CARATTERISTICHE GENERALI
NOME INSERZIONISTA: Flory
RIFERIMENTO INTERNET:http://www.turbami.com/cellulare_3895569538/flory.html
CITTA DELL'INCONTRO: Padova
NAZIONALITA': rumena
ETA': molto giovane
CONFORMITA' ALL'ANNUNCIO:
SERVIZI OFFERTI (vedi DIZIONARIO):
SERVIZI USUFRUITI: 1/2 rai1
COMPENSO RICHIESTO: 50
COMPENSO CONCORDATO: 50
DURATA DELL'INCONTRO: 22 minuti
DESCRIZIONE FISICA: togli braccia, gambe e soprattutto testa, una venere di Milo
ATTITUDINE: pessima
REPERIBILITA': ottima
PRESENZA DI BARRIERE ARCHITETTONICHE: primo piano, ascensore (?)
INDEX RICERCHE (numero telefonico nel formato 1234567xx):38955695xx
é principalmente per scrivere una recensione che mi imbuco in queste situazioni, adesso lo so. La speranza di imbattermi in un incontro interessante si faceva sempre più labile e pretestuosa, fino a perdere ogni credibilità, mentre ascoltavo quella vocina scazzata al telefono. Una vocina che avrebbe tarpato gli entusiasmi del più allupato dei fauni. Eppure ci sono andato a consumare, si fa per dire, questo incontro. Per produrmi poi, con patetica prolissità, in questo forum. Come a riflettere una marginalità dell'esistenza nel mondo reale attraverso una smania di protagonismo nello spazio virtuale. Spazio dove dare forma, col pretesto di scrivere una rece, ad inutili psicologismi da quattro soldi come è inutile questa rece su di una puttanella da quattro soldi.
LA MIA RECENSIONE:
Miss Simpatia
Sono ormai venti minuti che passeggio per la suburra di Padova, il Portello, davanti a locali gestiti da kebabbari del Grande Maghreb e relativi avventori, ristoratori cinesi, rosticceri indi e presso qualche casavacanze a me già nota. Ho la chiave del lucchetto in mano e mi trovo in via Tiepolo, davanti al palo a cui ho attaccato la bici (andare in bici per veder le meretrici pensando a teee...amore miooo....). Mi sono deciso a farmi un giro verso Golena San Massimo, da dove sento venire suoni di un concerto. Purtroppamenteperò sento anche lo squillo del cellulare, il segnale che finalmente la mia meretrice, finita la doccia, è pronta a ricevermi. Richiamo. La vocina mi guida fino a dentro una palazza. Salgo al pimo piano dove un piccolo dedalo di corridoi si snoda dal crocevia delle scale male illuminate e d'intorno il pianerottolo dell'ascensore che, ne sono sicuro, non funziona da anni. Quattro tortuosi budelli ai cui lati si allineano fittamente decine di porte. La tromba delle scale sembra quasi voler simboleggiare l'yggdrasil, l'asse del mondo, da cui si diramano a raggiera, in una babelica commistione di suoni, di odori e di caligine, le neglette rappresentanze delle più svariate razze umane. Perlustro quello spazio onirico con passo tardo e lento. In alcuni punti l'afrore è così pungente da non lasciare dubbi sulla latitudine della sua origine, in altri è il ritmo di una musica levantina a renderere un'idea delle nostalgie che animano i migranti che ivi abitano, e ad invitarmi al dietrofront. Sto tornando indietro dall'ultimo punto cardinale, invero lasciato quasi inesplorato, quando si apre la porta che, proprio in quel momento, sto oltrepassando...
La ragazza che sta per affacciarsi si ritrae, trasalendo spaventata. Sì, ero io al telefono, le dico, e si rassicura mentre mi individua nella penombra. Avrebbe anche un viso carino se solo accennasse ad un sorriso. Mi fa entrare in un loculo dove c'è un'afa di almeno trenta gradi. Eppure ha piovuto tutto il giorno, in quel giorno di giugno, e fuori l'aria è umida ma fresca, mi domando che inferno sarà quel posto quando comincerà a fare caldo sul serio. Dentro c'è un'altra ragazza, intenta al cellulare, che alza appena gli occhi.: Sei con un'amica? é mia sorela. Spiega sbrigativa mentre questa va ad infilarsi in un pertugio che dovrebbe fungere da cucina. Bando alle ciance declama il repertorio, cinquanta coperto, settanta con pompa scoperta. Vile maschio, potrai comprare il mio corpo ma non la mia anima, aggiunge mentalmente fissandomi acerba negli occhi. Le allungo un cinquanta che, seduta sul letto presso la lampada del comodino, inizia ad esaminare grattando con l'unghia, per sincerarsi che non le sto rifilando una sola. Convinta dell'autenticità della banconota è la volta di espletare un cavillo burocratico, già enunciato al telefono (ora lo so) dalla sorellina telefonista: lei non vuole stranieri, ergo mi invita ad esibire la mia carta di identità per poter procedere nell'incontro. Probabilmente esterno qualcosa di straniante, nella voce e nei modi, quella sera. Già una magiara dalle foto piene di promesse mi aveva sbattuto il telefono in faccia per la medesima ragione. Mi siedo su una sedia per raccogliere le idee a fronte di una richiesta così bizzarra. Dichiaro, nella dizione più italiana che trovo, che in questa città ci sono nato e cresciuto e che probabilmente ci creperò pure. Aggiungo che i soldi li ha presi quindi... Mi interrompe per consultarsi con la sorellina. la valacca del telefonino dietro la parete, la quale, deduco, risponde che, in deroga alle direttive ed ai regolamenti amministrativi della casa, può farsi scopare anche senza un documento che attesti la mia nazionalità. Così ha detto visto che poi, la valacca di qua della parete, finalmente si decide a spogliarsi.
Esce fuori un corpo dalla pelle vellutata e dal candore immacolato. Polposo ma senza un filo di grasso. Le mammarie a pera che palpo, vergognandomi soltanto un poco, l'incavo del ventre che sfioro col dorso delle dita, l'inflessione da ginnasta dei lombi. Mi adagio sul talamo su cui era stata distesa una ruvida coltre di lana cotta che, nel clima torrido di quel buco di cemento, ci sta come il cazzo sui maccheroni. Una coperta di tipo militare come quelle che distribuisce la Protezione Civile ai terremotati. Impestata di cimici (o roba del genere), come scoprirò la mattina dopo quando mi ritrovo un ponfo come una ciliegia su di una chiappa. Mi adagio mentre costei osserva, con malcelato orrore, l'erezione di un membro cubitale fendere ondeggiando quell'atmosfera sempre più pesante. Mi aveva garantito (la sorellina) che non ci sarebbero stati problemi per una dotazione XL (come diceva Lina Merlin, fare la puttana con la figa di un'altra, una cosa che la mandava in bestia) ma puntualmente inizia la lamentela che è troppo grosso...che noi italiani di solito ce l'abbiamo piccolo... Perchè, come ce l'hanno i rumeni? Non lo so, io non lavoro in Romania... risponde piccata pentendosi subito di questa esternazione.
Ogni mio precedente tentativo di intervistarla era già stato rigettato come un indebito tentativo di invadenza. Come ti chiami... quanti anni hai... da dove vieni... e quest'ultima interrogazione stava per volgere la situazione verso la crisi indefettibile. Ecco... non entra preservativo...no possiamo... faccio di mano... Comincia a piagnucolare. Nessun problema, la consolo pacioso, se vuoi me ne torno a casa adesso, mi ridai indietro i soldi e siamo pari... Non ci crede nessuno al rimborso del cinquantino e infatti è esttamente questo il momento in cui alza la voce: ma io no parla italiano.. no capire... io detto forse...tu vieni qui da me... ti comporti così... La invito ad abbassare i toni come lei poco prima mi aveva invitato a regolare il mio timbro di voce, per non disturbare i vicini, e sporgendomi a prendere dalla tasca dei pantaloni dei volgarissimi Pamitex che mi ero portato appresso, le porgo, serafico, la soluzione al problema. Li prende ma è ancora troppo sbroccata per riuscire ad aprire la busta. La apro io per lei e, passata la superficiale burrasca, la osservo tornare pian piano alla sua naturale indisponenza mentre mi inguanta per bene la tega.
Metti tu sopra... ordina la sbarbina. Avevo, per un attimo, contato in una smorzacandela, così di godere della vista e del tatto di quelle adorabili mammelle. Una posizione che peraltro le avrebbe consentito di dosare la penetrazione a suo piacimento ma probabilmente un numero così acrobatico non è contemplato nelle prestazioni offerte e forse nemmeno mai affiorato nell'immaginario erotico di codesta frigida preadolescenziale. Fa per piazzarsi supina a gambe spalancate, pronta nella postura meno faticosa del mestiere, quando la vedo armeggiare ancora intorno al mio uccello. La sua natura malfidente le fa vedere qualcosa di poco convincente nel preservativo che le ho fornito. Apre il cassetto e, falsa e bugiarda, ne tira fuori quello giusto, sostituendo il mio gommino alla velocità di un pit stop. Andiamo a cominciare, senza affondi troppo spinti, una mezza scopatina fra le più sgradevoli di cui ho memoria. Cercando di incrociare il meno possibile la sprezzante alterigia dei suoi occhi che, assieme al caldo asfissiante e al sottostante cilicio a due piazze di Iacopone da Todi , potrebbero minare le mie capacità erettili da un momento all'altro. Mi concentro sulle tettine che, benchè stiano ballando aggraziatamente su e giù, hanno ormai perso buona parte delle loro proprietà suggestive, così appiattite e sudate sul petto.
Lo stop arriva presto, lamenta dolori la piccola. Ti fa male il pancino? Dove? Mi indica una linea sopra i peli del pube che stanno crescendo vigorosi. Non vede un rasoio da almeno dieci giorni la sua aiuola, e si sente. Esco fuori e Seduto al bordo del letto mi tiro via il goldone che si stava già sfilando da solo da quello che ormai si presenta come un desolato lumacone. Tiro finchè schiocca sulla mia mano come una frusta, finendo fra gli altri due per terra. Ho voglia di andarmene, logorato dal caldo e dal disagio. Mi propone di finirmi con una sega. Ricambio il suo sguardo insolente con una moneta anche peggiore. Stolta femmina, hai avuto i miei soldi ma non potrai mai capire perchè te li ho dati. Rispondo con un: no grazie, come mi faccio le seghe io non me le fa nessuno. Contrariata abbozza un sorriso di scherno, si direbbe l'unico di cui è capace. Ti sei ubriaco... tu vieni qui...ti comporti così... mi prendi in giro... Ti pare che puzzo di alcol? Mi vesto con studiata flemma mentre ci scambiamo lunghe occhiate piene di livore e disprezzo e con l'intimo piacere di coltivare un'idiosincrasia reciproca.
Lei ha le valige pronte, il giorno dopo se ne sarebbe ritornata a casa sua, da qualche parte sui Monti Transilvani suppongo.
Buon rientro in Romania! La saluto prendendo la porta senza voltarmi indietro.
Ma non temete che ritorna.
NOME INSERZIONISTA: Flory
RIFERIMENTO INTERNET:http://www.turbami.com/cellulare_3895569538/flory.html
CITTA DELL'INCONTRO: Padova
NAZIONALITA': rumena
ETA': molto giovane
CONFORMITA' ALL'ANNUNCIO:
SERVIZI OFFERTI (vedi DIZIONARIO):
SERVIZI USUFRUITI: 1/2 rai1
COMPENSO RICHIESTO: 50
COMPENSO CONCORDATO: 50
DURATA DELL'INCONTRO: 22 minuti
DESCRIZIONE FISICA: togli braccia, gambe e soprattutto testa, una venere di Milo
ATTITUDINE: pessima
REPERIBILITA': ottima
PRESENZA DI BARRIERE ARCHITETTONICHE: primo piano, ascensore (?)
INDEX RICERCHE (numero telefonico nel formato 1234567xx):38955695xx
é principalmente per scrivere una recensione che mi imbuco in queste situazioni, adesso lo so. La speranza di imbattermi in un incontro interessante si faceva sempre più labile e pretestuosa, fino a perdere ogni credibilità, mentre ascoltavo quella vocina scazzata al telefono. Una vocina che avrebbe tarpato gli entusiasmi del più allupato dei fauni. Eppure ci sono andato a consumare, si fa per dire, questo incontro. Per produrmi poi, con patetica prolissità, in questo forum. Come a riflettere una marginalità dell'esistenza nel mondo reale attraverso una smania di protagonismo nello spazio virtuale. Spazio dove dare forma, col pretesto di scrivere una rece, ad inutili psicologismi da quattro soldi come è inutile questa rece su di una puttanella da quattro soldi.
LA MIA RECENSIONE:
Miss Simpatia
Sono ormai venti minuti che passeggio per la suburra di Padova, il Portello, davanti a locali gestiti da kebabbari del Grande Maghreb e relativi avventori, ristoratori cinesi, rosticceri indi e presso qualche casavacanze a me già nota. Ho la chiave del lucchetto in mano e mi trovo in via Tiepolo, davanti al palo a cui ho attaccato la bici (andare in bici per veder le meretrici pensando a teee...amore miooo....). Mi sono deciso a farmi un giro verso Golena San Massimo, da dove sento venire suoni di un concerto. Purtroppamenteperò sento anche lo squillo del cellulare, il segnale che finalmente la mia meretrice, finita la doccia, è pronta a ricevermi. Richiamo. La vocina mi guida fino a dentro una palazza. Salgo al pimo piano dove un piccolo dedalo di corridoi si snoda dal crocevia delle scale male illuminate e d'intorno il pianerottolo dell'ascensore che, ne sono sicuro, non funziona da anni. Quattro tortuosi budelli ai cui lati si allineano fittamente decine di porte. La tromba delle scale sembra quasi voler simboleggiare l'yggdrasil, l'asse del mondo, da cui si diramano a raggiera, in una babelica commistione di suoni, di odori e di caligine, le neglette rappresentanze delle più svariate razze umane. Perlustro quello spazio onirico con passo tardo e lento. In alcuni punti l'afrore è così pungente da non lasciare dubbi sulla latitudine della sua origine, in altri è il ritmo di una musica levantina a renderere un'idea delle nostalgie che animano i migranti che ivi abitano, e ad invitarmi al dietrofront. Sto tornando indietro dall'ultimo punto cardinale, invero lasciato quasi inesplorato, quando si apre la porta che, proprio in quel momento, sto oltrepassando...
La ragazza che sta per affacciarsi si ritrae, trasalendo spaventata. Sì, ero io al telefono, le dico, e si rassicura mentre mi individua nella penombra. Avrebbe anche un viso carino se solo accennasse ad un sorriso. Mi fa entrare in un loculo dove c'è un'afa di almeno trenta gradi. Eppure ha piovuto tutto il giorno, in quel giorno di giugno, e fuori l'aria è umida ma fresca, mi domando che inferno sarà quel posto quando comincerà a fare caldo sul serio. Dentro c'è un'altra ragazza, intenta al cellulare, che alza appena gli occhi.: Sei con un'amica? é mia sorela. Spiega sbrigativa mentre questa va ad infilarsi in un pertugio che dovrebbe fungere da cucina. Bando alle ciance declama il repertorio, cinquanta coperto, settanta con pompa scoperta. Vile maschio, potrai comprare il mio corpo ma non la mia anima, aggiunge mentalmente fissandomi acerba negli occhi. Le allungo un cinquanta che, seduta sul letto presso la lampada del comodino, inizia ad esaminare grattando con l'unghia, per sincerarsi che non le sto rifilando una sola. Convinta dell'autenticità della banconota è la volta di espletare un cavillo burocratico, già enunciato al telefono (ora lo so) dalla sorellina telefonista: lei non vuole stranieri, ergo mi invita ad esibire la mia carta di identità per poter procedere nell'incontro. Probabilmente esterno qualcosa di straniante, nella voce e nei modi, quella sera. Già una magiara dalle foto piene di promesse mi aveva sbattuto il telefono in faccia per la medesima ragione. Mi siedo su una sedia per raccogliere le idee a fronte di una richiesta così bizzarra. Dichiaro, nella dizione più italiana che trovo, che in questa città ci sono nato e cresciuto e che probabilmente ci creperò pure. Aggiungo che i soldi li ha presi quindi... Mi interrompe per consultarsi con la sorellina. la valacca del telefonino dietro la parete, la quale, deduco, risponde che, in deroga alle direttive ed ai regolamenti amministrativi della casa, può farsi scopare anche senza un documento che attesti la mia nazionalità. Così ha detto visto che poi, la valacca di qua della parete, finalmente si decide a spogliarsi.
Esce fuori un corpo dalla pelle vellutata e dal candore immacolato. Polposo ma senza un filo di grasso. Le mammarie a pera che palpo, vergognandomi soltanto un poco, l'incavo del ventre che sfioro col dorso delle dita, l'inflessione da ginnasta dei lombi. Mi adagio sul talamo su cui era stata distesa una ruvida coltre di lana cotta che, nel clima torrido di quel buco di cemento, ci sta come il cazzo sui maccheroni. Una coperta di tipo militare come quelle che distribuisce la Protezione Civile ai terremotati. Impestata di cimici (o roba del genere), come scoprirò la mattina dopo quando mi ritrovo un ponfo come una ciliegia su di una chiappa. Mi adagio mentre costei osserva, con malcelato orrore, l'erezione di un membro cubitale fendere ondeggiando quell'atmosfera sempre più pesante. Mi aveva garantito (la sorellina) che non ci sarebbero stati problemi per una dotazione XL (come diceva Lina Merlin, fare la puttana con la figa di un'altra, una cosa che la mandava in bestia) ma puntualmente inizia la lamentela che è troppo grosso...che noi italiani di solito ce l'abbiamo piccolo... Perchè, come ce l'hanno i rumeni? Non lo so, io non lavoro in Romania... risponde piccata pentendosi subito di questa esternazione.
Ogni mio precedente tentativo di intervistarla era già stato rigettato come un indebito tentativo di invadenza. Come ti chiami... quanti anni hai... da dove vieni... e quest'ultima interrogazione stava per volgere la situazione verso la crisi indefettibile. Ecco... non entra preservativo...no possiamo... faccio di mano... Comincia a piagnucolare. Nessun problema, la consolo pacioso, se vuoi me ne torno a casa adesso, mi ridai indietro i soldi e siamo pari... Non ci crede nessuno al rimborso del cinquantino e infatti è esttamente questo il momento in cui alza la voce: ma io no parla italiano.. no capire... io detto forse...tu vieni qui da me... ti comporti così... La invito ad abbassare i toni come lei poco prima mi aveva invitato a regolare il mio timbro di voce, per non disturbare i vicini, e sporgendomi a prendere dalla tasca dei pantaloni dei volgarissimi Pamitex che mi ero portato appresso, le porgo, serafico, la soluzione al problema. Li prende ma è ancora troppo sbroccata per riuscire ad aprire la busta. La apro io per lei e, passata la superficiale burrasca, la osservo tornare pian piano alla sua naturale indisponenza mentre mi inguanta per bene la tega.
Metti tu sopra... ordina la sbarbina. Avevo, per un attimo, contato in una smorzacandela, così di godere della vista e del tatto di quelle adorabili mammelle. Una posizione che peraltro le avrebbe consentito di dosare la penetrazione a suo piacimento ma probabilmente un numero così acrobatico non è contemplato nelle prestazioni offerte e forse nemmeno mai affiorato nell'immaginario erotico di codesta frigida preadolescenziale. Fa per piazzarsi supina a gambe spalancate, pronta nella postura meno faticosa del mestiere, quando la vedo armeggiare ancora intorno al mio uccello. La sua natura malfidente le fa vedere qualcosa di poco convincente nel preservativo che le ho fornito. Apre il cassetto e, falsa e bugiarda, ne tira fuori quello giusto, sostituendo il mio gommino alla velocità di un pit stop. Andiamo a cominciare, senza affondi troppo spinti, una mezza scopatina fra le più sgradevoli di cui ho memoria. Cercando di incrociare il meno possibile la sprezzante alterigia dei suoi occhi che, assieme al caldo asfissiante e al sottostante cilicio a due piazze di Iacopone da Todi , potrebbero minare le mie capacità erettili da un momento all'altro. Mi concentro sulle tettine che, benchè stiano ballando aggraziatamente su e giù, hanno ormai perso buona parte delle loro proprietà suggestive, così appiattite e sudate sul petto.
Lo stop arriva presto, lamenta dolori la piccola. Ti fa male il pancino? Dove? Mi indica una linea sopra i peli del pube che stanno crescendo vigorosi. Non vede un rasoio da almeno dieci giorni la sua aiuola, e si sente. Esco fuori e Seduto al bordo del letto mi tiro via il goldone che si stava già sfilando da solo da quello che ormai si presenta come un desolato lumacone. Tiro finchè schiocca sulla mia mano come una frusta, finendo fra gli altri due per terra. Ho voglia di andarmene, logorato dal caldo e dal disagio. Mi propone di finirmi con una sega. Ricambio il suo sguardo insolente con una moneta anche peggiore. Stolta femmina, hai avuto i miei soldi ma non potrai mai capire perchè te li ho dati. Rispondo con un: no grazie, come mi faccio le seghe io non me le fa nessuno. Contrariata abbozza un sorriso di scherno, si direbbe l'unico di cui è capace. Ti sei ubriaco... tu vieni qui...ti comporti così... mi prendi in giro... Ti pare che puzzo di alcol? Mi vesto con studiata flemma mentre ci scambiamo lunghe occhiate piene di livore e disprezzo e con l'intimo piacere di coltivare un'idiosincrasia reciproca.
Lei ha le valige pronte, il giorno dopo se ne sarebbe ritornata a casa sua, da qualche parte sui Monti Transilvani suppongo.
Buon rientro in Romania! La saluto prendendo la porta senza voltarmi indietro.
Ma non temete che ritorna.