Anche a me più di una ha riferito di clienti appagati da incontri che al massimo si risolvono con un massaggio. Una volta la ragazza con cui ero me ne indicò uno all'uscita dell'albergo, con un tono allegro che celava un punta di derisione.
"Per la prossima ora cambio mestiere e mi vesto da amica", mi disse.
Non un giovanotto di primo pelo, lui, ma neanche l'anziano che mi prefiguravo potesse essere l'unico al quale la sola compagnia di una giovane e bella ragazza calmava le pulsioni. Quaranta, forse cinquanta anni.
Per quanto riguarda esperienze personali, anche a me è capitato una volta di pagare senza che il cazzo trovasse riparo in un posto più confortevole dei boxer che indosso.
Entro in stanza con la lei in questione e iniziamo a spogliarci. Era sorridente e divertita, in un modo però che mi appariva irrequieto. L'avevo notato già in auto, ma ci sono giorni in cui le parole mi pesano più che in altri, non riuscendo a non trovarle banali e ipocrite, e non le avevo chiesto nulla.
Esco dal bagno e lei è sdraiata supina sul letto con l'intimo ancora addosso. Cavolo, quanto era bella. La puttana più bella che io abbia mai scopato.
Non ero completamente lucido, avevo tirato qualche striscia di coca ed ero su di giri.
Mi stendo prono accanto a lei. Le sorrido, ricambia, ma continua a sembrarmi strana. Assumo un'espressione interrogativa. Inizia a parlare.
Aveva subito una rapina proprio prima che la incontrassi. Era salita in un auto e chi guidava aveva deviato dal percorso che li portava in albergo. Si erano fermati in una stradina perpendicolare a quella principale. Lei aveva capito cosa stesse per accadere, ma non sapeva cosa fare. Il verme le prese la borsa dal grembo, le afferrò i capelli e iniziò a tirarglieli, cercando di sbatterle il viso sul cruscotto. Oppose resistenza e così le molla un pugno sullo stomaco. Lei si dimena e in qualche maniera riesce a svincolarsi della presa. Afferra la borsa ed esce dall'auto.
"Ti sei ripresa la borsa?", la interrompo.
"Si", rispose lei ridendo.
Mentre raccontava, il volto non metteva mai via il sorriso, quasi come se non volesse dar peso a quello che era appena accaduto, ma contemporaneamente gli occhi le si stava gonfiando di lacrime.
"Sono uscita dall'auto, eravamo proprio affianco la strada. Sono sicura che si vedeva quello che mi stava facendo, ma nessuno si è fermato."
"Lui si avvicina, io indietreggio. Continuano a passare persone. Desiste, torna dentro l'auto e se ne va."
"Nessuno si è fermato", ripete.
Sono incredulo. E schifato. Mi sento inadeguato, non so cosa dire. Vorrei abbracciarla. Non faccio nulla. Le sorrido dispiaciuto. Si avvicina e ricambia.
Più la guardo e più la trovo illegittimamente bella. Una bellezza bambina, intoccabile, quasi come se il contatto con qualsiasi uomo in qualche modo la sciupasse.
"Non mi va di fare sesso", le dico.
Rimaniamo per qualche minuto in silenzio, io con l'inettitudine che mi sento addosso, lei persa nei suoi pensieri.
Si stende sul braccio, si rivolge verso di me e inizia di nuovo a parlare.
Parla di un sacco di cose. Del lavoro, della famiglia, dei tatuaggi, dei posti in cui è stata.
Man mano che parla appare sempre più serena e anche io mi calmo, scrollando via riflessioni di un cervello che fatico sempre a spegnere.
Mi confido anche io, in un modo che solitamente la mia arroganza e il mio egoismo mi rendono difficile.
Mi alzo per andare in bagno, prendo l'orologio sul comodino e mi rendo conto che sono trascorse quasi due ore.
Si alza anche lei e ci rivestiamo.
Lei va alla porta. Io riprendo il portafogli poggiato sul tavolo, lo apro, tiro via i soldi e glieli porgo.
Mi guarda. "Non abbiamo fatto niente".
"Pago per il tempo che mi hai tenuto compagnia", ribatto.
La rividi poi altre volte.
Quei soldi "spesi a vuoto, senza scopare" mi garantirono successivamente il miglior tempo che io abbia mai comprato.