PERCHE’ LO SCOOTER – parte prima

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MILANO
Chi mi legge da qualche tempo, sa della mia scelta di vita di essere passato da qualche anno dalla macchina al 2 ruote, specialmente per i miei spostamenti a Milano. E’ stata una scelta di vita sofferta, ma che in breve mi ha letteralmente cambiato la vita, in tutti i sensi. E ne ho guadagnato in salute, soprattutto. Si, perché quando ti rendi conto che cominci a parlare da solo, a smadonnare per tutto il tempo che percorri in macchina, alzarti alle 6,30 di mattina, arrivare in studio alle 8,45 e accorgerti che nonostante la giornata sia appena iniziata tu sei già incazzato furente, rappresentano tutti sintomi di qualche evidente malessere, con il quale è meglio cominciare a fare i conti. Ma vi giuro, che prima di questo fatidico giro di boa, ne ho passati di momenti duri. Molto duri. Parecchio duri. La mia esistenza automobilistica milanese era ormai minata costantemente da nuove e continue insidie che, in quanto paesano brianzolo doc, nemmeno immaginavo.
In paese, se telefonavo ad un amico per chiedergli dov’era e mi rispondeva che era al bar, gli dicevo “Prendo la macchina e fra due minuti sono lì”; a Milano, mi toccava dirgli “Mi ripeti la via? Anche il nome, per favore, con lo spelling delle città, che lo metto nel navigatore. Tra un paio d’ore sono lì”.
Inoltre, nel mio paesello non c’era il lavaggio strade, che una sera alla settimana ti faceva parcheggiare la macchina in posti così lontani che, per andarci, bisognava per l’appunto prendere la macchina (!!??)
E non c’erano i binari del tram. La prima volta che ero stato in macchina a Milano avrò avuto vent’anni. Sono arrivato in Corso Sempione con la mia A112 e c’erano queste strade enormi, così giù ad accelerare da bravo cazzone. Poi appena avevo beccato i binari del tram e ci ero finito dentro avevo come perso il controllo del mezzo e credo di aver fatto seicento metri direttamente guidato dai binari.
In paese, infine, non trovare parcheggio significava doverla parcheggiare a venti metri da dove si deve andare, che è una signora distanza, per la quale l’imprecazione era più che giustificata. A Milano, venti metri te li sognavi, e cinquanta erano un dono piovuto dal cielo. E la distanza diventava un problema del tutto trascurabile, rapportata al tempo che era necessario per trovare quel bastardissimo, fottutissimo, schifosissimo spazietto vuoto. Mi ero ormai, con una certa rassegnazione, fatto l’idea di come sarei morto, un giorno: cercando un parcheggio. Un giorno l’avevo parcheggiata su un marciapiede per la disperazione, dopo che mi ero accorto che era almeno la terza volta che ripartiva il cd nell’autoradio, da quando avevo iniziato a cercare.
Comunque non era il non trovare parcheggio a farmi incazzare veramente, quanto il constatare che un secondo prima ce n’era uno libero e lo aveva appena occupato un altro. Arrivavo in queste piazze strapiene di parcheggi occupati e incrociavo sempre lo stronzo di turno (probabilmente era sempre lo stesso) che stava scendendo dalla macchina appena parcheggiata. Si accendeva una sigaretta e si incamminava via felice come una pasqua. Maledetto bastardo.
Era nel traffico, però, che si consumava inesorabile il mio sistema nervoso. In queste code infinite, ingorghi, intoppi… a qualunque ora del giorno e della notte. In paese, alle tre del pomeriggio di un giorno d’inverno, potevo anche uscire di casa nudo con una tromba nel culo tranquillo di non essere visto. A Milano, l’unica volta che ero riuscito ad accelerare in tangenziale erano le quattro e mezza di un martedì notte.
Ma dove minchia vanno tutti?
 
eddyvedder ha scritto:
Ma dove minchia vanno tutti?
Eddy, mi verrebbe da dire:vanno tutti a pu..... :whistle3:

Comunque, "quello che ha appena percheggiato" lo conosco. C'è anche a Bergamo.
Sarà lo stesso. Quel maledetto.

:biggrin:
 
Che dire eddy? Più ti leggo e più mi sembra di vedere me stesso riflesso allo specchio. Non tanto per la scelta dello scooter alla quale ho pensato più di una volta ma che poi ho sempre rinviato per una serie di ragioni contingenti, quanto per la descrizione che fai della "qualità" della vita in una metropoli come quella milanese, in cui mi riconosco perfettamente.

Diciamo pure che è una vitaccia, e che vivere addossati gli uni agli altri, facendo le stesse cose più o meno tutti negli stessi orari mette a dura prova anche gli spiriti più pacati e riflessivi. Personalmente, dopo una lunga e attenta riflessione sto meditando un allontanamento da questi ritmi frenetici, che non trovo più consoni con il mio spirito attuale.
 
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