tutto quanto segue questa riga è vero
La seconda e ultima
La seconda volta fu la peggiore.
Non avevamo ancora cominciato che già mi sentivo abbattuto.
Non mi tirava, cazzo, non mi tirava proprio. Eravamo ancora in soggiorno a berci un tè, completamente vestiti, e sapevo che sarebbe stata una disfatta.
E dire che era una settimana che non vedevo l’ora di incontrarla.
Ero tanto eccitato che la domenica sera mi ero incannato una tipa caricata per strada solo perché le somigliava vagamente. Una certa Laura, niente di che.
Appena a casa mi ero ammosciato. Il confronto non teneva. Ma avevo già pagato e due colpi glieli avevo dati.
Era bastata una volta per marchiarmi. ‘Fanculo, mi era mancata da matti.
Ma adesso ero proprio abbattuto. Teso e innervosito.
Lei sedeva tranquilla sul divano, beveva il suo tè e ogni tanto mi sorrideva enigmatica.
Non sembrava neppure una puttana. La minigonna era di jeans e la maglietta di cotone leggero verde. Sopra c’erano disegnati due orsetti bianchi che giocavano a tennis.
I sandali erano bassi.
Mi aveva detto che sarebbe tornata da Venezia il giovedì sera, che potevo andarla a prendere a mezzanotte, che tanto sarebbe stata troppo stanca per andare a lavorare.
E, in effetti, non avevo neppure dovuto chiamarla. A mezzanotte in punto era scesa, aveva subito riconosciuto la mia macchina ed era salita senza neppure salutare.
Le bastava un sorriso.
Posò la sua tazza e si accese una sigaretta.
La volta prima, la prima volta, era stato travolgente.
L’avevo vista sul viale e avevo rallentato. Lei mi aveva sorriso e aveva messo dentro la testa quando avevo accostato. Mi guardava senza dire niente.
Era bellissima, aveva un viso da bambina d'altri tempi.
Sali, avevo mormorato, travolto dall’emozione.
E lei si era seduta tranquilla, si era messa la cintura e mi aveva sorriso di nuovo.
Le avevo chiesto le solite sciocchezze, ma lei alzava le spalle rispondendo a monosillabi.
A casa mia, avevo deciso, ti do ottanta euro per un’ora.
Aveva annuito senza commentare. E si era accesa una sigaretta.
Ma ero tanto eccitato che, appena svoltato su via Stalingrado, le avevo messo una mano su una coscia. E lei aveva allargato un poco le gambe per farsi accarezzare meglio.
E non avevo resistito. Tanta remissione sembrava perfetta.
Preso da una frenesia incontrollabile, avevo svoltato su via del Lavoro, parcheggiato in uno spazio condominiale fin troppo illuminato e me l’ero tirata sopra.
Era scomodo; io grande e grosso, con il volante in mezzo e le sue mutande strette che mi sfregavano fastidiosamente l’uccello.
La ragazza mi aveva baciato furiosamente, mentre la penetravo. E solo per un momento mi ero allarmato pensando che stavamo facendo una grossa cazzata.
Ma ormai ero dentro, la sua figa era calda e umida. I suoi baci appassionati come se fossero veri.
Mi stringeva il collo e il petto con una forza inaudita.
Solo dopo qualche minuto aveva staccato le labbra per dirmi di non venirle dentro.
No, avevo sorriso, non preoccuparti. Dopo di spiego, ma vedrai che non ti vengo dentro.
Così, l’avevo tirata via. Lei sembrava quasi delusa.
Era tanto bagnata che mi aveva lasciato una scia di umori sui pantaloni.
Andiamo a casa, avevo deciso.
E lei aveva annuito senza dire niente.
Anche adesso mi sentivo fremere di desiderio.
E nel contempo ero consapevole che non sarebbe stato altrettanto bello. Che ci avevo pensato troppo su. Lavorare sull’aspettativa non è una buona strategia.
Lei beveva indifferente, continuando a fumare e a farmi qualche sorriso.
La volta prima, la prima volta, arrivati a casa mia, lei non si era neppure spogliata.
Mi aveva stretto in un abbraccio cercandomi le labbra e massaggiandomi la patta.
Così, l’avevo rovesciata sul divano, entrandole ancora senza. E l’avevo sbattuta per quasi mezzora con eccitazione crescente. Mezzora a quel ritmo, alla mia età è qualcosa.
Ogni tanto mi staccavo da quel bacio che tanto somigliava ad una trasfusione di sangue per guardarla negli occhi.
Lei faceva altrettanto, con espressione seria.
Non emetteva il minimo rumore. Niente ansiti, niente lamenti. Ma mi sembrava di essere un solo corpo. Spingeva il suo bacino contro il mio con un impegno che non poteva essere disinteressato.
E mi guardava fisso negli occhi con una specie di stupore.
Di solito, mi piace inculare le ragazze. Ma in quel caso non ci pensavo neppure. Mi interessava solo rimanerle dentro e continuare quella specie di frenesia da penetrazione.
Non c’entrava tanto l’atto in sé. Era che ci capivamo. Era che le piaceva. Era che piaceva a entrambi. Era reciproco. Era un semplice difficile linguaggio, ai limiti della telepatia.
Le piaceva, non c’era bisogno che lo dicesse.
Forse le piaceva con tutti. Ma chissenefrega, dico io. La cosa importante era che le piacesse con me.
La cosa importante era fare durare quel piacere.
Ma alla fine, avevo cominciato a sentire le gambe pesanti e qualche dolore alla schiena.
Stop, avevo mormorato uscendo dolorosamente.
E lei aveva ansimato per la prima volta.
Si era girata su un fianco tenendosi entrambe le mani tra le cosce.
E mi aveva guardato fisso, con espressione seria e un poco smarrita.
L’avevo tirata su e l’avevo spinta nella camera da letto.
Lei, intuitiva, aveva aspettato che mi stendessi per venirmi sopra.
Si era infilata il mio affare senza fatica, con un piccolo singulto.
E mi aveva dimostrato che non fingeva.
Neppure un ansito, cazzo di cane. Ma la sua cosina era fradicia e mentre mi scopava, si mordeva le labbra e si strapazzava le tette.
Solo a quel punto mi era venuto un dubbio.
Ma, avevo sussurrato, fai senza con tutti?
Tu sei il primo, aveva balbettato.
Proprio in quel momento si era accorta che stavo per venire.
Mentre rantolavo, lei si era staccata, me lo aveva imboccato e si era fatta inondare di sperma. Rimanendo lì fino a quando, stremato, le mie contrazioni non erano finite.
Poi, invece di andare a sciacquarsi la bocca in bagno, come avevo visto fare alle sue colleghe le rare volte che mi era capitata una roba del genere, mi si era stesa sopra e mi aveva baciato passandomi quello che aveva tra le labbra.
E mentre la baciavo, mi era tornato duro.
Adesso, invece, mi sentivo proprio da cani.
Sembrava che la tensione erotica si fosse completamente esaurita.
Lei sedeva tranquilla, beveva e fumava. Ogni tanto mi sorrideva.
Carica sensuale zero. Desiderio a mille, ma totalmente frustrato.
E dopo, la volta prima, avevamo parlato un po’.
Continuava a toccarsi la passerina e allungarmi un bacino ogni tanto.
Nel suo modo laconico, mi aveva detto che il giorno dopo andava da una sua amica a Venezia per una settimana. Che ogni tanto lavorava con lei, in appartamento. Che girava spesso,
Non aveva una casa sua. Stava di più da una sua amica a Milano, ma si spostava a Bologna e Venezia, qualche volta a Firenze e a Genova. Sempre da sue amiche loft.
Diceva che era in Italia da sei mesi e che forse tornava a casa in autunno. Che non era la prima volta che veniva.
Parlava poco. Aveva un’aria rilassata e triste. Ma quando sorrideva mi ammaliava.
Io le premevo l’erezione che straordinariamente ancora mi tormentava contro una coscia e lei ogni tanto scendeva ad accarezzarmi.
Non abbiamo parlato molto. Dopo un quarto d’ora, le ero andato ancora sopra, spalancandole le gambe e glielo avevo messo dentro in modo quasi ansioso.
Lei continuava a guardarmi fisso negli occhi con aria seria.
Ma quale pecora? Ma quale anale? Scoparla per davanti, per poterla vedere bene in viso. Questa era la cosa giusta.
Ogni tanto, tirava fuori la lingua. Era un invito a baciarla. Ma non lo facevo sempre.
Mi piaceva osservarla, sudata e seria, impegnata a rispondere ad ogni bordata con altrettanta veemenza. Un semplice, difficile linguaggio.
Sei mia, avevo pensato. Tu sarai la mia puttana preferita per sempre. Tu sei perfetta.
E mentre lo pensavo, lei aveva emesso un secondo piccolo ansito. Niente di eclatante, sembrava quasi si vergognasse.
Ma ho cinquant’anni e conosco le donne.
Quello era un orgasmo davvero.
Che mi aveva trascinato a uscire precipitosamente dalla sua passerina calda per venirle sulla pancia.
Cazzo, aveva mormorato quasi impercettibile stringendomi l’affare pulsante con entrambe le mani, perché mi piace un vecchio stronzo come te?
Un fiotto di sperma le era arrivato fino al mento, sporcandole il petto. Ma lei non sembrava preoccuparsene.
Leccamela via, aveva sussurrato con occhio perverso, e poi dammela.
Ero tanto fuori, che avevo obbedito.
E il bacio sporco che ne era seguito era stato forse il più bello che abbia scambiato in tutta la mia vita.
Ma adesso non riuscivo neppure a fare un gesto di approccio.
Mi sentivo rigido e demotivato.
Sei stanco? Chiese improvvisamente.
Nonostante parlasse a voce bassissima, la sua voce mi aveva fatto sussultare.
No, sorrisi.
Allora, decise, deve essere colpa mia. Scusami, ma io sono stanca davvero.
Alla fine, la volta prima era rimasta fino a notte inoltrata. Avevamo scopato un’altra volta, ma non ero venuto.
Le avevo proposto di rimanere a dormire ma mi aveva detto che non poteva, che la sua amica l’aspettava.
Tutte stronzate, ovviamente. Ma ‘fanculo, chissenefrega.
Le avevo dato i soldi e poi l’avevo riaccompagnata in San Vitale.
Ok, deglutii rassegnato, ma credo sia colpa mia.
La ragazza annuì seria.
Poi sorrise triste.
Ci abbiamo pensato troppo su, sussurrò, siamo tesi.
Anche tu? Risposi confuso.
Lei mi guardò incredula.
Si accese un’altra sigaretta cercando le parole.
Credi che faccia così con tutti? Osservò infine con una smorfia sdegnosa.
Non so, confessai.
Ma dai! Ridacchiò nervosamente.
Cominciavo a sentirmi un po’ irritato.
Se vuoi, proposi, ti riaccompagno.
Forse è meglio, ammise.
Mi sentivo da schifo.
Non mi va di essere preso per il culo. E nel contempo non mi va di offendere la buona fede delle persone. Ma tutto era veramente poco credibile.
Amo le ambiguità, ma quelle che riesco a controllare. E in quel momento mi sentivo completamente disorientato.
Mi alzai faticosamente e la invitai con uno sguardo a fare altrettanto.
Ok, sospirò.
Si tirò su con aria indolente e mi seguì fino alla porta.
Io, mormorò titubante, pensavo di rimanere a dormire.
Non sapevo che dire. Il desiderio tirava per il sì, il buon senso per il no.
Ovviamente vinse il desiderio.
Rimisi le chiavi della macchina sul mobile.
Non so se riesco a fare l’amore, confessai, sono molto teso.
Anch’io, rispose, ma non siamo obbligati.
Allora non ti pago, sorrisi.
Pensavi di pagarmi? Rispose sbarrando gli occhi.
Per favore! La pregai, non facciamo i giochini. Stavo scherzando. Se bastano, ti do cento euro.
Ok, accettò con aria nervosa, ma io non stavo scherzando.
Vuoi altro tè? Cambiai discorso.
No, rispose, vorrei farmi una doccia e andare a letto.
Ti prendo un asciugamani, decisi.
E lei mi seguì in bagno.
Mentre si lavava rimasi seduto sul water a guardarla.
Era uno schianto. Alta e magra, con il seno piccolo e il sedere ben proporzionato. Le gambe lunghissime.
Il viso regolare, con occhi scuri e un caschetto di capelli neri con sfumature rosse.
Le antine erano aperte e lei ogni tanto mi guardava triste e sorrideva appena insaponandosi.
Chi cazzo sei? Pensavo.
Sei perfetta. Perché fai la puttana? Potresti fare la modella o l’attrice. Che so? La segretaria d’azienda. Tutti ti correrebbero dietro.
Io ti scopo oltre due ore per ottanta euro.
Non c’è giustizia a questo mondo. Ne vali dieci volte tanto.
Come può una figa come te, a meno di vent’anni, farsi fottere da un vecchio stronzo come me?
Non mi avevi definito così?
Ma eravamo fatti come campane, l’altra volta. Ti ho persino scopata senza.
Una cosa da veri idioti.
Forse avevi pippato o eri fuori di fumo. Che cazzo ne so.
Vuoi una canna? Chiesi.
Canna? Rispose sciacquandosi.
Marijuana, precisai.
Nonnò, mise le mani avanti, non mi va quella roba.
Vino? Insistetti.
Non bevo, scosse la testa.
Una Coca? Sorrisi.
Assentì vigorosamente.
Così andai a prendere una lattina dal frigo e gliela portai.
Lei si stava asciugando.
Fece un sorso e me la rese.
Anche la Redbull mi piace, commentò.
Fa schifo, sentenziai.
Tu sei vecchio, ridacchiò, ti piacciono cose da vecchi.
Mi piacciono le cose belle, confermai abbracciandola, e in particolare le patatine come te.
Rise fingendo che le stessi facendo il solletico.
Ti spiace se non mi rivesto? Chiese buttando l’asciugamani nel cesto.
No, accettai.
Faceva veramente caldo e il mio condizionatore era al minimo. Non mi piace l’aria gelida e artificiale. Ma quando è discreta è un sollievo.
Si riprese la lattina e andò a sedersi sul letto.
Mi spogliai pure io.
Anche lei mi guardava con aria poco accattivante.
Prima, mormorò, mi hai offesa.
Lo so, ammisi, scusami. Ma non è credibile che una ragazza come te venga con me per qualcosa di diverso dai soldi.
Fece la sua solita smorfia seria.
È vero, assentì pensierosa.
Hai detto tu che sono un vecchio stronzo, sorrisi.
Vero, sospirò.
Mi sedetti contro la testiera, aspettando che venisse a stendersi.
All’inizio, commentò con aria titubante, quando mi toccavi fingevo.
Lo so, sorrisi ancora.
Ma dopo, scosse la testa, non so cosa mi sia successo. Mi sono accorta che mi piaceva.
Lo so, ribadii.
Ma tu sai sempre tutto? Ridacchiò posando la lattina per terra.
Abbastanza, confermai con una punta di sarcasmo.
Si rannicchiò al mio fianco con espressione dubbiosa.
Non so cosa mia sia successo, ripeté pacata, non l’avevo mai fatto senza.
Vuoi dire, precisai, che non l’avevi mai fatto senza con un cliente.
Scosse la testa.
Io, sibilò, l’ho fatto solo con dei clienti.
Basta, sbottai, non voglio sentire cazzate.
Ma vaffanculo, va! Si incazzò.
Si alzò un po’ tremante e andò in soggiorno inveendo a bassa voce in romeno.
‘Fanculo.
Tornò quasi subito, con una sigaretta accesa tra le labbra.
Riportami a casa, mormorò con aria tetra.
Perdonami, mi scusai, sono confuso. Non so quel che dico.
Ok, annuì, ma è meglio se mi porti a casa.
Rimani, la pregai, ma non parliamo di queste cose, ok?
Ok, sospirò tornando a sedersi sul letto.
Fece un paio di tiri e poi mi passò la sigaretta.
Io, aggiunse, avevo pensato che questa sera era molto diversa.
Anch’io, ammisi.
Ok, sbuffò, io sono la puttana e tu mi paghi. Almeno proviamo a scopare.
No, la frenai, adesso ci mettiamo calmi e proviamo a dormire.
Ridacchiò ancora.
Tu, mormorò, sei fuori di testa.
Alzò le lenzuola e si mise sotto.
Almeno, disse piano, vieni ad abbracciarmi.
Si mise in posizione fetale, dandomi le spalle.
Mi infilai tra le coltri e le accarezzai un fianco.
Lei torse il collo per allungarmi le labbra.
Le infilai la lingua in bocca e mi accorsi che stava rabbrividendo.
Mentre mi succhiava con impeto vorace, si girò e cominciò a stringermi il petto.
Dai, mormorò arrochita staccandosi, facciamo come l’altra volta.
Mi spiace, confessai, non sono tanto in forma.
Scese a controllare e fece una smorfia. Il mio uccello era gonfio ma non tanto eretto.
Senza dire niente, scese ad imboccarlo.
Lascia stare, la pregai.
La tirai su e le diedi un paio di bacini sulle labbra.
Tu, mormorò appena percettibile, hai paura di me, vero?
Un po’, ammisi.
Sorrise seria, a riprova che gli ossimori sono in agguato ovunque.
Io, aggiunse, sono terrorizzata.
E perché? Chiesi stupito.
Non lo so, sbuffò, ma tu mi metti paura.
Si tirò su irritata a sedere sul bordo del letto, dandomi la schiena.
Sono una buona persona, cercai di scherzare.
No, rispose girando la testa, tu non sei una buona persona.
Si alzò e si guardò intorno incerta.
Andiamo a fumare una sigaretta di là, propose.
Mi alzai e la seguii in soggiorno.
Forse voleva un posto meno intimo per parlare.
Guardarla camminare da dietro mi provocò un guizzo di eccitazione. Era perfetta.
Così, quando mi sedetti al suo fianco, lei sorrise costatando la mia erezione.
Accese una sigaretta e me la passò.
Fumammo qualche minuto in silenzio. Poco alla volta mi stavo ammosciando e innervosendo di nuovo.
Tensione erotica zero.
La ragazza fece un sospiro e venne ad abbracciarmi.
Mi poggiò la testa sul petto rannicchiandosi contro il mio fianco.
Tu non sei una persona buona, ripeté, tu sei una persona che pensa troppo.
Cazzo, ridacchiai, in dodici parole hai detto tutto. Hai il dono della sintesi.
Dodici parole? Fece seria alzando gli occhi a fissarmi.
Contò a mente scrollando la cenere della sua sigaretta nel portacicche.
Sono tredici, precisò.
Dodici, tredici, alzai le spalle, che differenza fa?
Lei mi accarezzò il viso guardandomi attentamente.
Quante cose hanno visto questi occhi? Mi ignorò.
Abbastanza, credo, risposi imbarazzato.
E quante bocche hanno baciato queste labbra? Continuò toccandomele lievemente.
Non ho con me la calcolatrice, cercai di scherzare.
Sorrise appena.
Facciamo come nella favola, ridacchiò.
Quella di cappuccetto rosso, precisai.
Little Red, confermò.
Con un movimento elegante venne a sedersi cavalcioni sul mio grembo.
Io, dichiarò titubante, non ho mai fatto l’amore.
A parte me, ovviamente, riposi sarcastico.
A parte te, annuì seria.
Dai, la pregai, non prendermi per il culo.
Sono venuta in Italia con un contratto, spiegò, per fare la cameriera.
È successo a molte ragazze, commentai, è un modo come un altro per mettervi sulle strada.
Avevo sedici anni, mormorò, e non avevo mai neppure dato un bacio.
Mi spiace, scossi la testa.
Le accarezzai il viso triste.
Sono stata violentata dal mio boss, aggiunse tirando su col naso, dopo un paio di giorni che ero qui. E la sera mi ha mandato a lavorare in strada.
Dove eri? Chiesi passando ad accarezzarle il collo.
A Genova, fece senza emozione, ci sono stata quasi un anno. Poi sono scappata via.
E perché sei tornata? Chiesi emozionato.
Alzò le spalle.
Tutti sapevano cosa facevo qui, spiegò, e tutti mi trattavano da puttana. Che ci stavo a fare? Credi che sia facile trovare un ragazzo, un lavoro, farsi una vita?
Scosse la testa.
Sono una puttana, aggiunse torva.
La strinsi un po’, cercando di consolarla, mentre lei mi tastava il cazzo discretamente.
Poco alla volta, l’erezione era tornata salda.
Io, borbottò, so fare solo questo.
E per sottolineare il concetto, mi prese l’affare e se lo infilò nella passerina.
Cazzo, non mi andava per niente. Anche se era bagnata e calda.
Ho capito, ansimai tirandomi via, non c’era bisogno dell’esempio.
Ma con il profilattico, sorrise, non ti preoccupare. Non scopo mai senza. Non faccio neanche bocca senza. E, se mi credi, non bacio mai i clienti.
Ok, mentii, ti credo.
È per questo che ti faccio paura, sorrise ancora evidente.
In che senso? Domandai.
Fece una smorfia incurante.
Perché non sai se dico la verità, commentò evidente, di una puttana non ci si può fidare.
Si alzò e andò a prendere la lattina di Coca che aveva lasciato in camera da letto.
È calda, commentò tornando in soggiorno.
Prendine un’altra dal frigo, le suggerii.
No, sbuffò, tanto adesso andiamo a dormire.
E tu, chiesi incuriosito, perché hai paura di me?
Non mi era mai capitato, spiegò, di lasciarmi andare. Non va bene. Ti chiedo scusa.
Mi chiedi scusa? Sbottai esterrefatto.
Le cose belle, concluse, vanno fatte con le persone belle. E noi non siamo belle persone.
Tu, mormorai, sei totalmente fuori di testa.
Lo so, ammise invitandomi ad alzarmi.
Obbedii stancamente.
Mi prese per una mano e mi tirò nella stanza da letto.
Se vuoi, fece seria, prima di dormire scopiamo.
Ok, accettai.
Allora, sorrise triste, prendi i preservativi. Sono nella mia borsa.
Andai in soggiorno e aprii la sua borsetta.
Trovai le chiavi, il portafogli, le sigarette, un accendino e un pacco di fazzoletti.
Ma i profilattici doveva esserseli proprio dimenticati.
tutto quanto precede questa riga è falso
La seconda e ultima
La seconda volta fu la peggiore.
Non avevamo ancora cominciato che già mi sentivo abbattuto.
Non mi tirava, cazzo, non mi tirava proprio. Eravamo ancora in soggiorno a berci un tè, completamente vestiti, e sapevo che sarebbe stata una disfatta.
E dire che era una settimana che non vedevo l’ora di incontrarla.
Ero tanto eccitato che la domenica sera mi ero incannato una tipa caricata per strada solo perché le somigliava vagamente. Una certa Laura, niente di che.
Appena a casa mi ero ammosciato. Il confronto non teneva. Ma avevo già pagato e due colpi glieli avevo dati.
Era bastata una volta per marchiarmi. ‘Fanculo, mi era mancata da matti.
Ma adesso ero proprio abbattuto. Teso e innervosito.
Lei sedeva tranquilla sul divano, beveva il suo tè e ogni tanto mi sorrideva enigmatica.
Non sembrava neppure una puttana. La minigonna era di jeans e la maglietta di cotone leggero verde. Sopra c’erano disegnati due orsetti bianchi che giocavano a tennis.
I sandali erano bassi.
Mi aveva detto che sarebbe tornata da Venezia il giovedì sera, che potevo andarla a prendere a mezzanotte, che tanto sarebbe stata troppo stanca per andare a lavorare.
E, in effetti, non avevo neppure dovuto chiamarla. A mezzanotte in punto era scesa, aveva subito riconosciuto la mia macchina ed era salita senza neppure salutare.
Le bastava un sorriso.
Posò la sua tazza e si accese una sigaretta.
La volta prima, la prima volta, era stato travolgente.
L’avevo vista sul viale e avevo rallentato. Lei mi aveva sorriso e aveva messo dentro la testa quando avevo accostato. Mi guardava senza dire niente.
Era bellissima, aveva un viso da bambina d'altri tempi.
Sali, avevo mormorato, travolto dall’emozione.
E lei si era seduta tranquilla, si era messa la cintura e mi aveva sorriso di nuovo.
Le avevo chiesto le solite sciocchezze, ma lei alzava le spalle rispondendo a monosillabi.
A casa mia, avevo deciso, ti do ottanta euro per un’ora.
Aveva annuito senza commentare. E si era accesa una sigaretta.
Ma ero tanto eccitato che, appena svoltato su via Stalingrado, le avevo messo una mano su una coscia. E lei aveva allargato un poco le gambe per farsi accarezzare meglio.
E non avevo resistito. Tanta remissione sembrava perfetta.
Preso da una frenesia incontrollabile, avevo svoltato su via del Lavoro, parcheggiato in uno spazio condominiale fin troppo illuminato e me l’ero tirata sopra.
Era scomodo; io grande e grosso, con il volante in mezzo e le sue mutande strette che mi sfregavano fastidiosamente l’uccello.
La ragazza mi aveva baciato furiosamente, mentre la penetravo. E solo per un momento mi ero allarmato pensando che stavamo facendo una grossa cazzata.
Ma ormai ero dentro, la sua figa era calda e umida. I suoi baci appassionati come se fossero veri.
Mi stringeva il collo e il petto con una forza inaudita.
Solo dopo qualche minuto aveva staccato le labbra per dirmi di non venirle dentro.
No, avevo sorriso, non preoccuparti. Dopo di spiego, ma vedrai che non ti vengo dentro.
Così, l’avevo tirata via. Lei sembrava quasi delusa.
Era tanto bagnata che mi aveva lasciato una scia di umori sui pantaloni.
Andiamo a casa, avevo deciso.
E lei aveva annuito senza dire niente.
Anche adesso mi sentivo fremere di desiderio.
E nel contempo ero consapevole che non sarebbe stato altrettanto bello. Che ci avevo pensato troppo su. Lavorare sull’aspettativa non è una buona strategia.
Lei beveva indifferente, continuando a fumare e a farmi qualche sorriso.
La volta prima, la prima volta, arrivati a casa mia, lei non si era neppure spogliata.
Mi aveva stretto in un abbraccio cercandomi le labbra e massaggiandomi la patta.
Così, l’avevo rovesciata sul divano, entrandole ancora senza. E l’avevo sbattuta per quasi mezzora con eccitazione crescente. Mezzora a quel ritmo, alla mia età è qualcosa.
Ogni tanto mi staccavo da quel bacio che tanto somigliava ad una trasfusione di sangue per guardarla negli occhi.
Lei faceva altrettanto, con espressione seria.
Non emetteva il minimo rumore. Niente ansiti, niente lamenti. Ma mi sembrava di essere un solo corpo. Spingeva il suo bacino contro il mio con un impegno che non poteva essere disinteressato.
E mi guardava fisso negli occhi con una specie di stupore.
Di solito, mi piace inculare le ragazze. Ma in quel caso non ci pensavo neppure. Mi interessava solo rimanerle dentro e continuare quella specie di frenesia da penetrazione.
Non c’entrava tanto l’atto in sé. Era che ci capivamo. Era che le piaceva. Era che piaceva a entrambi. Era reciproco. Era un semplice difficile linguaggio, ai limiti della telepatia.
Le piaceva, non c’era bisogno che lo dicesse.
Forse le piaceva con tutti. Ma chissenefrega, dico io. La cosa importante era che le piacesse con me.
La cosa importante era fare durare quel piacere.
Ma alla fine, avevo cominciato a sentire le gambe pesanti e qualche dolore alla schiena.
Stop, avevo mormorato uscendo dolorosamente.
E lei aveva ansimato per la prima volta.
Si era girata su un fianco tenendosi entrambe le mani tra le cosce.
E mi aveva guardato fisso, con espressione seria e un poco smarrita.
L’avevo tirata su e l’avevo spinta nella camera da letto.
Lei, intuitiva, aveva aspettato che mi stendessi per venirmi sopra.
Si era infilata il mio affare senza fatica, con un piccolo singulto.
E mi aveva dimostrato che non fingeva.
Neppure un ansito, cazzo di cane. Ma la sua cosina era fradicia e mentre mi scopava, si mordeva le labbra e si strapazzava le tette.
Solo a quel punto mi era venuto un dubbio.
Ma, avevo sussurrato, fai senza con tutti?
Tu sei il primo, aveva balbettato.
Proprio in quel momento si era accorta che stavo per venire.
Mentre rantolavo, lei si era staccata, me lo aveva imboccato e si era fatta inondare di sperma. Rimanendo lì fino a quando, stremato, le mie contrazioni non erano finite.
Poi, invece di andare a sciacquarsi la bocca in bagno, come avevo visto fare alle sue colleghe le rare volte che mi era capitata una roba del genere, mi si era stesa sopra e mi aveva baciato passandomi quello che aveva tra le labbra.
E mentre la baciavo, mi era tornato duro.
Adesso, invece, mi sentivo proprio da cani.
Sembrava che la tensione erotica si fosse completamente esaurita.
Lei sedeva tranquilla, beveva e fumava. Ogni tanto mi sorrideva.
Carica sensuale zero. Desiderio a mille, ma totalmente frustrato.
E dopo, la volta prima, avevamo parlato un po’.
Continuava a toccarsi la passerina e allungarmi un bacino ogni tanto.
Nel suo modo laconico, mi aveva detto che il giorno dopo andava da una sua amica a Venezia per una settimana. Che ogni tanto lavorava con lei, in appartamento. Che girava spesso,
Non aveva una casa sua. Stava di più da una sua amica a Milano, ma si spostava a Bologna e Venezia, qualche volta a Firenze e a Genova. Sempre da sue amiche loft.
Diceva che era in Italia da sei mesi e che forse tornava a casa in autunno. Che non era la prima volta che veniva.
Parlava poco. Aveva un’aria rilassata e triste. Ma quando sorrideva mi ammaliava.
Io le premevo l’erezione che straordinariamente ancora mi tormentava contro una coscia e lei ogni tanto scendeva ad accarezzarmi.
Non abbiamo parlato molto. Dopo un quarto d’ora, le ero andato ancora sopra, spalancandole le gambe e glielo avevo messo dentro in modo quasi ansioso.
Lei continuava a guardarmi fisso negli occhi con aria seria.
Ma quale pecora? Ma quale anale? Scoparla per davanti, per poterla vedere bene in viso. Questa era la cosa giusta.
Ogni tanto, tirava fuori la lingua. Era un invito a baciarla. Ma non lo facevo sempre.
Mi piaceva osservarla, sudata e seria, impegnata a rispondere ad ogni bordata con altrettanta veemenza. Un semplice, difficile linguaggio.
Sei mia, avevo pensato. Tu sarai la mia puttana preferita per sempre. Tu sei perfetta.
E mentre lo pensavo, lei aveva emesso un secondo piccolo ansito. Niente di eclatante, sembrava quasi si vergognasse.
Ma ho cinquant’anni e conosco le donne.
Quello era un orgasmo davvero.
Che mi aveva trascinato a uscire precipitosamente dalla sua passerina calda per venirle sulla pancia.
Cazzo, aveva mormorato quasi impercettibile stringendomi l’affare pulsante con entrambe le mani, perché mi piace un vecchio stronzo come te?
Un fiotto di sperma le era arrivato fino al mento, sporcandole il petto. Ma lei non sembrava preoccuparsene.
Leccamela via, aveva sussurrato con occhio perverso, e poi dammela.
Ero tanto fuori, che avevo obbedito.
E il bacio sporco che ne era seguito era stato forse il più bello che abbia scambiato in tutta la mia vita.
Ma adesso non riuscivo neppure a fare un gesto di approccio.
Mi sentivo rigido e demotivato.
Sei stanco? Chiese improvvisamente.
Nonostante parlasse a voce bassissima, la sua voce mi aveva fatto sussultare.
No, sorrisi.
Allora, decise, deve essere colpa mia. Scusami, ma io sono stanca davvero.
Alla fine, la volta prima era rimasta fino a notte inoltrata. Avevamo scopato un’altra volta, ma non ero venuto.
Le avevo proposto di rimanere a dormire ma mi aveva detto che non poteva, che la sua amica l’aspettava.
Tutte stronzate, ovviamente. Ma ‘fanculo, chissenefrega.
Le avevo dato i soldi e poi l’avevo riaccompagnata in San Vitale.
Ok, deglutii rassegnato, ma credo sia colpa mia.
La ragazza annuì seria.
Poi sorrise triste.
Ci abbiamo pensato troppo su, sussurrò, siamo tesi.
Anche tu? Risposi confuso.
Lei mi guardò incredula.
Si accese un’altra sigaretta cercando le parole.
Credi che faccia così con tutti? Osservò infine con una smorfia sdegnosa.
Non so, confessai.
Ma dai! Ridacchiò nervosamente.
Cominciavo a sentirmi un po’ irritato.
Se vuoi, proposi, ti riaccompagno.
Forse è meglio, ammise.
Mi sentivo da schifo.
Non mi va di essere preso per il culo. E nel contempo non mi va di offendere la buona fede delle persone. Ma tutto era veramente poco credibile.
Amo le ambiguità, ma quelle che riesco a controllare. E in quel momento mi sentivo completamente disorientato.
Mi alzai faticosamente e la invitai con uno sguardo a fare altrettanto.
Ok, sospirò.
Si tirò su con aria indolente e mi seguì fino alla porta.
Io, mormorò titubante, pensavo di rimanere a dormire.
Non sapevo che dire. Il desiderio tirava per il sì, il buon senso per il no.
Ovviamente vinse il desiderio.
Rimisi le chiavi della macchina sul mobile.
Non so se riesco a fare l’amore, confessai, sono molto teso.
Anch’io, rispose, ma non siamo obbligati.
Allora non ti pago, sorrisi.
Pensavi di pagarmi? Rispose sbarrando gli occhi.
Per favore! La pregai, non facciamo i giochini. Stavo scherzando. Se bastano, ti do cento euro.
Ok, accettò con aria nervosa, ma io non stavo scherzando.
Vuoi altro tè? Cambiai discorso.
No, rispose, vorrei farmi una doccia e andare a letto.
Ti prendo un asciugamani, decisi.
E lei mi seguì in bagno.
Mentre si lavava rimasi seduto sul water a guardarla.
Era uno schianto. Alta e magra, con il seno piccolo e il sedere ben proporzionato. Le gambe lunghissime.
Il viso regolare, con occhi scuri e un caschetto di capelli neri con sfumature rosse.
Le antine erano aperte e lei ogni tanto mi guardava triste e sorrideva appena insaponandosi.
Chi cazzo sei? Pensavo.
Sei perfetta. Perché fai la puttana? Potresti fare la modella o l’attrice. Che so? La segretaria d’azienda. Tutti ti correrebbero dietro.
Io ti scopo oltre due ore per ottanta euro.
Non c’è giustizia a questo mondo. Ne vali dieci volte tanto.
Come può una figa come te, a meno di vent’anni, farsi fottere da un vecchio stronzo come me?
Non mi avevi definito così?
Ma eravamo fatti come campane, l’altra volta. Ti ho persino scopata senza.
Una cosa da veri idioti.
Forse avevi pippato o eri fuori di fumo. Che cazzo ne so.
Vuoi una canna? Chiesi.
Canna? Rispose sciacquandosi.
Marijuana, precisai.
Nonnò, mise le mani avanti, non mi va quella roba.
Vino? Insistetti.
Non bevo, scosse la testa.
Una Coca? Sorrisi.
Assentì vigorosamente.
Così andai a prendere una lattina dal frigo e gliela portai.
Lei si stava asciugando.
Fece un sorso e me la rese.
Anche la Redbull mi piace, commentò.
Fa schifo, sentenziai.
Tu sei vecchio, ridacchiò, ti piacciono cose da vecchi.
Mi piacciono le cose belle, confermai abbracciandola, e in particolare le patatine come te.
Rise fingendo che le stessi facendo il solletico.
Ti spiace se non mi rivesto? Chiese buttando l’asciugamani nel cesto.
No, accettai.
Faceva veramente caldo e il mio condizionatore era al minimo. Non mi piace l’aria gelida e artificiale. Ma quando è discreta è un sollievo.
Si riprese la lattina e andò a sedersi sul letto.
Mi spogliai pure io.
Anche lei mi guardava con aria poco accattivante.
Prima, mormorò, mi hai offesa.
Lo so, ammisi, scusami. Ma non è credibile che una ragazza come te venga con me per qualcosa di diverso dai soldi.
Fece la sua solita smorfia seria.
È vero, assentì pensierosa.
Hai detto tu che sono un vecchio stronzo, sorrisi.
Vero, sospirò.
Mi sedetti contro la testiera, aspettando che venisse a stendersi.
All’inizio, commentò con aria titubante, quando mi toccavi fingevo.
Lo so, sorrisi ancora.
Ma dopo, scosse la testa, non so cosa mi sia successo. Mi sono accorta che mi piaceva.
Lo so, ribadii.
Ma tu sai sempre tutto? Ridacchiò posando la lattina per terra.
Abbastanza, confermai con una punta di sarcasmo.
Si rannicchiò al mio fianco con espressione dubbiosa.
Non so cosa mia sia successo, ripeté pacata, non l’avevo mai fatto senza.
Vuoi dire, precisai, che non l’avevi mai fatto senza con un cliente.
Scosse la testa.
Io, sibilò, l’ho fatto solo con dei clienti.
Basta, sbottai, non voglio sentire cazzate.
Ma vaffanculo, va! Si incazzò.
Si alzò un po’ tremante e andò in soggiorno inveendo a bassa voce in romeno.
‘Fanculo.
Tornò quasi subito, con una sigaretta accesa tra le labbra.
Riportami a casa, mormorò con aria tetra.
Perdonami, mi scusai, sono confuso. Non so quel che dico.
Ok, annuì, ma è meglio se mi porti a casa.
Rimani, la pregai, ma non parliamo di queste cose, ok?
Ok, sospirò tornando a sedersi sul letto.
Fece un paio di tiri e poi mi passò la sigaretta.
Io, aggiunse, avevo pensato che questa sera era molto diversa.
Anch’io, ammisi.
Ok, sbuffò, io sono la puttana e tu mi paghi. Almeno proviamo a scopare.
No, la frenai, adesso ci mettiamo calmi e proviamo a dormire.
Ridacchiò ancora.
Tu, mormorò, sei fuori di testa.
Alzò le lenzuola e si mise sotto.
Almeno, disse piano, vieni ad abbracciarmi.
Si mise in posizione fetale, dandomi le spalle.
Mi infilai tra le coltri e le accarezzai un fianco.
Lei torse il collo per allungarmi le labbra.
Le infilai la lingua in bocca e mi accorsi che stava rabbrividendo.
Mentre mi succhiava con impeto vorace, si girò e cominciò a stringermi il petto.
Dai, mormorò arrochita staccandosi, facciamo come l’altra volta.
Mi spiace, confessai, non sono tanto in forma.
Scese a controllare e fece una smorfia. Il mio uccello era gonfio ma non tanto eretto.
Senza dire niente, scese ad imboccarlo.
Lascia stare, la pregai.
La tirai su e le diedi un paio di bacini sulle labbra.
Tu, mormorò appena percettibile, hai paura di me, vero?
Un po’, ammisi.
Sorrise seria, a riprova che gli ossimori sono in agguato ovunque.
Io, aggiunse, sono terrorizzata.
E perché? Chiesi stupito.
Non lo so, sbuffò, ma tu mi metti paura.
Si tirò su irritata a sedere sul bordo del letto, dandomi la schiena.
Sono una buona persona, cercai di scherzare.
No, rispose girando la testa, tu non sei una buona persona.
Si alzò e si guardò intorno incerta.
Andiamo a fumare una sigaretta di là, propose.
Mi alzai e la seguii in soggiorno.
Forse voleva un posto meno intimo per parlare.
Guardarla camminare da dietro mi provocò un guizzo di eccitazione. Era perfetta.
Così, quando mi sedetti al suo fianco, lei sorrise costatando la mia erezione.
Accese una sigaretta e me la passò.
Fumammo qualche minuto in silenzio. Poco alla volta mi stavo ammosciando e innervosendo di nuovo.
Tensione erotica zero.
La ragazza fece un sospiro e venne ad abbracciarmi.
Mi poggiò la testa sul petto rannicchiandosi contro il mio fianco.
Tu non sei una persona buona, ripeté, tu sei una persona che pensa troppo.
Cazzo, ridacchiai, in dodici parole hai detto tutto. Hai il dono della sintesi.
Dodici parole? Fece seria alzando gli occhi a fissarmi.
Contò a mente scrollando la cenere della sua sigaretta nel portacicche.
Sono tredici, precisò.
Dodici, tredici, alzai le spalle, che differenza fa?
Lei mi accarezzò il viso guardandomi attentamente.
Quante cose hanno visto questi occhi? Mi ignorò.
Abbastanza, credo, risposi imbarazzato.
E quante bocche hanno baciato queste labbra? Continuò toccandomele lievemente.
Non ho con me la calcolatrice, cercai di scherzare.
Sorrise appena.
Facciamo come nella favola, ridacchiò.
Quella di cappuccetto rosso, precisai.
Little Red, confermò.
Con un movimento elegante venne a sedersi cavalcioni sul mio grembo.
Io, dichiarò titubante, non ho mai fatto l’amore.
A parte me, ovviamente, riposi sarcastico.
A parte te, annuì seria.
Dai, la pregai, non prendermi per il culo.
Sono venuta in Italia con un contratto, spiegò, per fare la cameriera.
È successo a molte ragazze, commentai, è un modo come un altro per mettervi sulle strada.
Avevo sedici anni, mormorò, e non avevo mai neppure dato un bacio.
Mi spiace, scossi la testa.
Le accarezzai il viso triste.
Sono stata violentata dal mio boss, aggiunse tirando su col naso, dopo un paio di giorni che ero qui. E la sera mi ha mandato a lavorare in strada.
Dove eri? Chiesi passando ad accarezzarle il collo.
A Genova, fece senza emozione, ci sono stata quasi un anno. Poi sono scappata via.
E perché sei tornata? Chiesi emozionato.
Alzò le spalle.
Tutti sapevano cosa facevo qui, spiegò, e tutti mi trattavano da puttana. Che ci stavo a fare? Credi che sia facile trovare un ragazzo, un lavoro, farsi una vita?
Scosse la testa.
Sono una puttana, aggiunse torva.
La strinsi un po’, cercando di consolarla, mentre lei mi tastava il cazzo discretamente.
Poco alla volta, l’erezione era tornata salda.
Io, borbottò, so fare solo questo.
E per sottolineare il concetto, mi prese l’affare e se lo infilò nella passerina.
Cazzo, non mi andava per niente. Anche se era bagnata e calda.
Ho capito, ansimai tirandomi via, non c’era bisogno dell’esempio.
Ma con il profilattico, sorrise, non ti preoccupare. Non scopo mai senza. Non faccio neanche bocca senza. E, se mi credi, non bacio mai i clienti.
Ok, mentii, ti credo.
È per questo che ti faccio paura, sorrise ancora evidente.
In che senso? Domandai.
Fece una smorfia incurante.
Perché non sai se dico la verità, commentò evidente, di una puttana non ci si può fidare.
Si alzò e andò a prendere la lattina di Coca che aveva lasciato in camera da letto.
È calda, commentò tornando in soggiorno.
Prendine un’altra dal frigo, le suggerii.
No, sbuffò, tanto adesso andiamo a dormire.
E tu, chiesi incuriosito, perché hai paura di me?
Non mi era mai capitato, spiegò, di lasciarmi andare. Non va bene. Ti chiedo scusa.
Mi chiedi scusa? Sbottai esterrefatto.
Le cose belle, concluse, vanno fatte con le persone belle. E noi non siamo belle persone.
Tu, mormorai, sei totalmente fuori di testa.
Lo so, ammise invitandomi ad alzarmi.
Obbedii stancamente.
Mi prese per una mano e mi tirò nella stanza da letto.
Se vuoi, fece seria, prima di dormire scopiamo.
Ok, accettai.
Allora, sorrise triste, prendi i preservativi. Sono nella mia borsa.
Andai in soggiorno e aprii la sua borsetta.
Trovai le chiavi, il portafogli, le sigarette, un accendino e un pacco di fazzoletti.
Ma i profilattici doveva esserseli proprio dimenticati.
tutto quanto precede questa riga è falso