Rispondo qui ad Elisa perché credo che l'argomento vada oltre il topic in questione.
Elisa, prima di sottoporti alcune mie riflessioni, devo confessarti di avere maturato per te una certa ammirazione.
Ho apprezzato il modo con cui hai difeso te stessa, lo stile con cui lo hai fatto, le parole che hai scelto.
L'intelligenza effervescente mi attrae molto più che un bel culo, e tu sembri essere dotata di entrambi.
Elisa, conoscere bene una persona è un impegno che può anche richiedere una vita intera... e a volte non è neanche sufficiente.
Qui, invece, pretendiamo di farlo in poche righe.
E' questo il limite più grande delle recensioni: il punto di vista soggettivo. Un'idea sviluppatasi spesso in pochi secondi, sull'uscio di una porta. Figlia di emozioni, di ormoni, di necessità fisiche.
Il nostro io, varcato l'ingresso, si immerge nell'intimità di un'altra persona, nella sua casa, nei suoi oggetti, nella sua aria... prima ancora che nel suo corpo.
E' un'azione forte, intensa e, nel nostro caso, quasi traumatica perché non mediata dai tutti quei processi di avvicinamento, di conoscenza che sarebbero richiesti nei rapporti tra due persone.
Il conoscersi, allora, è limitato a pochi sguardi, alla formulazione di ipotesi errate già in partenza.
Ci aggrappiamo per necessità a degli stereotipi, e cerchiamo di ricondurre a questi la nostra breve esperienza con quella persona.
Forziamo i nostri giudizi, ci proteggiamo dall'intromissione nella nostra sfera intima, comanda l'istinto, ci apriamo, ci chiudiamo, ci vergogniamo oppure esageriamo i nostri atteggiamenti.
In ultimo priviamo l'incontro di tutto quanto è necessario per una reale conoscenza dell'altro.
Da parte vostra avviene lo stesso, in modo più meccanico e allenato, ma molto più inteso.
Dare il proprio corpo ad un estraneo è possibile soltanto se si difende con i denti tutto quello che va oltre il proprio corpo.
Anche per voi il giudizio è espresso in pochi secondi, viziato dall'inevitabile catalogazione dei clienti in categorie quasi sempre errate.
Un telefonino o un portafogli, un odore o un paio di occhiali, vi fanno attribuire una persona a questo o a quel "genere" di cliente.
E anche questo processo è influenzato dal vostro umore, dalle vostre emozioni, dai vostri ormoni.
L'incontro tra punter e pay, è sempre un incontro tra due persone.
Molti lo dimenticano, e tutti pagano le conseguenze di tale dimenticanza.
E' chiaramente un incontro che nasce da chiari e reciproci interessi, ma il non capire che dietro quegli interessi ci sono persone è la differenza tra la soddisfazione e l'insoddisfazione.
Spesso l'esito di un incontro, e leggendo le recensioni è del tutto evidente, è giudicato positivo non tanto dalla natura dei servizi offerti quanto dalla "serenità emozionale" che la pay è stata in grado di darci.
Un bacio, una carezza, un parola detta al momento giusto (o non detta), ci farà ricordare quel momento in senso positivo o non.
Il comportarsi da maniaci, l'essere non rispettosi, pensare di potere veramente disporre totalmente di chi abbiamo davanti è l'atteggiamento più errato possibile.
La pay non deve cadere nello stesso errore.
Si può scegliere quali servizi offrire o a chi offrirli, ma l'idea di base è quella di fare stare per quanto possibile "bene" il cliente. Invece l'approccio più comune è la totale chiusura al senso di "dovere" e l'esaurimento dei propri compiti nell'incassare la cifra e nella concessione dell'accesso ai propri fori.
In definitiva, Elisa, quando sentirai qualcuno di noi dire di lasciar perdere è perché la sensazione che abbiamo avuto nell'incontro, il ricordo dominante, l'impronta emotiva è stata quella di essere stati trattati non come persone ma come e unicamente bancomat umani.
Come ho detto tante volte, posso anche comprendere tale approccio con il cliente.
Il vostro lavoro nasce da una esigenza del tutto materiale (i soldi), ma non potete lamentarvi se noi sceglieremo chi ha la sensibilità, la capacità, l'intelligenza "imprenditoriale" di non farcelo pesare così tanto da compromettere ogni possibilità di avere piacere dall'incontro.

Elisa, prima di sottoporti alcune mie riflessioni, devo confessarti di avere maturato per te una certa ammirazione.
Ho apprezzato il modo con cui hai difeso te stessa, lo stile con cui lo hai fatto, le parole che hai scelto.
L'intelligenza effervescente mi attrae molto più che un bel culo, e tu sembri essere dotata di entrambi.
Elisa, conoscere bene una persona è un impegno che può anche richiedere una vita intera... e a volte non è neanche sufficiente.
Qui, invece, pretendiamo di farlo in poche righe.
E' questo il limite più grande delle recensioni: il punto di vista soggettivo. Un'idea sviluppatasi spesso in pochi secondi, sull'uscio di una porta. Figlia di emozioni, di ormoni, di necessità fisiche.
Il nostro io, varcato l'ingresso, si immerge nell'intimità di un'altra persona, nella sua casa, nei suoi oggetti, nella sua aria... prima ancora che nel suo corpo.
E' un'azione forte, intensa e, nel nostro caso, quasi traumatica perché non mediata dai tutti quei processi di avvicinamento, di conoscenza che sarebbero richiesti nei rapporti tra due persone.
Il conoscersi, allora, è limitato a pochi sguardi, alla formulazione di ipotesi errate già in partenza.
Ci aggrappiamo per necessità a degli stereotipi, e cerchiamo di ricondurre a questi la nostra breve esperienza con quella persona.
Forziamo i nostri giudizi, ci proteggiamo dall'intromissione nella nostra sfera intima, comanda l'istinto, ci apriamo, ci chiudiamo, ci vergogniamo oppure esageriamo i nostri atteggiamenti.
In ultimo priviamo l'incontro di tutto quanto è necessario per una reale conoscenza dell'altro.
Da parte vostra avviene lo stesso, in modo più meccanico e allenato, ma molto più inteso.
Dare il proprio corpo ad un estraneo è possibile soltanto se si difende con i denti tutto quello che va oltre il proprio corpo.
Anche per voi il giudizio è espresso in pochi secondi, viziato dall'inevitabile catalogazione dei clienti in categorie quasi sempre errate.
Un telefonino o un portafogli, un odore o un paio di occhiali, vi fanno attribuire una persona a questo o a quel "genere" di cliente.
E anche questo processo è influenzato dal vostro umore, dalle vostre emozioni, dai vostri ormoni.
L'incontro tra punter e pay, è sempre un incontro tra due persone.
Molti lo dimenticano, e tutti pagano le conseguenze di tale dimenticanza.
E' chiaramente un incontro che nasce da chiari e reciproci interessi, ma il non capire che dietro quegli interessi ci sono persone è la differenza tra la soddisfazione e l'insoddisfazione.
Spesso l'esito di un incontro, e leggendo le recensioni è del tutto evidente, è giudicato positivo non tanto dalla natura dei servizi offerti quanto dalla "serenità emozionale" che la pay è stata in grado di darci.
Un bacio, una carezza, un parola detta al momento giusto (o non detta), ci farà ricordare quel momento in senso positivo o non.
Il comportarsi da maniaci, l'essere non rispettosi, pensare di potere veramente disporre totalmente di chi abbiamo davanti è l'atteggiamento più errato possibile.
La pay non deve cadere nello stesso errore.
Si può scegliere quali servizi offrire o a chi offrirli, ma l'idea di base è quella di fare stare per quanto possibile "bene" il cliente. Invece l'approccio più comune è la totale chiusura al senso di "dovere" e l'esaurimento dei propri compiti nell'incassare la cifra e nella concessione dell'accesso ai propri fori.
In definitiva, Elisa, quando sentirai qualcuno di noi dire di lasciar perdere è perché la sensazione che abbiamo avuto nell'incontro, il ricordo dominante, l'impronta emotiva è stata quella di essere stati trattati non come persone ma come e unicamente bancomat umani.
Come ho detto tante volte, posso anche comprendere tale approccio con il cliente.
Il vostro lavoro nasce da una esigenza del tutto materiale (i soldi), ma non potete lamentarvi se noi sceglieremo chi ha la sensibilità, la capacità, l'intelligenza "imprenditoriale" di non farcelo pesare così tanto da compromettere ogni possibilità di avere piacere dall'incontro.
