Dell'ambiguità

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La seconda e ultima

La seconda volta fu la peggiore.
Non avevamo ancora cominciato che già mi sentivo abbattuto.
Non mi tirava, cazzo, non mi tirava proprio. Eravamo ancora in soggiorno a berci un tè, completamente vestiti, e sapevo che sarebbe stata una disfatta.
E dire che era una settimana che non vedevo l’ora di incontrarla.
Ero tanto eccitato che la domenica sera mi ero incannato una tipa caricata per strada solo perché le somigliava vagamente. Una certa Laura, niente di che.
Appena a casa mi ero ammosciato. Il confronto non teneva. Ma avevo già pagato e due colpi glieli avevo dati.
Era bastata una volta per marchiarmi. ‘Fanculo, mi era mancata da matti.
Ma adesso ero proprio abbattuto. Teso e innervosito.
Lei sedeva tranquilla sul divano, beveva il suo tè e ogni tanto mi sorrideva enigmatica.
Non sembrava neppure una puttana. La minigonna era di jeans e la maglietta di cotone leggero verde. Sopra c’erano disegnati due orsetti bianchi che giocavano a tennis.
I sandali erano bassi.
Mi aveva detto che sarebbe tornata da Venezia il giovedì sera, che potevo andarla a prendere a mezzanotte, che tanto sarebbe stata troppo stanca per andare a lavorare.
E, in effetti, non avevo neppure dovuto chiamarla. A mezzanotte in punto era scesa, aveva subito riconosciuto la mia macchina ed era salita senza neppure salutare.
Le bastava un sorriso.
Posò la sua tazza e si accese una sigaretta.
La volta prima, la prima volta, era stato travolgente.
L’avevo vista sul viale e avevo rallentato. Lei mi aveva sorriso e aveva messo dentro la testa quando avevo accostato. Mi guardava senza dire niente.
Era bellissima, aveva un viso da bambina d'altri tempi.
Sali, avevo mormorato, travolto dall’emozione.
E lei si era seduta tranquilla, si era messa la cintura e mi aveva sorriso di nuovo.
Le avevo chiesto le solite sciocchezze, ma lei alzava le spalle rispondendo a monosillabi.
A casa mia, avevo deciso, ti do ottanta euro per un’ora.
Aveva annuito senza commentare. E si era accesa una sigaretta.
Ma ero tanto eccitato che, appena svoltato su via Stalingrado, le avevo messo una mano su una coscia. E lei aveva allargato un poco le gambe per farsi accarezzare meglio.
E non avevo resistito. Tanta remissione sembrava perfetta.
Preso da una frenesia incontrollabile, avevo svoltato su via del Lavoro, parcheggiato in uno spazio condominiale fin troppo illuminato e me l’ero tirata sopra.
Era scomodo; io grande e grosso, con il volante in mezzo e le sue mutande strette che mi sfregavano fastidiosamente l’uccello.
La ragazza mi aveva baciato furiosamente, mentre la penetravo. E solo per un momento mi ero allarmato pensando che stavamo facendo una grossa cazzata.
Ma ormai ero dentro, la sua figa era calda e umida. I suoi baci appassionati come se fossero veri.
Mi stringeva il collo e il petto con una forza inaudita.
Solo dopo qualche minuto aveva staccato le labbra per dirmi di non venirle dentro.
No, avevo sorriso, non preoccuparti. Dopo di spiego, ma vedrai che non ti vengo dentro.
Così, l’avevo tirata via. Lei sembrava quasi delusa.
Era tanto bagnata che mi aveva lasciato una scia di umori sui pantaloni.
Andiamo a casa, avevo deciso.
E lei aveva annuito senza dire niente.
Anche adesso mi sentivo fremere di desiderio.
E nel contempo ero consapevole che non sarebbe stato altrettanto bello. Che ci avevo pensato troppo su. Lavorare sull’aspettativa non è una buona strategia.
Lei beveva indifferente, continuando a fumare e a farmi qualche sorriso.
La volta prima, la prima volta, arrivati a casa mia, lei non si era neppure spogliata.
Mi aveva stretto in un abbraccio cercandomi le labbra e massaggiandomi la patta.
Così, l’avevo rovesciata sul divano, entrandole ancora senza. E l’avevo sbattuta per quasi mezzora con eccitazione crescente. Mezzora a quel ritmo, alla mia età è qualcosa.
Ogni tanto mi staccavo da quel bacio che tanto somigliava ad una trasfusione di sangue per guardarla negli occhi.
Lei faceva altrettanto, con espressione seria.
Non emetteva il minimo rumore. Niente ansiti, niente lamenti. Ma mi sembrava di essere un solo corpo. Spingeva il suo bacino contro il mio con un impegno che non poteva essere disinteressato.
E mi guardava fisso negli occhi con una specie di stupore.
Di solito, mi piace inculare le ragazze. Ma in quel caso non ci pensavo neppure. Mi interessava solo rimanerle dentro e continuare quella specie di frenesia da penetrazione.
Non c’entrava tanto l’atto in sé. Era che ci capivamo. Era che le piaceva. Era che piaceva a entrambi. Era reciproco. Era un semplice difficile linguaggio, ai limiti della telepatia.
Le piaceva, non c’era bisogno che lo dicesse.
Forse le piaceva con tutti. Ma chissenefrega, dico io. La cosa importante era che le piacesse con me.
La cosa importante era fare durare quel piacere.
Ma alla fine, avevo cominciato a sentire le gambe pesanti e qualche dolore alla schiena.
Stop, avevo mormorato uscendo dolorosamente.
E lei aveva ansimato per la prima volta.
Si era girata su un fianco tenendosi entrambe le mani tra le cosce.
E mi aveva guardato fisso, con espressione seria e un poco smarrita.
L’avevo tirata su e l’avevo spinta nella camera da letto.
Lei, intuitiva, aveva aspettato che mi stendessi per venirmi sopra.
Si era infilata il mio affare senza fatica, con un piccolo singulto.
E mi aveva dimostrato che non fingeva.
Neppure un ansito, cazzo di cane. Ma la sua cosina era fradicia e mentre mi scopava, si mordeva le labbra e si strapazzava le tette.
Solo a quel punto mi era venuto un dubbio.
Ma, avevo sussurrato, fai senza con tutti?
Tu sei il primo, aveva balbettato.
Proprio in quel momento si era accorta che stavo per venire.
Mentre rantolavo, lei si era staccata, me lo aveva imboccato e si era fatta inondare di sperma. Rimanendo lì fino a quando, stremato, le mie contrazioni non erano finite.
Poi, invece di andare a sciacquarsi la bocca in bagno, come avevo visto fare alle sue colleghe le rare volte che mi era capitata una roba del genere, mi si era stesa sopra e mi aveva baciato passandomi quello che aveva tra le labbra.
E mentre la baciavo, mi era tornato duro.
Adesso, invece, mi sentivo proprio da cani.
Sembrava che la tensione erotica si fosse completamente esaurita.
Lei sedeva tranquilla, beveva e fumava. Ogni tanto mi sorrideva.
Carica sensuale zero. Desiderio a mille, ma totalmente frustrato.
E dopo, la volta prima, avevamo parlato un po’.
Continuava a toccarsi la passerina e allungarmi un bacino ogni tanto.
Nel suo modo laconico, mi aveva detto che il giorno dopo andava da una sua amica a Venezia per una settimana. Che ogni tanto lavorava con lei, in appartamento. Che girava spesso,
Non aveva una casa sua. Stava di più da una sua amica a Milano, ma si spostava a Bologna e Venezia, qualche volta a Firenze e a Genova. Sempre da sue amiche loft.
Diceva che era in Italia da sei mesi e che forse tornava a casa in autunno. Che non era la prima volta che veniva.
Parlava poco. Aveva un’aria rilassata e triste. Ma quando sorrideva mi ammaliava.
Io le premevo l’erezione che straordinariamente ancora mi tormentava contro una coscia e lei ogni tanto scendeva ad accarezzarmi.
Non abbiamo parlato molto. Dopo un quarto d’ora, le ero andato ancora sopra, spalancandole le gambe e glielo avevo messo dentro in modo quasi ansioso.
Lei continuava a guardarmi fisso negli occhi con aria seria.
Ma quale pecora? Ma quale anale? Scoparla per davanti, per poterla vedere bene in viso. Questa era la cosa giusta.
Ogni tanto, tirava fuori la lingua. Era un invito a baciarla. Ma non lo facevo sempre.
Mi piaceva osservarla, sudata e seria, impegnata a rispondere ad ogni bordata con altrettanta veemenza. Un semplice, difficile linguaggio.
Sei mia, avevo pensato. Tu sarai la mia puttana preferita per sempre. Tu sei perfetta.
E mentre lo pensavo, lei aveva emesso un secondo piccolo ansito. Niente di eclatante, sembrava quasi si vergognasse.
Ma ho cinquant’anni e conosco le donne.
Quello era un orgasmo davvero.
Che mi aveva trascinato a uscire precipitosamente dalla sua passerina calda per venirle sulla pancia.
Cazzo, aveva mormorato quasi impercettibile stringendomi l’affare pulsante con entrambe le mani, perché mi piace un vecchio stronzo come te?
Un fiotto di sperma le era arrivato fino al mento, sporcandole il petto. Ma lei non sembrava preoccuparsene.
Leccamela via, aveva sussurrato con occhio perverso, e poi dammela.
Ero tanto fuori, che avevo obbedito.
E il bacio sporco che ne era seguito era stato forse il più bello che abbia scambiato in tutta la mia vita.
Ma adesso non riuscivo neppure a fare un gesto di approccio.
Mi sentivo rigido e demotivato.
Sei stanco? Chiese improvvisamente.
Nonostante parlasse a voce bassissima, la sua voce mi aveva fatto sussultare.
No, sorrisi.
Allora, decise, deve essere colpa mia. Scusami, ma io sono stanca davvero.
Alla fine, la volta prima era rimasta fino a notte inoltrata. Avevamo scopato un’altra volta, ma non ero venuto.
Le avevo proposto di rimanere a dormire ma mi aveva detto che non poteva, che la sua amica l’aspettava.
Tutte stronzate, ovviamente. Ma ‘fanculo, chissenefrega.
Le avevo dato i soldi e poi l’avevo riaccompagnata in San Vitale.
Ok, deglutii rassegnato, ma credo sia colpa mia.
La ragazza annuì seria.
Poi sorrise triste.
Ci abbiamo pensato troppo su, sussurrò, siamo tesi.
Anche tu? Risposi confuso.
Lei mi guardò incredula.
Si accese un’altra sigaretta cercando le parole.
Credi che faccia così con tutti? Osservò infine con una smorfia sdegnosa.
Non so, confessai.
Ma dai! Ridacchiò nervosamente.
Cominciavo a sentirmi un po’ irritato.
Se vuoi, proposi, ti riaccompagno.
Forse è meglio, ammise.
Mi sentivo da schifo.
Non mi va di essere preso per il culo. E nel contempo non mi va di offendere la buona fede delle persone. Ma tutto era veramente poco credibile.
Amo le ambiguità, ma quelle che riesco a controllare. E in quel momento mi sentivo completamente disorientato.
Mi alzai faticosamente e la invitai con uno sguardo a fare altrettanto.
Ok, sospirò.
Si tirò su con aria indolente e mi seguì fino alla porta.
Io, mormorò titubante, pensavo di rimanere a dormire.
Non sapevo che dire. Il desiderio tirava per il sì, il buon senso per il no.
Ovviamente vinse il desiderio.
Rimisi le chiavi della macchina sul mobile.
Non so se riesco a fare l’amore, confessai, sono molto teso.
Anch’io, rispose, ma non siamo obbligati.
Allora non ti pago, sorrisi.
Pensavi di pagarmi? Rispose sbarrando gli occhi.
Per favore! La pregai, non facciamo i giochini. Stavo scherzando. Se bastano, ti do cento euro.
Ok, accettò con aria nervosa, ma io non stavo scherzando.
Vuoi altro tè? Cambiai discorso.
No, rispose, vorrei farmi una doccia e andare a letto.
Ti prendo un asciugamani, decisi.
E lei mi seguì in bagno.
Mentre si lavava rimasi seduto sul water a guardarla.
Era uno schianto. Alta e magra, con il seno piccolo e il sedere ben proporzionato. Le gambe lunghissime.
Il viso regolare, con occhi scuri e un caschetto di capelli neri con sfumature rosse.
Le antine erano aperte e lei ogni tanto mi guardava triste e sorrideva appena insaponandosi.
Chi cazzo sei? Pensavo.
Sei perfetta. Perché fai la puttana? Potresti fare la modella o l’attrice. Che so? La segretaria d’azienda. Tutti ti correrebbero dietro.
Io ti scopo oltre due ore per ottanta euro.
Non c’è giustizia a questo mondo. Ne vali dieci volte tanto.
Come può una figa come te, a meno di vent’anni, farsi fottere da un vecchio stronzo come me?
Non mi avevi definito così?
Ma eravamo fatti come campane, l’altra volta. Ti ho persino scopata senza.
Una cosa da veri idioti.
Forse avevi pippato o eri fuori di fumo. Che cazzo ne so.
Vuoi una canna? Chiesi.
Canna? Rispose sciacquandosi.
Marijuana, precisai.
Nonnò, mise le mani avanti, non mi va quella roba.
Vino? Insistetti.
Non bevo, scosse la testa.
Una Coca? Sorrisi.
Assentì vigorosamente.
Così andai a prendere una lattina dal frigo e gliela portai.
Lei si stava asciugando.
Fece un sorso e me la rese.
Anche la Redbull mi piace, commentò.
Fa schifo, sentenziai.
Tu sei vecchio, ridacchiò, ti piacciono cose da vecchi.
Mi piacciono le cose belle, confermai abbracciandola, e in particolare le patatine come te.
Rise fingendo che le stessi facendo il solletico.
Ti spiace se non mi rivesto? Chiese buttando l’asciugamani nel cesto.
No, accettai.
Faceva veramente caldo e il mio condizionatore era al minimo. Non mi piace l’aria gelida e artificiale. Ma quando è discreta è un sollievo.
Si riprese la lattina e andò a sedersi sul letto.
Mi spogliai pure io.
Anche lei mi guardava con aria poco accattivante.
Prima, mormorò, mi hai offesa.
Lo so, ammisi, scusami. Ma non è credibile che una ragazza come te venga con me per qualcosa di diverso dai soldi.
Fece la sua solita smorfia seria.
È vero, assentì pensierosa.
Hai detto tu che sono un vecchio stronzo, sorrisi.
Vero, sospirò.
Mi sedetti contro la testiera, aspettando che venisse a stendersi.
All’inizio, commentò con aria titubante, quando mi toccavi fingevo.
Lo so, sorrisi ancora.
Ma dopo, scosse la testa, non so cosa mi sia successo. Mi sono accorta che mi piaceva.
Lo so, ribadii.
Ma tu sai sempre tutto? Ridacchiò posando la lattina per terra.
Abbastanza, confermai con una punta di sarcasmo.
Si rannicchiò al mio fianco con espressione dubbiosa.
Non so cosa mia sia successo, ripeté pacata, non l’avevo mai fatto senza.
Vuoi dire, precisai, che non l’avevi mai fatto senza con un cliente.
Scosse la testa.
Io, sibilò, l’ho fatto solo con dei clienti.
Basta, sbottai, non voglio sentire cazzate.
Ma vaffanculo, va! Si incazzò.
Si alzò un po’ tremante e andò in soggiorno inveendo a bassa voce in romeno.
‘Fanculo.
Tornò quasi subito, con una sigaretta accesa tra le labbra.
Riportami a casa, mormorò con aria tetra.
Perdonami, mi scusai, sono confuso. Non so quel che dico.
Ok, annuì, ma è meglio se mi porti a casa.
Rimani, la pregai, ma non parliamo di queste cose, ok?
Ok, sospirò tornando a sedersi sul letto.
Fece un paio di tiri e poi mi passò la sigaretta.
Io, aggiunse, avevo pensato che questa sera era molto diversa.
Anch’io, ammisi.
Ok, sbuffò, io sono la puttana e tu mi paghi. Almeno proviamo a scopare.
No, la frenai, adesso ci mettiamo calmi e proviamo a dormire.
Ridacchiò ancora.
Tu, mormorò, sei fuori di testa.
Alzò le lenzuola e si mise sotto.
Almeno, disse piano, vieni ad abbracciarmi.
Si mise in posizione fetale, dandomi le spalle.
Mi infilai tra le coltri e le accarezzai un fianco.
Lei torse il collo per allungarmi le labbra.
Le infilai la lingua in bocca e mi accorsi che stava rabbrividendo.
Mentre mi succhiava con impeto vorace, si girò e cominciò a stringermi il petto.
Dai, mormorò arrochita staccandosi, facciamo come l’altra volta.
Mi spiace, confessai, non sono tanto in forma.
Scese a controllare e fece una smorfia. Il mio uccello era gonfio ma non tanto eretto.
Senza dire niente, scese ad imboccarlo.
Lascia stare, la pregai.
La tirai su e le diedi un paio di bacini sulle labbra.
Tu, mormorò appena percettibile, hai paura di me, vero?
Un po’, ammisi.
Sorrise seria, a riprova che gli ossimori sono in agguato ovunque.
Io, aggiunse, sono terrorizzata.
E perché? Chiesi stupito.
Non lo so, sbuffò, ma tu mi metti paura.
Si tirò su irritata a sedere sul bordo del letto, dandomi la schiena.
Sono una buona persona, cercai di scherzare.
No, rispose girando la testa, tu non sei una buona persona.
Si alzò e si guardò intorno incerta.
Andiamo a fumare una sigaretta di là, propose.
Mi alzai e la seguii in soggiorno.
Forse voleva un posto meno intimo per parlare.
Guardarla camminare da dietro mi provocò un guizzo di eccitazione. Era perfetta.
Così, quando mi sedetti al suo fianco, lei sorrise costatando la mia erezione.
Accese una sigaretta e me la passò.
Fumammo qualche minuto in silenzio. Poco alla volta mi stavo ammosciando e innervosendo di nuovo.
Tensione erotica zero.
La ragazza fece un sospiro e venne ad abbracciarmi.
Mi poggiò la testa sul petto rannicchiandosi contro il mio fianco.
Tu non sei una persona buona, ripeté, tu sei una persona che pensa troppo.
Cazzo, ridacchiai, in dodici parole hai detto tutto. Hai il dono della sintesi.
Dodici parole? Fece seria alzando gli occhi a fissarmi.
Contò a mente scrollando la cenere della sua sigaretta nel portacicche.
Sono tredici, precisò.
Dodici, tredici, alzai le spalle, che differenza fa?
Lei mi accarezzò il viso guardandomi attentamente.
Quante cose hanno visto questi occhi? Mi ignorò.
Abbastanza, credo, risposi imbarazzato.
E quante bocche hanno baciato queste labbra? Continuò toccandomele lievemente.
Non ho con me la calcolatrice, cercai di scherzare.
Sorrise appena.
Facciamo come nella favola, ridacchiò.
Quella di cappuccetto rosso, precisai.
Little Red, confermò.
Con un movimento elegante venne a sedersi cavalcioni sul mio grembo.
Io, dichiarò titubante, non ho mai fatto l’amore.
A parte me, ovviamente, riposi sarcastico.
A parte te, annuì seria.
Dai, la pregai, non prendermi per il culo.
Sono venuta in Italia con un contratto, spiegò, per fare la cameriera.
È successo a molte ragazze, commentai, è un modo come un altro per mettervi sulle strada.
Avevo sedici anni, mormorò, e non avevo mai neppure dato un bacio.
Mi spiace, scossi la testa.
Le accarezzai il viso triste.
Sono stata violentata dal mio boss, aggiunse tirando su col naso, dopo un paio di giorni che ero qui. E la sera mi ha mandato a lavorare in strada.
Dove eri? Chiesi passando ad accarezzarle il collo.
A Genova, fece senza emozione, ci sono stata quasi un anno. Poi sono scappata via.
E perché sei tornata? Chiesi emozionato.
Alzò le spalle.
Tutti sapevano cosa facevo qui, spiegò, e tutti mi trattavano da puttana. Che ci stavo a fare? Credi che sia facile trovare un ragazzo, un lavoro, farsi una vita?
Scosse la testa.
Sono una puttana, aggiunse torva.
La strinsi un po’, cercando di consolarla, mentre lei mi tastava il cazzo discretamente.
Poco alla volta, l’erezione era tornata salda.
Io, borbottò, so fare solo questo.
E per sottolineare il concetto, mi prese l’affare e se lo infilò nella passerina.
Cazzo, non mi andava per niente. Anche se era bagnata e calda.
Ho capito, ansimai tirandomi via, non c’era bisogno dell’esempio.
Ma con il profilattico, sorrise, non ti preoccupare. Non scopo mai senza. Non faccio neanche bocca senza. E, se mi credi, non bacio mai i clienti.
Ok, mentii, ti credo.
È per questo che ti faccio paura, sorrise ancora evidente.
In che senso? Domandai.
Fece una smorfia incurante.
Perché non sai se dico la verità, commentò evidente, di una puttana non ci si può fidare.
Si alzò e andò a prendere la lattina di Coca che aveva lasciato in camera da letto.
È calda, commentò tornando in soggiorno.
Prendine un’altra dal frigo, le suggerii.
No, sbuffò, tanto adesso andiamo a dormire.
E tu, chiesi incuriosito, perché hai paura di me?
Non mi era mai capitato, spiegò, di lasciarmi andare. Non va bene. Ti chiedo scusa.
Mi chiedi scusa? Sbottai esterrefatto.
Le cose belle, concluse, vanno fatte con le persone belle. E noi non siamo belle persone.
Tu, mormorai, sei totalmente fuori di testa.
Lo so, ammise invitandomi ad alzarmi.
Obbedii stancamente.
Mi prese per una mano e mi tirò nella stanza da letto.
Se vuoi, fece seria, prima di dormire scopiamo.
Ok, accettai.
Allora, sorrise triste, prendi i preservativi. Sono nella mia borsa.
Andai in soggiorno e aprii la sua borsetta.
Trovai le chiavi, il portafogli, le sigarette, un accendino e un pacco di fazzoletti.
Ma i profilattici doveva esserseli proprio dimenticati.




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tutto quanto segue questa riga è vero
Scatole cinesi

Cazzo, cazzo, cazzo, mugola, non spingere.
La ragazza è veramente stretta sotto la coda. Le poche volte che glielo metto dietro, si tocca la patata con appropriato movimento rotatorio. E si bagna, pare.
Fa male? Mormoro preoccupato.
Da morire, assicura stringendo forte gli occhi.
Vengo via, decido tirandomi un poco indietro.
Nonostante il desiderio pretenda assolutamente il contrario.
Linda è stesa supina, con le lunghe gambe piegate e i piedi poggiati al mio petto.
Che cazzo fai? Chiede spalancando i fanali.
Ti fa male, spiego ritirandomi ulteriormente con urbanità.
Rimettilo dentro, cazzo! Ordina.
Ma, obietto indeciso, non voglio farti male.
Mi hai chiesto tu di fingere, sorride evidente.
Continua a toccarsi la patata lentamente. I capezzoli le sono diventati duri e sottili.
Accidenti, ridacchio, non sembrava simulato.
Mi guarda con aria incerta.
Devo fingere o non devo fingere? Chiede leggermente disorientata.
Quando fa così, mi innervosisce da matti.
La prendo per le natiche e le faccio alzare il bacino.
Poi le sputo sul buchino.
Stronzo! Inveisce.
Un poco di saliva le è finito sulla mano con cui si stava sditalinando.
Punto di nuovo e la penetro con tutta la cappella. Prima si è lubrificata e, anche se faticosamente, entra.
Cazzo, cazzo, cazzo, ripete, non spingere.
Brava, mi dico, ti ho chiesto di fare la fidanzatina porcellina e tu mi stai accontentando.
Si stringe una tetta con la mano libera, sempre continuando a toccarsi.
Adesso ha accelerato il ditalino e la passera si sta schiudendo gonfia di umori.
Sembra vero.
Le infilo due dita in bocca e lei me le succhia grufolando.
Mi fa male da morire, mormora ancora ad occhi chiusi.
Aspetto che si dilati un poco e poi spingo lentamente. Lei inarca la schiena ed esala un lungo ansito.
Piano, storce la bocca.
Mi fermo indeciso.
Come cazzo fa a fingere tanto bene?
Si morde le labbra con aria davvero sofferente e mi punta i piedi forte sul petto per spingermi via.
‘Fanculo, penso, ti pago.
Lo spingo tutto dentro con un solo colpo.
Lei caccia un urlo da capra portata allo scanno e scalcia facendomi retrocedere precipitosamente.
Probabilmente l’hanno sentita in tutto il condominio.
‘Cazzo, singulta toccandosi il buchino tumefatto, così me lo rompi.
Mi fissa con aria sinceramente offesa.
Scusa, mormoro, non volevo.
Non volevi? Sorride.
Cazzo di cane. Mi prenderà sempre per il culo.
La branco per le anche e, indifferente alle sue proteste, la penetro ancora.
Cazzo, sussurra, ce l’hai troppo grosso, mi stai spaccando in due.
Stronza, ridacchio, lì dentro ne saranno entrati di ben più grossi del mio.
Mai, giura poco credibile tornando a mordersi le labbra, mi faccio scopare in culo solo da te.
See! Ironizzo.
Lo sai, storce la bocca, che non mento mai. E il tuo è enorme.
Te lo infilo fino allo stomaco, prometto, altroché enorme.
Adesso tiene le gambe rannicchiate e la sua papera è totalmente esposta.
Una riga di umori le scende fino al buco del culo. Sembra vero.
Si apre le labbra con due dita. Dentro è rossa e grinzosa.
Toccami, chiede leccandosi le labbra ad occhi sempre chiusi.
Scendo a massaggiarle delicatamente il grilletto e lei scuote la testa.
Mi fai morire, mormora.
Di cosa? Ridacchio.
Di dolore e di piacere, balbetta.
Ok, sorrido tirandomi via, grazie.
Grazie? Fa lei fissandomi con aria offesa.
Sì, decido, sei stata bravissima. Ma adesso facciamo una pausa.
Ok, fa lei tirandosi su.
Si allunga a prendere un fazzoletto sul comodino e si soffia il naso. Vederla alla pecora mi inturgidisce ulteriormente.
Mi piace parecchio, questa tinca. Forse è la decima volta che la prendo.
Non ci sa tanto fare, ma quando ansima sembra quasi vero. E poi, è simpatica.
Tutto coperto e tutto standard. A parte che la scopo in culo ogni tanto.
Abbiamo ancora tempo. L’ho pagata per due ore e, in generale, lei non fa storie se tardiamo.
Ma non è mai rimasta a dormire. Dice che non può, perché alla sua amica non piace stare da sola. Ma sicuramente ha qualcuno che la controlla.
Vabbé, meglio non indagare.
Usa lo stesso fazzoletto per asciugarsi la roba che le cola tra le cosce e poi si alza.
Rimane a fissarmi incerta con la salvietta in mano.
Adesso sicuramente mi dice qualche insolenza.
Posso fumare una stracazzo di sigaretta alla faccia del tuo enorme uccello sempre in cerca di culi stretti da sfondare? Sibila tra i denti.
Non so proprio come faccia a parlare tanto bene italiano.
A dire il vero, non becca un congiuntivo manco a morire, ma in quanto a volgarità non la batte nessuno.
Non è enorme, preciso.
E prendo una sigaretta dal comodino.
Lei fa un salto in bagno a prendere il posacenere.
È tanto gentile che, prima di venire in camera, l’ha svuotato nel water e pulito nel lavandino. Poi l’ha messo ad asciugare sul davanzale.
Fa caldo, è ormai estate.
Si siede compostamente in mezzo al letto a gambe incrociate, col posacenere in mano e mi prende la sigaretta dalle dita.
Aspira voluttuosamente.
Deve aver approfittato della visita in bagno per pulirsi ancora tra le gambe, perché nella piega della passerina le sono rimasti rimasugli di carta igienica.
Accendo un’altra sigaretta solo per me.
Mi hai fatto male, borbotta ad occhi bassi.
Mi spiace, rispondo sinceramente impressionato.
Ma mi piaceva, aggiunge con un sospiro.
Non so che dire. Delle volte è bello farsi prendere per il culo, delle volte meno.
Allora, dopo te lo faccio ancora, prometto.
Lei annuisce espirando il fumo cilestrino della mia Camel.
Quanti anni avrà? Lei dice ventuno, ma probabilmente non arriva a diciannove. È qui da solo tre mesi. Romena, zingarella di Giurgiu. Matta da legare.
Alza finalmente gli occhi a guardarmi torva.
Perché cazzo vuoi sempre incularmi? Chiede con la solita impertinenza.
È stretto, spiego, si sente meglio.
Gliel’ho chiesto immancabilmente, ma me l’ha concesso solo un paio di volte. E lei si è sempre lamentata, dicendo che non lo aveva mai fatto in culo e che solo con me e che troppo dolore e che cazzo di piacere sarà mai?
Sarebbe anche credibile, ce l’ha strettissimo.
Ma ‘fanculo, che cazzo me ne frega? Mentono tutte troppo professionalmente per accarezzare anche solo l’idea di dare credito alle loro chiacchiere.
Prima non mi piaceva, dichiara spegnendo la cicca accuratamente, ma questa volta era bello.
See, sorrido.
Tu ti sei mai fatto scopare in culo? Chiede interessata.
Non recentemente, eludo.
Quindi, ridacchia, lo hai fatto.
Sì, ammetto con titubanza, quando ero giovane.
Prima che nascevo? Chiede arrotolandosi conturbante intorno ai miei fianchi.
Probabilmente sì, annuisco.
Mi abbraccia stretto e allunga una manina tra le mie natiche.
E ti è piaciuto? Mormora insinuante cercando di infilarmi un dito.
Le tiro via la mano infastidito.
Parecchio, ammetto.
Uh, fa lei delusa, era grosso?
No, spiego, è successo a Ferrara, con un mio amico. Una notte abbiamo fatto l’amore in tre, con la mia ragazza di allora, e alla fine è capitato.
Tu, spalanca gli occhioni scuri, hai fatto scopare la tua fidanzata da un altro?
Beh, mormoro alzando le spalle, è successo.
Cazzo, esclama tirandosi di nuovo a sedere, ma sei proprio un porco!
Abbastanza, grazie, convengo.
Solo quella volta? Insiste.
Che cazzo le dico? Tutte queste domande mi imbarazzano. Ma lei sembra interessatissima.
No, confesso, l’abbiamo fatto ancora in tre, diverse volte. E in un paio di occasioni in quattro e in cinque.
Cazzo! Mormora colpita, ma non eri geloso? Racconta, dai.
Che vuoi che ti racconti? Sbotto, io, il mio amico e le nostre ragazze. Ogni tanto qualche amica della mia ragazza. Succede, dai.
Succede dai, ‘sto cazzo! Esclama di nuovo, non è mica una roba normale.
Che detto da te…, obietto.
Che cazzo vuol dire! Si inalbera, io lo faccio per lavoro. Mai fatte delle porcate così, per il gusto di farle.
Ok, sospiro, magari le farai.
Ci pensa su un po’.
Accende un’altra sigaretta e mi guarda con aria schifata.
Non dire stronzate, mormora.
Una volta l’ho presa con la sua amica Giulia. So che vanno spesso con un cliente insieme.
L’hai fatto con due uomini? Chiedo incuriosito.
Una volta, annuisce, e mai più.
Perché? Sorrido.
Scuote la testa.
Non mi piace perdere il controllo, spiega, uno mi entrava in bocca e l’altro in figa. Poi si scambiavano e non sapevo mai chi dei due avevo dentro. Non ci capivo un cazzo. Meno male che gli avevo detto prima niente culo
Ti è piaciuto? Insinuo.
Alza di nuovo le spalle.
Era lavoro, idiota, sibila, che cazzo vuoi che mi è piaciuto? Valeva duecento euro per mezzora.
Hai appena detto che questa volta ti piaceva prenderlo in culo, obietto.
Mi guarda con aria irritata.
Hai ragione, sorride storta, ma lo sai che io dico un sacco di cazzate.
E poi, preciso, ti avevo detto io di fingere.
Giusto! Esclama battendosi una mano su una coscia.
Si alza malferma sulle gambe.
Vado a pisciare, annuncia, se cominci a tirati una sega, quando torno se ti viene ancora duro me lo metti di nuovo dentro.
Ok, accetto sconcertato da tanta lucidità programmatica.
La sento farsi un bidet e mi accarezzo con ansia anticipatoria.
Certo che mi sconcerta sempre, ‘sta ciospa.
Se non fosse uno schianto e mezzo credo che le avrei già dato il benservito.
Torna quasi subito.
Ha preso il tubetto di lubrificante e si unge ancora.
Ma fai piano, si raccomanda.
Ok, accetto.
Pecora, decide, ma fai piano.
Si mette a quattro zampe sul bordo del letto e io mi alzo in piedi, giusto dietro di lei.
‘Sta stronza sculetta appena e si infila una mano tra le cosce a toccarsi il buchino e massaggiarsi la patata.
Faccio per appoggiarlo e solo in quel momento mi accordo della cazzata che sto combinando.
Cazzo! Mi dico bloccandomi, stavo dimenticando il preservativo.
Lei gira la testa a controllare che cazzo sto facendo.
Mi stavi entrando senza? Chiede terrorizzata.
Sì, ammetto, scusami. Non me ne ero neppure accorto.
Si morde le labbra nervosamente.
Anch’io me ne stavo dimenticando, annuisce.
Mentre scarto la confezione, lei si gira e si sdraia su un fianco.
Senti, mormora, forse è meglio se la smettiamo.
Cosa? Bramisco.
Basta, fa lei innervosita alzandosi, siamo andati troppo avanti.
Ma che dici? Obietto senza capire.
‘Fanculo, balbetta, non va bene.
Cos’è che non va bene? Chiedo esasperato.
Ma non capisci? Fa lei scuotendo la testa.
Non so che dire, alzo le spalle.
Non va bene, cazzo, ribadisce, tu sei un cliente, non posso divertirmi a fare i giochini delle bugie, non posso che mi piace mentre mi scopi in culo, non posso dimenticarmi il preservativo e non posso tutto il resto.
Quale resto? Domando incredulo.
Falla finita, stronzo! Abbaia alzandosi irritata.
Scappa in soggiorno lasciandomi con il preservativo tra le dita e il cazzo ancora in tiro.
Sento che si riveste sbattendo ogni tanto qualcosa per terra e strisciando nervosamente i tacchi sul pavimento.
‘Fanculo.
Butto il preservativo nel cestino del bagno e la raggiungo.
Si è già vestita.
Così non sembra neppure una puttana. Jeans sdrucito e camicetta di lino.
Solo le scarpe alte e la borsetta bianca risultano sospette.
Dobbiamo spiegarci, le dico serio.
Fatti una sega, risponde tra i denti.
Sbaglio o ha gli occhi bagnati?
Ma, balbetto, non puoi lasciarmi così.
Chiamo un taxi, annuncia prendendo il telefono, se vuoi indietro i soldi, te li do.
Mannò, mormoro, solo che non capisco.
Linda lancia innervosita il cellulare sul divano e batte un piede a terra.
Poi mi viene ad abbracciare stretto.
Mi allunga le labbra e ci diamo un breve bacio.
Non era mai capitato prima. Non ero pronto e non l’ho ricambiata come avrei voluto.
Ma lei insiste. Mi prende per la nuca per farmi abbassare un po’ e mi infila prepotentemente la lingua tra i denti.
Cazzarola, trema quasi quanto me.
La spingo a sedersi sul divano e le accarezzo il seno sotto la maglietta.
Lei se la toglie furiosamente e mi guida una mano a stringerle il seno.
Poi scalcia via le scarpe.
Torniamo di là, mormora.
Si alza e mi precede sfilandosi i jeans.
Si stende sul letto e mi allungo al suo fianco per abbracciarla ancora.
Sono confuso ed eccitatissimo.
Mi accarezza le spalle continuando a baciarmi.
Metti il preservativo, suggerisce con voce roca, non voglio rimanere incinta.
Eseguo maldestramente e me la tiro sotto.
Mentre la penetro, lei fa un piccolo singulto.
Cazzo di cane, non mi sembra vero.
Una figa del genere che si lascia andare così.
Con un vecchio ormai andato come me, poi.
Mi muovo lentamente.
È davvero bagnata, scivola via che è un piacere.
È vero che di figa è un po’ larga, ma questa volta sembra eccitata davvero.
Mi tira ancora per la nuca per farsi baciare.
E si stringe le tette quando comincio a pompare un poco più vigorosamente.
No, non è possibile.
Ma lei si stacca e chiude gli occhi, si lecca le labbra ansimando appena.
Scuote la testa.
Lo voglio in culo, mormora.
Ok, balbetto.
Lo tiro fuori e, senza neppure inumidire lo sfintere, glielo appoggio.
Inarca la schiena quando comincio a spingere.
E appena entro, emette un lungo sospiro.
È bellissimo, sussurra.
Non è possibile.
È duro da matti, ma ormai sono entrato. E i suo culo caldo pulsa e si contrae ogni tanto.
Tira fuori la lingua e mi guarda tesa in un implicito invito.
Mi abbasso a succhiargliela.
E lei gorgoglia.
Cazzo di cane, contro ogni abitudine, sto per venire.
Anche lei se ne accorge.
Qui, mormora strizzandosi i capezzoli.
Esco precipitosamente, mi scappuccio e le inondo i petto.
‘Fanculo, mai successo prima.
Lei grufola e se lo spalma con un piccolo massaggio rotatorio.
Me la lecchi via? Chiede sempre più roca.
Non dico niente e obbedisco.
Il mio affare è ancora pulsante e semirigido. E le palle mi fanno un male cane.
Mentre le lambisco il seno, mi spinge la testa con una mano fino a spostarmi sul suo ventre.
Poi insiste fino a farmi raggiungere il pube.
Io, mormora, non sono venuta.
No, non è vero. Non posso crederci.
Ma costato che la sua cosina è gonfia e bagnatissima.
Le do una lappatina. Poi, la bacio più decisamente.
Lei mi tiene la testa con entrambe le mani e mi guida.
A parte qualche piccolo ansito, non emette rumori.
Ma rotea il bacino e ogni tanto mi stringe più forte la nuca.
Così, cazzo! Urla improvvisamente.
E contrae spasticamente le gambe intorno alla mia testa, stringendomi con le mani sempre più forte.
Inarca la schiena e poi si lascia andare apparentemente esausta.
Emergo dal suo pube con la bocca umida e la barba appiccicosa. E lei mi sorride radiosa.
Ce l’ho ancora duro, cazzo di cane. Erano anni che non mi capitava di riprendermi tanto in fretta.
Cerco freneticamente un preservativo e me lo infilo.
Le apro meglio le gambe e le entro senza sforzo.
Cazzo, sussurra, ma ce l’hai ancora duro.
E, rispondo sgargiulo, sono venuto senza smanettarmi. Sei tu che mi fai questo effetto?
Io, dichiara enigmatica, sono bravissima.
È vero, ammetto.
Ma non sono poi tanto in forma. Preferisco godermela piano.
Rimango dentro ascoltando le sue pulsazioni.
La guardo e lei ogni tanto mi sorride.
Scendo a baciarla e lei mi ricambia stancamente.
Forse non mi sente tanto.
E poi, è tardissimo.
Le do ancora un paio di colpi e poi esco.
Magari, mi finisco dopo.
Cazzo, osserva, sono già le tre.
Sì, ammetto asciugandomi il sudore dalla fronte.
Mi sono seduto contro la testiera del letto e lei è ancora a gambe spalancate. La sua passerina sembra ancora in tiro.
È meglio se vado, mormora.
Si alza scompostamente e si controlla una smagliatura sotto una tetta.
Poi va in bagno senza dire niente.
Cazzo di cane. Questa proprio non me l’aspettavo.
La Linda, porca puttana, la più gelida di tutte le mie fidelizzate.
Sento che ha aperto la doccia e decido di seguirla. Ho ancora bisogno di coccole.
Apro le antine e lei mi sorride stanca.
L’abbraccio sotto lo scroscio bollente e ci diamo un altro bacino.
Poi ci laviamo a vicenda.
È tardi, mormora, meglio se ci muoviamo.
Certo, convengo, ma è stato molto bello.
Oh, fa lei, ce l’ho messa tutta.
Non credevo, opino, che potesse andare così.
Mannò, fa lei, è che potevi dirmelo prima.
Dirti cosa? Sorrido incongruente.
Di fingere! Esclama.
Fingere? Scuoto la testa incredulo.
Ma certo, borbotta, non mi hai detto tu di fingere?
Oh, cazzo, ridacchio deluso, certo. Te lo avevo chiesto.
Beh, aggiunge, se ti piace, non c’è problema. Io ti faccio tutto il teatro che vuoi.
Ok, annuisco, ok.
Chiude il getto e si allunga a prendere il mio accappatoio.
Ah, fa querula, giovedì non posso, va bene domenica?
Certo, confermo.
Giovedì, commenta, ho uno che vuole che gli cammino sopra con i tacchi a spillo. Mi prende per tutta la notte. Due maroni, così. C’è della gente mica tanto normale in giro.
Infatti, acconsento.
Ok, sorride finendo di asciugarsi, mi accompagni tu o prendo un taxi?
Sono stanco, mormoro sinceramente.
Allora lo chiamo, fa avviandosi, così arriva mentre mi rivesto.
Mi siedo, ancora umido e deluso sul divano. Lei confabula al telefono.
Poi si infila i jeans e la maglietta. Le mutande le mette nella borsa.
Mi ha detto in tre minuti, precisa, meglio se mi muovo.
Poi calza le scarpe.
Che cazzo hai da guardare? Sorride vedendo la mia aria mogia.
Niente, mento, mi chiedo sempre perché dopo aver scopato non vi mettete le mutande.
Oh, fa lei, ma io me le metto praticamente sempre.
Il taxi, mormoro sentendo una macchina che accosta davanti a casa.
Si alza disinvolta e apre la porta.
Preme il pulsante dell’ascensore e si dondola per la stanchezza aspettandolo.
Ancora nudo e semieretto, deluso all’inverosimile, mi metto dietro l’uscio appena accostato e la guardo commosso.
Mi aveva davvero convinto.
Arriva l’ascensore e lei ci mette un piede dentro.
Le mutande, aggiunge seria entrando nella cabina illuminata, mi danno fastidio solo quando vengo.
E mi lascia solo a guardare il pianerottolo ormai vuoto, mentre le porte scorrevoli dell’ascensore si chiudono cigolando.

tutto quanto precede questa riga è falso
 
Anche se prima dichiari che la storie sono vere poi alla fine smentisci voglio solo complimentarmi per il bellissimo racconto, devo dire che mi sono :cray: ed :woottrizomeno: allo stesso momento.
 
Tutto quanto segue questa riga è vero


L'abbraccio ambiguo di Morfeo

No, sorrise schivando le mie labbra, ho della sborra in bocca.
Mi stampò un breve bacio su una guancia e si allacciò la cintura.
C'era ancora un poco di traffico sul viale con le luci arancione. E poco più avanti lavoravano un paio di ragazze.
Mentre le superavamo, lei sorrise e fece loro un cenno che forse voleva essere derisorio.
Giulia doveva essere con un cliente, perché non era in vista,
Questa cosa che la Dori si faceva sborrare in bocca non mi era mai piaciuta. Ma le volevo bene.
Del resto, non fai quasi duecento chilometri per andare a trovare una pupa, se non le vuoi un po' bene.
Anche se con lei era tutto sempre molto standard. Bocca senza, figa coperto e qualche chiacchiera prima e dopo.
Baci, quelli sì. Baci profondi e apparentemente partecipati.
Le indicai la lattina di Coca sul cruscotto
Grazie, sussurrò facendomi segno di accostare, avevo finito l'acqua e non sapevo come fare.
Si sciacquò a lungo mentre mi fermavo.
Poi, aprì la portiera e sputò scatarrando leggermente sul ciglio della strada.
Ho la colla in gola, mormorò facendo un secondo sorso e risputandolo velocemente.
La casa del mio amico era giusto dopo il ponte. Mi aveva spiegato bene come arrivarci, perché l'indirizzo non era ancora sul navigatore.
Presi a sinistra alla rotondina e rallentai.
Si lavora un cazzo, sorrise poco convinta.
Me l'aveva detto anche il giorno prima al telefono. Giulia e lei erano venute a Ravenna perché pensavano di lavorare di più.
All'inizio c'era stato un po' di calca, si era sparsa la voce che facevano bocca senza fino in fondo. E la novità aveva attirato i locali.
Ma, passati i primi giorni, si erano calmati.
Tre, quattro clienti per sera, lavorando dalle dieci alle due, era meno di quanto facevano a Bologna.
Stavano pensando di tornare, anche perché in albergo pagavano cinquanta euro e loro ne facevano massimo centocinquanta al giorno.
A parte qualche turista, praticamente di figa quasi non lavoravano.
La casa del mio amico era una piccola porzione di villetta a schiera. L'aveva comprata anni prima, quando era ancora sposato, ma non l'aveva praticamente mai usata.
Ogni volta che ne parlavamo, me la offriva a prezzi sempre più ridicoli. Ma io non avrei saputo che farmene. In compenso, me la prestava quando volevo.
E quella volta, volevo. Certo che volevo.
Quella notte di luglio era molto caldo e umido e non tirava una bava di vento.
Parcheggiai sul vialetto e scendemmo.
Rimani anche domani? Chiese compita.
No, precisai aprendo la porta del monolocale, domattina devo essere da un cliente alle dieci. Poi torno a Bologna.
Lei annuì un po' delusa entrando. Forse pensava mi fermassi un paio di giorni e l’ accompagnassi a fare qualche giro.
Era da un po’ che mi chiedeva di andare a San Marino a fare shopping.
Poggiai la borsa con la roba da bere sul tavolo e accesi immediatamente il condizionatore.
Faccio una doccia, annunciò la Dori slacciandosi la quasi inutile gonnellina.
Sotto non portava niente. Le mutande non le piacevano e raramente le metteva.
La passerina glabra le spuntava tra le gambe come una crestina impertinente.
Scalciò via i trampoli da venti centimetri che ancora indossava e sospirò.
Per me solo della Coca, decise vedendomi mettere le bibite in frigo.
Avevo portato un paio di bottiglie di birra e delle lattine. E qualche sciocchezza da mangiare,
Hai fame? Chiesi premuroso.
Dopo quattro sborrate in bocca, sibilò sfilandosi anche il top, mi viene da vomitare solo a pensarci.
Allora solo Coca, acconsentii anmirando il suo corpo lungo e flessuoso.
Se non avessi avuto qualche dubbio sulle sue abitudini profilattiche, non l'avrei trovata solo carina e simpatica. Probabilmente sarebbe scattata una passione meno dominabile.
Ma non era così. Certo, non era il classico frigo, ma la nostra amicizia rimaneva assai professionale.
Comunque, la pagavo sempre. Anche quando si fermava a casa mia più tempo solo per parlare e mangiare qualcosa.
Vuotai il ghiaccio in una tazza e mi spogliai, mentre lei cominciava a lavarsi.
Poi preparai un paio di canne. Mi sentivo stanco, sudato e appiccicoso, nonostante l'aria fresca che usciva dal climatizzatore.
Lo spostai dal massimo al medio, per non rischiare di prendere un accidenti.
Dori tornò avvolta in un asciugamani e si stese sul letto.
Le allungai una lattina e accesi una canna.
Vado a farmi una doccia pure io, dichiarai stanco.
Feci due tiri e le passai il joint.
Annuì e sorseggiò la sua bibita.
Adesso puoi anche baciarmi, sorrise.
Certo, mormorai tornando indietro.
L'abbracciai e le allungai le labbra.
Mi piaceva un casino quel suo modo di abbandonarsi tra le mie braccia. Quasi fosse un atto assoluto, un momento unico.
Mi staccai e le feci uno scherzoso cenno di minaccia.
Arrivo subito, promisi.
Fa ancora caldo, commentò tirando dalla canna.
Mentre entravo in bagno la vidi togliersi l'asciugamani e stendersi comodamente prona.
Cazzarola, mi stava già venendo duro.
Ma lo scroscio tiepido della doccia mi mise una specie di spossatezza. Dovevo dormire qualche ora. Ormai erano quasi le tre e alle nove dovevo essere in piedi. Non potevo tardare a quell'appuntamento di lavoro.
Per cui, dovevamo combinare subito. Oppure dormire qualche ora e fare domattina.
L'aspettativa mi fece di nuovo eccitare. Meglio la prima ipotesi, ero in tiro da matti.
Per cui, mi asciugai in fretta e tornai nella stanza.
Dori giaceva prona sul letto, abbracciando uno dei cuscini, profondamente addormentata.
Oh, cazzo! Sospirai.
L'altro cuscino se l'era messo sotto il ventre. Dalle cosce leggermente scostate le spuntava la patatina leggermente schiusa.
'Fanculo.
Era una settimana che aspettavo di vederla. Ci eravamo sentiti tutti i giorni e non vedevo l'ora.
Mi sedetti sul letto a gambe incrociate e mi accesi una sigaretta.
Il mozzicone di canna fumava ancora nel posacenere.
Era bellissima, cazzo di cane, la frangetta scura le copriva gli occhi e respirava tranquilla, con un leggero movimento del torace. Le grosse tette schiacciate sul cuscino che stava abbracciando.
Mi accarezzai delicatamente osservandola.
Poi mi alzai e la guardai da dietro.
Il buco del culo era totalmente esposto. E la riga della passerina scura mi fece venire un guizzo alla schiena.
Porca puttana.
Devo svegliarla, pensai, devo scoparmela immediatamente. Se non entro in questa donna nei prossimi cinque minuti, sarà molto male per il mio patrimonio genetico.
Mi stesi al suo fianco e le feci una carezza sul collo.
Lei sospirò apparentemente infastidita e girò la testa dall'altra parte.
No, inveii intimamente, non dormire, svegliati, facciamo l'amore.
Ma lei continuava a respirare regolare, con un piccolo gorgoglio di gola.
'Fanculo.
Mi stesi supino.
Meglio se mi metto calmo, pensai. Tra qualche ora ci svegliamo e scopiamo.
Mi tirai un lembo di lenzuolo sul ventre e provai ad addormentarmi.
Cazzo di cane! Era bellissima.
E il mio affare non ne voleva sapere di mettersi buono.
Mi alzai ancora e andai a sedermi su una delle poltroncine di fianco al letto.
La Dori sospirò ancora e strinse meglio il cuscino allargando appena le cosce,
Ma vaffanculo, sbottai.
Salii in ginocchio sul letto, proprio dietro il suo sedere, e le poggiai la cappella quasi dolorante sulla passerina.
Forse, pensai confuso, meglio se mi metto un profilattico.
Ma la sua patatina era leggermente umida e un po' dischiusa.
Chissà se l'aveva usata, quella sera.
Spinsi un poco e, con un piccolo sforzo, entrò tutta.
Ma che cazzo sto facendo? Mi chiesi.
Ma ti sembra una cosa normale?
Mi tirai via sempre più disorientato.
Il mio cazzo era lucido per i suoi umori.
Non è etico, valutai.
E poi, senza è da idioti. Non l'avevamo mai fatto e in quello lei era molto scrupolosa.
Meglio se mi tiro via subito, mi ammonii.
E tornai a spingerglielo dentro.
Questa volta entrò quasi tutto.
Oh, cazzo! Sospirai.
Dori continuava a dormire apparentemente serena.
Così lo infilai tutto con un piccolo ansito,
Anche lei ebbe una specie di contrazione involontaria. E aprì meglio le gambe.
Ma che cazzo sto facendo? Mi chiesi ancora.
E uscii precipitosamente.
Rimasi ad ansimare qualche minuto, ancora toccandomi il cazzo fastidiosamente pulsante.
Dalla sua passerina scendeva una piccola riga umida.
'Fanculo.
Contro ogni abitudine, le infilai la testa tra le natiche e spinsi la lingua a frugare tra le piccole labbra.
Dori emise un piccolo lamento e spostò ancora la testa per accomodarla meglio sul cuscino.
Cercai il clitoride e le aprii meglio le chiappe.
Il suo buchino era bello tondo e aperto.
Ci misi sopra il naso. Puzzava un po', via, ma da un culo cosa ti puoi aspettare?
Neppure tanto, comunque.
Le toccai il grilletto con un dito e salii a leccarla intorno all'ano.
Magari, per una volta. Che sarà mai?
Poggiai la lingua sul suo sfintere per un attimo, tanto per provare.
Poi mi tirai via.
Sto facendo una cazzata senza senso, mi dissi tremante.
Mi sentivo da schifo.
La ragazza emise un lungo sospiro e si girò leggermente su un fianco.
Cazzo di cane! Giusto a portata.
Sempre più confuso, le infilai l'affare ancora dentro, trattenendo l'impulso di pompare a fondo.
La sua passerina pulsava appena intorno al mio cazzo esasperatamente teso.
Sentivo con la cappella tutte le grinze della sua vagina.
Spinsi fino a toccare il fondo. Aveva l'utero basso.
Una volta, per scherzo avevamo passato quasi un'ora a cercare il suo punto G. Ce l'aveva, eccome!
E adesso mi sembrava proprio di sfregarglielo con la cappella.
La Dori emise un piccolo lamento.
Non svegliarti, la pregai.
Ma la pupa annasò brevemente e continuò a dormire abbracciata al suo cuscino.
Di solito, lei si bagnava con la saliva, prima di farmi entrare. E ogni tanto si toccava con due dita per facilitarmi le cose. Ma adesso era perfettamente lubrificata.
Le allargai le natiche per vedere meglio e spinsi ancora lentamente.
Che cazzo sto facendo? Mi chiesi di nuovo.
Sto scopando senza con una che fa pompini fino a farsi sborrare in bocca da chiunque.
La cosa, invece di inibirmi mi eccitò ulteriormente.
Stavo quasi per venire, cazzo di cane. Di solito, con lei, come con quasi tutte, devo finirmi a mano.
Uscii precipitosamente.
Il mio affare era livido e incontenibile.
'Sta stronza, osservai, non mi dà mai il culo. Dice che ce l'ho troppo grosso.
Ma è rotto, si vede benissimo. E anche lei ha ammesso di averlo fatto qualche volta con il suo moroso e con qualche cliente.
Mi alzai con le gambe tremanti e andai in bagno a prendere la crema dalla mia borsa.
Poi tornai a inginocchiarmi tra le sue gambe aperte, proprio dietro il suo sedere.
'Fanculo, non ce la facevo più.
Infilai ancora la testa tra le sue natiche. E questa volta la leccai dietro, sempre più ingrifato.
Forse le stavo facendo il solletico, perché la pupa inarcò un poco la schiena e spostò la testa con un piccolo ansito.
Non svegliarti, ordinai a bassa voce.
Mi inumidii due dita di crema e gliele passai sul buchino.
Dalla figa le usciva una bella riga di umori.
Con lei non era mai capitato.
Lo faccio? Mi chiesi.
Sicuramente si sveglia, pensai.
Magari, osservai, facendo piano.
Le infilai un dito nel culo con la massima cautela.
Lo sfintere cedette senza resistenza.
E la ragazza emise un piccolo ansito.
'Fanculo.
Mi accomodai meglio tra le sue gambe leggermente divaricate, lo appoggiai e spinsi un poco.
La cappella entrò subito ma con una certa fatica.
E mi accorsi che con un riflesso automatico, la Dori stava stringendo forte con le mani il cuscino.
Forse le sto facendo male, pensai.
L'idea della cazzata che stavo facendo mi stava ammosciando.
Inoltre, era piuttosto stretto là dentro.
Mi fermai, accaldato e con un forte dolore alla schiena.
Che cazzo faccio?
Anche il suo culo pulsava, stringendomi l'affare sempre più strettamente.
Mi tiro via, decisi.
Ma prima, ansimai, lo spingo un po' più dentro.
Affondai un poco.
Dal suo culo uscì un piccolo peto.
Oh, mi lamentai, 'fanculo.
Lo spinsi fino in fondo, mentre la ragazza inarcava ancor più la schiena e stringeva sempre più forte il cuscino con le dita tese,
Sto facendo una cosa orribile, mi dissi di nuovo.
Avrebbe dovuto essere una scelta. E invece sto approfittando della sua stanchezza e del fatto che si è addormentata profondamente. Praticamente, la sto violentando, anche se lei non lo sa.
Sono un maledetto pervertito di merda.
E mentre lo pensavo, cominciai a venire.
Avrei voluto tirarmi via, ma si stava tanto bene là dentro.
Mi scaricai a lunghe ondate, gemendo per la tensione che si stava liberando.
Anche lei emise un paio di sospiri contenuti. Forse, inconsapevolmente, sentiva che la stavo scopando.
Rimasi ancora dentro per qualche minuto.
Ma il mio affare si stava ammosciando e il suo culo stringeva parecchio.
Così uscii e mi accasciai sul pavimento, di fianco al letto.
Un piccolo fiotto di sborra uscì immediatamente dal suo culo, andando a mescolarsi con gli umori della sua passerina.
Un po' di roba colò sul lenzuolo, spandendosi appena.
Il mio affare tornò immediatamente duro.
Lucido di crema e con qualche macchia di escrementi. Ma di nuovo miracolosamente in tiro.
Di solito, prima che mi si alzi di nuovo, sempre che succeda, devo almeno pisciare.
Mi sentivo una vera merda.
Che cazzo le dico quando si sveglia e si accorge di quello che ho combinato?
Mi pulii il cazzo con un angolo di lenzuolo.
Che angoscia!
Andai in bagno barcollando e presi un po' di carta igienica.
Gliela passai tra le natiche per tirarle via almeno il grosso.
E mentre le sfregavo delicatamente la patata, la ragazza fece un lungo sospiro e si tirò su.
Buttai precipitosamente la carta sotto il letto.
Credevi davvero di scoparmi in culo senza che me ne accorgessi? Sorrise girandosi supina.
Dalla passera spalancata le uscivano ancora piccoli rivoli di umori.
Oh, cazzo! Esclamai.
Si sedette sul bordo del letto e mi fece cenno di avvicinarmi.
Mi prese per l'affare ancora maledettamente in tiro e lo imboccò fino alle palle.
Quando ti vengono ancora di queste idee, sorrise riemergendo e fissandomi da sotto in su con aria birichina, rifallo.
Ok, accettai sempre più disorientato.
Ma, aggiunse prima di imboccarlo di nuovo, lasciami dormire.
Se lo infilò profondamente in gola toccandosi con forza la passera.
Cioè, chiesi spiegazione, devo fare più piano.
Fece segno di no, mentre, travolto dall'eccitazione, tornavo inopinatamente a venire.
Sputò tutto sulle sue tette e alzò gli occhi per fissarmi seria.
Forte, precisò accelerando il suo ditalino, devi scoparmi forte.
Ma così ti svegli, obiettai ormai spossato.
Vedrai, rantolò rivoltando gli occhi, che non mi sveglio.


Tutto quanto precede questa riga è falso
 
tutto quanto segue questa riga è vero

La donna che è in ogni puttana

Qualcuno conosce quella manza? Chiese Jaco indicando con il mento l'entrata del ristorante.
Ci avevano appena portato le lasagne.
Beppe si pulì le labbra unte con il tovagliolo e si sistemò meglio gli occhiali per inquadrare il soggetto.
Jaco non avrebbe mai scomodato la sua attenzione per qualcosa di meno che strabiliante.
Mi girai per vederla anch'io.
Oh, cazzo! Esclamai tra me e me scorgendo Lilly.
Era in piedi, composta ed elegante, giusto dietro un tipo sui trenta, genere fighetto con BMW, che stava parlamentando con l'assistente di sala per farsi dare un tavolo.
Il ceffo lasciava scorgere dalla camicia sbottonata un petto palestrato e villoso, ornato da una grossa catena d'oro.
Doveva essere uno abbastanza introdotto, perché persino il Beppe, che lo conoscono tutti, aveva dovuto tribolare per convincere il padrone a prenderci senza prenotazione.
Il capo cameriere teneva un atteggiamento piuttosto ossequioso con il fighetto, ma continuava a scuotere la testa.
La pupa era in gran tiro. Vestitino nero essenziale, borsetta discreta e un giro di perle al collo.
Per l'occasione, si era fatta acconciare i capelli in un elaborato chignon. Solo un filo di trucco e scarpe basse.
Del resto, sfiora il metro e ottanta. E il suo accompagnatore no. E non sta bene far sfigurare il ganzo.
Io, 'sti posti li odio.
Si mangia bene, devo ammetterlo, ma mi mettono in imbarazzo. È vero che paga sempre il Beppe, ma cento e passa euro a cranio per mangiare quello che mia suocera mi cucina gratis, mi sembra una follia.
Inoltre, l'antropologia è mefitica. Commercialisti di grido, primari, giornalisti di quotidiani locali e qualche assessore ex socialista.
Il Beppe si versò un altro bicchiere di Morellino e si concentrò.
Ex OTR, classificò propriamente, non ricordo la location. Adesso forse lofta, ma non è nel mio puttarchivio.
Uhm, commentò Jaco pensoso, un'OTR che non ho obliterato?
Sei mica onnicopulante, sorrise l'altro.
Il fighetto doveva aver convinto l'assistente di sala, perché notai con la coda dell'occhio che si stavano spostando dalla nostra parte.
C'era giusto un tavolo libero vicino a una finestra, poco lontano da noi, proprio di fronte a me.
Mi passarono di fianco per accomodarsi. La ragazza mi vide, ma mi ignorò con aria contegnosa.
In ghingheri era anche meglio che agghindata per il lavoro. Una gnocca imperiale.
Si sedette compostamente e sorrise al suo accompagnatore, prima di accavallare le lunghe gambe.
Arrivò immediatamente un cameriere e lui ordinò per entrambi. Poi allungò una mano sul tavolo, per prendere tra le dita quella di Lilly.
Aveva uno sguardo piuttosto adorante e lei lo ricambiava con discrezione.
Dio, era bellissima.
Comunque, notevole è notevole, stabilì Jaco allungando appena lo sguardo, se troviamo riferimenti, io mi dichiaro acquirente.
Decisi di non dire niente.
Non saprei, scosse la testa in Beppe, magari cerchiamo in internet.
Non l'avrebbero trovata. Da molti mesi Lilly non pubblica annunci e non scende in strada.
È un po' che non ci vediamo. L'ultima volta mi aveva detto che un suo ex cliente l'aveva assunta come traduttrice nella sua azienda di import-export, dalle parti di Casalecchio. E che accettava qualche volta, di sera, solo gli affezionati, rigorosamente a casa loro e con le solite tariffe da miseria. Nel mio caso, il classico ottantello per un'ora di sesso sfrenato e senza limiti, anche se con ragionevole sicurezza profilattica. Ma eravamo amici da almeno un anno e forse mi riservata un trattamento speciale.
Con il suo fisico e con le sue prestazioni, avrebbe potuto chiedere rate da top escort.
Ucraina, parlante correntemente cinque lingue, tra cui tedesco e russo, e un diploma da ragioniera nel suo paese. Figa da morire.
E per un anno, per campare, aveva dovuto scendere in strada, invece di fare la contabile, come aveva sperato venendo in Italia. Scopare per vivere, cosa che le faceva letteralmente schifo.
Ma, avendo deciso di farlo, desiderava farlo bene. E, conoscendola, quando si metteva in testa di fare bene qualcosa, lo faceva.
Continuavo a fissarla, incantato dai ricordi.
Mentre assaporava il vino bianco che avevano loro servito, lei spostò furtivamente gli occhi verso di me. E mi fece un impercettibile sorriso.
Qualcosa non va nelle lasagne? Chiese Jaco sorpreso che non le divorassi come mio solito.
Nonnò, sorrisi, è che sono tanto buone che voglio farle durare.
In ogni caso, sospirò il Beppe riprendendo la discussione che l'arrivo della ragazza aveva interrotto, io non ritengo che sia sesso.
È un punto di vista molto originale, ammise Jaco, ma se non è sesso, allora cos'è?
Solitudine collettiva, intervenni pacatamente, andare a puttane è solitudine collettiva.
Oh, che palle, ridacchiò Jaco, con 'sta storia della solitudine collettiva. Tutto, ormai, secondo te è solitudine collettiva.
Siamo troppo concentrati sulla natura delle cose, spiegai, e non sulle loro qualità.
Ha ragione, annuì Beppe, che importa il cosa, quando quel che conta è il come?
Siete pornosofi dilettanti, decretò Jaco con solennità, non avete ancora capito che il sesso è la più sublime delle espressioni intellettuali. Quello che intriga nel farlo a pagamento è che si salta tutta l'infrastruttura culturale del corteggiamento, il ritualismo della riproduzione. Il sesso pay è essenziale, minimalista, fine a se stesso. È arte, a suo modo.
Questo è vero, ammisi, ma questa essenzialità è nelle tue percezioni, dipende dal tuo ambito mentale. Puoi raggiungerla anche prendendo un autobus e osservando la gente per strada.
Certo, sorrise il Beppe, solo che è meno divertente.
No, lo contraddissi, il sesso è solo una modalità. Del resto, il sesso pay è particolarmente egotistico, visto che, di norma, non è condiviso.
Sì, confermò Jaco, anche questo è vero.
Finii di masticare l'ultimo pezzo di lasagna e mi alzai.
Scusatemi, mormorai, devo andare in bagno.
Proprio adesso che stava diventando interessante, mi rimproverò il Beppe ironicamente.
Potrebbe essere una cosa lunga, li avvertii.
Tanto, mi rassicurò Jaco, per il bollito ci vuole ancora un quarto d'ora.
Diedi una rapida occhiata alla ragazza. Ma lei sembrava impegnatissima a rispondere qualcosa di spiritoso al suo innamorato adorante.
Viene, decisi dirigendomi verso la toilette, viene sicuro.
Sapevo che c'era un antibagno, da cui si accedeva alla zona donne e quella uomini. Dame e Cavalieri, come riportavano le due leziose targhette di ceramica sulle porte.
Andai a pisciare e poi mi lavai le mani nell'antibagno. Mi accesi una sigaretta per ingannare l'attesa. Tanto, c'era l'aspiratore.
Soppesai il cellulare, incerto se chiamarla.
No, probabilmente l'aveva spento. E, comunque, l'avrei disturbata.
Un messaggio, magari, anche solo per salutarla.
Questo era più accettabile, con la scusa che l'avevo vista ma non potevo avvicinarla.
Lilly entrò mentre cominciavo a digitare.
Mi sorrise radiosa e venne ad allungarmi le labbra.
Questa non cala mai? Chiese scherzosa accarezzandomi la pancia.
L'abbracciai stretta, nonostante facesse abbastanza caldo in quell'ambiente senza finestre.
Anche sotto non cala mai, ridacchiò constatando che il mio affare reagiva prontamente.
Scommetto che ha una BMW, sorrisi staccandomi dal suo bacio affettuoso.
Una X6, annuì.
Un cliente? Opinai.
Sì, spiegò con una piccola smorfia, ma non di quel genere. È uno che fa affari con la ditta per cui lavoro. È innamorato di me.
Ci poggiammo entrambi al lavandino a braccia conserte.
Accidenti, fischiai, una roba seria?
Uff, sbuffò, è tamarro.
Se ha i soldi, la consigliai cinicamente, curatelo.
Mi fa schifo, borbottò, ma l'hai visto? Catene d'oro, Rolex, tutto firmato. Non è un uomo, è uno spot pubblicitario. Secondo me, quando si specchia la mattina, sorride per i fotografi.
Ridacchiammo entrambi per la battuta.
Abbiamo scopato una volta in hotel, riprese, e quando si è spogliato, sembrava Narciso, persino le mutande erano griffate. E usa un anello per tenerselo su, visto che si fa di coca in continuazione.
Sorrisi ancora divertito.
Ne ho le palle piene di 'sta gente, aggiunse, sembra che i cretini li attiri tutti io.
Il tuo italiano è molto migliorato, commentai sinceramente.
Grazie, annuì, sto studiando i congiuntivi. Non è facile la vostra lingua.
Mi girai e la baciai di nuovo.
Chi sono i tuoi amici? Chiese querula, quello con la barba sembra interessante, molto intellettuale. Non carino come te, ma interessante.
Puttanieri, spiegai, bravi ragazzi.
Hanno la tua età, rise, non puoi chiamarli ragazzi.
Lo sono, precisai, fidati.
Che fate, dopo? Si informò.
Beh, risposi evidente, andiamo a cercare delle ragazze per strada e le portiamo a casa di quello con i baffi. E ce le sbattiamo tutta notte.
Uhm, fece lei, ce la fate senza Viagra?
Oh, sorrisi, quello non manca. Voi invece?
Mah, alzò le spalle, andremo al cinema e poi in qualche albergo. Lui deve tornare a Milano, dopo.
Lilly sembrava un po' pensierosa.
Perché non mi hai più cercata? Chiese pacatamente.
Non so, scossi la testa.
Hai qualcuno? Insistette.
Vedo Alina ogni tanto, spiegai, e ho avuto una brutta storia con Roxana. Adesso sono un po' in pausa.
Sai che sono sempre stata gelosa di Alina, ridacchiò.
No, confessai, non lo sapevo.
Credevo ti fossi innamorato di lei, precisò.
No, ribadii, l'unica per cui mi sono perso è Roxana.
Quella troia, sibilò, anche lei stravedeva per te.
È stata una brutta storia, mormorai, non voglio parlarne.
La ragazza alzò le spalle incerta.
Non abbiamo molto tempo, osservò.
Sì, confermai non capendo.
Ho nostalgia della strada, sorrise aprendo la porta del cesso delle donne.
Mi prese per una mano e mi tirò dentro.
Chiuse a chiave e si tolse l'abitino con un rapido gesto elegante.
Sotto non portava niente.
Oh, cazzo! Mormorai sorpreso.
Ero proprio impreparato.
Si inginocchiò e mi slacciò la cintura.
Siediti sul water, mi consigliò abbassandomi i pantaloni fino alle caviglie.
Indietreggiai impacciato e mi accomodai sul sedile.
Lei mi seguì trascinandosi sulle ginocchia.
Tranquillo, ridacchiò, te la do gratis. 'Stasera non lavoro.
Lo imboccò concentrata e gli diede un paio di lappatine.
Poi scese a succhiarmi lo scroto fissandomi seria.
Risalì a baciarmi le labbra strusciandosi le tette sul mio petto.
Cliente speciale, mormorò, tu sei sempre stato un cliente speciale. Un cliente amico.
Grazie, la ringraziai sinceramente.
Con te, aggiunse manipolandomi abilmente l'affare con due dita, si può parlare di tutto. Tu mi capisci.
È vero, ammisi.
Mi succhi le tette? Chiese tirandosi su.
Certo, accettai prendendole un capezzolo tra le labbra.
Non sapevo le piacesse, di solito preferiva che le accarezzassi le spalle.
Allungai una mano tra le sue gambe e le infilai un dito tra la piccole labbra.
Non abbiamo tempo, ansimò.
Scese ancora a imboccarmelo e se lo ficcò profondamente in gola.
Oh, cazzo, singultai.
Emerse tossendo.
Mi spiace, mormorò, non abbiamo tempo.
'Fanculo il tempo! Balbettai alzandomi e scalciando via i pantaloni arrotolati, mettiti a pecora che ti sfondo.
Non ho preservativi, dichiarò disorientata toccandosi con entrambe le mani tra le cosce.
Io neppure, constatai affranto.
Cazzo! Protestò irritata.
Facciamo domani, proposi.
'Fanculo domani, si inalberò, facciamo bocca.
Ok, accettai.
Tornai a sedermi e lei me lo imboccò di nuovo.
Mi allungai a toccarla, ma smisi subito. Stava provvedendo lei.
Dovevo concentrarmi, cazzo. Sono sempre lentissimo ma adesso non c'era tempo.
E se sono pressato, divento ancora più lento.
Ma lei era bravissima, quando la presi per la testa si lasciò guidare.
E con uno spasmo improvviso, dopo qualche secondo cominciai a liberarmi nella sua bocca.
Lei ingoiò tutto gorgogliando e poi si tirò su.
Grazie, sorrise con le labbra umide di sperma.
Mi piegai a baciarla e lei mi infilò la lingua tra le labbra abbracciandomi.
Poi si alzò, si sciacquò la bocca al lavandino e si infilò il vestitino nero con la stessa abile mossa di prima, ma al contrario.
Esco prima io, decise.
Ok, accettai.
Ti piaccio ancora? Mormorò pacata.
Da morire, annuii.
Volevo esserne sicura, sorrise.
E senza salutare, aprì la porta e si dileguò.
Ancora ansimante, mi rimisi e pantaloni e mi spostai nel bagno degli uomini per ricompormi.
Ero accaldato e spossato. Cazzo di cane, avevamo già fatto CIM, ma non aveva mai ingoiato.
E perché mi aveva ringraziato?
'Fanculo, io non le capirò mai. Sembrava quasi che le stessi facendo un piacere.
E aveva detto che aveva nostalgia della strada. Proprio lei che lo faceva tanto malvolentieri.
Non si era mai lamentata, certo, e lavorava sempre al meglio, sempre convinta. Ma quando ne parlavamo scuoteva sempre la testa con aria mogia, ripetendo: non vedo l'ora si smettere.
'Fanculo, fumai un'altra sigaretta nell'attesa di calmarmi un po'. Poi mi sciacquai la faccia e tornai in sala.
Domani sera proviamo, stava dicendo Jaco mentre tornavo a sedermi.
I bolliti dovevano averli appena portati, perché nessuno dei due si era ancora servito dal vassoio colmo. L'odore di tutta quella carne mi dava la nausea.
Cosa proviamo? Chiesi neppure troppo curioso.
Doveva essere una novità grossa, perché questi due le avevano ormai provate tutte.
Una sciocchezza, spiegò Jaco, al nostro amico Beppe è venuta l'idea di fare un gioco.
Spara, lo incitai.
Domani sera, precisò il Beppe, ne prendiamo una sola. La portiamo a casa mia e le facciamo scegliere uno di noi. La paghiamo per tre ma lei deve sceglierne uno.
Gli altri non partecipano e non guardano, si intromise Jaco.
E dove sta il divertimento? Chiesi alzando le spalle.
Nell'osservare il suo imbarazzo e le modalità con le quali sceglierà.
Uhm, riflettei, secondo me sceglie me.
Entrambi risero discretamente.
Se sceglie te, aggiunse Jaco, tocca a te pagare la successiva.
Interessante, sorrisi.
E andiamo avanti fino a quando non abbiamo scopato tutti e tre, concluse il Beppe.
Vogliamo stuzzicare, aggiunse Jaco enfatico, la donna che c'è in ogni puttana. La cifra della sua femminilità.
Non è detto che scelga il migliore sul piano riproduttivo, precisò l'altro, ragioniamo sul contesto, osserviamo la rete di condizioni. A mio parere sceglierà in base all'intuizione.
Il meno pericoloso, probabilmente, sospirai.
Non solo, disse Jaco assumendo la sua aria più dottorale, io scommetto che nella scelta uscirà anche l'aspetto di generosità femminile, quello che naturalmente, geneticamente, vuole offrire e ricevere piacere.
Uhm, obiettai dubbioso, il contesto sarà sicuramente determinante, ma stiamo comunque parlando di puttane. È un rapporto commerciale.
La sceglieremo un po' inesperta, annuì Beppe, hai ragione. Ma dobbiamo operare un'azione destrutturante, alla Cooper o alla Laing.
Siamo vecchi, sorrisi, uno vale l'altro.
No, mi contraddisse Jaco, le femmine la vedono in modo diverso. Hanno l'utero.
Perché domani sera? Chiesi cominciando a trovarlo interessante.

La ragazzina non l'avevo mai vista. Del resto, era sulla piazza da solo una settimana.
Jaco l'aveva presa una volta ed era sicuro che avrebbe scelto lui. Ma, come avevo pronosticato, aveva indicato timidamente me.
Ed era evidente la ragione.
Entrambi i miei amici avevano commentato divertiti la pessima, a dir loro, scelta, ma erano un poco irritati. Li sentivo che ridevano sguaiatamente di là, probabilmente eccitati dalla prospettiva di tirarsi una pista di coca.
Ancora vestita, la bimbetta si sedette sul letto e mi guardò un po' timorosa. Non doveva avere ancora vent'anni.
Le sorrisi per cercare di tranquillizzarla.
Le avevamo proposto duecentocinquanta per un'ora, tutto incluso. Come avrebbe potuto non accettare?
Si piegò a slacciarsi i cinturini dei sandali. Poi se li tolse e li spostò ordinatamente vicino al comodino.
Era impacciatissima. E doveva avere una paura folle.
Aveva detto di chiamarsi Alessia, un nome molto di moda tra le stradali bolognesi.
Il pompino nel cesso del ristorante mi aveva mosso l'ormone. Ma la situazione era smosciante.
Stavo scopando per scommessa, quasi per conto terzi.
Fare tutto, deglutì togliendosi la maglietta, tutto?
Scoprì un seno piccolo, quasi infantile, e spalle fin troppo magre.
La guardai divertito.
Io, mormorò, culo non fatto.
Era proprio carina, morettina, capelli a caschetto, occhi scuri. E un'espressione titubante e incerta.
Tranquilla, mormorai, non facciamo niente che non ti vada di fare.
La pupetta fece un piccolo sospiro sollevato.
Mi aveva scelto perché, era evidente, dei tre ero quello che sembrava meno perverso.
Ma vuoi senza? Chiese ancora turbata.
No, sorrisi, vuol dire che facciamo le solite cose. Stai tranquilla.
Ok, annuì sfilandosi anche la gonnellina insieme ai trascurabili slip, tu vestito?
Mi spogliai rapidamente e mi stesi ad abbracciarla.
Baci i clienti? Le sussurrai in un orecchio.
Normale no, rispose sempre imbarazzata.
Era tesissima.
Quindi, osservai, puoi fare un'eccezione.
Annuì rassegnata e mi allungò le labbra.
Del resto, per duecentocinquanta cucuzze poteva fare un piccolo sforzo.
Le accarezzai il piccolo seno e le spalle.
La ragazzina tremava appena. Forse aveva ancora un poco paura.
E i miei amici continuavano a ridere sguaiati.
Ma quanto ci mette? Tuonava Jaco.
Dagli tempo! Rideva Beppe, sai che lui le corteggia.
Ah, che romantico! Ribatteva l'altro.
E giù a sghignazzare come idioti.
Posso toccare? Chiesi ancora.
Annuì di nuovo aprendo un poco le gambe.
Le infilai un dito nella passerina, cercandole il grilletto.
La bimba fece un risolino.
Solletico, mormorò con aria colpevole.
Senza parere, aveva allungato una mano a prendermi l'affare. E adesso lo stava soppesando dubbiosa.
Mi alzai e, nudo com'ero, uscii in corridoio.
Andate a sbraitare da un'altra parte, cazzo di cane, abbaiai alla volta dei miei amici, con tutto il casino che fate, non riesco a concentrarmi.
Risero di nuovo sguaiatamente.
Andiamo giù, propose Jaco, altrimenti questo fa mattina.
Sissì, rispose l'altro indicando divertito il mio affare eretto, è uno sensibile lui!
Tornai in camera, contento di non sentire più il loro berciare.
La pupa sembrava ancora molto tesa. Mi stava aspettando seduta sul bordo del letto, con occhio sempre molto preoccupato.
La spinsi a stendersi e mi allungai al suo fianco.
Lei mi indicò l'affare con il mento.
Hai scopato culo con quello? Chiese impressionata.
Mentre la portavamo a casa di Beppe, per innervosirla, Jaco aveva scherzato più volte sul fatto che a tutti noi piaceva immensamente la sodomia.
Non conosceva abbastanza la nostra lingua per capire tutto, ma il senso doveva averlo intuito.
Era da mangiare. Aveva preso un'espressione di cauta curiosità mista a timore.
Le accarezzai ancora le tette.
I capezzolini era diventati duri e grinzosi.
Quando sono tanto inesperte, delle volte sono magiche.
Hai scopato questa sera? Mi informai.
Tu primo, dichiarò scuotendo la testolina.
Le infilai di nuovo un dito nella patata e la masturbai un poco.
Per reciprocità, lei mi prese l'affare e lo strinse fin troppo forte.
La baciai di nuovo.
Cazzo, di cane, proprio non mi andava.
Ok, mi staccai, grazie.
La bimba mi guardò sorpresa.
Sembrava persino delusa.
Lì, c'è il bagno, indicai sulla destra.
Annasò e si alzò disorientata.
Poi seguì il mio consiglio.
Magari, decisi, mi faccio lasciare il cellulare e la cerco nei prossimi giorni. Sembra promettente.
Ma adesso non mi andava.
E mi toccava di scucire duecentocinquanta ducati per il prossimo giro.
Che gioco del cazzo.
Presi il posacenere e mi accesi una sigaretta stendendomi meglio sul letto.
Avevo ancora in mente la Lilly.
Cazzo di cane, aveva detto che era gelosa dell'Alina.
Gelosa perché temeva che mi fossi innamorato di lei.
Roxana, Alina e Lilly. Lavoravano sempre insieme. Prima in strada e poi in casa.
Vuoi vedere che c'era stato un gioco a sedurmi, tra di loro?
E io, coglione, non me ne ero neanche accorto.
E ci ero cascato con quella stronza della Roxana. Due mesi a scopare senza come fossimo fidanzati. Con il risultato che alla fine lei pretendeva che lasciassi la mia amante ufficiale per mettermi con lei a tempo pieno. E a mantenerla, ovviamente.
Lilly aveva mollato la casa dove avevano vissuto e lavorato insieme prima che io avessi la storia con Roxana.
Nel cesso del ristorante, mi aveva lasciato intendere di non sapere della nostra relazione no pay del cazzo.
'Fanculo, con queste non si capisce mai niente.
La ragazzina Alessia tornò ancora nuda e mi guardò incerta fumare supino con aria distratta.
Ce l'avevo ancora terribilmente duro.
Doveva essersi sgurata il frifrì, perché era ancora un po' umida tra le cosce magre.
Venne ad accucciarsi tra le mie gambe.
Forse un po' troppo secca per i miei gusti. Ma il didietro meritava approfondimenti.
Le allungai la sigaretta e lei fece un paio di tiri.
Io, sorrise mesta, non brava.
Mannò, cercai di rassicurarla, sono io che non sono tanto in forma.
Me lo prese con entrambe le mani e ci giocò un po' guardandomi ogni tanto seria.
Poi si piegò e gli diede una lappatina.
Forse temeva che non l'avremmo pagata.
I soldi te li diamo lo stesso, mormorai.
Alzò le spalle e lo succhiò con maggiore convinzione.
No, non ci sapeva fare.
Ma era piacevole.
Se te lo chiedono, la pregai, tu dì che abbiamo scopato.
Annuì senza mollare il boccone.
Sembrava che tutte volessero sbocchinarmi, quella sera.
Stringi la base con la mano, le suggerii.
Lei obbedì capendo che doveva tirarlo in giù, per scoprire meglio la cappella.
Imparava in fretta, dovevo curarmela.
E stringimi le palle, ordinai, magari, ogni tanto scendi a leccare anche quelle.
Si tolse immediatamente e mi succhiò lo scroto con forza inaspettata.
Poi, me lo strinse con una mano, mentre con l'altra mi tirava la base dell'affare.
Questa è un'idrovora, mi dissi quando tornò a imboccarmelo.
Come avevo fatto con Lilly, le strinsi la testa per guidarla.
E lei seguì obbediente i miei ordini.
Contro ogni abitudine, venni di nuovo a lunghe ondate.
Lei si irrigidì, ma non si tirò via.
Appena le lasciai la testa, sputò il grosso bolo di sperma e saliva sulla mia pancia tossendo.
Era da mangiare! Accaldata e rossa per lo sforzo, gli occhi spalancati, forse per la sorpresa di aver fatto qualcosa che non aveva mai pensato di fare.
La tirai su e le diedi un bacino, ma lei teneva le labbra chiuse. Erano umide di sperma e un piccolo rivolo le scendeva fino al mento.
Glielo leccai via e solo a quel punto decise di lasciarmi entrare con la lingua nella sua bocca.
Solo per un momento.
Si tirò via ridendo.
Amaro, commentò sputacchiando, e salato.
Il mozzicone di sigaretta fumava ancora nel posacenere, dove lei l'aveva poggiata poco prima.
Ne accesi un'altra e gliela passai.
Fece un tiro e mi fissò incerta.
Io piace te? Chiese con una smorfia delusa.
Da morire, risposi sinceramente.
Sorrise radiosa.
Sicura, mormorò, volevo essere.



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