanti al pc, alla ricerca di culi da sodomizzare. Iconizzo e rialzo continuamente pagine web da siti di annunci troieschi, cercando nel frattempo di fare almeno qualche telefonata di lavoro, ma ho come l’impressione di essere una candela con la cera alla fine: la mia voce è sempre più biascicata, non riesco ad articolare una proposta di vendita, insomma soffro come un cane. E’ inutile andare avanti, mi dico, cercare di lottare contro la propria natura, se non mi faccio subito un culo, rischio di fare qualche cazzata. Contento di aver messo in sordina la coscienza professionale, switccio sulla Troio-SIM card.
Verso le dodici chiamo certa Talita. La telefonata è piacevole, la ragazza mi sembra fresca e disponibile. Il menù c’è tutto, a velocità non elevate (100 km/h). Mi dà l’indirizzo: “Via Bozzi, con due zeta … a Corsico”. – “Ah sì! Via Corsico, ok…” Non sono di Milano ma la zona di Porta Genova, ove esiste una traversa di Via Vigevano che risponde al nome di Via Corsico, non mi è nuova, avendola già battuta per i soliti motivi. Talita aggiunge che ora deve uscire e mi chiede di richiamarla verso l’una. Intanto cerco su web questa via bozzi, ma non trovo nulla. “OK” - penso - “Sarà una stradina senza uscita non citata in mappa. Anche oggi menù brasiliano, che bello!”. Comunque non mi sento del tutto tranquillo e quindi faccio un altro paio di telefonate. Trovo subito pronta Sheila, brasiliana pure lei, e anche lei molto invitante al telefono: “Sono in zona piazzale Lodi, Via Longanesi” Verifico il menù e anche in questo caso non manca niente, sempre allo stesso prezzo. “Ma che culo oggi” – mi dico – “2 telefonate, 2 brasilianine gentili e complete di tutto, a 100 km/h. Quasi quasi, se le forze mi reggono, faccio la doppietta” . Ma non mi fido ancora e verifico che nei paraggi di Talita, sia disponibile Amalia, in alternativa, hai visto mai qualcosa andasse storto.
Piove fitto fitto su Milano e muoversi in auto non è cosa. Opto per la metro. Arrivo in Porta Genova che sono l’una e mezzo. Mi incammino su Via Vigevano, verso Via Corsico, alla ricerca di questa Via Bozzi e richiamo Talita. “Senti sono dalle parti di Via Corsico, ma questa Via Bozzi è una traversa o….” Dall’altra parte del telefono una voce roca, forse la nonna della Talita di prima, mi gela le palle: “Sì amore, vieni, Via Bozzi, a Corsico, dove ci sta il ponte…”. Intanto ho imboccato Via Corsico e la pioggia si è fatta battente. Trovo riparo sotto un balcone: “Ma quale ponte, non capisco…” “Il ponticello amore, quello di pedras”. Perdo la pazienza: “Scusa ma… ho parlato con te un paio d’ore fa, perché…”. “Sì amore, via bozzi, a Corsico…”. “Ho capito, ma…a Porta Genova?” butto lì - “No Porta Genova, amore…via Bozzi… a Corsico…” Sto per urlarle di smetterla con questo disco rotto, ma mi rendo conto che tutto è inutile. Fra l’altro ‘sta voce anziana mi ha smosciato alquanto. Sento puzza di fregatura. Andassero affanc…via bozzi, a Corsico, Porta Genova, Talita, sua nonna e la pioggia.
Sono incazzato, ma penso che sono stato bravo a tenermi aperte altre possibilità in zona. Adocchio una bisteccheria. Meglio mangiarci su qualcosa, che a stomaco vuoto si ragiona male. Consumo una fiorentina da un chilo e mezzo. La cameriera mi precisa più volte “Guardi che è per due…” – “Sissì, ma a me me piasce la carne” e mentalmente aggiungo “Vedessi come trombo dopo con tutte ‘ste proteine in corpo, eppoi fatti i cazzi tuoi… ecchecazzo! Mentre mangio mi rimpallo pro e contro delle due possibilità che ho davanti: Sheyla è brasiliana, gentile, spesa accettabile, ma non ho la macchina. Dovrei prendere la metro, cambiare qui, scendere lì...e piove, minchia… non ha smesso proprio. Amalia dovrebbe essere lì a due passi, dipende se il suo numero civico su Ascanio Sforza sta più dalla parte di piazzale 24 maggio o più dalla parte di via Tibaldi. Il problema è che è ungherese e potrebbe riservare sgradite sorprese, visto che non mi ha nemmeno detto precisamente quanto cazzo vuole. Però c’ha un culo che … Minchia! Parla da solo. Anche la tonicissima Sheyla ha un bel culetto, incastonato su vitino da vespa. Però, basta con le brasiliane, dovrei provare qualcos’altro. Sono al caffé e devo ancora decidere.

Esco e mi dirigo verso la stazione della metro ma poi mi volto: tentiamo Amalia. Massì, basta col Brasile, bisogna cambiare ogni tanto. Eppoi anche le ungheresi, a volte… massì, sono tutti pregiudizi, basta con questa storia dei frigoriferi. Ma poi c’ha un culo questa, che… Minchia! Parla da solo. Ad ampie falcate mi faccio tutto Via Vigevano e Via Gorizia e prendo a destra per Ascanio Sforza. Guardo il primo civico: n. 3. Porc… Mi sa che quello giusto sta dall’altra parte. Evvabbè, ecchesaramai! Mi fa bene camminare, il viale è pure in discesa. Il problema è che continua a piovere, Diobbono. Mi inzacchero tutto, ma proseguo, senza sosta, ad ampie falcate. Arrivo nei pressi di nota pizzeria dei Navigli. Ci sono, ormai ci sono. Toh! Son finiti i civici. Dopo la pizzeria …: “Eh? Uncistanulla!”, direbbe quel bischero del mio amico livornese. Chiamo Amalia, che giornata! Sto litigando con la toponomastica milanese. In italiano improponibile mi spiega che devo attraversare eppoi… E’ vero, il suo civico sta dall’altra parte. ‘Sta cazzo di Via Cardinal Ascanio Sforza è bella lunga. Macché culo oggi! Le ho azzeccate tutte. Butto un occhiata in giro e scopro che è pieno di parcheggi liberi, ma sono venuto in metro, perché avevo paura di non trovare parcheggio.
Sono le tre abbondanti quando mi presento alla porta di Amalia. Grondo acqua da tutte le parti. Mi fa entrare. Ride. Tolgo con cura l’impermeabile, per evitare di allagarle il pavimento e intanto me la studio un po’. Ha un corpo da favola e il culetto a mandolino risponde pienamente alle mie aspettative, ma, peccato: la faccia proprio non va. Per farmi capire: è la classica faccia da puttana, navigata, segnata dal tempo, rossetto sulle labbra e ombretto attorno agli occhi. Dichiara 23 anni, io, da gentleman quale sono, mi metto a ridere senza ritegno. Lei non si risente, per fortuna. Azzarda un 28, ma ne ha più di trenta, garantito a limone. Passiamo alla trattativa. Minimo 100, ma ne vuole duecento per darmi il mandolino. Cazzo è uno strumento degno di nota, però, duecento rose.... Tiro fuori da una tasca tutto quello che ho (il resto è nell’altra tasca): 150 roselline. Mi pento subito, perché lei accetta all’istante. Chissà se avessi tirato fuori 100.
Ci stendiamo su uno strano divano letto, molto ampio, a forma esagonale. Ha una bella pelle e una abbronzatura da lampada che le dona. E’ arrivata due settimane fa, non capisce una mazza. Porta due stivaloni con tacco di 15 cm, che non toglie mai a quanto pare: lo stacco di coscia del resto, ne risulta valorizzato. La spedisco giù, a pompare con la bocca per una manciata di minuti: non se la cava male.
La dirigo verso un 69, lei non smette di pompare e mi offre il suo lato posteriore, bello a vedersi, ma… La fica è asciutta come uno straccio al sole di giugno ed emana odore di lattice. Provo ad assaggiare con la punta della lingua: lattice, non ci sono dubbi - potevi lavarti almeno, mentre cercavo il tuo cazzo di civico ecchecazzo. Non demordo, mi allungo fino al buchino, ma… anche qui: lattice. Che schifo! Ma un po’ di sapone, no eh? Che peccato doversi limitare a toccare con quel ben di Dio davanti. Le infilo un dito nel culo. Ingresso libero, ma mica tanto (il dito rimarrà impregnato di odore di m… a lungo; evidentemente i profluvi prodotti da Amalia sono refrattari al sapone).
Non mi rimane che passare all’atto finale: Amalia si dispone docilmente a pecorina e mi indirizza tra le sue eccezionali chiappette. L’ingresso è graduale, ma in pochi secondi sono dentro tutto. Glielo pompo nel culo per una interminabile quarto d’ora: non riesco a venire e Amalia comincia a lamentarsi, ma non mi infastidisce più di tanto. Anzi, le sue lamentele sono il giusto corollario alla mia insolita prestazione da pornodivo. Devo quasi forzarmi per arrivare a conclusione. Amalia lo accoglie come una liberazione, ma non mi molla di colpo. Attende di sentirmi completamente svuotato per staccarsi e questo, gliene devo dare atto, è stata una bella dimostrazione di professionalità.
Esco di nuovo all’aria aperta, ha smesso di piovere, stò stronzo. I torrenti lungo le strade sono diventati rigagnoli. Ma quanto cazzo ci sono stato con Amalia. E ora che faccio? Ho una fame da lupo, e ci credo con la scampagnata sotto la pioggia che mi sono fatto, la fiorentina se ne è andata a puttane (pure lei). Quasi, quasi un kebab… sì, un bel kebab Toh! Ma che cos’ha oggi l’amichetto nelle mutande. Ho scaricato un litro di sperma e questo bussa di nuovo. Divoro il kebab e mi rimetto sulla strada del rientro in albergo. Che faccio? Ci sarebbe Sheyla, aspetto domani o … Mentre cammino un’erezione di ritorno intralcia e ingoffisce il mio passo. Ormai l’amichetto va per conto suo e se ne fotte dei miei ragionamenti. Non mi resta che andare da Sheyla a cercare requie.

La bellezza di Sheyla, brasiliana sui vent’anni di carnagione bianca, mi lascia senza fiato appena varcata la porta di ingresso. Indossa un toppino e un jeans sdrucito, sforbiciato malamente all’altezza della coscia. Sua madre è polacca, dice, e suo papà brasiliano del sud. E si vede, penso il mix di geni polacchi e brasileri ha fatto davvero un lavoro esemplare: 1,80 circa, fisico snello, asciutto, culetto tornito incastonato su due gambe da gazzella, caviglie sottili e maledettamente sensuali. Peccato per le tette rifatte (malissimo) e gonfiate fino ad una assurda quinta. Ha gli zigomi alti e marcati, Sheyla, roba da top model, ma con tutto quel fard e quell’ombretto di dubbio gusto sembra proprio un bagascione. Mi accompagna di là, nell’altra stanza, e nel corridoio faccio la radiografia alle natiche gonfie che tracimano fuori dal jeans strappato proprio lì. Si siede sul letto e accavalla le gambe, dandomi uno sguardo compiaciuto: “Allora? Dimmi ….”. Devo avere un’espressione da arrapato con la lingua ciondolante: la camminata nel corridoio ha lasciato il segno. Eppure, mi sono appena svuotato. Dico: “Hai detto che sei completa … 100 vanno bene … te le metto qui?”. Sheyla annuisce, ma mi piacerebbe sapere che cosa sta pensando. Forse non pensa a nulla, forse pensa già alla prossima marchetta. Sicuramente tenta di archiviare velocemente la mia pratica: il pompino senza gommino dura un minutino. Poi Sheyla si libera dello slip, altre due ciucciate alla gomma e si mette subito a pecora, inarcando la schiena come una gattina in calore: “Sei venuto per questo, no?” “Sissì, magari se …” Ma lascio perdere, non protesto. E’ vero, mi interessa solo fottere quel trionfo di natiche, che ora stanno lì, tese, alla mia mercé. Decido però di riscaldarmi un po’ e vado di fregna. Intanto studio la prossima mossa e valuto le potenzialità di quel bel culetto. Lo tengo aperto a due mani e ci infilo un pollice, poi tutte e due. L’accesso è morbido, senza attrito, come se fosse stato già predisposto all’uso. Beh, mi sa che non sarà molto difficile aprirsi un varco. Non vedo cremine e sostanze idratanti in giro, però. Boh? Si sarà preparata prima, forse nel comodino ci tiene dildo e vibratori, ma poi che mi frega. E’ passata una manciata di minuti e Sheyla già sbuffa, si agita come una forsennata, cercando di farmi venire. Vorrei dirglielo: “Mia cara, mi spiace, forse aspetti qualcuno, ma ho appena scaricato tutto nel culo di Amalia, mi sa che ci vuole qualcosa in più di una decina di minuti”. Mi sfilo e approccio il retrobottega. Entrata liscia, rapida, troppo rapida: culo bellissimo, ma sfondato, mia cara. Sheyla ricomincia ad auto-impalarsi, ondeggiando plasticamente il bacino. Non posso fare altro che starmene fermo, a subire la sfuriata e a guardare lo spettacolo di questo culetto sodo che mi fotte il cazzo a velocità crescente.
Non so che cosa sperasse d’ottenere la troietta, ma ad un certo punto si sfila e si gira spazientita a controllare: “Dai .. dai… amore… ma… ma… sei venuto”?. Il mio cazzo svetta diritto e turgido come non mai. “Vengo io sopra”?! Non capisco se è una domanda o un’affermazione, ma l’accontento. Mi stendo sul letto e la lascio fare. Sheyla si passa le dita tra i capelli, come per raccogliere le idee, poi mi volta le spalle, allunga una mano e punta il mio cazzo verso il suo culo, drammaticamente provato, per inghiottirlo di nuovo. Segue una nuova tempesta di febbrili colpi di ano. E io? Io mi godo lo spettacolo, disteso sul letto, mani dietro la nuca, limitandomi di tanto in tanto a percorrere con le dita il solco lunghissimo della sua schiena, contando le vertebre o seguendo i rigoli di sudore che adesso scivolano copiosi sulla sua pelle vellutata.
Dopo il nuovo tentativo di farlo capitolare, Sheyla si inchina esausta davanti a quel cazzo di vetro che tende ancora il lattice come se fosse all’inizio. E’ il momento di scuotersi e di prendere in mano le redini della situazione. La sollevo di peso, scendo dal letto. Sheyla mi fa: ? Le tendo la mano e invito anche lei ad alzarsi. C’è un grande poster che la ritrae attaccato ad una parete. Mi sembra il posto migliore per sbatterla e insegnarle un po’ di buona educazione. Sheyla afferra al volo, si incolla al suo poster a mani aperte, mi offre, divaricando leggermente le gambe, quel che resta del suo patrimonio frettolosamente dilapidato. Cingere il suo vitino e ritrovare l’ingresso posteriore è fin troppo facile, ci riuscirebbe anche un cieco. Quello che segue è uno dei più virulenti e prolungati assalti sodomitici della mia vita. Non so se il collega puttaniere, che Sheyla attendeva, ha avuto la pazienza di aspettare. Chiunque fosse, se è venuto per testare il mondo posteriore di Sheyla, ha trovato la strada spianata.

Milano, Ottobre 2007
Il primo culo, direi culone, è quello di Ellen, zona Bovisa, una piacevole sorpresa. Forse perché sono stato il primo della giornata, attorno alle dodici, forse perché era ancora insonnolita o forse semplicemente perché è di buona indole, questa brasilianina è stata davvero di una dolcezza infinita, tanto da far passare in secondo piano qualche evidente imperfezione fisica: chiappe smagliate, cicatrice sul ventre, non proprio piatto peraltro, seno cadente. La sua bocca è stata una piuma e mi ha regalato un pompino di rara fattura, mentre la sua fighetta depilata eruttava come un vulcano a beneficio della mia di bocca. Alla fine mi sono ritrovato con una mazza gonfia come non mai, tanto da richiedere un preservativo XL. Mentre la stantuffavo alla missionaria ho avvertito un sincero trasporto da parte sua e ho creduto di potermi avventurare alla ricerca delle sue labbra, che, però, unica nota stonata, mi sono state cortesemente rifiutate - Boh? Forse perché prima le avevo leccato la figa - Un velo di delusione si è dipinto sul suo viso quando le ho chiesto il culo e stavo quasi per rinunciare. Ma lei si è ripresa subito e mi ha cambiato il preservativo: dice che fa sempre così. A 90 gradi evidenzia un bel culone, peccato per le smagliature laterali. Entro con difficoltà, ma dopo una decina di secondi sono tutto dentro. Dura poco: la dolce Ellen si lamenta, mi sputa fuori e mi invita ad una entrata laterale. In altre circostanze mi sarei incazzato: non mi piace l’entrata laterale. Ma questa ragazza è stata così dolce che non mi va di ribattere. Obbedisco, entro di lato. Le sue chiappone sono diventate ospitali ora. Comincio a stantuffarla, mentre con la mano sinistra mi lavoro la clito. Ma non mi piace l’entrata laterale e allora comincio a mandarle segnali, per invitarla a ruotare e a mettersi a pancia in giù. Non si fa pregare più di tanto e così senza uscire dal suo culone mi ritrovo di nuovo alle sue spalle, la bocca ansimante a fare una doccia di saliva sul suo collo profumato. Non so se nel frattempo mi sono sgonfiato io, ma nel suo culone aperto il mio cazzo sembra un biscotto immerso nella crema del cappuccino ora. Questa posizione di assoluto dominio delle operazioni manda segnali irresistibili al cervello dopo qualche minuto sono in Paradiso.

La seconda inculata doveva essere Adina, ungheresina ventenne, zona Corvetto, e in effetti così è stato, ma nel culo l’ho preso io. Mi puzzava un po’ che una con quegli occhioni azzurri, per gli 80 euro d’ordinanza non solo ti succhiasse il cazzo senza fastidiosi intermediari di gomma ma ti offrisse anche le chiappe. Ma poi mi ero fatto uno di quei ragionamenti da testa di cazzo, tipo: “Sarà appena arrivata, deve svezzarsi o forse c’è poca domanda…” e alla fine l’ho preso io tra le chiappe. Il suo annuncio è del TUTTO FALSO, ovviamente. La suddetta non è né vogliosa né completa e men che meno ti fa impazzire. Ti fa solo incazzare, perché con tutto il Bendiddio che c’è in giro sei andato a sbattere proprio lì. La cosa che mi ha fatto maggiormente incazzare è che ad esplicita domanda, ripetuta due volte al telefono: “Allora l’anale lo fai, eh…?” la volpina ungherese risponde un fermo “Sìssì!” Come dire: “Come ti permetti, verme, a fare questa domanda a me che sono la regina delle troie oggi su piazza?”. La cosa che mi fa incazzare anche dippiù è che, stregato da quegli occhioni, mi distraggo e dimentico di ri-precisare i termini dell’accordo. E così passiamo alle danze e dopo due decimi di secondo mi ritrovo incamiciato: “Ma non si era detto: preliminari senza protezione”? “E’ che ho un piccolo herpes e…” e mi mostra un insignificante foruncolo sotto il labbro inferiore. “Mmmm…” Siccome non sono un patito del genere, ci passo sopra. E comunque non mi sono niente: venti secondi di assaggini del mio cazzo incappucciato. Passiamo al secondo atto e le stantuffo la figa alla pecorina, mentre lei è rapita da un programma di merda alla tv. Non è molto gratificante, machissenefrega. Estraggo il bussolotto dalla figa e faccio “Toc, Toc” all’altro uscio. Istantaneamente il rapimento televisivo s’interrompe, la tipa si volta di scatto e si stende sul letto. Io faccio: “??” e lei parte con una cantilena urticante: “Non l’ho mai fatto, non è questione di soldi davvero, è non l’ho mai fatto, quindi… non l’ho mai fatto e… non l’ho mai fatto, quindi…” -“Ho capito! Ma perché hai detto che lo facevi allora?” Occhioni bassi, piccolo broncio e riparte: “E’ che…veramente non l’ho mai fatto, non è questione di soldi…è che non l’ho mai fatto….”. Intanto un coglione vince 500.000 euro al programma televisivo del cazzo che l’aveva mandata in trance. La piccola si desta, si alza sulle ginocchia e comincia a respirare affannosamente: “500.000 euro!!! Ohh…C-i-n-q-u-e-c-e-n-t-o-m-i-l-a EUROOOOOO…” Io la guardo allibito, guardo il mio cazzo che ammaina bandiera, mestamente. Non so se prenderla a schiaffi o mandarla affa…e andarmene. Alzo gli occhi al cielo, comincio a scrutare nelle crepe dei muri, nell’intonaco che cade a pezzi. Proprio una serata di merda, conclusa in un posto di merda con una cretinotta che continua a cinguettare: “...Cinquecentomila euro… oh… mamma… cinquece-NTO”.
Comincio a menarmela come un attore porno in procinto della scena, ma è solo per evitare che mi si sfili il preservativo. Intanto va in onda la pubblicità. Il cinguettio si conclude con un sospirone. La cretina si stende sul letto e come se niente fosse allarga le cosce, rivolgendomi finalmente uno sguardo: “Ma ti rendi conto…cinquecento…cinquecento!”. Mi viene in mente che la serata di merda potrei anche concluderla con un omicidio. “Vieni tu sopra, va…”. Sta per ricominciare ma stavolta la zittisco brutalmente: “Vorrei andare via, per favore…se vogliamo finire…”. Le agguanto le chiappe e la trombo con tutta la cattiveria che mi viene, a velocità supersonica: “Aspett…un momen…No! Così…No!…Aspett...a un…min-u-to…”. Mi fa male la spina dorsale ma non mi fermo più fino alla fine. Bye bye, babie …

Il terzo culo, all’indomani della fregatura ungherese, doveva essere il piatto più ghiotto del menù, considerate le referenze, e invece anche Joselyn, ceca sui trenta, location in un bugigattolo di 7-8 metri quadri incluso bagno, nella famigerata Via Frisi, è stata una mezza delusione. In teoria non si tira indietro davanti a nulla, dice di fare tutto ed è vero. Ma è come lo fa o come lo ha fatto con me che mi ha lasciato alquanto perplesso.
Per arrivare alla porta - finestra giusta c’è voluto il navigatore: “Sali un piano, arrivi davanti a una porta, cosa c’è scritto? Gira a sinistra, poi a destra, attraversa tutta la balconata, gira a sinistra, poi a destra….” Insomma, se non fosse stato per un panzone affacciato dalla balconata, che ha seguito tutti i miei goffi spostamenti e alla fine mi ha indicato la porta giusta, ancora starei lì, al telefono, a seguire le indicazioni di Joselyn. E non è il massimo della privacy cercare la porta giusta di una troia con il cellulare all’orecchio. La tipa è gentile ed è anche un gran pezzo di figa, con un seno strepitoso (per com’è fatto non per quanto è grande). Ma si percepisce subito il diaframma che, forse inconsciamente, mette tra te e lei. Trattasi di ovvia autodifesa emotiva che credo tutte le ragazze che fanno ‘sta vita, inutile prendersi per il culo, frappongono tra sé e i clienti. Il problema di Joselyn è che non riesce a dissimulare affatto questo granitico separè. E’ come se avesse perfettamente presenti i requisiti che deve avere una buon prodotto – bbj, anal, cim, gfe, non badare all’orologio, silenziare il telefono, chiacchierare un po’ prima e dopo, ecc…- e si adoperasse per riprodurre con matematica impostazione questi requisiti. Questa è più un’esperta di marketing che una puttana, crede di conoscere il puttaniere tipo e pensa di offrirgli ciò che cerca. Il risultato complessivo per me è stato che ho trovato più sensuale la bistecca alla fiorentina che ho mangiato dopo, a cena.
Tutto si è svolto nella più totale assenza di libidine, con una parcellizzazione scontata di tutte le portate del menù: un tot minuti (pochi) per il bbj, un tot secondi la leccatina di palle, un tot per il 69, un tot la trombata di figa alla missionaria, un tot alla pecorina, un tot l’anal. Volevo farmi una scorpacciata di quell’incredibile seno ma sono riuscito a malapena a slinguazzarlo, volevo trivellare con la lingua il magnifico buco di culo durante il 69 ma non sono stato assecondato. Per non parlare del frenck-kiss, che dovrebbe essere l’apice della libidine, e durante il quale invece ti ritrovi con la sua lingua rigidamente puntata su di te, che sbatte un po’ “andò cojo cojo”.
Tutte le troie svolgono un compitino, ma ce ne sono alcune che riescono a farti credere che davvero sono lì per te, con il corpo e con la mente, che sprizzano sensualità, dolcezza o semplicemente porcaggine, da tutti i pori. Joselyn, al contrario, sebbene sia completa di tutto, è classificabile come una esecutrice acefala di marchette multi-formi, un piatto da gourmet con variegate cromaticità ben accostate che non sa di niente.
 
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ALL THE BEST: BORN TO FUCK

Ci sono donne che odiano gli uomini, donne che a mala pena li sopportano e donne che li amano alla follia. E ci sono donne nate per fottere, per fare la puttana. Inutile fare tanti giri di parole: è un dato di fatto. Fare la puttana è un impulso innato, paragonabile all’indole del musicista o del pittore: o ce l’hai o non ce l’hai. Per anni il becero luogo comune della ninfomania ha disinnescato il potenziale di questi esseri superiori. Oggi, nonostante i pregiudizi in campo sessuale non siano stati del tutto estirpati e la sessuofobia sia ancora componente dominante della clerico - società occidentale, l’energia sessuale di super-femmine con predisposizione naturale al puttanesimo, a lungo compressa come una molla, si sta dispiegando impetuosamente, stravolgendo la vecchia morale e il senso comune. Verrebbe da dire: Puttane di tutto il mondo … Unitevi!

Non mi riferisco ovviamente al gregge di stupide ragazzine, adolescenti o appena maggiorenni, che si concedono a uomini di potere per scalare rapidamente le vette della telecrazia italiota. Con il movimento puttanista quelle non c’entrano nulla e credo che non sappiano nemmeno come si fa un bocchino degno di questo nome - e detto tra noi, non scaleranno un bel niente- Mi riferisco a quelle femmine che diventano puttane esattamente perché vogliono fare le puttane, femmine connotate da un certo magnetismo fisico e mentale e dalla schietta predisposizione a fare felice noi maschietti, senza malcelati doppi fini.
Una puttana cosciente del proprio potenziale diventa presidio sociale su cui riposa la stabilità e l’integrità della clerico - società, fatta di convenzioni contro – natura e ipocrite regole familistiche. Non è insensato asserire che una quota rilevante della violenza intrinseca a questo tipo di società rifluisca in trombate a pagamento. Che farebbero i tanti stempiati impapanzoniti di lavoro sedentario se non ci fosse una puttana a farli sentire Brad Pitt, a illuderli che ancora hanno qualcosa da dire alla vita? Che farei io se non sapessi che ogni trasferta lavorativa sarà l’occasione per rinverdire il mio curriculum? E chi se ne frega che tutto questo sia falso e che poggi sulla carta filigranata di laute ricompense? Chi se ne frega dei facili commenti dei benpensanti? Ma non sarebbe meglio riaprire i bordelli in questo sciagurato Paese?

Io non ero ancora nato, ma le cronache ed i film che sono stati ambientati in quel periodo riferiscono che si andava al bordello come se si andasse al bar e che con le puttane si faceva all’amore. Si andava al bordello alla ricerca di convivialità e amore quindi, l’esatto contrario di quello che capita oggi mediamente: si va a puttane da soli, si fa un po’ di sesso, si svuota lo scroto e si resta sempre più soli con sé stessi. Da un lato le puttane, dall’altro i clienti, due solitudini che si incrociano per qualche istante sul terreno sudicio di sperma, sudore, umori, senza lasciarsi nulla, due emisferi che restano separati quando non avversi.
E che peccato! Che peccato che oggi le puttane con la stoffa delle puttane d’altri tempi debbano condividere gli astanti con le puttane di stoffa della modernità. E poichè non è raro incorrere nelle seconde, avere la ventura di incontrare una puttana vera è un evento che deve essere degnamente celebrato, con sacrifici votivi a Priapo e a Dioniso.

A me mediamente capita una volta su due e soltanto una volta, nell’Inverno del 2008, la vita da puttaniere mi ha regalato una tris: tre cavalle di razza una dietro l’altra, tre incontri che mi hanno segnato, ripagandomi ampiamente di tanti incontri fasulli e futili.


Giulia, rumena, Milano

La faccetta simpatica di Giulia, che poi si rivelerà una faccia da porca, già da qualche tempo imperversava su alcuni dei siti più noti. Il suo fisico poco formoso, tuttavia, mi aveva sempre dirottato altrove, verso colleghe più procaci. Fortunatamente stasera ho poco tempo e la vicinanza della sua location al mio albergo mi convince ad abbandonare ogni perplessità. Fra l’altro è la prima a rispondermi dopo tre o quattro telefonate a vuoto. Mi fiondo davanti al suo portone, ma devo attendere qualche minuto in strada, davanti ad una pizzeria affollata di signori e signore che notano la mia impazienza: il telefono di Giulietta trilla a vuoto. Vuoi vedere che mi tira il bidone? Al terzo tentativo finalmente mi risponde e mi invita a salire al primo piano. Meno male, stavo per desistere anche stavolta. Salgo i gradini a due a due e ancora prima di giungere sul pianerottolo intravedo la sua testolina fuori dalla porta, che mi aspetta sorniona.
Faccio il corridoio e mi sento soppesato alle spalle dal suo sguardo malizioso e magnetico. Chissà se sta pensando: “Fiiuuu… che carino!” oppure: “Uff… ma chi è stò carciofo?” Entro guardando per terra, poi alzo lo sguardo: è una fighetta più snella e magra di quanto pensassi, ma è comunque una gran fighetta. Ha l’aria stanca, gli occhi leggermente cerchiati e si capisce: sono le nove di sera. La soppeso a mia volta mentre si spoglia e non posso fare a meno di compiacermi perché il fisico c’è: gambe lunghe, chiappette e tettine accennate ma gustose, pelle tiratissima, depilazione perfetta, tatuaggio sulla schiena. La sessione si apre con french kiss prolungati, alternati a ciucciatine delle due tettine, e dopo qualche minuto mi ritrovo la sua bocca avvolta sul mio cazzo. Se dovessi classificare la sua tecnica pompinatoria direi che Giulietta rientra nella categoria delle succhiatrici vellutate, che svolgono il compito con grande sensualità, ammiccando con lo sguardo e concedendo una tregua di tanto in tanto. Una succhiatrice pura, che mai usa la mano. Solo durante il 69 abbandona la cattura vellutata della mia cappella per lasciarsi andare ad un ritmo più serrato che coinvolge tutta l’asta, mentre io faccio una gratificante scorpacciata di fighetta e buchetto. Arrivo a cottura e le faccio cenno di fermarsi. Vengo incappucciato e dopo aver passato una o due mani di cremina sul mio arnese, Giulietta mi sale sopra. Vorrei dirle che preferirei sodomizzarla subito, perché tanto non ne ho per molto, ma desisto. Lascio che sia lei a condurre, lo ha fatto così bene fino ad ora che non voglio rompere l’incantesimo. Giulietta impugna con fermezza il mio cazzo, che nel frattempo sembra essere triplicato di volume e lo dirige verso…toh! Diritto al centro del suo culetto! Che meraviglia di ragazza! Deve avermi letto nel pensiero. I primi tentativi di impalatura, però, falliscono e c’è bisogno di un supplemento di cremina per farmi passare dalle sue chiappette. Una volta dentro mi abbandono alle sue ondulazioni ansimanti, seguendo le traiettorie del suo corpo sinuoso, assecondando le sue vibrazioni, mentre lei mi guarda con fierezza fisso negli occhi, come per dire: “Sono io che comando qui, cazzone!”. Quegli sguardi da porca mi mandano in visibilio ed effettivamente non riesco a controllarmi più di tanto. Tutta la sua giovinezza cavalca con sicumera la mia pur eccezionale erezione e la sovrasta senza incertezza, senza tregua. Incapace di reagire, di fronte all’arroganza del suo giovane corpo, mi devo arrendere dopo una manciata di minuti. Non c’è che dire: la pattuglia rumena sforna sempre elementi di notevole qualità nella città meneghina.

Michelly, brasiliana, Milano
Il giorno dopo mi sveglio con l’alza bandiera: gli occhi di Giulia, piantati dentro i miei con aria di sfida mentre si impala seduta su di me, hanno lasciato il segno. Scendo a fare colazione, risalgo, mi lavo i denti e niente: lo sguardo fiero di Giulia è sempre lì, non riesco a togliermelo davanti. Avvio il portatile, scrivo qualche riga del rapporto che devo consegnare il giorno dopo e distrattamente apro anche la presentazione in Powerpoint che avevo imbastito per questa trasferta milanese: ci sono tutti i miei target, già contattati telefonicamente e quindi schedati per zona di competenza e servizi assicurati. In cima ci sono le A-level con blank blowjob incluso, via via tutte le altre. Iconizzo il file e lo lascio lì, a dormire, mentre ci dò dentro con il rapporto. Riesco miracolosamente a concentrarmi per un’oretta e quando mi concentro sono di una produttività incredibile. Bussano alla porta, è la cameriera di piano, sono le undici, forse dovrei uscire per lasciarle fare la stanza. “Solo un minuto, signora, le lascio subito campo libero”. Riattivo il powerpoint, scorro rapidamente le prime dieci slide. Se sono costretto a uscire, tanto vale mettere a profitto la passeggiata. Ho già deciso, me ne vado in zona Ripamonti, da questa procace brasiliana che risponde al nome di Michelly. Il suo annuncio campeggia da un po’ di tempo su vari siti e i commenti dei colleghi puttanieri sui forum sono lusinghieri.
Un corpo leggermente più magro di quanto traspaia dalle foto, ma ugualmente appetitoso, una ragazza piena di spirito e perfettamente calata nella parte della donna di piacere: Michelly, brasiliana di Bahia, qualcosa in più di una ventina d’anni, servizio impeccabile e completo. In un crescendo di passione si passa da bacetti appena sussurrati, alla slappatina delle sue tette bellissime (vere), ad un vorace 69, in cui non manca niente, neanche il sapido nettare che sgorga copioso dalle sue intimità. Il vestito per il mio amico dei piani bassi arriva dopo un quarto d’ora. Michelly mi sale sopra, vuole condurre, ma non per sfinirmi. Si muove lentamente, rimanendo sintonizzata sui segnali impercettibili che il mio corpo le invia. Entro ed esco decine di volte dalla sua fica madida, pronto ad esplodere, ma non voglio venire, manca ancora qualcosa: quel meraviglioso culo, che anelo come superbo premio finale da quando sono entrato in casa, intuendone subito le fattezze sotto un jeans scuro attillato. Molte sue colleghe non avrebbero gradito questo viavai dalla loro fica e avrebbero accelerato l’andatura da fantino per concludere rapidamente la corsa, con il minimo sforzo. Michelly no, lei vuole concedersi tutta e anche se capisce che sei cotto, rispetta il tuo ritmo, non vuole fotterti. Michelly non ha bisogno di furbizie e stratagemmi, è la sua sensualità a fotterti, ad avvolgerti, a dominarti. Entri ed esci dalla sua fica che gronda umori, cercando di riprendere il controllo della situazione, perché il suo megaculo ti attende e te lo vorresti godere come si deve, ma non ci riesci. Quando finalmente mi stacco da quel turbinio di sensazioni sono già carico a nitroglicerina: basterebbe una vibrazione millimetrica a farmi esplodere, basterebbe la semplice visione di quel culo a 90 gradi. Per fortuna, inaspettata, giunge una pausa. Solo una manciata di secondi, necessari a cercare la cremina lubrificante, ma sufficienti a concedermi una tregua provvidenziale. Sento distintamente lo scroto rilassarsi e lo sperma retrocedere, mentre Michelly unge generosamente il suo solco anale. Sono di nuovo pronto per farle la festa.
Michelly impugna la spada con cui farà harakiri e la guida con sapienza e fermezza, in attesa del momento dello strappo, quello che sempre, qualunque sia il grado di difficoltà della penetrazione, interviene a segnalare che l’atto sodomizzatorio può avere finalmente inizio. La lascio fare, evitando di arretrare davanti ai primi prevedibili ostacoli. Il culo di Michelly è resistente, ma non inospitale. In meno di un minuto sento la sua carne cedere, di schianto, mentre lei ritira l’impugnatura dalla spada che l’ha trafitta. Il cammino è segnato, sprofondo lentamente fino all’attaccatura delle palle. Con entrambe le mani piantate sui suoi vertiginosi fianchi, costringo poi Michelly a restare alla portata dei miei assalti, che iniziano vigorosi e precisi. Michelly è tutta un rantolo, io avvampo come un pagliaio. Essere in comunicazione con la sfera più intima di quel meraviglioso culo, poterne fare l’uso che più mi aggrada, mi ottunde di nuovo la ragione e in men che non si dica mi ritrovo di nuovo al punto di cottura. Non riesco a svicolare, questa volta: rimango immobile a chiappe contratte e dopo qualche istante mi lascio trascinare dalla corrente.
Sono felice, anche se un po’ contrariato. Soltanto ieri avevo scaricato tre quarti della stiva nel culo di Giulia e non mi capacito di questo infimo controllo della mia potenza di fuoco. Butto un’occhiata di sfida al culo di Michelly e mi consolo: non potevo vincere io. Faccio per uscire, ma la prua del gommino è incagliata sul fondale. Per una decina di secondi sono costretto a rimanere in posizione, Michelly resta immobile e pazientemente mi lascia fare la manovra di fuoriuscita. Dopo una decina di secondi riesco a staccarmi, con un sospiro di sollievo.

Petra, russa, Torino
La mattina seguente ho un appuntamento a Torino. Me ne vado alla stazione di buon'ora e prendo il treno felice. Manco dal capoluogo piemontese da un paio d’anni e appena si è presentata l’opportunità di una commessa da seguire in quella zona mi sono precipitato a prporre la mia candidatura, divorato dalla curiosità di verificare sul campo lo stato dell’arte delle puttane in città.
Dopo le Olimpiadi del 2006, Torino attraversa un periodo interlocutorio, con segnali contraddittori a vari livelli. Il settore delle troie non sembrerebbe esente da questa crisi di identità, stando a giudicare da quello che si legge sui forum. Ma io evidentemente ho Giove nel mio segno e pesco il jolly, poco prima di andare a pranzo. Sul sito web di riferimento per l’offerta puttanesca cittadina rimango colpito dalle pose fotografiche di tale Petra, russa, sguardo intrigante, fisico minuto, culo florido ma proporzionato, la classica piccola botte in cui potrebbe albergare il vino migliore. Non sto lì a valutare tante altre alternative, la chiamo, la voce è limpida e intona un italiano privo della fastidiosa inflessione levantina. Fisso per il primo pomeriggio, perché gestisce ordinatamente i suoi appuntamenti in Via Regio Parco e prima non sarebbe possibile.

A cose fatte non ho dubbi: questa ragazza è una fuoriclasse, una signora puttana, di altra categoria. La sua naturale propensione per il mestiere più antico del mondo è qualcosa di ammirevole, qualcosa che non si può costruire, una vocazione che non si inventa se una non ce l’ha in embrione. Anche le sue note fisiche richiamano l’essenza dell’essere troia, con questa corporatura leggermente tarchiata, da ballerina del Moulin Rouge, le cosce tornite strizzate in calze a rete e giarrettiere, il culo alto, il seno turgido appena accennato, il capello corto, l’occhietto azzurro intenso e vigile: tutto sprigiona sensualità, una sensualità che subito mi seduce, mi cattura e mi tiene per le palle.

In tre quarti d’ora Petra mi cuoce e mi svuota, mi riconcilia con il prossimo. Succhiare il cazzo si capisce che le dà soddisfazione, ma anche roteare la lingua nel bucio del culo. E nel frattempo ti lancia sguardi furtivi per spiare le tue reazioni. In capo a due minuti di questo trattamento mi ritrovo con uno scalpello d’acciaio, pronto a perforare qualunque parete. L'operato di Petra merita una contro – partita e passo all'attacco con la faccia affondata tra le sue chiappe. Andiamo avanti così per un po’, una specie di lotta greco romana in cui facciamo a gara per occupare la posizione adatta a lavorare il fondovalle dell’altro, fino a che lei non propone una brillante soluzione: “Facciamo 69” ? Cacchio, non c’avevo pensato… E dire che da sotto le sue natiche il panorama è mozzafiato. Riesco a farmi un quadro nitido, interno ed esterno, del suo florido culo alto, mentre lei mi somministra una pompa da manuale, implacabile ma misurata, morbida, ben ritmata, profonda. Apprezzo tanto che prima di prepararmi per l’atto finale, mi soffermo a esplorare con la lingua ogni angolo della sua bocca, per capire come abbia fatto a inghiottire tutto quanto l’arnese. L’atto finale dura poco: in un paio di minuti sono cotto, ma la soave ospitalità del suo canale internatico non la dimenticherò facilmente.

Che dire in conclusione di Petra, questa mosca bianca, questa graziosa e aggraziata signorina capace di - Dio soltanto sa come - elevarti a suo amante nello spazio di tre quarti d’ora? Non è una maggiorata, non è una top model scolpita dall’unghia al gluteo. Petra è una donna autentica, una Puttana con la P maiuscola, con quel po’ di carne in più che la rende unicamente provocante e appetitosa. Infine, vivaddio! Che bello sapere che c’è un’alternativa alle stronze scolpite, labbra a canotto e poppe giganti (perlopiù finte), che quasi sempre esordiscono: “Prima i soldi, amore”. Con buona pace della tua illusione...
 
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15. DEI MISSILI, DEI SUPERMISSILI, DELLE TESTATE NUCLEARI

Anche per il puttaniere più esperto, quello con anni di carriera alle spalle, la fregatura è sempre in agguato. Credo sia un appuntamento col destino, che di tanto in tanto si ripresenta e a cui è difficile sottrarsi. Io la prendo così: la fregatura la considero una sorta di pena da scontare periodicamente, un lavacro, una colpa da espiare, che arriva con certezza matematica ad interrompere una sequenza di belle fighe dedite con professionalità e passione alla forma di beneficienza più antica del pianeta.
Quando annuso la fregatura, perciò, non mi sottraggo, vado incontro alla mia sorte passivamente, cerco di archiviare la pratica, convinto come sono che la ruota gira, che domani è un altro giorno e che, se ho già dato, la sorte sarà più favorevole in futuro. E’ questione di calcolo delle probabilità, come nel campionato di calcio: impossibile vincere tutte le partite del torneo, ogni tanto capita di pareggiare, altre volte bisogna accettare anche una bruciante sconfitta.
A onor del vero, nella odierna società dell’informazione e della comunicazione, con forum e blog per puttanieri che imperversano sul web, volendo non sarebbe difficile schivare quelli che nel gergo condiviso si chiamano Missili. Lo ricordo a me stesso: dicesi Missile la mignotta che, a dispetto delle sue pur ragguardevoli note fisiche, limita al minimo tendente allo zero le sue prestazioni, sovente con premeditato atteggiamento strafottente che rasenta la maleducazione. In una parola: una stronza.

Tuttavia, solo chi non ha il coraggio di esplorare terre insondate, solo chi è così vigliacco da calcare solamente le orme degli altri, forse non andrà mai incontro a un missile. Ma costoro sono la negazione del movimento puttanieristico, costoro sono né più e né meno che dei piccoli parassiti che vivono a rimorchio dei veri puttanieri. Il puttaniere, quello che si rispetta, è un innovatore, assume su di sé l’onere della scoperta, corre i rischi di introdurre sul mercato un nuovo brevetto, non si limita a replicare le traiettorie altrui. E per questo non mi sono mai vergognato di raccontare le peggiori esperienze missilistiche, arrivando a sub-classificarle in : missili, supermissili, testate nucleari, scud.

Dicesi Supermissile una mignotta che non solo è stronza, ma anche fisicamente ributtante. Ci sei finito perché sei stato tratto in inganno: le foto che hai visto sul web risalgono a secoli prima oppure sono recenti, ma il fotografo con luci, inquadrature e trattamenti elettronici dell’immagine, ha occultato la realtà, fatta di adipe, masse flaccide, inestetismi. Invece di sentirsi in colpa per il tranello che ti ha teso assieme a quello stronzo di fotografo e garantire almeno un servizio accettabile, l’orrenda realtà si concede anche il lusso di prenderti a schiaffi, facendo la stronza.

Dicesi Testata Nucleare una mignotta fisicamente dotata, perfettamente corrispondente alla realtà - non ci sono trucchi fotografici – ben referenziata tra i colleghi puttanieri sul web, ma che con te si comporta da stronza, regalandoti un inaspettato quanto frustrante trattamento da appestato.

In ultimo c’è lo Scud: missile innocuo o involontario, dicesi scud la mignotta che elargisce il nulla in maniera preterintenzionale, solo per imperizia o incapacità.

Ecco qualche saggio desunto dal campionario milanese, fine 2008 – inizio 2009


Sara
Dalle foto mi aspettavo un troione di rare proporzioni, di quelle che ti rivoltano come un calzino e ti sputano via dopo mezz’ora, succhiato fino al midollo. Invece mi ritrovo a letto con una ragazzina impacciata, e impaurita, con un culo che sembra un culo ma in realtà è una saracinesca abbassata e chiusa a doppia mandata. Il fisico ci sarebbe, ma la carie ai denti e le orrende cicatrici sui seni rifatti sono una sfida per stomaci forti. Quindi accolgo senza troppe obiezioni la sua proposta di spompinarmi con il gommino subito inserito. Dopo cinque minuti provo un 69, ma mi arresto all'istante, disgustato dal sapore amarognolo della sua fighetta, nonché da una increspatura troppo accentuata dell'orifizio anale, forse residuo di un prolasso recente. Dopo altri cinque minuti le chiedo il culo, nonostante tutto, perché ogni culo chiuso come quello rappresenta per me un punto di orgoglio. Lei è riluttante, abbassa gli occhi, svicola, ma poi acconsente a mettersi a 90 gradi. Rivedo quella strana increspatura e sto per rinunciare, ma poi mi faccio coraggio. Provo e riprovo, ma la blindatura non cede, anche perché quando sto per assestare il colpo vincente la tipa si ritrae. Dice di sentire dolore, di essere stitica bla..bla... Lascio perdere. Le chiedo di riprendere a spompinarmi. Mi pianto in piedi con lei seduta sul bordo del letto, pensando di rifarmi un po' fottendole la bocca, ma la sua dimestichezza col cazzo è pari a quella di una scimmietta da circo. Non riesce a ingurgitare più di qualche centimetro e i suoi denti cariati si fanno sentire sulla cappella. Uno strazio. Lascio perdere anche il pompino. Le chiedo di segarmi fino a farmi venire. Lei mi toglie il gommino e propone il suo faccino come degno collettore dello sperma. Accetto entusiasta. Di mano fatico a venire e lei sbuffa. Cerco di aiutarla, levo la sua mano e comincio a segarmi io. Sono disperato. Quando sento di essere al dunque, punto diritto alla bocca. Il primo fiotto a sorpresa va a segno con precisione da tiratore scelto. Gli altri vengono abilmente schivati. Finisce tutto sul letto. Lei impreca non so chi. Io mi rivesto e vado via in un batter d'occhio. Non sto nemmeno lì a discutere sul fatto che se ci teneva alla copertina sul letto doveva rimanere ferma come ultimo baluardo, invece di scansarsi come se dovesse parare schizzi di lava. Insomma, una esperienza assurda. Mi è venuto anche il dubbio che fosse una delle sue prime marchette, un tentativo di avviamento alla professione. Ecco, la mia opinione è che, a parte che ci sarebbe voluto un minimo di investimento sulla dentatura, è meglio che chi ha pensato di avviarla in questo campo ci rinunci. Rientro mestamente in hotel: incredibile, con tanta disponibilità vado a beccare proprio un cesso. Non ne azzecco una ultimamente.


Michelle
Dopo lo scud di ieri, Sara la sdentata, attorno a mezzogiorno decido che devo rifarmi. E poi ho già lavorato abbastanza e l’eccesso di zelo non mi appartiene. Attivo la Whore Sim Card e mentalmente annoto due proposte dal nome quasi identico: Michelle e Michelly, ma che non potrebbero essere più diverse: Michelle è una ungherese riccioli d’oro, Michelly è brasiliana, mulatta. Di Michelly si legge un gran bene nei web-forum per addetti ai lavori, di Michelle nessuna notizia. Con lo spirito del talent scout chiamo prima Michelle. La sfiga ha già colpito ieri, non credo proprio che voglia accanirsi. Michelle al telefono sussurra appena qualche parola, ma la sua sensualità mi ha già catturato. Per giunta riceve in una traversa di B. Aires che in passato mi ha dato tante soddisfazioni. Le chiedo il civico e quasi chiudo gli occhi in attesa della risposta: “Sono al n. xx”. Cazzo, ma non è il buco in cui anni addietro imperversò la pattuglia bulgara dal CIM facile?! Non mi resta che andare a verificare di persona. Esco in strada e in dieci minuti sono sotto al portone: non c’è dubbio, trattasi dello scannatoio bulgaro. Richiamo Michelle, tutto eccitato di tornare nella squallida cornice di tante schizzate in gola. Mi spiega tutti i particolari per arrivare al portone giusto, una volta entrato nel cortile interno del palazzo. La ascolto distrattamente, conosco benissimo la strada. Piombo su al primo piano manco fossi un centometrista. La porticina è socchiusa, mi infilo dentro, penombra, scorgo una bella dentatura bianca: ormai è la prima cosa che guardo. Mi avvedo solo qualche istante dopo che la Michelle delle foto è tutt’altra cosa, o meglio, le foto sono sue, ma di qualche secolo fa, evidentemente. Ora c’è qualche chilo di troppo, il seno è bello florido, ma il ventre è flaccido, il culo è abbondante e molle. E mo’ che faccio? Non è la strafiga che mi aspettavo, ma non è così malaccio. E poi sorride tanto e guardandomi con due occhioni invitanti mi espone il menù: completo ma all covered, 100 rose. Decido di restare. Le allungo il centone. Non l’avessi mai fatto.

Incassata la marchetta, Michelle diventa improvvisamente glaciale, il sorriso scompare, gli occhioni fissano il vuoto, il servizio sbrigativo e irritante. A parte un pompino stentato in 5 nanosecondi, no fk, no daty, no 69 e, dulcis in fundo, bluff anale. Dopo aver rifiutato tutto il possibile, manco fossi un lebbroso, Michelle rifiuta di mettersi a 90°, non gradisce nemmeno mettersi di fianco, e insiste per rimanere nella missionaria. Ho il morale sotto i tacchi, non capisco il perché di tanta glaciale testardaggine, ma non mi va di stare lì a discutere. Lo capisco dopo il motivo di quell’insistenza pro-missionaria: sta stronza, complice la penombra, vorrebbe gabbarmi la figa per il culo, manco fossi un quindicenne. E’ troppo: sto per avere una crisi isterica, ma sono talmente deluso che faccio finta di cascarci e la trivello dove vuole lei, purché si arrivi alla conclusione. Mi rivesto senza dire una parola, mentre lei rassetta alla meno peggio e l’inverno avvolge il buco bulgaro. Era meglio una sega.

Una testata nucleare: Bianca (oggi attiva come Kenia )
La mia seconda troiochiavata 2009 ricade su Bianca, rumena ventenne o giù di lì. E’ una gran fighetta, non c’è che dire, e le foto parlano chiaro, ma, sarà stata anche colpa mia, l’incontro è rimasto a temperature quasi polari e non è scattato niente che lo rendesse particolarmente coinvolgente e degno di essere ricordato. Questione di chimica, di umore contingente, di stanchezza, non lo so, ma nessuna delle sensazioni, dei profumi, delle situazioni vissute, mi è rimasta attaccata addosso in maniera indelebile. Un incontro scivolato via come il più classico svuotamento di palle, ancorché in uno splendido culetto. Eppure la signorina si comporta educatamente, non si tira indietro, salvo di fronte alla mia pretesa di infilarle la lingua in bocca dopo averla usata per trivellare fica e buco di culo, ma ogni suo gesto, ogni sua parola, ogni sua effusione, tutto rimane circoscritto in un emisfero privo di sensualità ed erotismo. L’ennesima riprova che non basta un fisico perfetto per essere una vera puttana. Gli XXX-files di Bianca sono quindi piuttosto tiepidi, diciamo a 18 gradi centigradi.

Ambiente. Edificio in una stra-nota traversa di Pasteur, secondo piano, senza ascensore, appartamento ordinario. Da qualche tempo ero in fissa per questa bellissima creatura, ma c’era sempre stato l’inconveniente dell’ultimo minuto che mi aveva costretto a rimandare. Forse le mie aspettative si erano dilatate a tal punto che sarebbe stato impossibile rimanere pienamente gratificati. Riesco ad incontrarla per il rotto della cuffia, perché anche questa volta sembra che il demiurgo del mio percorso troiaiolo si diverta ad indispettirmi. Di fronte ai suoi troppi impegni: “Richiamami fra mezz’ora…” “Puoi chiamarmi fra un’oretta? Sono occupata…”, stavo già dirigendomi altrove, quando ricevo un suo sms: “Ho rinviato un appuntamento. Puoi venire se vuoi…”. Sono ancora nei dintorni e mi fiondo da lei in dieci minuti.

Fisicamente. Inutile aggiungere altro, è una delle più belle fighe che abbia mai maneggiato.

Sessualmente. Per fare un paragone culinario: è una bella bistecca alla fiorentina servita troppo cotta e senza sale. Sono convinto che all’inizio della sua “vita” la ragazzina fosse migliore, più spontanea, forse più timida, ma proprio per questo più erotica e attraente. Ora si è inventata un repertorio di frasi che forse nelle sue intenzioni dovrebbero rilassare l’ambiente e creare complicità, ma che invece suonano fuori luogo, artificiose, incollate con lo sputo su situazioni che non le richiederebbero. In compenso Bianca ignora del tutto il linguaggio degli occhi e del corpo, il suo viso non si scompone, il suo sguardo rimane indifferente a quello che succede, le sue movenze sono pianificate al millimetro. La sessione si apre con un pompino ben eseguito, prosegue con un 69 e una trombatina alla missionaria. Quanto odio quelle domande: “Vuoi venire tu sopra o ….?” Cara Bianca, se proprio non resisti e vuoi dare fiato ai polmoni potresti dire: “Vienimi sopra!”, oppure, “Ti vengo io sopra …”. L’anale, dice, che non lo fa con tutti. Dovrei quindi sentirmi privilegiato, perché dopo una manciata di minuti alla missionaria, Bianca mi interrompe nel momento più intenso: “Vuoi fare anale ora?” Proprio così. “Passiamo al secondo? Che cosa vuoi di contorno?” Mi insegna anche una posizione che ha inventato lei: “Metti piede qua, gamba là… Per provare piacere tutti e due … poi ti faccio fare pecorina” Quando in un nanosecondo sprofondo nel pozzo senza fondo che è il suo ano, sto per mettermi a ridere. Penso: “Se lo faceva con tutti, chissà come sarebbe stato facile…”. Insomma, anche sodomizzare questo straordinario culetto, nella posizione copyright Bianca o alla pecorina, mi restituisce poche, isolate, sensazioni: mi sembra di scopare un tubo, da 3-4 pollici.

Infine. Arrivare all’orgasmo scopando un tubo è abbastanza complicato, anche perché Bianca resta immobile, non un fremito, non un mugolìo, vero o finto, silente e in attesa, quello che succede alle sue spalle non la riguarda. Solo concentrandomi sulla sua bella schiena tatuata, riesco a cavare dal mio cervello in tilt il giusto impulso verso l’orgasmo.
 
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16. CHIAVATINE, CHIAVATONI

Tra le passioni più diffuse nel mondo dei puttanieri seriali c’è l’orgia classificatoria delle prede, quelle che abitano lo sfrenato immaginario e quelle ormai residenti nella sfera del vissuto del puttaniere. Ognuno ha i suoi sistemi, ma quel che è certo è che il puttaniere assurge alla serialità e alla devianza patologica quando comincia a catalogare, classificare, schedare, organizzando un proprio archivio fatto di obiettivi, indirizzi, numeri di telefono, affiancati a criteri sintetici di valutazione, punteggi, categorie. La disattenzione e la noncuranza, non fanno parte del modo di essere del puttaniere seriale, che nella vita, sul lavoro, potrà anche essere trasandato e distratto, per diventare metodico e super-organizzato quando si muove nel suo habitat privilegiato.

Una smania ordinatoria incoraggiata e incentivata dal recente avanzamento tecnologico, che non è sfuggito al puttaniere seriale: dai pioneristici periodici della carta stampata al web, dagli appunti su foglietti sdruciti alle note sul cellulare, dal pc allo smartphone, dalla cartina della città al navigatore. Una rivoluzione che ha stravolto in meglio i modus operandi del puttaniere, racchiudendo in circuiti elettronici tascabili, sempre consultabili, tutte le informazioni di cui c’è bisogno per programmare, contattare, muoversi e colpire, nell’ombra, senza lasciare traccia, come tanti 007.
Senza contare che le tecnologie digitali hanno aperto orizzonti chiavologici impensabili. Finito il tempo in cui ci si muoveva in ambiti geografici abitudinari o ci si avventurava in zone poco conosciute con una mappa al seguito: il GPS integrato in auto e ora anche sul telefono mette alla portata di chiunque qualunque terreno di caccia.

Dopo anni di onorata carriera, con un repertorio abbastanza vasto di tipologie puttanologiche, ho risolto in 4 semplici categorie la brama classificatoria: chiavatine, veline, chiavatoni, strafiche, quattro raggruppamenti omogenei in cui trasferire e sintetizzare le prime impressioni, basate sulle fattezze e la struttura fisica, le pose e lo sguardo, delle inserzioniste sul web.

Chiavatina è termine con duplice valenza: è quello che presumo sarà l’esito di una trombata con puttana di conformazione minuta, altezza sotto i 160 centimetri, culo sodo e tettine, in genere di provenienza latina e con più di trent’anni sulle spalle; oppure è il target facile facile e senza tante pretese, senza lode e senza inganno, in cui ripongo le speranze di svuotare velocemente le palle, per cominciare una sequenza destinata ad altri obiettivi o solamente per non rimanere all'asciutto quando il tempo scarseggia. Non voglio sminuire le potenzialità di donnette cui madre – natura ha limitato volumi e superfici, ma finora l’incontro di questo tipo di professioniste è sempre coinciso con chiavatine, più o meno soddisfacenti, ma sempre chiavatine.

Velina è termine di pubblico dominio tra gli addetti ai lavori. Mutuato dal neologismo televisivo, identifica troiette con vent’anni o poco più, in genere di provenienza est europea o carioca, cui madre natura ha regalato pelle di pesca e rotondità proporzionate, schiene affusolate e gambe infinite.
Cerco una velina quando mi sento filosofo, quando voglio appagare la ricerca del Bello ed il mio interesse è suggere più che fottere. Se andassi in un museo forse risparmierei, ma non credo ci siano opere d’arte pittoriche o scultoree in grado di competere con la carne viva. E poi sarebbe sconveniente mettersi a leccare un quadro o una statua.

Naturale e finanche ovvio contraltare delle chiavatine sono i chiavatoni. L’etimologia della parola risale all’Italia delle due Sicilie del periodo borbonico, epoca in cui le serrature erano grossolane e le chiavi di una certa stazza. Chiavatone è dunque una donna di facili costumi dotata di forme voluminose, anche debordanti, importa poco l’età. Il chiavatone è una medicina essenziale per curare le fibrillazioni della vita quotidiana di noi altri, quando il sangue, scorrendo nelle vene come un fiume in piena, mette in connessione pulsativa lo scroto e la giugulare.
Ricercare un chiavatone significa sovente sacrificare qualcosa sul piano estetico della preda, in cambio di sesso meno mediato da convenzioni sovrastrutturali e da elementi che appartengono alla sfera del razionale. Il chiavatone rappresenta lo sbocco selvaggio che deve ripagarmi di un periodo di prolungata astinenza.

Nella personale scala evolutiva del genere femminile che si concede in cambio di vildanaro, quello di Strafica è il gradino successivo a quello di velina. Strafica è quindi la troietta che diventa troione, la velina che ha raggiunto la piena maturità sessuale e che ad indubbie qualità fisiche, conservate pressoche intatte nel tempo, associa rare capacità di intrattenimento orale/anale.

Attingendo metaforicamente dal mondo equestre ho ottenuto anche una tabella di equivalenza (sintomo di paranoia grave e galoppante):


Chiavatina = Cavallina Express oppure Pony Express (variante per chiavatina con fisico minuto)
Velina = Cavallina storna oppure Puledra di razza (variante per velina precoce nei mezzi)
Chiavatone = Cavalla da monta oppure Giumenta (variante per chiavatone avanti con gli anni)
Strafica = Cavalla da competizione oppure Cavalla da passeggio (variante per StraficaMilf)

Ed ecco una rassegna di chiavatine e chiavatoni che negli anni hanno punteggiato la mia divisa da puttaniere.


Chiavatina Gloria, Torino, marzo 2009
GLORIA
Non era esattamente tra i miei target con priorità 1 di questa nuova trasferta torinese, ma le notizie raccolte tra gli addetti ai lavori sul web erano incoraggianti e il fisico minuto, ben fatto, che le sue foto rimandavano, invitante. Mettici che il telefono di tutte le priorità 1 squillava a vuoto ed eccomi in strada a cercare un taxi per raggiungere questa brasilera di san Paolo, età sui 30-35, vistose borse sotto gli occhi, messa in piega curata e meshata. Arrivo così rapidamente che la colgo di sorpresa e devo aspettare il mio turno per una buona mezz’ora. Devo essere folle, penso, per una così … e per convincermi a restare ripasso mentalmente le tante cose positive scritte sul suo conto. In effetti nessuno ha parlato di una bellezza che toglie il fiato ed io non sono neanche il tipo avvezzo alle lolite o alle veline. Tutti però ne hanno lodato il GFE . Mi guardo in giro alla ricerca di un bar, ma il tempo, complici anche un paio di telefonate di lavoro in entrata, scorre più veloce del previsto. Sono lì che me la meno se restare o chiamare un taxi, quando arriva il suo squillo premonitore. Classico portone che si apre con uno sguardo, tre gradini e sono già dentro. Mentre richiude la porta indugio con lo sguardo sul suo culetto ben modellato: ho fatto bene a pazientare. Anche il resto non è spiacevole, anzi le tettine turgide a coppa di champagne sono davvero interessanti. Insomma, un bel bocconcino, se non fosse per quelle borse sotto gli occhi e le striature bionde che, secondo me, la invecchiano di almeno 5 anni.

Ci accordiamo per una cento, senza scendere troppo in dettagli, ormai mi è chiaro perché sono lì: voglio solo aprirle il culo. Cominciano le danze e questa brasilerina ci sa fare davvero. Il suo pezzo migliore non è l’anal, che anzi risulterà non scontato, ma il pompino. Senza se e senza ma, senza che io chiedessi nulla, dopo vari slinguazzamenti di avvicinamento, la topina avvia una pompa al naturale, superba. Mi rendo conto di avere d’avanti una professionista del pompino come poche quando vedo sparire completamente il mio cazzo (che non è un cazzetto) nella sua bocca. E non sento mai i suoi denti. Hai capito la topina brasilera, tutta minuta, ma con due fauci da megapompinara … Sempre senza proferire nulla, mi porge le terga, rimanendo con la bocca avviluppata sul mio cazzo. Oh … Ora si comincia a ragionare! Vediamo se anche il buco del culo è bello elastico. Ne faccio incetta, con la lingua a scalpello e con le dita. Lei freme e io me la godo pensando che con quel culo morbido come un gianduiotto sarà una passeggiata. Mi concede una pausa dirigendo la lingua sul mio buco di culo, è davvero brava.

Ci avviamo alla sessione più importante, non ho tempo per la fica, le chiedo subito il culo, a 90. Cappuccio a me, una passata di cremina a lei e, e … sto cazzo! NON ENTRA! Provo, riprovo e niente. Non capisco, il suo deretano sembrava così morbido e arrendevole. Mi propone la missionaria, ma mi impunto subito. Scendo dal letto e le faccio cenno di approssimare il culo, così com’è, a 90. Con i piedi piantati sul pavimento è tutta un’altra cosa, si sa, ma la penetrazione non risulta agevole ugualmente. Forse tutto lo spazio l’ha concentrato nella bocca, non so, fatto sta che solo dopo una manciata di minuti riesco ad avere ragione di questo bel culetto, inaspettatamente asperrimo. Una volta dentro, affondo subito il colpo. Lei reagisce a questa mia incauta accelerazione inarcando la schiena e tentando di disarcionarmi come una puledra indomita. Riesco a rimanere incollato alle sue terga con il cazzo dentro solo con acrobazie degne di un equilibrista. Provo a disincagliarmi leggermente, per farla respirare, ma rientro subito, per non creare fraintesi. Sono dentro e dentro voglio restare, chiaro? Anche se ti brucia il culo come se dentro avessi un candelotto di dinamite con la miccia accesa. A un certo punto, non so quando, sento che la penetrazione è diventata miracolosamente fluida. La brasilerina ora è accucciata, braccia riverse sul letto, le terga offerte come un melone da aprire, niente si oppone più al mio piacere, posso entrare e uscire e rientrare in profondità senza scompormi, senza equilibrismi, e posso anche godermi lo spettacolo. Solo che più guardo più il sangue si riversa dove non dovrebbe. Con le residue forze produco gli ultimi disperati colpi di reni su quel culo traditore. Poi più niente: l’orgasmo arriva violento, 10-15 forse 20 fiotti e altrettante scosse elettriche mi riconsegnano svuotato e felice al mondo esterno.



Chiavatina Gisella, Milano, ottobre 2007

Sono le cinque di pomeriggio quando sul portatile digito l’ultima riga del report mensile di attività che dovrebbe finalmente consentirmi di rimpinguare le mie finanze ululanti. Alle sette e mezza ho il volo di ritorno, non ho molto tempo. Sono indeciso e distrattamente avvio le slide in cui ho catturato alcuni selezionati screenshot dal web. Ero sicuro di non avere molto tempo questa volta e non mi sono dato un gran da fare nella ricerca, perché sapevo che quasi sicuramente sarei ritornato così come ero venuto: con le palle stracariche. Due ore e mezza per andare a svuotarle, ripassare dall’hotel, ritirare il bagaglio, chiamare un taxi e fiondarmi verso lo stramaledetto aeroporto di Malpensa. Ce la farò?

Punto tutto su una di quelle brasilianine minute e formosette, con sede operativa nei pressi di piazzale Loreto, ad un paio di isolati da me. Si chiama Gisella, rimango sensibile alla provocazione del suo bel culetto tondo, che in alcune foto sporge da una sedia. E’ una delle mie fantasie ricorrenti sodomizzare un bel culo che sporge da una sedia, ma ci vorrebbe lo sgabello di un pub, in legno massiccio, bello alto, equilibrio instabile. Sarebbe fantastico poter collaudare la sua solidità facendolo vibrare in equilibrio una volta su un piede, poi su un altro. Ma Gisella è seduta solo una sedia da cucina, di quelle colorate in truciolato compresso e l’imbottitura in chissacchè.

L’ascensore arriva direttamente nel suo appartamento, come nei film: ottimo! Peccato che prima bisogna attraversare un cortile interno, rimanendo esposti al fuoco nemico, altrimenti la privacy sarebbe davvero ai massimi livelli. Mi accoglie in kimono ed il letto è alla giapponese, cioè, praticamente per terra. Un giretto di samba, con le le chiappette che si dimenano elasticamente, e si comincia. Oltre le chiappette, giustamente esposte nelle foto, però, la brasilianina non è fresca e tonica come mi aspettavo. Trattasi di signora più che trentenne anche abbastanza ammaccata: ventre floscio, tettone rifatte, lividi attorno agli occhi. Insomma, comincio un po’ contro voglia: ciucciata alle tettone rifatte, scambio di slinguazzate in bocca, leccatina di figa. Poi inizia a pompinarmi, con dovizia, con regolari conati ben affondati: professionale, ai massimi livelli. Dopo un quarto d’ora abbondante la fermo, anche se starei lì all’infinito, con il cazzo piantato nella sua gola calda.

Mentre mi incappuccia, ho già dimenticato il ventre floscio e le tettone rifatte e penso solo al suo culetto, che di lì a poco sarà mio. Mi si piazza sopra e mi fa fare qualche passaggio nella fica, poi cambia traforo e cerca di impalarsi. Sono tutto proteso ad assecondare il suo mirabile spirito di sacrificio, ma il mio cazzo non entra. “Vieni facciamo pecorina, forse…” - Sì, sì, forse…è meglio, confermo sbavando come un vecchio laido. Peccato solo che il signor culo della brasilianina si riveli un osso duro. Gisella allora si stende su un fianco e mi invita a fare altrettanto: “Aspetta, mettiamo su fianco, forse…”. Non vedere più quel culetto proiettato verso di me non mi garba così tanto e glielo faccio notare subito: “No, no… torna, torna com’eri, ti prego…”. Preferisco indolenzirmi la cappella, piuttosto. Gisella obietta un: “Ma?”, e ritorna in posizione, ubbidiente. Ormai è un questione d’onore.

Carico la baionetta e ritorno all’attacco. Dopo qualche secondo avverto un primo cedimento e mi premuro di afferrare subito i fianchi larghi della signora, per impedirle di scartare in avanti. Da quell’approdo comincio a produrre una serie di micro oscillazioni per fiaccare l’ultimo anello, quello decisivo. E’ la manovra con cui sono riuscito a sfibrare i culi più recaciltranti. “Aaahhh… ci sai fare tu…mmmm….” Ma ‘sto culo non vuole mollare. Ho la cappella in fiamme, come se cozzassi contro un muro in cemento armato. Gisella poverina è rimasta immobile, non ha colpe, è il suo culo che, sebbene sia cinto d’assedio, sta strenuamente difendendosi dall’invasore, suo malgrado. Getto lo sguardo, non sono riuscito ad andare aldilà di un 5-6 cm. Lo tiro fuori, quasi rassegnato: “Non ci riesco…” e osservo le porte della città che si chiudono immediatamente, mentre Gisella protesta dolcemente … – Ma no!! Ma che fai? Eri dentro! Aspetta, vieni sul fianco...

Stavolta obbedisco io e mi lascio condurre lateralmente fra le sue chiappette lisce e sode. In pochi secondi sono dentro, quasi per intero. “Hai visto… che avevo ragione?” dice tutta contenta. Comincio a stantuffare e finalmente ha inizio una specie di inculata. Vado avanti per un bel po’, non riesco a venire, il varco è comunque stretto e ho la cappella a 1200 gradi. E poi non si vede niente gli impulsi alla zona del cervello che controlla l’eiaculazione sono dimezzati. Gisella sbuffa e ora non sa più come tirarsi d’impaccio, perché il cazzo in culo, ancorché laterale, lo sta sentendo tutto. Quando le propongo di venirle in bocca, quindi, accetta con entusiasmo: penso che avrebbe accettato qualsiasi cosa pur di togliersi quel trapano dalla chiappe.

Mi alzo in piedi, vado in bagno a sfilare il guanto e a fare una lavatina, mentre lei prepara un bel canovaccio di carta assorbente. Mi piazzo davanti a lei, inginocchiata sul letto alla giapponese, e attendo di essere servito. La sua bocca è molto più ospitale del suo culo ed è un vera goduria starci dentro. Mi porta a cottura in un paio di minuti e non molla neanche quando le innaffio la bocca, con non so quanti potenti fiotti. “Mmm…mmmm…mmmmm…mmmmmmm…” Ad ogni spruzzo un mugugno, sempre più apprensivo, perché evidentemente non vuole che si sporchi il cazzo di letto alla giapponese. Ma il liquido che le ho dato in consegna è troppo, anche per la sua capiente cavità orale. Gisella è costretta suo malgrado ad ingoiare parte del prezioso liquido. “Mmm...mmmm…coff…coff… ho dovuto ingoiare…coff…coff…cavolo…” la sento lamentarsi mentre scappa in bagno. Io crollo disteso sul letto, come privo di sensi. Ho la cappella rossa come un peperone, ma mi sono svuotato davvero.



Chiavatone Nicol, Milano, febbraio 2008

Con Nicol mi ero già incontrato un paio d’anni prima, con esito incerto e mi era rimasta la voglia di capire se trattavasi effettivamente di grande chiavata o meno. A distanza di due anni, mi sono tolto ogni dubbio: posso confermare che il foto-ritocco è notevole, soprattutto dalle parti facciali, ma che dal punto di vista squisitamente chiavologico trattasi di grande chiavatone, come pochi.
Intanto perché, nonostante gli anni ci siano e nonostante il chilaggio sia visibilmente aumentato, è la femmina con il culo più massiccio e marmoreo che io abbia mai stretto tra le mani. Glielo anche chiesto se fa sedute giornaliere su vasche di ghiaccio per mantenerlo in forma. Mi ha guardato con un: “?”. “Questione di DNA” ha detto. Certo, il mix greco-ungarico che scorre nelle sue vene avrà pure influito, ma quello che mi chiedo è: “Come fa una donna così procace e debordante in qualche punto a mantenere un culo così solido?”

In secondo luogo è una che - se gli piaci? – con il kimono ancora indosso ti infila due metri di lingua in bocca, strusciandosi addosso e tastando la patta come se non vedesse cazzo da mesi. Risultato: in trenta secondi ti ritrovi con una mazza scalpitante e pronta a fare sfracelli. Ma veniamo alla cronaca degli eventi.
Dopo aver ripassato laringe e trachea, Nicol mi ha praticamente strappato camicia, pantaloni e tutto il resto, si è comodamente seduta sul letto e, indicandomi di rimanere in piedi, ha cominciato a succhiarmelo con avidità. Sembrava la scena di un porno americano, di quelle in cui le troia di turno ingoia tutta l’asta fino all’attaccatura dei coglioni e comincia a gorgogliare saliva da tutte le parti. Inerme e sorpreso da tanta veemenza, non ho potuto fare altro che subire quel pompino da manuale, contraendo le chiappe in avanti, fino a che non ho sentito i primi vagiti di sperma affacciarsi sul glande. Solo allora mi sono deciso a fermarla, appena in tempo, afferrandole le testa con ambo le mani e costringendola ad arretrare le mascelle.

Lei mi ha lanciato uno sguardo un po’ deluso, ma ha acconsentito ad un po’ di pausa. Mi sono seduto anche io a bordo letto, tenendo incollata la bocca sui capezzoli turgidi di Nicol. La mia intenzione era renderle pan per focaccia, ma Nicol con una rotazione fulminea si è inginocchiata ai miei piedi, si è intrufolata di nuovo tra le mie gambe ed ha ripreso a sbocchinarmi. Anche stavolta, non ho potuto fare altro che abbandonarmi a quella bocca calda e capiente, ma ora più delicata e sensuale. Disteso sul letto, ho provato a concentrarmi su pensieri diversivi, ma in pochi minuti mi sono ritrovato alla temperatura di cottura. Fortunatamente anche Nicol, visto che non è più una ragazzina cominciava a lamentarsi del dolore alle ginocchia e del pavimento troppo freddo. Così quando le ho proposto: “69?”, si è alzata di scatto per accovacciarsi su di me, facendo testa – coda.

E’ lì che mi sono davvero stupito della consistenza marmorea del suo culo, del suo straordinario candore. Ho cominciato a percuotere quelle naticone, dapprima timidamente, poi sempre più convinto, fino a che chiazze rossastre sono comparse a contrastare tutto quel bianco. Nicol con il mio cazzo sempre in bocca non ha proferito “Ahi”, come se davvero fosse fatta di marmo. Ho cominciato allora una accurata ispezione anale, prima con la lingua, poi con il dito indice, poi con il medio. Nicol ha continuato a pompare sul mio cazzo, imperturbabile. Solo quando ho cercato di penetrarla con due dita si è voltata per dirmi: “Ma mi vuoi inculare?”. Proprio così, flautata ma sorniona. Ho fatto cenno di sì, ma Nicol senza attendere la mia risposta aveva già lanciato una mano in un cassetto, alla ricerca del cappuccio per me e della crema per lei. E’ seguita la consueta fase preparatoria, la fase che porta il desiderio all’apice. Sei lì che aspetti, saggiando se il turgore del tuo cazzo incappucciato sarà all’altezza del compito e di sguincio butti uno sguardo sul tuo prossimo trofeo, che si prepara al tuo passaggio: adoro quella manciata di secondi.

Imburrato per bene anche il mio cazzo, Nicol si è voltata ed ha allungato la manina sotto la patonza, per pilotare le operazioni. Appecorato, quel culo, ancora più massiccio e turgido, mi ha fatto trasalire. Mi sono approssimato ed ho seguito la traiettoria disegnata dalla manina implorante di Nicol, pronto a cominciare la fase 2, quella in cui si deve gestire la reazione istintiva del culo, più portato ad espellere che ad accogliere. E’ la fase decisiva per l’esito finale delle operazioni di conquista: il colpo di reni giusto può spianare l’accesso, il colpo di reni sbagliato può inorgoglire l’autodifesa dell’avversaria. Da quel culone, peraltro lungamente preparato dalla proprietaria, mi sarei aspettato maggiore disponibilità e apertura. E invece mi sono ritrovato tutto proteso in avanti, a cercare di mantenere salde le posizioni guadagnate millimetro dopo millimetro. Anche Nicol è stata molto brava a non arretrare e dopo l’inevitabile shock iniziale è riuscita ad annullare completamente la sua presenza, lasciandomi solo con il suo magnifico culo. Perfettamente incuneato tra quelle chiappone, tanto desiderate, sono rimasto a lungo a dragare il fondale con piccole oscillazioni, per sfiancare le residue resistenze.

E’ la classica tecnica di accerchiamento per impossessarsi di spazi inizialmente ostili, per costringerli ad abituarsi al nuovo padrone di casa. Quando ho sentito che anche l’ultima porta era aperta, ho imboccato a ritroso il corridoio, quasi fino alla porta d’ingresso, per poi rientrare con un colpo secco, direttamente nell’ultima stanza. Ho rifatto quel sublime percorso non so quante volte, sempre lentamente in uscita, con uno scatto impetuoso in entrata. Nicol quasi muta tutto il tempo, consapevole che il suo stupendo organo di piacere di lì a poco avrebbe avuto la meglio. E così è stato. Dopo una decina di minuti, mi sono arreso, stremato e felice, ad un’interminabile serie di conati di sperma.


Chiavatone Morena, Milano febbraio 2009

MORENA
Che dire di Morena, 27-28 anni, brasiliana, la mia prima troiochiavata del 2009? Ecco i suoi XXX-files, diretta e immediata creazione del recupero in memoria delle immagini e delle sensazioni più salienti dell’incontro.

Ambiente. Edificio nella chinatown milanese, secondo piano, senza ascensore, appartamento molto in penombra. Mi fa aspettare una ventina di minuti in cortile perché lo deve rimettere a posto. E chi cazzo è passato prima di me? Rocco e i suoi fratelli? Al telefono, quando le dico: “Sono arrivato davanti al numero…”, balbetta qualcosa: “Cinque minuti… sono qua vicino, aspetta … dieci minuti ... devo, devo sistemare … ti chiamo io …”. Poi chiude. Due minuti dopo la vedo rientrare in casa a passo breve e svelto, viso ansioso e contratto. Non l’avevo mai vista prima, ma dal suo atteggiamento capisco subito che è lei. E’ una strana erotica sensazione vedere in jeans il corpo che da lì a poco potrai palpare e leccare a volontà. Noto soprattutto, e seguo con lo sguardo fino al portone d’ingresso, il bel culotto, che ancheggia rapidamente come in una specie di samba. Più tardi Morena mi dirà di avermi dato un’occhiata anche lei. Come? Quando? Non me ne ero minimamente accorto. Ma allora tutta la chinatown milanese, quando vede uno sul marciapiede, con le mani in tasca, che fa finta di guardare le vetrine, capisce subito perché è lì e che cosa sta aspettando? Morena ride con gli occhi e mi fa cenno di sì.

Fisicamente. Tratti somatici dichiaratamente indigeni dell’entroterra amazzonico, naso a patatina, occhi scuri, vispi, capelli lisci, lunghi e corvini, di quelli che naturalmente sarebbero ricci e inestricabili e che la stiratura forzata del phon ha reso setosi, vitino stretto stretto, fasciato da un corpetto in pelle nere che strizza fuori le belle tette rotonde, evidentemente ritoccate e rimodellate dal chirurgo, bel culotto, già notato, di cui si lamenta perché: “Ultimamente è sceso un po’ giù…” E pazienza, rimane un bel culotto, figlia mia. Il suo ventre è stranamente piatto e glielo dico. Secondo me anche lì c’è stata la mano del chirurgo, ma potrei sbagliarmi. “Sai, prima ero una ballerina…”.

Sessualmente. Non è una tigre da letto, di quelle che ti mettono subito KO, che fanno sesso solo con il tuo coso diritto, separandolo dal resto. Morena è un diesel da scaldare con dolcezza, che ti scalda a sua volta, dedicando attenzione a tutto il tuo corpo. Ci baciamo lungamente in piedi, tastandoci dappertutto, con i vestiti addosso. Il che mi fa presto dimenticare il contesto dell’incontro. Sono io che a un certo punto mi libero dei vestiti e mi piazzo sul lettone, a coso diritto. Lei si libera del corpetto e della minigonna, raccoglie i capelli e mi raggiunge con ancora indosso calze e reggicalze. Mi si piazza sopra cavalcioni e ricomincia con la lingua in bocca “Beijar è bom…”. Sì, sì è bello, ma non vorremo passare 40 minuti a slinguazzarci come due adolescenti? Faccio una gran scorpacciata di tette e capezzoli, saranno rifatte, ma non disdegno. Non guardo l’orologio, ma a naso sarà già passata una ventina di minuti e ancora siamo ai preliminari dei preliminari. E’ ora che la sua bocca si dedichi a ben altro. Vengo ripulito minuziosamente con fazzolettini inumiditi dallo smegma che con tutti quei toccamenti e slinguazzamenti nel frattempo si è abbondantemente formato sul glande. “Non è che ti dà fastidio se faccio così…” mi chiede soave. “No, no, fai pure quello che credi giusto … l’importante è il risultato”. Non voglio frapporre il mio stupido orgoglio di maschio appena docciato ad un bel pompino. E infatti l’attesa e l’orgoglio ferito vengono ripagati da un pompino vellutato, caldo e soprattutto silenzioso, senza risucchi, senza rumori simulati e molesti. Non posso fare a meno di ricambiare.

Parte un 69 movimentato, durante il quale Morena sobbalza e scatta, in avanti e indietro col suo culone, infliggendomi colpi di fica sul mento e sulla bocca. Non protesto, anzi: me la godo a ricevere il suo clitoride che si fionda a tutta velocità nella mia bocca aperta. Note particolari: la sua fica è stranamente dolce, sarà il sapone intimo che usa, non lo so, ma alle prime vergate di lingua sembra di leccare lo zucchero. Purtroppo non si bagna, ma non si può avere tutto. E comunque, dal dolce passo subito all’amaro, perché quello che adoro nel 69 è la possibilità di trivellare di lingua un bel buco di culo. Morena ce l’ha ovviamente scuro, profumato, e morbido. Cede subito il passo alla mia lingua insinuante, mentre la proprietaria continua a pompare dolcemente sul mio cazzo, senza mai usare le mani. E meno male, perché la trivella linguo-anale è così ben riuscita che alla velocità della luce vengo teletrasportato al limite del traguardo finale. Interrompo malvolentieri, ma non posso più andare avanti.

Le chiedo di poter entrare subito nel suo culotto, senza passare dal via, perché non ne posso più. Morena sorride, soddisfatta. Mi incappuccia con un condom rosso fragola e si dispone a culo per aria. La fitta penombra dell’appartamento, della quale fino ad allora non mi ero quasi avveduto, ora mi priva di quella sublime visione. Ci vorrebbe un faro, un occhio di bue, da puntare sul culo ambrato di Morena, china a novanta, ma ovviamente non c’è. Ed è un peccato. In compenso, stranezze della penombra, cerco e trovo subito il pertugio giusto. Un colpetto appena più deciso e sono dentro. Morena è colta di sorpresa da tanta efficienza. “Fai piano… per favore…”. Non ti preoccupare, il mio cazzo sembra fatto per il tuo bel buco di culo. Senza fatica arrivo al punto di non ritorno. La fotto con oscillazioni rapide e brevi, senza disancorarmi di un millimetro. Sento comparire la manina di Morena. Penso sia lì per chiedere una tregua. E invece no: la manina se ne va a coprire la fica. Io la fotto nel culo e lei si masturba: il quadro perfetto. Morena bofonchia qualcosa, forse vuole cambiare posizione, un mugolio, non so, non capisco niente:in preda agli spasmi di un lungo orgasmo, non la sento.

Successivamente. Scarico tutto piantato nel culo di Morena e mi porto fuori, scosso e sfinito. La fanciulla mi invita a rimettermi sul letto. Io le faccio. “?”. E lei insiste: vuole essere lei a liberarmi dal condom e a ripulirmi. “Ah!” trattamento davvero completo. Mentre mi ripulisce con le solite salviette, scambiamo due chiacchiere, mi chiede di dove sono, mi dice: “Ma tu non sei di Milano?”. Io dico: “No, come l’hai capito? Dall’accento? Sì sono meridionale, provo a dire generico”. Morena indovina la mia regione di provenienza. Resto basito, non mi era mai successo con una straniera, una che sta in Italia da 5 mesi, poi… Si lamenta dei milanesi: “Sono tristi, vengono qui tutti… “ e mima un maschio ingrugnito… “…Si mettono qui, se ne vanno, non dicono nulla, non ridono, chiedi una cosa e rispondono: “Mmmm…”. Provo a ribattere con della sociologia da strapazzo, che non è giusto generalizzare, che conosco alcuni miei corregionali tristissimi e milanesi gioviali e caciaroni. Morena non sembra convinta, le piacciono i napoletani, poi abbozza che forse finora ha incontrato solo gente incazzata. Forse sì, le dico, Milano è piena di gente allegra, e in generale come in tutte le grandi città coesistono gli estremi.
Uhe, bauscia! Trattatemela bene. E sorridete cazzo…


Chiavatone Angelo Blu, Torino, marzo 2009

ANGELO BLU
Lei è la ragazza delle sorprese. Prima sorpresa: le foto dichiarano lineamenti forti sopra un fisico strepitoso, una specie di Nonna Abelarda con due tette da paura, che, peraltro, chissà se hanno l’impalcatura o sono autoportanti; e invece, il fisico è strepitoso, certamente più magro e tonico di quanto ti aspetteresti, ma anche la faccetta non è questa roba da coprire con un cuscino che uno si immagina guardando le foto. E comunque, c’è ben altro da guardare che la faccia.
E’ talmente bona che le perdoni subito la sorpresa che hai trovato arrivando al numero civico indicato: un residence! Essì, questa bambolona con il vitino da vespa, un culo e due tette (che si riveleranno autoreggenti) che ti riportano alle inquietudini adolescenziali di quando compravi Blitz con in copertina le oche giulive da sogno degli anni ‘80, riceve in un residence. E per andare nella sua stanza, devi anche chiedere alla reception!
Più complicato perdonarle la terza sorpresa, quando sghignazzando ti dice che: “Hai capitu male, ammore, per una coisa normale il mio rigalo è scientu, sinnò ho detto DUI-scientoscinquanta … non SCIENTO-scinquanta…” e per finire il carico da undici: “No ammore, per fare dietro devo vederti, si sei troppu grande, non fasciu …“.

Insomma l’esordio è stato tutto in salita e se non avessi pensato alla figura da sprinter con quelli della reception che mi avevano visto entrare da appena cinque minuti forse mi sarei catapultato fuori. E invece abbozzo, faccio lo stupido, la faccio ridere, mentre lei mi sculetta davanti con il suo pantaloncino bianco borchiato, infilato nelle chiappe. Morale della favola: “Pirò, non meno di DUI-scientu, si vuoi fare culu … si ci riesci…” Ecco, ci sono smozziconi di frasi, frecciatine appena sussurrate, che una con quel popò di chiappe non dovrebbe permettersi di pronunciare. Quelle parole dette a mezza bocca: “… Si ci riesci…” suonano come una sfida. Potevo tirarmi indietro?
Tiro fuori un’altra cinquanta e … adesso vediamo se ci riesco. Non me ne pento, ma, saltando alla conclusione, trattasi di bellissima e costosa giostra su cui vale la pena fare un giro, non due. French Kiss schivato o appena accennato, bbj neanche per sogno, e, dulcis in fundo, su ogni cosa la signorina ha da ridire: “…No, sissantanovi no … mi vergognu … “ e amenità varie. Insomma, ogni volta bisogna trovare lo spirito giusto per forzarla. Anzi mi è sembrata tutta una manfrina, perché da brava ochetta le piace fare la preziosa, ma se si tiene il pallino in mano, poi diventa accondiscendente. Le tette sono così dure da sembrare imbottite, ma ad un palpazione più attenta ti accorgi che è tutta salute e che sono le tette di una prosperosa ventiquattrenne nata a Lisbona, residente a San Paolo del Brasile, diverse lingue nel pedigree. Il culo sprizza altrettanta salute, davvero un gran culo, da copertina appunto, ma che fatica ragazzi! A mie spese constato subito che almeno su questo non mi ha raccontato storielle e che effettivamente il passaggio è piuttosto angusto e riluttante.

Ci vogliono tre tentativi di scasso e altrettanti mani di cremina per forzarlo e devo ammettere che se la signorina non fosse stata collaborativa, difficilmente avrei portato a casa il trofeo. A dire il vero entro sempre al primo colpo in tutti e tre i tentativi, ma è lei a sputarmi fuori per due volte, perché non riesce a sopportare quelle terribili fitte che salgono da un condotto anale irrigidito. Mantengo la calma e con calma mi oppongo ad ogni sua proposta di variante che puntualmente arriva per sottrarsi ai 90 gradi. Le dico che serve altra cremina, lubrificare, anestetizzare con cura prima dell’uso, queste sono le avvertenze. La terza volta è quella decisiva. Resto piantato dentro, e mentre lei ansima ed emette grugniti indegni di una signorina, compio il mio ineluttabile cammino di andata e ritorno. La strada rimane impervia, soprattutto poco disposta a farsi sbancare, nonostante la ruspa lavori alacremente avanti e indietro. Le mie sensazioni di piacere sembrano sospese ed è come se si fosse interrotta la comunicazione cazzo – cervello – cazzo: sento solo lo sforzo meccanico della pala che entra ed esce dal cunicolo. Tutto sembra concorrere ad una lunga inculata, alla fine della quale forse il cunicolo sarà divenuto una galleria a quattro corsie e forse ricomincerò a sentire qualcosa di piacevole. Ma faccio l’ errore di rimanere estasiato a fissare il vitino stretto della signorina grandi firme che con due curve generose e morbide diventa la spettacolare anfora che accoglie e disperde tutta la mia forza. E’ come se qualcuno avesse fatto click col mouse: lo sperma sgorga istantaneamente, irredimibile. Ma ormai ci sta, i giochi sono fatti e anche l’albergatore, visto che sono passati una quarantina di minuti, si riterrà soddisfatto della mia performance. Per la galleria a quattro corsie, se ne parla la prossima volta che vengo a Torino, se decido di rifare questa cazzata.
 
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17. RITORNO NELLA CAPITALE

LARA, MAGGIO 2009
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Un congresso, inutile come tutti i congressi, mi offre l’occasione di ritornare a Roma, dopo tre anni. L’ingrifamento è alle stelle e respirare l’aria capitolina, densa di reminescenze cariocas e paulistas, non mi aiuta a dissimularlo. In più, questa cazzo di storia del riscaldamento del pianeta deve essere vera: il pomeriggio è torrido nonostante siamo a maggio. Il congresso comincia domani, so già che farò atto di presenza nella sessione mattutina e che poi mi dileguerò. Ho ben altro programma in testa, un programma che prevede un aperitivo già stasera, non appena la canicola arretrerà di qualche grado. Chiuso in hotel, aria condizionata a palla, girovago su internet, per rimettere a fuoco gli obiettivi del mio piano d’azione romano, quando una nuova visione rapisce tutta la mia attenzione. Forse mi era sfuggita o più probabilmente è un’inserzione che prima non c’era, ma le foto di questa Lara, ragazza del mese su Roma Escort, sono come un dito nel culo. Sono sole le tre, e chi ci arriva più a stasera? Più guardo le voluminose rotondità posteriori di Lara, più sale l’arrazzamento. La chiamo e la sua voce fresca, da ventenne, mi convince ad affrontare la sauna. Eppoi, la location non è nemmeno distante, solo due fermate di metro. Se non sono segni del destino questi.

Arrivo sull’Ostiense e il caldo è davvero insopportabile. Fortunatamente rintraccio quasi subito il civico. La richiamo. E’ libera. Speriamo non sia un fake, il rischio c’è, quel culo è grosso e teso all’inverosimile, un cul8. Ascensore, secondo piano, corridoio, mi infilo nella solita porticina socchiusa, l’aria condizionata mi colpisce come una sberla. Lei è lì, in penombra, alta e bionda. Sorride a 36 denti. Fiiiuuuu … non so se sia esattamente quella delle foto che mi hanno rapito, ma quella che ho davanti è comunque un fenotipo “parecido”, una bella pollastra carioca, sui vent’anni. In dieci secondi levo di torno le frasi di circostanza, sgancio quanto convenuto, mi libero dei vestiti e mi accomodo sul letto, ansioso di palpare il suo bel cul8.

L’appartamento è grande, arredato in maniera molto approssimativa, è ancora da sistemare perché è lì soltanto da ieri. Lara si avvicina al bordo del letto, vi appoggia un ginocchio e accenna un piccolo striptease. La vestaglietta comincia a salire e svela poco a poco un bikini verde oro, la scritta “Brasil” in corrispondenza della fica. Va via il reggiseno: il seno è davvero fantastico. Lentamente poi Lara cala il suo poker d’assi: una fichetta con pelo rado e ben disegnato. Inclino la testa come un assetato davanti ad una fontanella, apro la bocca e mi porto sotto. La ragazzina esita, indecisa se concedere le sua parti intime alla invasiva lingua di un laido quarantenne madido di sudore. La sua fichetta invece non ha dubbi: poche slinguazzate ben portate e si apre come un melograno maturo, sbrodolando il succo goloso sul mio mento. Wow! La situazione merita un approfondimento. Parte un 69, con lei stesa su un fianco e io attaccato caparbiamente alla fonte, a dissetarmi. Sono così concentrato che non ricordo nemmeno il momento in cui vengo incappucciato. Dopo un po’, faccio cenno di voler ruotare verso un 69 vero: di fianco, mi sto perdendo il panorama. Lara accondiscende immediatamente. Ecco il suo cul8 apparire in tutto la sua splendida abbronzatura. Abbandono la fichetta e vado in sopralluogo nel tenero forellino rosato custodito tra le natiche callipigie, prima con la lingua, poi con il pollice: l’accesso si presenta piuttosto confortevole. L’impressione è che non dovrò tribolare molto quando sarà il momento di sodomizzarla, inutile insistere con i preparativi. Ritorno sulla fichetta, che mi aspetta lacrimevole di secrezioni. Lara continua imperterrita a spompinare. L’ho sentita qui e là prodigarsi in un deep-throating, ma ne ho quasi snobbato gli esiti, catturato anima e corpo dalla sua fichetta succolenta e odorosa.

Sono lì tranquillo e beato a massaggiare la clito a lingua piatta, mascelle serrate a coprire quasi per intero la cavità pelvica, che Lara, come una locomotiva in frenata, di colpo rallenta il ritmo della pompa, si ferma, stringe le cosce, solleva la schiena e comincia a strofinare violentemente il pube sulla mia bocca e sul mio mento. Dapprima penso sia solo una variazione sul tema, resto a cazzo diritto e trascurato, mantengo le posizioni e cerco di infilare rapidi colpi di lingua tra i movimenti ondulatori del suo bacino in preda al ballo di San Vito. Poi intuisco che la brasilera è partita per la tangente e, mentre lei si dà l’ultima botta in completa autonomia, trovo il modo di infilarle il dito indice nel culo. Lara nasconde il volto tra le braccia conserte e, ripiegata sulle mie gambe, con le terga offerte solo al termometro del mio dito indice, si lascia andare ai potenti singulti dell’orgasmo, eruttando sospiri tanto silenti quanto incontenibili. Le contrazioni anali arrivano forti e ben distanziate, scaricandosi sul mio dito come una ventosa. Spettacolo! Cazzo che giornata! Sono incredulo e stravolto. E ora che si fa?

Il ronzio del condizionatore si sente appena quando Lara, forse esausta, forse no, senza scomporsi riprende a occuparsi del mio cazzo, arrivato intanto a vette di eccitazione mai viste. Anche io non ne posso più, mi accorgo improvvisamente di quanto sia capace la sua bocca. Un altro deep-throating e sono fritto. Mi libero dalla morsa alzandomi di scatto. Lei capisce al volo le mie intenzioni, mi dice: “Vieni”, mentre apre un cassetto alla ricerca della solita pomatina lubrificante. La fermo, le indico il letto, la guardo: è rossa come un pomodoro. “Pecorina”? mi chiede. Annuisco. Ecco il cul8 di Lara di nuovo esposto alle mie libidinose attenzioni. Separo le natiche e tuffo naso e lingua nell’afrore delle pareti anali imburrate dall’orgasmo, il mio cazzo vibra come una corda di violino, ansioso di prendere parte alla libagione.

Ingannato dalla consistenza burrosa di quanto ho fin qui assaggiato, però, pecco di superficialità. Lara avverte il colpo, repentino e deciso, maldestro. Mi blocca, scalcia come una puledra imbizzarrita, mi ricaccia indietro, alza gli occhi al cielo sconsolata, linguaggio gestuale per dire: ma chi mi è capitato?! Mortificato, attendo che la fitta di dolore si dissolva e che Lara ritorni in posizione. Poi ci riprovo, con prudenza, guidato febbrilmente dalla sua manina. Finalmente entro, come sempre, millimetro dopo millimetro, concentrato, senza mai arretrare dalle posizioni conquistate. La pausa forzata, la mortificazione subita, hanno allentato la tensione scrotale ed ora sono assoluto padrone della scena. Il suo cul8 reagisce bene, dopo un po’ si arrende e si lascia possedere del tutto. Viene fuori una inculata da manuale. Lara regge benissimo, anche se a ogni assalto segue un rantolo sempre più prolungato. Non mi lascio impietosire e come un fantino mi lancio al galoppo, supportato dalle prestanti mammelle. Lara si volta, mi implora con lo sguardo, ma non si sottrae, sa benissimo che deve solo aspettare, che alla fine il suo meraviglioso culo vincerà. Continua a guardarmi, forse cerca di intercettare in anticipo un segnale di cedimento, di stanchezza, sul mio volto. In effetti ho confidato troppo nei miei mezzi e con l’andatura al galoppo mi sono dato la zappa sui piedi. Scalo di marcia, passo al trotto, al dressage, ma non c’è più nulla da fare. Mi fermo e scarico tutto.

LEILA, MAGGIO 2009
Esco fuori che sono le quattro e mezza, l’afa non molla. I marciapiedi sono punteggiati di signori anziani in cannottiera che, seduti su una seggiola, sull’uscio di casa o di un negozio, boccheggiano sotto l’inutile ombra delle scarse alberature che costeggiano il viale. Con passo floscio e incerto mi avvio verso la stazione della metro a Piramide, ma la prospettiva di entrare in un vagone stracolmo di gente non mi alletta per niente. Entro nel primo bar che mi capita a tiro, sono stremato, devo rifocillarmi. Ci vuole una cedrata, non so perché ma, dopo una chiavata, ha sempre avuto un effetto ricostituente. E infatti la butto giù a sorsi e mi sento un pneumatico che riprende pressione. Mi riavvio con passo più sicuro e giungo nei pressi della stazione, ma non ho alcuna voglia di rientrare. Mi frulla in testa il film che ho appena girato e recitato con Lara. Cazzarola, me la sono proprio ingroppata, senza pietà!

Sullo sfondo intravedo il parco della Resistenza e decido di andarmene a bighellonare ancora un po’. Nella pineta del parco la canicola sembra cedere, ma la frescura è solo una suggestione. Mi abbevero ad una fontanella e mi cerco una panchina ben ombreggiata. Il canto stridulo delle cicale non cessa un attimo di squarciare il silenzio tutto intorno. Così come non cessano di tormentarmi gli spezzoni mnemonici della progressione sodomitica vissuta mezz’ora prima, ravvivandosi dalle cellule neuronali dove sono rimasti impressi e diventanto piani sequenza nei miei occhi sbarrati. E’ un dolce tormento che improvvisamente si scarica anche su una dolorosa erezione. Pensavo di aver dato tutto ma non si fanno mai abbastanza i conti con l’oste. Sarà colpa della cedrata? Vorrei dirgli: “Emmò che cazzo vuoi”? E glielo dico a voce troppo alta, mentre passa una filippina carica di buste. Abbozzo un sorriso, per dissimulare l’imbarazzo di fronte al suo ”??” con tanto di sopracciglio aggrottato.

Nel taschino della camicia ho ancora i miei appunti, il mio piano d’azione romano. Lo scorro velocemente e … sulla Marco Polo c’è questa Leila, con annuncio su bakeka. Non mi fido molto degli annunci su bakeka, ma le foto di Leila sono chiaramente di fattura casalinga, sintomo quanto meno di genuinità della proposta. Per questa l’avevo selezionata e l’avevo chiamata giorni prima, per localizzarla e verificarne le potenzialità. Il primo impatto era stato di quelli né sì né no. La richiamo, riscontro l’indirizzo, abbandono la panchina nel parco e mi incammino verso la Marco Polo, sperando di trovare consiglio e ispirazione strada facendo, manco fosse il cammino di Santiago. Mi butto il pari e il dispari. Andare a vedere non costa nulla: se è un cesso, anche la bestia feroce che di nuovo si agita nei pantaloni, come se non avesse appena ricevuto una ragguardevole razione di carne, dovrà convenire che non è cosa e ritornerà a cuccia. Di contro, il sito di annunci in cui l’ho pescata è poco affidabile: con il caldo che non da tregua farei bene a tornarmene subito in hotel a fare una doccia, a prepararmi per una bella cenetta solitaria. E invece passo davanti a Piramide e tiro diritto sulla Marco Polo.

Giunto di fronte al portone indicatomi la richiamo, sperando di trovarla occupata, per avere il pretesto di abbandonare il campo. E invece è libera. Annoto mentalmente le ultime istruzioni e subito dopo sono dentro il palazzo. Quattro gradini e prendo a destra per un corridoio infinito. Passo davanti a una decina di porte che chissà che cosa celano. Il corridoio fa una curva e mentre la percorro sento una porta che si apre alle mie spalle. Sbircio ma non esce nessuno. Ho capito: sono andato troppo avanti. Quella è la mia porta. E infatti dietro la porta trovo questa brunetta sulla trentina, in sottoveste, insonnolita. Tra uno sbadiglio e l’altro si dichiara ungherese, ma il suo fisico e i suoi tratti somatici parlano rumeno. “Stavi dormendo”? - le chiedo. Dopo ogni trombata schiaccia un pisolino, mi dice. Ah ecco! Del resto gli occhi gonfi e sonnacchiosi parlano chiaro. Sonnacchioso e svogliato quindi anche il suo attacco di pompa. Il suo torpore mi infastidisce e decido di darle la sveglia, chiedendo accesso al suo culo ruspante, senza neanche passare dal testa coda che mi avrebbe consentito di mandare in avanscoperta un dito o la lingua. La richiesta non la sconvolge più di tanto, anzi, sembra felice di potersi mettere a dormire mentre la chiavo. Povera illusa.

Un po’ della solita cremina anestetizzante lubrificante e sono pronto ad aprire anche questo culo polposo. Un colpo deciso, la cremina fa il suo lavoro e l’urto iniziale sembrerebbe assorbito, ma un istante dopo la tipa si scuote e imprecando non so che cosa (non era ungherese), mi sputa fuori come un boccone andato di traverso, richiude le imposte e si stende in avanti sul letto: “EEhhhii … ma che fai??!”. Te sei svegliata finalmente, eh? Ridacchio sarcastico: “Scusa, scusa, … riproviamo?”. Meledicendo non so chi, ritorna in posizione. “Faccio piano piano, dai…”, la incoraggio, ma ho già deciso di continuare a darle una lezione.

Al secondo assalto ripiombo dentro di nuovo in un colpo solo. La tipa rumoreggia in ostrogoto e diventa poco collaborativa, ma ormai ho sfondato la porta e non gliela faccio richiudere. Usando i suoi fianchi come perno rimango plasticamente incollato all’obiettivo e, quando la tipa ritorna a più miti consigli, riprovo la percussione: è come attraversare un cunicolo rivestito di ortiche ustionanti. La tipa si imbizzarrisce, comincia a dimenarsi, ormai definitivamente sveglia, mentre il mio cazzo spiana il suo inospitale budello. Ho raggiunto il mio scopo, non ho altro da chiedere, un’ultima botta a quel culo poco accogliente e concludo, contento di aver insegnato un po’ di di educazione a una troia indolente. Sono ormai le sette, l’afa si è un po’ diradata, sulla via del rientro mi accomodo in una bisteccheria e reintegro un po’ di globuli rossi.

POLACCHINA, MAGGIO 2009
La mattina mi sveglio insolitamente volitivo, impaziente di ascoltare i relatori del convegno, di prendere appunti, di confrontarmi, di tessere sinergie col mondo intero, di imbastire scambi di esperienze e opportunità. E dire che i convegni, soprattutto quelli internazionali, mi hanno sempre fatto cagare. Non sopporto chi viene a comunicare le magnifiche sorti dei propri studi, non sopporto la fauna convegnistica e il chiacchiericcio da hall, per non parlare dei buffet che fanno sempre schifo. Meno male che ci sono le hostess della reception e di sala che sono un gran bel vedere, con quei tailleur rossi e il tacco alto, la postura severa, l’andatura decisa. Ma questa volta è diverso: dopo la doppietta di ieri mi sento come un sacco appena svuotato, pronto a riempirsi delle dotte nozioni che di lì a poco avrò la fortuna di ricevere.

Prendo posto in seconda fila, al centro della sala. Esamino il materiale della cartelletta che una occhialuta biondina mi ha appena consegnato al banco della registrazione. Metto da parte i depliant aziendali e mi concentro sul programma. Bene: in mattinata ci saranno gli oratori meritevoli di una qualche stima e che oggettivamente hanno qualcosa da trasmettere. Il pomeriggio è una parata di tromboni. Il mio programma di sopravvivenza è certamente di gran lunga più interessante e istruttivo, ma sono contento di apprendere che comunque non mi perderò nulla.

La mattinata scorre rapida, faccio pure un paio di domande azzeccate, che sollevano problemi e punti di vista a cui l’oratore di turno è costretto ad ammettere di non aver pensato. Che cosa vuoi di più dalla vita? Salto l’odioso buffet con il suo contorno di commenti inutili e me ne vado in un bar a ingozzarmi di tramezzini. Una delle migliori invenzioni della romanità moderna sono i tramezzini a dieci o dodici strati: una vera goduria per il palato, una mappazza iningoiabile per l'esofago se non intervenisse un buon prosecco a innaffiare il tutto. Ordino un caffè quando sono quasi le tre del pomeriggio. L’aria è di nuovo satura di vapore acqueo ma il cielo si va facendo plumbeo. Mi sa che viene a piovere, ma di tornare in hotel non se ne parla neppure. Ho deciso di dare nuovamente credito a Bakeka. Non ho voglia di un chiavatone, ma di qualcosa di diverso, di intrigante. L’ideale sarebbe l’occhialuta biondina che mi ha registrato al convegno, ma non ho tempo di invitarla a cena ecc. ecc. E poi la regola numero uno del puttaniere con famiglia a carico è: sesso e lavoro devono restare due emisferi lontani. Non si sa mai.

Seduto ancora al tavolino del bar esamino e riesamino i miei appunti, cercando di fare mente locale sulle foto corrispondenti a ogni nome annotato. Ecco, forse questa polacchina in Piazza Bologna. Le sue foto, se non ricordo male, sono foriere di qualcosa di affine alla hostess biondina: 25 anni, viso acqua e sapone, occhialetto da intellettuale, da chiavare come si chiaverebbe una compagna di studi, tra un’equazione differenziale e l’altra. Ho deciso, la chiamo. Il suo italiano è perfetto: ma non è che dietro la polacchina si nasconde una studentessa, italianissima? La cosa si fa sempre più interessante. Mi tocca ridare credito a Bakeka. Prendo la metro fino a Piazza Bologna. Le ho preannunciato che per le quattro l’avrei richiamata per le ultime istruzioni. Esco dal mondo sotterraneo di Piazza Bologna che sta cominciando a piovere acqua calda e carica di sabbia. Per fortuna devo fare solo un paio di centinaia di passi. La richiamo: via libera.

Entro in un locale semi-interrato angusto, penombra fitta. La ragazza è esattamente quella delle foto, gli occhialetti pure, ma il look complessivo è alquanto smosciacazzi: vestaglietta sdrucita e “ciavatte”, capelli scarmigliati tenuti assieme da una pinza di plastica verde. Più che una studentessa sembra una giovane casalinga alle prese col bucato. Ma ormai sono lì e fuori sta venendo giù a frotte acqua che sembra piscio. Mi accomodo su un divanetto rosso accostato in un angolo, pensando di essere nell’ingresso dove si svolge la trattativa, prima di accomodarsi nell’alcova. In un angolo c’è anche un tavolino con un portatile dove campeggiano le foto dell’annuncio. Solo dopo aver saldato l’onorario, realizzo che l’alcova è tutta lì e che il divanetto rosso dove sono seduto ne diventerà protagonista assoluto. Meno male che non sono né altissimo né robustissimo, sennò avrei voluto vedere cazzo combinavo in 5 metri quadri di spazio.

La vestaglietta sdrucita se ne va e mentre anche io mi libero di vestiti e scarpe misuro con lo sguardo la fisicità minuta e tornita della polacchina: chi l’avrebbe mai detto che la mortificante vestaglietta potesse nascondere queste graziose forme, peraltro sostenute da lingerie di sgargiante pizzo bianco? Ancora in mutande e reggiseno la polacchina prende possesso del divanetto e da lì comincia a sbocchinarmi l’arnese già in tiro, lasciandomi in piedi e sbalordito davanti a tanto spirito d’iniziativa. E’ un bocchino molto dolce, eseguito lentamente, potrei dire: “alla polacca”, visto che in altri incontri con sue connazionali l’uso vellutato della bocca è stata una piacevolissima costante. Unico motivo di dissidio quando le chiedo di tenere su gli occhiali durante l’esecuzione: lei accenna una protesta, mi guarda con espressione interrogativa, ma poi amabilmente mi accontenta. Il bocchino occhialuto è tra le mie fantasie di sempre e contengo a stento la voglia di spararle tutto in faccia, seduta stante. Fortunatamente la polacchina si alza per liberarsi degli ultimi indumenti. Ne approfitto per sostituirmi nel monopolio del divanetto, lasciando in piedi la sua esile figura. Le faccio cenno di avvicinarsi, non posso non assaggiare quella fichetta che occhieggia dall’interno di un pelo raso ma fitto. La polacchina ci sta ed espone la mercanzia per rendermi più agevole il compito. Nel mentre tasto il terreno posteriore infilando un braccio ad uncino tra le sue gambe e con le dita rilevo quanto sia scarsa la sua propensione al sesso contro natura. Comprendendo il mio particolare interesse per l’articolo, la tipina mi lancia uno sguardo allusivo da dietro le lenti e poi si volta, curvandosi leggermente in avanti: è un invito a passare dal sondaggio manuale a quello orale!

Non mi faccio pregare. Rimanendo seduto sul divanetto, dischiudo leggermente le chiappette della giovine polish e inizio un’accurata ispezione del contenuto. Il dispositivo anale è ampio e cavernoso, a dispetto delle modeste dimensioni delle chiappette in cui è rannicchiato: mistero della fisiologia femminile! Il retro esame orale, prolungato e volentieri esteso alla clito, molto reattiva, si conclude quando gli ululati di protesta del mio arnese, abbandonato come un cane al suo destino, si fanno intollerabili. La polacchina tira fuori da un cassetto il flacone del baby oil e propone il doppio preservativo. Accetto con un sorriso, ma non posso non annotare che tutto ciò conferma l’acerba formazione della fanciulla in fatto di coito anale: sono chiamato ad una impresa non facile.

La polacchina si accuccia di fianco sul divanetto, protendendo l’aggraziato deretano verso di me. L’ho guardata con un sorriso sarcastico e le ho fatto notare che in quel modo solo un nano sarebbe riuscito nel compito. Nient’affatto convinta, la giovine polish rimane sul fianco ed effettuando una contorsione fachirica, non so come, mi consegna l’illecito orifizio quasi all’altezza giusta. In questo ambaradan, nel frattempo, l’olio deve aver ammorbidito l’ingranaggio, non so. Fatto sta che, con mia grande sorpresa, l’entrata di servizio della giovine polish si rivela tutt’altro che ostica. Così, leggermente piegato sulle ginocchia, con la giovine polish abbarbicata come una scimmia alla spalliera del divano, andiamo avanti per un paio di minuti, giovandoci dell’effetto ritardante del doppio cappuccio. Forse lei sarebbe rimasta in quella posizione innaturale fino alla fine, ma, le mie rotule, al contrario, cominciano a dare segni di cedimento. E poi ci sono posture più confortevoli ed efficaci per entrambe, avendo a disposizione un divano con tanto di spalliera.

Mi tiro fuori e propongo la regina delle posizioni. Con l’ingranaggio della polish già a regime mi re-introduco senza difficoltà in mezzo a quelle chiappette sferiche, convinto di poterne usufruire ancora per un bel po’. Ma alla pecorina la musica cambia: l’effetto ritardante del doppio cappuccio va a farsi benedire e dopo una decina di stantuffate non so più come contenermi. Mi tiro fuori di nuovo alla ricerca di requie, ma la polacchina non sembra d’accordo. Allunga una mano pericolosamente, ma poi capisco che vuole solo sfilarmi il doppio cappuccio: “Vuoi venirmi sulle tette?”. Il mio cazzo è ad un palmo dai suoi occhialetti da intellettuale. “Veramente … sarebbe meglio in faccia …” – “Aahhh!”

Pensavo di ricevere un vaff… e invece: “Ehh… questo cosaaa … posso fare, sì, ma, scusa … dovevi dirlo prima … costa qualcosa in più … capisci?” – “Sissì hai ragione … in effetti, non l’ho detto, ma …” – “Va bene! 50 euro … OK?” “OK”. “Prima soldi, scusa …”. Alla faccia della timidina! Ma guarda tu se uno col cazzo diritto pronto ad esplodere, vabbè … Allungo una mano nella tasca posteriore del jeans… evvai! Facciamo questa cazzata! Riesco solo a dire: “Mi fai risentire la bocca?”. Il mio cazzo palpita furente come uno che, dopo aver lavorato alacremente, è pronto a consegnare l’elaborato, ma all’ultimo momento gli dicono che è tutto da rifare.

Come nel riavvolgimento di un nastro, lei va per togliersi gli occhiali. “No, no, no, no …. Tienili, per favore”. E lei: “??? Ah… ho capito”. Essì, forse adesso ha capito. Seduta sul divanetto, armata di tre-quattro metri di carta assorbente, io in piedi, di fronte, riparte con un pompino tenerissimo, con una mano a conca raccolta sui coglioni. Godo della sua morbida bocca fino a quando sento arrivare la piena. La fermo, passo il controllo alle sue manine. Inizia a segarmi ad occhi chiusi, la testa leggermente virata ad esporre una guancia, le palpebre che sbattono velocemente sotto gli occhialetti. Tutto sembra allestito alla meglio. Ecco ci siamo! Ma il fiotto più potente se ne va dilapidato sul collo, mentre la sua manina rallenta improvvisamente. Altro fiotto rigurgita miseramente e senza propulsione sul pavimento. Uno spreco intollerabile. Intervengo bruscamente e prendo il comando delle operazioni, mentre lei rimane ad occhi chiusi e con la guancia protesa in avanti. Aggiusto progressivamente la mira e mi faccio il mento, l’orecchio, gli occhiali finalmente. Riesco solo per un attimo a sbirciare quel capolavoro gocciolante dalle lenti. Lei, imprecando qualcosa per lo sperma finito nel padiglione, si è già tolta gli occhiali, avvolgendosi la faccia nella carta assorbente. Poi, mugolando, sparisce in bagno. Quando riemerge sorridente, sono già rivestito. Mi invita a ritornare quando voglio. E ci credo: duecento cucuzze!

LUNA, MAGGIO 2009
Collegamento alla pagina web non disponibile
Rientro in hotel e stramazzo sul letto. La stravagante esperienza con la polacca di piazza Bologna, che sembrava una casalinga trasandata e sciatta e invece era una porcellina molto ispirata, mi ha svenato ed ho bisogno di recuperare le forze. Coccolato dall’aria condizionata rimango a fissare il soffitto per non so quanto, a riavvolgere il nastro di un incontro con finale a sorpresa, ma non è facile riordinare gli scatti di tutta la sequenza. Sono talmente svuotato che Orfeo non dovrebbe tardare a prendere possesso della mia mente e a donarmi un sonno ristoratore. E invece nisba: Orfeo sarà impegnato a chiavare chissà dove e di me, del mio meritato riposo del guerriero, se ne fotte. Allora mi alzo, mi spoglio e me ne vado a rigenerare le mie provate membra sotto lo scroscio di una doccia tiepida. Il risultato è istantaneo. Rinfrancato e felice butto l’occhio sull’orologio: sono le cinque. Forse faccio ancora in tempo a seguire la parte finale del congresso.

Sto per entrare in sala, quando lateralmente intravedo un gruppetto di persone nella hall che mi sorride beffardo. Sono i miei colleghi di lavoro. Non ne abbiamo mai parlato esplicitamente, ma qualcosa mi ha sempre fatto pensare che siano anche loro puttanieri provetti, non so se tutti, certamente un paio, quelli più sorridenti. Incredibile quanto buon umore possa scaturire da una trombata. Incredibile come un soggetto con propensione alla misantropia possa diventare un istrionico battutista, pronto a divorare il mondo. E’ quello che capita a me ora. E invito tutti in birreria, a tirare tardi.

Il giorno dopo ricomincio dal congresso. E’ l’ultimo giorno, tavola rotonda, noia mortale già dopo un paio d'ore. Al primo coffe break sgattaiolo via, penso. E così faccio. Ho depositato il bagaglio presso l’hotel, il volo di ritorno è alle cinque. Prendo la metro e faccio un giro in centro. Roma merita sempre. E poi ci sarebbe ancora una trombata in programma, un passaggio da una mia vecchia conoscenza, sparita dalle scene per un paio d’anni, ora rientrata, con un nuovo annuncio su Romaescort: Luna, valchiria brasilera, antipatica ed esosa come poche, bona, come pochissime, forme esplosive, viso squadrato e vagamente trans, incorniciato da capelli ondulati biondo platino. Quando l’ho vista ricomparire sul web un mesetto fa, mi sono ricordato di avere un conto in sospeso con lei o meglio con il suo gran culo. Nella vecchia location all’Eur in due occasioni avevo chiesto e ottenuto accesso alla sua porta di servizio, rimanendo entrambe le volte con una insoddisfazione latente, l’insoddisfazione di chi ha la malcelata consapevolezza che un culo come quello meritasse ben altra performance, una percussione decisa e continua, non lo scadente balbettio a cui avevo dato vita in preda a precoci convulsioni scrotali. E a niente era servita una sega preparatoria la seconda volta: quel culo aveva avuto la meglio in pochi secondi. Forse era proprio l’ermafroditismo apparente di Luna ad attrarmi tanto, rendendomi tanto vulnerabile. Forse avrei dovuto confrontarmi con lei solo dopo aver scaricato la zavorra di pensieri e tossine nel culo di qualcun altra. Fatto sta che nei mesi successivi avevo covato vendetta, ma lei nel frattempo si era data alla macchia.

Sono le dodici e mezza quando scendo alla metro Termini, senza aver realmente deciso il da farsi. So solo che le attuali coordinate di Luna mi conducono nelle immediate vicinanze della stazione. E so anche che ho già avuto un lauto pasto, che potrei ritenermi soddisfatto e rimandare ad altra occasione. Ma poi mi dico che il culo di Luna devo affrontarlo ora che sono sazio, se voglio farlo realmente mio. La chiamo. Qualche minuto dopo mi incammino verso via Solferino. Un lauto pasto non è tale se non si conclude con una grappa d’annata.

La nuova location è in un cazzo di ostello pullulante di mocciosi giapponesi, l’ultimo posto in cui mi sarei aspettato di trovare l’alcova di una professionista del piacere sessuale della statura di Luna. La stanza in cui mi riceve è però molto ampia e confortevole, soffitto alto con decorazioni pretenziose, un bel bagno grande. Ma più grande del bagno, più ampio della stanza e più alto del soffitto, è il suo culo, che riempie con forme e volumi spropositati la fulvida vestaglietta di raso rossa che la valchiria brasilera indossa con portamento altero e concupiscente.

Sono sempre più ansioso di insinuare il mio aratro nel solco di quelle prominenti colline e sto quasi per accettare a scatola chiusa la sua quotazione da alto bordo, quando a precisa domanda la troia risponde: “Tu vuoi culetto? Nnnooo…oggi nnoooo, n’ciò voglia amore…oggi no …”. Cazzo! Doveva essere una domanda retorica, di quelle che non ti soffermi nemmeno ad ascoltare la risposta, e invece è una stilettata diritta sui coglioni. Mentre il mio cazzo passa dell’euforia alla depressione profonda, riesco a replicare solo: “Ma come? La volta scorsa… l’altra volta… “ – “Seee ammore, ma non fasciu sempre, solo quacchi voulta, ok?” – “E quindi? Che faccio, vado via?” – “Se vuoi… fasciamu coisa normale, un bellu massagiu…”.

Manifesto il mio disappunto perché al telefono era stata abbastanza ambigua, e intanto indietreggio verso la porta. Lei scatta in avanti, replica che avrei dovuto essere più diretto, che forse non mi ero spiegato. Era vero. Ero stato talmente sicuro del menù che non avevo perso tempo a verificare la disponibilità di tutte le pietanze. Intanto come una pitonessa lei inizia una strategia di accerchiamento: mi butta le braccia attorno al collo, mi mette il davanzale a un millimetro da naso e bocca, mi stordisce col suo profumo di femmina, mi fa gli occhi languidi, mi dice che preferisce fare non più di 5-6 incontri al giorno, che potrei essere il primo della giornata. Io mi lascio trasportare da quella nenia e mettendole le mani sul culo rigido, mi ritrovo al centro della stanza. Sono fottuto, ma nello stesso tempo ancora più caparbiamente determinato a sfondarle il deretano: senza quel trofeo non me ne vado di sicuro. Provo a negoziare e chiudo ad una cifra stratosferica, che purtroppo è in mio possesso in quel preciso momento: ma perché ho prelevato tutti quei soldi prima di salire? Salvo giusto la quota del taxi per l’aeroporto.

Inizia questo cazzo di massaggio, erotico dice lei, molto unto dico io: avrei evitato se avessi saputo. Segue un pompino lento e profondo, idratato dalle sue prolifiche ghiandole salivari. I colpi di palato e il risucchio esofageo non mi lasciano certo indifferente, ma reggo bene all’urto. Arriva il cappuccio e tutto l’arredamento, compreso il comodino, diventa teatro e supporto di una chiavata itinerante per tutta la stanza. L’ultima variante è davanti all’armadio a specchio, in piedi. Con un colpo di reni secco e prepotente riesco a prendere possesso del posticino più ambito. La valchiria non si scrolla più di tanto, anzi sovraesponendo le natiche ambrate, sfida fieramente le mie lubriche intenzioni. Questa volta non mi freghi, penso dopo una controllatina al motore. Mi avvinghio a quella fisicità imponente e scarico su quel culo straripante tutta l’irruenza di cui sono capace, per una manciata di devastanti secondi. Mi fermo solo un istante a rilassare le gambe e la valchiria, barcollante e sorpresa, si sfila, arrancando verso il letto alle nostre spalle. La inseguo impugnando il cazzo come un coltello insanguinato, ancora assetato di sangue, e la finisco alla pecorina, scuotendo come un sacco vuoto il suo vitino taglia quaranta.

Finalmente soddisfatto e certo di aver reso pan per focaccia alla troia strozzina, mi rivesto in silenzio. La troia è indispettita e offesa. In silenzio si è rivestita anche lei e ora attende la mia uscita consultando le chiamate perse sui due cellulari. Mi incammino verso la porta, la saluto, lei si finge disattenta e non risponde: evidentemente non ci tiene a rivedermi. Non ci tengo neanche io, ho avuto quel che volevo, ma un po’ mi dispiace e vorrei spiegarmi. Poi mi dico che duecentocinquanta rose sono una spiegazione più che esaustiva: ci mancava solo l’orgoglio ferito di un troione brasiliano con sangue tedesco nelle vene! Mentre sbircia il corridoio esterno dallo spioncino, fotografo per l’ultima volta con lo sguardo quel suo culo grandioso, fasciato di raso rosso, che per una paio di minuti è stato completamente in mia balìa. Poi la troia apre la porta e rimanendo concentrata sul suo cellulare la richiude alle mie spalle, evitando di incrociare il mio sguardo. Sono quasi le due del pomeriggio. Alle cinque ho l’aereo di ritorno. Affanculo tutto il resto: sono un puttaniere, mica un galantuomo.
 
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ho appena letto "Tanta ottusa perseveranza si spiega soltanto se si considera il lato occulto del puttaniere, dominato dalla regressione della ragion critica a puro istinto animale".

non ho parole, è un'istantanea perfetta

mi tolgo il cappello e mi rituffo nella lettura
 
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Essendo in una sezione generale rispolvero questo thread fermo da tempo purtroppo e visto che ogni tanto mi piace rileggerlo colgo l'occasione per un paio di cose: innanzitutto la domanda che più mi preme, ovvero che fine a fatto DM67?
Dal suo profilo vedo che comunque si connette saltuariamente percui...

DOVE SEI ? :biggrin:

Dai, scrivi qualcosa.... non credo certamente di essere l'unico ad aspettare il tuo ritorno ad una bellissima recensione....
E se hai staccato la spina all'hobby non avrai mica la donna che ti stà così col fiato sul collo che non puoi scrivere qualsiasi cosa per partecipare ogni tanto...
:unknw:


E visto che non l'ho fatto prima, chiedo venia, mi unisco anch'io al coro di complimenti per questo utente:
leggerne i suoi scritti è veramente entusiasmante e chiedo e spero vivamente che un account come il suo che ha dato a mio parere moltissimo nel periodo in cui ha partecipato, non venga mai disattivato.
:bye:
 
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vittodema ha scritto:
Essendo in una sezione generale rispolvero questo thread fermo da tempo purtroppo e visto che ogni tanto mi piace rileggerlo colgo l'occasione per un paio di cose: innanzitutto la domanda che più mi preme, ovvero che fine a fatto DM67?
Dal suo profilo vedo che comunque si connette saltuariamente percui...

DOVE SEI ? :biggrin:

Dai, scrivi qualcosa.... non credo certamente di essere l'unico ad aspettare il tuo ritorno ad una bellissima recensione....
E se hai staccato la spina all'hobby non avrai mica la donna che ti stà così col fiato sul collo che non puoi scrivere qualsiasi cosa per partecipare ogni tanto...
:unknw:


E visto che non l'ho fatto prima, chiedo venia, mi unisco anch'io al coro di complimenti per questo utente:
leggerne i suoi scritti è veramente entusiasmante e chiedo e spero vivamente che un account come il suo che ha dato a mio parere moltissimo nel periodo in cui ha partecipato, non venga mai disattivato.
:bye:

:bye: ciao
sono commosso di tanto interessamento... :biggrin:

Non ho staccato la spina completamente ma diciamo che sto attraversando un periodo di ripensamento e non riesco più a vivere serenamente il nostro comune hobby. Non voglio moraleggiare, ma è inutile negare che negli ultimi mesi un tarlo mentale si è fatto lentamente strada nel mio animo ed è presto divenuto crisi di coscienza. Prenderò gli ordini sacerdotali? Forse sì, così trombo gratis ... :biggrin:

Da gennaio avrò avuto sì e no 5 o 6 incontri, un paio anche azzeccati, che avrei voluto recensire, ma mi è mancato il giusto slancio. Via via mi sono accorto di non provare più particolare piacere nell'imbastire e romanzare quelli che improvvisamente mi sono apparsi per quelli che forse sono: squallidi e sordidi incontri con donnine più o meno costrette a subire la mia irruenza sessuale, che come forse è noto ai più, si accanisce sulla parte più intima e segreta del corpo femminile. Ho cominciato a leggere Fromm è sono rimasto molto male nel leggere che l'ansia di sesso anale è sintomo inequivocabile delle personalità distruttive. Ritengo invece di aver costruito molto, almeno in ambito lavorativo.

Ecco perchè faccio delle rapide comparsate sul forum, leggo qualcosa ma non scrivo: il mio stato d'animo è tale che romperei i coglioni a chi se ne sbatte degli aspetti pseudo morali della vicenda e vuole solo trombare in pace (come me tempo addietro).

Spero sia una fase passeggera, ma temo di no ...

ciao

DM67
 
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Innanzitutto due cose:

grazie per la risposta e per tutti i tuoi interventi che sicuramente rimarranno tra le migliori cose che si possono leggere qui,

non conosco Fromm ma dopo ciò che mi hai detto credo che non abbia capito un cazzo :biggrin:
se le sue seghe mentali devono privarci della lettura delle tue avventure credo che in futuro i posteri mi daranno ragione e ridimensionerei le sue considerazioni a ciò che valgono per la psicanalisi moderna gli scritti di Freud: da prendere a piccole dosi.

Questa è la mia risposta di primo pelo perchè le tue considerazione mi daranno sicuramente molto su cui riflettere ma permettimi un'ultima cosa: credo che la capacità più sorprendente della donna, ovviamente non solo nel meretricio, sia proprio quella di riuscire a filtrare ciò di cui noi stessi ci vergognamo riportando i nostri istinti, nel limite del possibile, ad una condizione più umana.

:bye:
 
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per adesso sono alla seconda puntata. sei un grande.
Io ho cominciato molto più giovane, e in 20 anni ne ho viste parecchie, dovrei decidermi a mettere giù qualcosa oltre alle rece.
 
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Ciao DM, ti ho letto sempre per puro e disinteressato piacere, anche su altri lidi.
Mi piacerebbe continuare a leggere il tuo diario, soprattutto ora e soprattutto per gli aspetti esistenziali. Se vorrai continuare a scrivere sappi che a me i coglioni non li romperesti affatto.

p.s.
Ho trovato interessante la digressione sulla personalità distruttiva e la successiva affermazione “ritengo invece di aver costruito molto, almeno in ambito lavorativo”.
Comunque in psicologia poco è veramente inequivocabile.
 
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Caro DM67, ti ritengo un fuoriclasse della scrittura: è vero, con la tua mirabolante capacità creativa sei riuscito a dare una dignità letteraria a questo "nostro passatempo" che forse non merita...

Ma che cos'è la grande letteratura se non la capacità di descrivere, di trovare poesia di far letteralmente saltar fuori il senso della vita anche dalle cose più basse.

Ecco DM, se mai un editore o un redattore di una casa editrice passasse di qua non potrebbe che chiederti di farne un romanzo dei tuoi scritti; Intitolalo "Memorie di un Puttaniere", ma forse lo hanno già usato questo titolo ed io sto solo copiando... ma sì, chiamalo come vuoi.... Ciao
 
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