SE HAI LA SCIMMIA …
Da quando il cinismo dilagante della società moderna si è fatto strada anche nel mio cuore, riesco a placare la scimmia, che sempre più spesso mi attanaglia, il corpo e la mente, solo con una tripletta. La tripletta di culi è diventato il mio metadone, l’unica terapia che riesca a lenire il livello di dipendenza dal sesso anale cui sono stato capace di arrivare. Questi momenti di crisi di astinenza si presentano con sintomi ben precisi che oramai ho imparato a riconoscere: comincio a balbettare, divento smanioso e inconcludente, per arrivare alla sera privo di forze e con la netta sensazione di non aver combinato un cazzo. E’ quello il momento di ricorrere all’auto-medicazione: prendo un aereo, destinazione Milano o Roma, sfondo tre culi e ritorno lo stakanovista di sempre, tre culi uno dietro l’altro, meglio se nella stessa giornata, tre culi e ritorno il solito affabulatore figlio di puttana con i clienti, tre bei culi e il mio sistema nervoso si rivitalizza. E la scimmia mi abbandona per un po’.
La cronaca degli eventi di un paio di questi momenti di crisi verticale, messa nero su bianco con la pistola ancora fumante di sperma, fotografa l’escalation paranoica della disperata ricerca della dose curativa di metadone. Siamo in pieno Inverno 2006, nella prima sequenza, nell’Autunno 2007 nella seconda, scenario ideale la piazza milanese.
Milano, Dicembre 2006
Lunedì mattina, sbrigate alcune semplici incombenze lavorative, mi aggiro come un giaguaro pronto a colpire dalle parti della Stazione. Obiettivo n. 1: Laura, bionda ungherese, età indefinibile ma sicuramente avanzata, a quanto pare capace di farti: “Scoppiare il cazzo.”
La chiamo verso le undici, pregustando una mattinata tutta fuoco e fiamme. Mi risponde una che in italiano perfetto, oserei dire: “Televisivo”, mi dice: “Ma tesoro, dove entra lo mettiamo…” eggiù una grassa risata che sembra pre-registrata. Annoto mentalmente l’indirizzo e mi avvio, curioso di scoprire quale mangiatrice di uomini si celi dietro questa voce tanto televisiva da sembrare, a pensarci bene, l’imitazione di una nota attrice/conduttrice (fighetta svizzera che ha trovato l’America in italia).
Dopo una decina di minuti a piedi arrivo nei paraggi del numero civico giusto. Ho l’impressione di essere davanti ad una banca (boh?). Richiamo, per ricevere indicazioni più precise, ma…la sorte beffarda ha intanto lavorato alle mie spalle: “No tesoro, sono fuori… non pensavo che… possiamo fare alle… alle… all’una e un quarto, più o meno”. “Ok, ti richiamo”. Chiudo la comunicazione e non sono per niente contento della piega che sta prendendo la giornata. Il piano era di cominciare di buon ora per farmi un paio o tre di troiette fino a sera. Scatta il piano B. Tiro fuori la lista e me la faccio tutta, fino in fondo. Venti chiamate, nessuna risposta (sigh!!), tante il telefono del tutto staccato. La giornata si mette decisamente male. Ci mancava lo sciopero delle troie! Disperato chiamo una mia vecchia conoscenza, che esercita in zona: Arianna. So già che pretenderà velocità eccessive, ma che posso fare? Sono disperato e in preda ad una crisi isterica. Fa pure freddo. Mi tocca ripassare da Ariannona per la terza volta! Ma lì, prende corpo quello che non esito a definire: “Un complotto contro il sottoscritto”. Non risponde nemmeno Arianna chiappe d’oro. Compongo vertiginosamente un'altra decina di numeri, sono le dodici cazzo, qualcuna avrà fatto la CRUMIRA. Ma niente, tutto inutile, hanno aderito tutte compatte allo sciopero. Che cazzo avranno da scioperare poi ‘ste troie! (Beh sì, forse i turni di lavoro troppo massacranti).
Alquanto sconfortato mi ritiro in albergo, per riordinare le idee. Vado a pranzo con un amico, sperando che nel frattempo mi arrivi qualche messaggio di riapertura dei cancelli della fabbrica del troiame. Incredibile amisci: solo da due telefoni su trenta circa dei chiamati in mattinata mi arrivano segnali di ripresa attività. Ritorno in albergo quando sono già le cinque e vedo sfumare la mia giornata tuttotroie. Consulto il portatile nervosamente e comincio a chiamare numeri che avevo messo in secondo piano. In pochi minuti infilo sei indirizzi e altrettante offerte – poco convincenti - di servizi: Amalia, ungherese, Ascanio Sforza, all covered e anal: “Parto da 100”. Serena, brasileira di pelle ambrata, Trivulzio, all covered e anal: “Per l’anal voglio 200”. Giulia ed Emily, ungheresi, Porta Venezia, all covered e anal, 200 km/h. Gabriella, ungherese, Mercadante, all covered + anal, 300 km/h (sseee!). Yulia, inizio di viale Padova: “Sì, sono completa, ma vieni che parliamo di tutto di persona”. La fabbrica del troiame ha riaperto i battenti, ma a quanto pare lo sciopero ha sortito un ragguardevole quanto inaccettabile aumento contrattuale. Il sindacato dei puttanieri si è evidentemente calato le braghe.
Sono quasi rassegnato alla sorella della mancina (ma ormai sono a corto di fantasia) quando, così, tanto per provare, chiamo tale Emily Freitas. Come tutti, penso, diffido degli annunci con nome e cognome, presaghi di sgradita sorpresona tra le gambe. E quindi non avrei mai chiamato questa signorina se oggi non si fosse materializzato un destino tanto avverso, che mi ha portato fino a lei. E mi sarei perso una delle migliori scopate della mia pluriennale carriera di puttaniere. Mi convinco ad andare almeno a vedere di che si tratta perché la sua voce al telefono è suadente, ma soprattutto: posso raggiungerla con una passeggiatina di cinque minuti dall’albergo!!. Col senno di poi, non posso dire che il fato mi è stato avverso, più semplicemente direi che ha voluto prendermi per il culo.
Emily Freitas è una cavallina storna di razza mulatinha, anni 24-25, fisico slurp slurp, pelle levigata, che si bagna in due minuti e che non esita a spalmarti la sua fica grondante di umori sulla faccia, che non risparmia le sue belle labbrone, prezioso orpello dell’etnia africana che scorre nel suo sangue, slinguazzandoti in bocca fino a passarti la caramella alla menta che sta masticando, mordicchiandoti qua e là fino a farti soccombere di dolce dolore, che ti sugge prepotentemente l’uccello (anche se la parte uncovered è solo abilmente accennata), che si penetra l’ano con un dito mentre tu cerchi di infilarci dentro la lingua (e la caramella), che ti scopa in posizioni così plastiche che ti sembra di essere in un film porno, che ti offre le sue chiappe marmoree e voluminose con rara generosità, e che, infine, con una presa da lotta greco-romana, spingendoti da dietro con le piante dei piedi, ti costringe a rimanere schiacciato sul suo culo, per spillarti fino all’ultima goccia di sperma. Il tutto in 40 minuti di eccezionale intensità, a 150 km/h.
Martedì mattina soccombo sotto gli impegni lavorativi che nel frattempo si sono accumulati. Si sa, se passi una giornata intera a caccia di troie, mettendo tutto il resto in secondo piano, poi ne paghi le conseguenze. Purtroppo la bella trombata con la furietta nera Emily già alle undici mostra la corda e sono di nuovo in fissa davanti al pc, alla ricerca di culi da sodomizzare. Iconizzo e rialzo continuamente pagine web da siti di annunci troieschi, cercando nel frattempo di fare almeno qualche telefonata di lavoro, ma ho come l’impressione di essere una candela con la cera alla fine: la mia voce è sempre più biascicata, non riesco ad articolare una proposta di vendita, insomma soffro come un cane. E’ inutile andare avanti, mi dico, cercare di lottare contro la propria natura, se non mi faccio subito un culo, rischio di fare qualche cazzata. Contento di aver messo in sordina la coscienza professionale, switccio sulla Troio-SIM card.
Verso le dodici chiamo certa Talita. La telefonata è piacevole, la ragazza mi sembra fresca e disponibile. Il menù c’è tutto, a velocità non elevate (100 km/h). Mi dà l’indirizzo: “Via Bozzi, con due zeta … a Corsico”. – “Ah sì! Via Corsico, ok…” Non sono di Milano ma la zona di Porta Genova, ove esiste una traversa di Via Vigevano che risponde al nome di Via Corsico, non mi è nuova, avendola già battuta per i soliti motivi. Talita aggiunge che ora deve uscire e mi chiede di richiamarla verso l’una. Intanto cerco su web questa via bozzi, ma non trovo nulla. “OK” - penso - “Sarà una stradina senza uscita non citata in mappa. Anche oggi menù brasiliano, che bello!”. Comunque non mi sento del tutto tranquillo e quindi faccio un altro paio di telefonate. Trovo subito pronta Sheila, brasiliana pure lei, e anche lei molto invitante al telefono: “Sono in zona piazzale Lodi, Via Longanesi” Verifico il menù e anche in questo caso non manca niente, sempre allo stesso prezzo. “Ma che culo oggi” – mi dico – “2 telefonate, 2 brasilianine gentili e complete di tutto, a 100 km/h. Quasi quasi, se le forze mi reggono, faccio la doppietta” . Ma non mi fido ancora e verifico che nei paraggi di Talita, sia disponibile Amalia, in alternativa, hai visto mai qualcosa andasse storto.
Piove fitto fitto su Milano e muoversi in auto non è cosa. Opto per la metro. Arrivo in Porta Genova che sono l’una e mezzo. Mi incammino su Via Vigevano, verso Via Corsico, alla ricerca di questa Via Bozzi e richiamo Talita. “Senti sono dalle parti di Via Corsico, ma questa Via Bozzi è una traversa o….” Dall’altra parte del telefono una voce roca, forse la nonna della Talita di prima, mi gela le palle: “Sì amore, vieni, Via Bozzi, a Corsico, dove ci sta il ponte…”. Intanto ho imboccato Via Corsico e la pioggia si è fatta battente. Trovo riparo sotto un balcone: “Ma quale ponte, non capisco…” “Il ponticello amore, quello di pedras”. Perdo la pazienza: “Scusa ma… ho parlato con te un paio d’ore fa, perché…”. “Sì amore, via bozzi, a Corsico…”. “Ho capito, ma…a Porta Genova?” butto lì - “No Porta Genova, amore…via Bozzi… a Corsico…” Sto per urlarle di smetterla con questo disco rotto, ma mi rendo conto che tutto è inutile. Fra l’altro ‘sta voce anziana mi ha smosciato alquanto. Sento puzza di fregatura. Andassero affanc…via bozzi, a Corsico, Porta Genova, Talita, sua nonna e la pioggia.
Sono incazzato, ma penso che sono stato bravo a tenermi aperte altre possibilità in zona. Adocchio una bisteccheria. Meglio mangiarci su qualcosa, che a stomaco vuoto si ragiona male. Consumo una fiorentina da un chilo e mezzo. La cameriera mi precisa più volte “Guardi che è per due…” – “Sissì, ma a me me piasce la carne” e mentalmente aggiungo “Vedessi come trombo dopo con tutte ‘ste proteine in corpo, eppoi fatti i cazzi tuoi… ecchecazzo! Mentre mangio mi rimpallo pro e contro delle due possibilità che ho davanti: Sheyla è brasiliana, gentile, spesa accettabile, ma non ho la macchina. Dovrei prendere la metro, cambiare qui, scendere lì...e piove, minchia… non ha smesso proprio. Amalia dovrebbe essere lì a due passi, dipende se il suo numero civico su Ascanio Sforza sta più dalla parte di piazzale 24 maggio o più dalla parte di via Tibaldi. Il problema è che è ungherese e potrebbe riservare sgradite sorprese, visto che non mi ha nemmeno detto precisamente quanto cazzo vuole. Però c’ha un culo che … Minchia! Parla da solo. Anche la tonicissima Sheyla ha un bel culetto, incastonato su vitino da vespa. Però, basta con le brasiliane, dovrei provare qualcos’altro. Sono al caffé e devo ancora decidere.
Esco e mi dirigo verso la stazione della metro ma poi mi volto: tentiamo Amalia. Massì, basta col Brasile, bisogna cambiare ogni tanto. Eppoi anche le ungheresi, a volte… massì, sono tutti pregiudizi, basta con questa storia dei frigoriferi. Ma poi c’ha un culo questa, che… Minchia! Parla da solo. Ad ampie falcate mi faccio tutto Via Vigevano e Via Gorizia e prendo a destra per Ascanio Sforza. Guardo il primo civico: n. 3. Porc… Mi sa che quello giusto sta dall’altra parte. Evvabbè, ecchesaramai! Mi fa bene camminare, il viale è pure in discesa. Il problema è che continua a piovere, Diobbono. Mi inzacchero tutto, ma proseguo, senza sosta, ad ampie falcate. Arrivo nei pressi di nota pizzeria dei Navigli. Ci sono, ormai ci sono. Toh! Son finiti i civici. Dopo la pizzeria …: “Eh? Uncistanulla!”, direbbe quel bischero del mio amico livornese. Chiamo Amalia, che giornata! Sto litigando con la toponomastica milanese. In italiano improponibile mi spiega che devo attraversare eppoi… E’ vero, il suo civico sta dall’altra parte. ‘Sta cazzo di Via Cardinal Ascanio Sforza è bella lunga. Macché culo oggi! Le ho azzeccate tutte. Butto un occhiata in giro e scopro che è pieno di parcheggi liberi, ma sono venuto in metro, perché avevo paura di non trovare parcheggio.
Sono le tre abbondanti quando mi presento alla porta di Amalia. Grondo acqua da tutte le parti. Mi fa entrare. Ride. Tolgo con cura l’impermeabile, per evitare di allagarle il pavimento e intanto me la studio un po’. Ha un corpo da favola e il culetto a mandolino risponde pienamente alle mie aspettative, ma, peccato: la faccia proprio non va. Per farmi capire: è la classica faccia da puttana, navigata, segnata dal tempo, rossetto sulle labbra e ombretto attorno agli occhi. Dichiara 23 anni, io, da gentleman quale sono, mi metto a ridere senza ritegno. Lei non si risente, per fortuna. Azzarda un 28, ma ne ha più di trenta, garantito a limone. Passiamo alla trattativa. Minimo 100, ma ne vuole duecento per darmi il mandolino. Cazzo è uno strumento degno di nota, però, duecento rose.... Tiro fuori da una tasca tutto quello che ho (il resto è nell’altra tasca): 150 roselline. Mi pento subito, perché lei accetta all’istante. Chissà se avessi tirato fuori 100.
Ci stendiamo su uno strano divano letto, molto ampio, a forma esagonale. Ha una bella pelle e una abbronzatura da lampada che le dona. E’ arrivata due settimane fa, non capisce una mazza. Porta due stivaloni con tacco di 15 cm, che non toglie mai a quanto pare: lo stacco di coscia del resto, ne risulta valorizzato. La spedisco giù, a pompare con la bocca per una manciata di minuti: non se la cava male.
La dirigo verso un 69, lei non smette di pompare e mi offre il suo lato posteriore, bello a vedersi, ma… La fica è asciutta come uno straccio al sole di giugno ed emana odore di lattice. Provo ad assaggiare con la punta della lingua: lattice, non ci sono dubbi - potevi lavarti almeno, mentre cercavo il tuo cazzo di civico ecchecazzo. Non demordo, mi allungo fino al buchino, ma… anche qui: lattice. Che schifo! Ma un po’ di sapone, no eh? Che peccato doversi limitare a toccare con quel ben di Dio davanti. Le infilo un dito nel culo. Ingresso libero, ma mica tanto (il dito rimarrà impregnato di odore di m… a lungo; evidentemente i profluvi prodotti da Amalia sono refrattari al sapone).
Non mi rimane che passare all’atto finale: Amalia si dispone docilmente a pecorina e mi indirizza tra le sue eccezionali chiappette. L’ingresso è graduale, ma in pochi secondi sono dentro tutto. Glielo pompo nel culo per una interminabile quarto d’ora: non riesco a venire e Amalia comincia a lamentarsi, ma non mi infastidisce più di tanto. Anzi, le sue lamentele sono il giusto corollario alla mia insolita prestazione da pornodivo. Devo quasi forzarmi per arrivare a conclusione. Amalia lo accoglie come una liberazione, ma non mi molla di colpo. Attende di sentirmi completamente svuotato per staccarsi e questo, gliene devo dare atto, è stata una bella dimostrazione di professionalità.
Esco di nuovo all’aria aperta, ha smesso di piovere, stò stronzo. I torrenti lungo le strade sono diventati rigagnoli. Ma quanto cazzo ci sono stato con Amalia. E ora che faccio? Ho una fame da lupo, e ci credo con la scampagnata sotto la pioggia che mi sono fatto, la fiorentina se ne è andata a puttane (pure lei). Quasi, quasi un kebab… sì, un bel kebab Toh! Ma che cos’ha oggi l’amichetto nelle mutande. Ho scaricato un litro di sperma e questo bussa di nuovo. Divoro il kebab e mi rimetto sulla strada del rientro in albergo. Che faccio? Ci sarebbe Sheyla, aspetto domani o … Mentre cammino un’erezione di ritorno intralcia e ingoffisce il mio passo. Ormai l’amichetto va per conto suo e se ne fotte dei miei ragionamenti. Non mi resta che andare da Sheyla a cercare requie.
La bellezza di Sheyla, brasiliana sui vent’anni di carnagione bianca, mi lascia senza fiato appena varcata la porta di ingresso. Indossa un toppino e un jeans sdrucito, sforbiciato malamente all’altezza della coscia. Sua madre è polacca, dice, e suo papà brasiliano del sud. E si vede, penso il mix di geni polacchi e brasileri ha fatto davvero un lavoro esemplare: 1,80 circa, fisico snello, asciutto, culetto tornito incastonato su due gambe da gazzella, caviglie sottili e maledettamente sensuali. Peccato per le tette rifatte (malissimo) e gonfiate fino ad una assurda quinta. Ha gli zigomi alti e marcati, Sheyla, roba da top model, ma con tutto quel fard e quell’ombretto di dubbio gusto sembra proprio un bagascione. Mi accompagna di là, nell’altra stanza, e nel corridoio faccio la radiografia alle natiche gonfie che tracimano fuori dal jeans strappato proprio lì. Si siede sul letto e accavalla le gambe, dandomi uno sguardo compiaciuto: “Allora? Dimmi ….”. Devo avere un’espressione da arrapato con la lingua ciondolante: la camminata nel corridoio ha lasciato il segno. Eppure, mi sono appena svuotato. Dico: “Hai detto che sei completa … 100 vanno bene … te le metto qui?”. Sheyla annuisce, ma mi piacerebbe sapere che cosa sta pensando. Forse non pensa a nulla, forse pensa già alla prossima marchetta. Sicuramente tenta di archiviare velocemente la mia pratica: il pompino senza gommino dura un minutino. Poi Sheyla si libera dello slip, altre due ciucciate alla gomma e si mette subito a pecora, inarcando la schiena come una gattina in calore: “Sei venuto per questo, no?” “Sissì, magari se …” Ma lascio perdere, non protesto. E’ vero, mi interessa solo fottere quel trionfo di natiche, che ora stanno lì, tese, alla mia mercé. Decido però di riscaldarmi un po’ e vado di fregna. Intanto studio la prossima mossa e valuto le potenzialità di quel bel culetto. Lo tengo aperto a due mani e ci infilo un pollice, poi tutte e due. L’accesso è morbido, senza attrito, come se fosse stato già predisposto all’uso. Beh, mi sa che non sarà molto difficile aprirsi un varco. Non vedo cremine e sostanze idratanti in giro, però. Boh? Si sarà preparata prima, forse nel comodino ci tiene dildo e vibratori, ma poi che mi frega. E’ passata una manciata di minuti e Sheyla già sbuffa, si agita come una forsennata, cercando di farmi venire. Vorrei dirglielo: “Mia cara, mi spiace, forse aspetti qualcuno, ma ho appena scaricato tutto nel culo di Amalia, mi sa che ci vuole qualcosa in più di una decina di minuti”. Mi sfilo e approccio il retrobottega. Entrata liscia, rapida, troppo rapida: culo bellissimo, ma sfondato, mia cara. Sheyla ricomincia ad auto-impalarsi, ondeggiando plasticamente il bacino. Non posso fare altro che starmene fermo, a subire la sfuriata e a guardare lo spettacolo di questo culetto sodo che mi fotte il cazzo a velocità crescente.
Non so che cosa sperasse d’ottenere la troietta, ma ad un certo punto si sfila e si gira spazientita a controllare: “Dai .. dai… amore… ma… ma… sei venuto”?. Il mio cazzo svetta diritto e turgido come non mai. “Vengo io sopra”?! Non capisco se è una domanda o un’affermazione, ma l’accontento. Mi stendo sul letto e la lascio fare. Sheyla si passa le dita tra i capelli, come per raccogliere le idee, poi mi volta le spalle, allunga una mano e punta il mio cazzo verso il suo culo, drammaticamente provato, per inghiottirlo di nuovo. Segue una nuova tempesta di febbrili colpi di ano. E io? Io mi godo lo spettacolo, disteso sul letto, mani dietro la nuca, limitandomi di tanto in tanto a percorrere con le dita il solco lunghissimo della sua schiena, contando le vertebre o seguendo i rigoli di sudore che adesso scivolano copiosi sulla sua pelle vellutata.
Dopo il nuovo tentativo di farlo capitolare, Sheyla si inchina esausta davanti a quel cazzo di vetro che tende ancora il lattice come se fosse all’inizio. E’ il momento di scuotersi e di prendere in mano le redini della situazione. La sollevo di peso, scendo dal letto. Sheyla mi fa: ? Le tendo la mano e invito anche lei ad alzarsi. C’è un grande poster che la ritrae attaccato ad una parete. Mi sembra il posto migliore per sbatterla e insegnarle un po’ di buona educazione. Sheyla afferra al volo, si incolla al suo poster a mani aperte, mi offre, divaricando leggermente le gambe, quel che resta del suo patrimonio frettolosamente dilapidato. Cingere il suo vitino e ritrovare l’ingresso posteriore è fin troppo facile, ci riuscirebbe anche un cieco. Quello che segue è uno dei più virulenti e prolungati assalti sodomitici della mia vita. Non so se il collega puttaniere, che Sheyla attendeva, ha avuto la pazienza di aspettare. Chiunque fosse, se è venuto per testare il mondo posteriore di Sheyla, ha trovato la strada spianata.
Milano, Ottobre 2007
Il primo culo, direi culone, è quello di Ellen, zona Bovisa, una piacevole sorpresa. Forse perché sono stato il primo della giornata, attorno alle dodici, forse perché era ancora insonnolita o forse semplicemente perché è di buona indole, questa brasilianina è stata davvero di una dolcezza infinita, tanto da far passare in secondo piano qualche evidente imperfezione fisica: chiappe smagliate, cicatrice sul ventre, non proprio piatto peraltro, seno cadente. La sua bocca è stata una piuma e mi ha regalato un pompino di rara fattura, mentre la sua fighetta depilata eruttava come un vulcano a beneficio della mia di bocca. Alla fine mi sono ritrovato con una mazza gonfia come non mai, tanto da richiedere un preservativo XL. Mentre la stantuffavo alla missionaria ho avvertito un sincero trasporto da parte sua e ho creduto di potermi avventurare alla ricerca delle sue labbra, che, però, unica nota stonata, mi sono state cortesemente rifiutate - Boh? Forse perché prima le avevo leccato la figa - Un velo di delusione si è dipinto sul suo viso quando le ho chiesto il culo e stavo quasi per rinunciare. Ma lei si è ripresa subito e mi ha cambiato il preservativo: dice che fa sempre così. A 90 gradi evidenzia un bel culone, peccato per le smagliature laterali. Entro con difficoltà, ma dopo una decina di secondi sono tutto dentro. Dura poco: la dolce Ellen si lamenta, mi sputa fuori e mi invita ad una entrata laterale. In altre circostanze mi sarei incazzato: non mi piace l’entrata laterale. Ma questa ragazza è stata così dolce che non mi va di ribattere. Obbedisco, entro di lato. Le sue chiappone sono diventate ospitali ora. Comincio a stantuffarla, mentre con la mano sinistra mi lavoro la clito. Ma non mi piace l’entrata laterale e allora comincio a mandarle segnali, per invitarla a ruotare e a mettersi a pancia in giù. Non si fa pregare più di tanto e così senza uscire dal suo culone mi ritrovo di nuovo alle sue spalle, la bocca ansimante a fare una doccia di saliva sul suo collo profumato. Non so se nel frattempo mi sono sgonfiato io, ma nel suo culone aperto il mio cazzo sembra un biscotto immerso nella crema del cappuccino ora. Questa posizione di assoluto dominio delle operazioni manda segnali irresistibili al cervello dopo qualche minuto sono in Paradiso.
La seconda inculata doveva essere Adina, ungheresina ventenne, zona Corvetto, e in effetti così è stato, ma nel culo l’ho preso io. Mi puzzava un po’ che una con quegli occhioni azzurri, per gli 80 euro d’ordinanza non solo ti succhiasse il cazzo senza fastidiosi intermediari di gomma ma ti offrisse anche le chiappe. Ma poi mi ero fatto uno di quei ragionamenti da testa di cazzo, tipo: “Sarà appena arrivata, deve svezzarsi o forse c’è poca domanda…” e alla fine l’ho preso io tra le chiappe. Il suo annuncio è del TUTTO FALSO, ovviamente. La suddetta non è né vogliosa né completa e men che meno ti fa impazzire. Ti fa solo incazzare, perché con tutto il Bendiddio che c’è in giro sei andato a sbattere proprio lì. La cosa che mi ha fatto maggiormente incazzare è che ad esplicita domanda, ripetuta due volte al telefono: “Allora l’anale lo fai, eh…?” la volpina ungherese risponde un fermo “Sìssì!” Come dire: “Come ti permetti, verme, a fare questa domanda a me che sono la regina delle troie oggi su piazza?”. La cosa che mi fa incazzare anche dippiù è che, stregato da quegli occhioni, mi distraggo e dimentico di ri-precisare i termini dell’accordo. E così passiamo alle danze e dopo due decimi di secondo mi ritrovo incamiciato: “Ma non si era detto: preliminari senza protezione”? “E’ che ho un piccolo herpes e…” e mi mostra un insignificante foruncolo sotto il labbro inferiore. “Mmmm…” Siccome non sono un patito del genere, ci passo sopra. E comunque non mi sono niente: venti secondi di assaggini del mio cazzo incappucciato. Passiamo al secondo atto e le stantuffo la figa alla pecorina, mentre lei è rapita da un programma di merda alla tv. Non è molto gratificante, machissenefrega. Estraggo il bussolotto dalla figa e faccio “Toc, Toc” all’altro uscio. Istantaneamente il rapimento televisivo s’interrompe, la tipa si volta di scatto e si stende sul letto. Io faccio: “??” e lei parte con una cantilena urticante: “Non l’ho mai fatto, non è questione di soldi davvero, è non l’ho mai fatto, quindi… non l’ho mai fatto e… non l’ho mai fatto, quindi…” -“Ho capito! Ma perché hai detto che lo facevi allora?” Occhioni bassi, piccolo broncio e riparte: “E’ che…veramente non l’ho mai fatto, non è questione di soldi…è che non l’ho mai fatto….”. Intanto un coglione vince 500.000 euro al programma televisivo del cazzo che l’aveva mandata in trance. La piccola si desta, si alza sulle ginocchia e comincia a respirare affannosamente: “500.000 euro!!! Ohh…C-i-n-q-u-e-c-e-n-t-o-m-i-l-a EUROOOOOO…” Io la guardo allibito, guardo il mio cazzo che ammaina bandiera, mestamente. Non so se prenderla a schiaffi o mandarla affa…e andarmene. Alzo gli occhi al cielo, comincio a scrutare nelle crepe dei muri, nell’intonaco che cade a pezzi. Proprio una serata di merda, conclusa in un posto di merda con una cretinotta che continua a cinguettare: “...Cinquecentomila euro… oh… mamma… cinquece-NTO”.
Comincio a menarmela come un attore porno in procinto della scena, ma è solo per evitare che mi si sfili il preservativo. Intanto va in onda la pubblicità. Il cinguettio si conclude con un sospirone. La cretina si stende sul letto e come se niente fosse allarga le cosce, rivolgendomi finalmente uno sguardo: “Ma ti rendi conto…cinquecento…cinquecento!”. Mi viene in mente che la serata di merda potrei anche concluderla con un omicidio. “Vieni tu sopra, va…”. Sta per ricominciare ma stavolta la zittisco brutalmente: “Vorrei andare via, per favore…se vogliamo finire…”. Le agguanto le chiappe e la trombo con tutta la cattiveria che mi viene, a velocità supersonica: “Aspett…un momen…No! Così…No!…Aspett...a un…min-u-to…”. Mi fa male la spina dorsale ma non mi fermo più fino alla fine. Bye bye, babie …
Il terzo culo, all’indomani della fregatura ungherese, doveva essere il piatto più ghiotto del menù, considerate le referenze, e invece anche Joselyn, ceca sui trenta, location in un bugigattolo di 7-8 metri quadri incluso bagno, nella famigerata Via Frisi, è stata una mezza delusione. In teoria non si tira indietro davanti a nulla, dice di fare tutto ed è vero. Ma è come lo fa o come lo ha fatto con me che mi ha lasciato alquanto perplesso.
Per arrivare alla porta - finestra giusta c’è voluto il navigatore: “Sali un piano, arrivi davanti a una porta, cosa c’è scritto? Gira a sinistra, poi a destra, attraversa tutta la balconata, gira a sinistra, poi a destra….” Insomma, se non fosse stato per un panzone affacciato dalla balconata, che ha seguito tutti i miei goffi spostamenti e alla fine mi ha indicato la porta giusta, ancora starei lì, al telefono, a seguire le indicazioni di Joselyn. E non è il massimo della privacy cercare la porta giusta di una troia con il cellulare all’orecchio. La tipa è gentile ed è anche un gran pezzo di figa, con un seno strepitoso (per com’è fatto non per quanto è grande). Ma si percepisce subito il diaframma che, forse inconsciamente, mette tra te e lei. Trattasi di ovvia autodifesa emotiva che credo tutte le ragazze che fanno ‘sta vita, inutile prendersi per il culo, frappongono tra sé e i clienti. Il problema di Joselyn è che non riesce a dissimulare affatto questo granitico separè. E’ come se avesse perfettamente presenti i requisiti che deve avere una buon prodotto – bbj, anal, cim, gfe, non badare all’orologio, silenziare il telefono, chiacchierare un po’ prima e dopo, ecc…- e si adoperasse per riprodurre con matematica impostazione questi requisiti. Questa è più un’esperta di marketing che una puttana, crede di conoscere il puttaniere tipo e pensa di offrirgli ciò che cerca. Il risultato complessivo per me è stato che ho trovato più sensuale la bistecca alla fiorentina che ho mangiato dopo, a cena.
Tutto si è svolto nella più totale assenza di libidine, con una parcellizzazione scontata di tutte le portate del menù: un tot minuti (pochi) per il bbj, un tot secondi la leccatina di palle, un tot per il 69, un tot la trombata di figa alla missionaria, un tot alla pecorina, un tot l’anal. Volevo farmi una scorpacciata di quell’incredibile seno ma sono riuscito a malapena a slinguazzarlo, volevo trivellare con la lingua il magnifico buco di culo durante il 69 ma non sono stato assecondato. Per non parlare del frenck-kiss, che dovrebbe essere l’apice della libidine, e durante il quale invece ti ritrovi con la sua lingua rigidamente puntata su di te, che sbatte un po’ “andò cojo cojo”.
Tutte le troie svolgono un compitino, ma ce ne sono alcune che riescono a farti credere che davvero sono lì per te, con il corpo e con la mente, che sprizzano sensualità, dolcezza o semplicemente porcaggine, da tutti i pori. Joselyn, al contrario, sebbene sia completa di tutto, è classificabile come una esecutrice acefala di marchette multi-formi, un piatto da gourmet con variegate cromaticità ben accostate che non sa di niente.