«T'inganni, caro Lucilio, se consideri come un disordine proprio del nostro secolo la dissolutezza,
l'abbandono dei sani principi morali, e gli altri vizi che ognuno suole attribuire al suo tempo.
Questi sono i vizi degli uomini, non dei tempi: nessuna età e' esente da colpe.
Se ti metti a considerare la corruzione nelle varie epoche - arrossisco a dirlo -
troverai che essa e' non e' mai stata più sfacciata come ai tempi di Catone.
Nessuno crederebbe che sia corso denaro nel processo in cui Clodio doveva rispondere
dell'adulterio commesso con la moglie di Cesare (...) Eppure fu dato denaro ai giudici e,
ciò che e' più turpe ancora di questo accordo, essi pretesero, in aggiunta, che si concedessero
alla loro libidine matrone e adolescenti di buona famiglia.
(...)
Tutto ciò avverrà, come e' sempre avvenuto: talvolta il timore delle leggi potrà
tenere a freno i costumi corrotti della città, ma la corruzione non potrà mai cessare spontaneamente.
Non devi, dunque, credere che sia stata la nostra generazione a concedere tutto
alla dissolutezza e a negare ogni efficacia alle leggi.
La gioventù e' molto più seria oggi che allora, quando l'accusato negava l'adulterio
davanti ai giudici, mentre i giudici confessavano l'adulterio davanti a lui; quando lo stupro
era un mezzo per amministrare la giustizia.
(...)
Tutte le epoche avranno i loro Clodii; ma non tutte le epoche avranno i loro Catoni».
(Seneca, Lettere a Lucilio, Libro XVI, Lettera 97)