Escort Sara

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"Tranzilvania, Tranzilvania bitteee!"
NOME INSERZIONISTA: Sara
RIFERIMENTO INTERNET: http://roma.bakecaincontrii.com/donna-cerca-uomo/new-entryyyy-sara-alessia-s3er164113598
CITTA DELL'INCONTRO: Roma quartiere Centocelle
NAZIONALITA': italiana
ETA': 23 anni dichiarati
CONFORMITA' ALL'ANNUNCIO: foto vere al 100% (nell'ordine, è quella col vestito leopardato e con l'intimo rosa). In altre foto, è comunque quella senza il tatuaggio sul fianco.
SERVIZI OFFERTI (vedi DIZIONARIO): bj+rai1 x 50; bbj+rai1 x 70
SERVIZI USUFRUITI: bbj+rai1
COMPENSO RICHIESTO: 70
COMPENSO CONCORDATO: 70
DURATA DELL'INCONTRO: 20'
DESCRIZIONE FISICA: ragazza snella, sedere smilzo come a me piace
ATTITUDINE: gentile, disponibile, brava nel fare e teatralmente sboccacciata a parole
REPERIBILITA': semplice
PRESENZA DI BARRIERE ARCHITETTONICHE: sì
TELEFONO:

LA MIA RECENSIONE:

Il giorno del suo ventiduesimo compleanno Matteo lo passò favoleggiando di scopare una puttana, ma non una qualunque: una bionda principessa dalle fattezze levigate e dal corpo odor di rosa, di quelli che le sferzate siberiano fanno arrossare e che gli sguardi dell'uomo del Mediterraneo fanno arrossire. Non sapeva, Matteo, che quel suo ideale era per l'appunto una puttana qualunque.
A dirla tutta, non proprio una puttana qualunque ma una qualunque puttana russa da duecento euro la mezzora. Se aveva indagato mentalmente anche il più piccolo particolare dell'aspetto della sua donna perfetta, dall'arco sopraccigliare alla levigatezza dell'unghia del trillice e all'esatta curvatura con in cui ogni suo angolino dovrebbe scomparire sottopelle, non si era invece interessato a conoscerne il costo.
Pensava – animo candido o seguace del come va, va – che tutto fosse rapportato alle sue spese abituali che andavano dall'euro e mezzo per un quadrato di pizza rossa con cui santificava il pranzo ai trentacinque euro al mese da dare all'ATAC. Soltanto le auto sapeva costare molto, per questo affidava il grosso dei suoi soldi e del suo tempo alla compagnia dei trasporti pubblici.
E le auto sempre avevano attirato la sua attenzione, particolarmente quelle grosse, lucide e coll'uomo affianco ingiaccato e incravattato che vedeva fuori da quegli hotel col tappeto rosso e l'inserviente in qualche buffo costume d'altri tempi, talvolta col cilindro, spesso coi grossi bottoni dorati sbrilluccicosi, ogni volta con l'aria triste e vergognosa che li accomuna ai cagnolini col cappottino a far da guardia all'ingresso.
Vedeva questo universo al servizio degli altolocati dai finestrini impataccati, unti di manate dal di dentro e di sfiati cittadini dal di fuori, del 64 o del 492 o di una qualche altra linea che gli tornasse utile per pigliare la metro. Col tempo, aveva imparato dove guardare e quando guardare e vi prestava sempre un'eccezionale attenzione anche – paradosso della routine – se non vi faceva coscientemente caso.
Ma il collo gli si torceva lo stesso e gli occhi gli si stringevano a fessura anche quand'era sovrappensiero, attento più a non farsi borseggiare o a tenersi lontano dai passeggeri maggiormente indesiderati. Per i più anziani, anche lui era fra quelli da tenere a distanza. Per quelli malmessi, erano invece i vecchi dall'alito rancido e dai vestiti da petrolchimico i vicini peggiori. Alla fine della fiera, non ce n'era uno non trovasse sgradevole sedersi vicino ad un altro.


Era la terza sigaretta del secondo pacchetto di giornata quella che Luca pestava a terra girandola e rigirandola fra il tacco e il sampietrino, per poi scalciarla con un forte schiocco di cuoio verso il tombino più vicino senza tuttavia che ci finisse dentro: restava lì, fra tante altre cicche, a farsi guardare dai passanti. Come Luca, peraltro. Gli toccava di restarsene lì a farsi guardare da una città che gli roteava attorno.
Aspettava perché il suo mestiere era quello di aspettare. Chi non era addentro alle cose sue, poteva ingenuamente pensare che il suo mestiere fosse quello di guidare un qualche macchinone con a bordo un qualche riccone o un qualche personaggio che viveva parentesi di agiatezza estrema a spese di enti pubblici o società private quindi – per un verso o per l'altro – a spese di tutti.
Agli inizi, all'esordio nella professione, anche Luca si immaginava in moto continuo e ininterrotto tutto il giorno e tutti i giorni, da una parte all'altra della città, da dentro a fuori e ancora dentro e ancora fuori la città, stretto nel traffico nel suo salottino climatizzato, stereofonizzato, profumato da centoventimila euro con solo qualche comando e quattro ruote a girare di sotto.
Gli era bastato poco, pochissimo, per accorgersi che la professione non consisteva nel prendere, nel portare, nell'accompagnare in qualche dove, nel trasportare persone, ma soprattutto nell'aspettare: in un parcheggio quand'era fortunato, spesso a bordo strada, spessissimo in doppia fila con le lucine e i ticchettii delle quattro frecce a perforargli le retine e a punzecchiargli i nervi.
Questa era invece una parentesi fortunata in una giornata fortunata. Il Sole era sceso oltre i parapetti del palazzo di fronte, l'hotel gli offriva uno spiazzo in cui sostare dunque poteva smontare dal sedile, sgranchirsi le gambe atrofizzate dal cambio automatico, prendere aria, soprattutto fumare, cosa che non poteva permettersi in nessun modo in macchina, neanche coi finestrini tutti calati.
Gli occhiali da sole non se li toglieva neanche la notte, figuriamoci a sera. Lo facevano sentire un tutt'uno con l'automobile, uno fra i tanti suoi sistemi automatici, un espediente di genio della casa costruttrice per risolvere gli altrettanti banali inconvenienti della guida e giustificare un aumento del prezzo. Gli servivano soprattutto da schermo nei confronti della clientela che si portava appesa dietro il culo.


Era finalmente venuto il giorno del trasloco: da via Nazionale verso una nuova vita a Pantano Borghese (che di borghese ha ben poco e di pantano molto). Aveva riflettuto tanto, il buon Marco, sulla drastica e benigna riduzione del costo della vita, aveva soppesato i ricavi e le spese, aveva fatto i suoi conti e s'era detto che la differenza fra quanto incassava per il mezzanino in zona centrale e quanto andava a pagare la casetta semi-indipendente l'avrebbe sfamato per il resto dei suoi giorni.
Non era più vita, la sua, o almeno tale non la considerava. Di lavoro neanche a parlarne (che poi niente sapeva fare), la pensione tanto distante da suscitare più fede che speranza e chissà se, toccando infine il suo turno, una pensioncina ci sarebbe scappata anche per lui. Mezz'ora al giorno di metropolitana ad andare e mezz'ora a tornare solo per fare la spesa ad Arco di Travertino, dove la roba costa meno cara ed è buona lo stesso da mettere in pancia.
Marco aspetta il furgone coi facchini strascicando passi nervosi nell'appartamentuccio, vuoto a metà e per metà ingombro di scatoloni di ogni peso e dimensione. Dietro si lascia solo la cucina, troppo vecchia, troppo rovinata, troppo sottodimensionata ai larghi spazi che attendono la sua nuova esistenza di romano fuori di Roma ma formalmente pur sempre romano. Fosse dipeso da lui, anche gli infissi e le mattonelle si sarebbe portato via.
Restava fuori dai cartoni soltanto un vecchio divano Louis Philippe, le gambe ricurve rose dai tarli e la tappezzeria consunta dall'uso: ma un uso vecchio, si direbbe persino antico, perché a memoria sua nessuno si era mai azzardato a sedercisi – egli compreso – tante erano le preziose memorie famigliari riferite a quell'accrocco di legni esausti, memorie la cui conservazione si pensava direttamente legata alla perdurante esistenza di quello scomodo e ancorché brutto oggetto.
Si raccontava attorno a quel divano ogni sorta di avventura che potesse mettere in buona luce la famiglia cui apparteneva: a seconda delle convenienze, si diceva fosse servito da ricovero di necessità per un bersagliere gravemente quanto eroicamente ferito il venti di settembre o che nell'inverno del '29 il cardinal Gasparri vi avesse redatto di getto alcuni articoli del futuro concordato.
Ma la storia che maggiormente allietava le serate, all'epoca in cui di serate se ne tenevano ancora, era quella che aveva per protagonista il Duce stesso nei panni di maestro di seduzione intento a dar prova di certe sue indiscutibili capacità ammalianti con la bisnonna di Marco. Era peraltro vezzo di tante famiglie romane lustrarsi di talune frequentazioni, e offendersi da loro pur di lustrarsi.


Ioan svolgeva opera di carico e scarico. Stava nel furgone sempre lato passeggero. Gli chiedessero pure di smontare e rimontare San Pietro entro sera, lo farebbe... ma non di guidare il camioncino, quello proprio no, perché aveva il terrore di strusciare le fiancate contro altre macchine, di buttare a terra un motorino, di arrotare il solito cretino che si butta in mezzo alla strada per non fare dieci passi fino alle strisce pedonali.
Gli andava bene solo di caricarsi casse, cassette e mobili su e giù per le scale: e se questo andava bene pure a chi pagava, il lavoro era bello che preso. Quarant'anni passati da un pezzo c'aveva, quasi cinquanta. Sedeva zitto e fumava: non parlava, non beveva, a stento mangiava quand'era mezzogiorno. Alle cinque di sera si faceva lasciare al semaforo della Togliatti con la Casilina e se ne tornava a casa a piedi.
Non prima, chiaramente, di trattenersi quel paio d'ore al tavolino del bar sufficienti a ingollarsi una mezza dozzina di birre da un litro, una appresso all'altra, e dar voce ai passanti e guardarsi attorno e guardarsi dentro e accettare qualche chiacchiera quando capitava. Allora – tutti in quel bar lo sapevano – si macchiava l'animo di nostalgia a rivangare i tempi in cui era poliziotto in Romania, e qualche volta delle forze speciali e sempre più spesso guardia personale del Presidente Ceausescu.
Non era vero un cazzo che all'epoca appena gli crescevano i primi peli sul mento, ma gli italiani credono volentieri a quello che si racconta loro e, se anche non ci credono, fanno a tutti la cortesia di crederci e di sembrare attenti e interessati e se il prezzo di un'invenzione si riduce a qualche sorrisino incrociato e il guadagno sta in una bevuta offerta di buon grado, vale la pena di raschiarsi le corde vocali a forza di dire quanto fosse una bella persona il Conducător...
che lui al popolo a noi ci voleva bene è che solo erano atorno gente cativa che si aprofitavano di lui e di popolo rumeno pe soldi, tanti soldi, che falso falso falso era quelo che dicevano mericani in piaza Timisoara e che più cativa di tute era moglie di Ceausescu Elena quela putana che diceva sono una scienziata grande la più grande grande di tuti e l'academia di scienze era tuta sua che se l'era fata pe lei e lei solo comandava...
a quel punto Ioan amava raccontare l'aneddoto di quel gruppo di chimici dell'Accademia delle Scienze cui necessitava dell'alcool per le proprie ricerche ma che se l'era visto rifiutare per timore che se ne sbronzassero. Rigettata la prima richiesta, ne formularono una seconda sostituendo alla parola “alcool” la formula chimica dello stesso ed allora, soltanto allora, Elena di suo pugno ne approvò la fornitura – si dice – ignorando a cosa corrispondesse.


Stava Megabizzo al tavolino di fianco, traballonzolante – il tavolino – quanto il rumeno che ciarlava, a bere controvoglia un tè freddo tanto per ammazzare l'attesa che la puttana si liberasse. La sedia d'alluminio sarà sembrata al padrone del bar più solida di quelle di plastica e leggera e facile uguale da impilare, per questo forse l'aveva comprata; ma era scomoda quanto una confessione e le sue stecche fredde contro la camicia sudaticcia dell'uomo promettevano sicuro malanno.
Combatteva le polveri sottili e i metalli pesanti che le auto gli smarmittavano addosso togliendo loro il posto nei polmoni grazie a larghe boccate di tabacco catramoso, e stava a sentire e più sentiva più s'annoiava e più s'annoiava più gli veniva voglia di ficcarsi fra le cosce della tizia che aveva intravisto in foto. Il rumeno parla e parla e parla ma chissà se parlerebbe altrettanto sapendo che la figlia batte nel veronese... forse lo sa, ed esattamente per questo parla: aiuta a non pensare.
Lo ascoltano due buone manciate di italiani, ridendone: chissà se riderebbero altrettanto sapendo che la figlia o la sorella prende cazzi per pochi soldi nel portone appresso. Un'italiana gli manca da parecchi mesi ma stavolta va a colpo – quasi – sicuro: il posto lo conosce perché c'è già stato, l'amichetta della puttana la conosce perché c'è già stato e sia una volta che l'altra s'è trovato bene quindi... i cinesi non camminano mica coi piedi per aria 'ché il mondo s'è girato di botto.
Che bella parola puttana... mica è un'offesa: il figlio di puttana è uno sveglio, uno pronto a trarre vantaggio, uno che s'approfitta ma solo della stupidità altrui... gli italiani sono figli di puttana, tutti, perché è un imprinting che si portano dentro sapendolo o non sapendolo, anche quando cercano – magari in pochi – di soffocarlo... e quando vado nella basilica dedicata a tale Clemente mi fermo sempre con incommensurabili piacere a decifrare quel fumetto primordiale che attesta che sì, siamo a tutti gli effetti figli di puttana...
pensa Megabizzo sentendosi irrigidire la mano dal bicchiere raggelato. Lo butta giù d'un fiato quando avverte la vibrazione di una chiamata in entrata e s'alza veloce e prende il marciapiede per una pista d'atletica perché, visto il via-vai, è meglio non tardare ed esser svelti. La bibita ghiacciata gli fa male alla testa come fosse un ago nel cervelletto ma, almeno, gli ha rinfrescato il fiato dalle ceneri che ogni giorno si va a comprare a pacchetti da 20.
Il numero giusto, il cancello su strada, il viottolo condominiale ma anziché varcare il portone gli viene detto di prendere dritto per una scaletta che porta ad un giardino malconcio e ad una porta-finestra dalla persiana verde-speranza. L'appartamento è lo stesso dell'altra volta: cambia soltanto la stanza il cui varco interno è stato murato e la finestra riadattata ad ingresso semi-indipendente. Chissà quant'avrebbero da ridire quelli del catasto.


È Alessia a rispondere al telefono, a proporre SEMPRE la coppia (perché si lavora di meno e si guadagna di più), a organizzare il lavoro, a spronare o tranquillizzare l'amica... insomma, è Alessia a dirigere la baracca... o il baraccone... o quel che è quella stanzetta pittata di fucsia buia come un ripostiglio in cui un letto a piazza francese ci sta scomodo e un bagnetto quasi non merita l'appellativo di bagnetto...
è Alessia a comandare l'entrata in scena, i movimenti e le battute degli attori di questa commediola che si recita ogni venti minuti, col suo metro e mezzo di fibre nervose e la sua voce roca da romana de' Roma e i suoi occhietti scuri che non s'indirizzano alla perfezione. Si propone di aspettare in bagno che la scopata finisca, si ricrede e preferisce spostarsi al bar e prende le ordinazioni per tutti per rinfrancare gli ospiti (che tutti, lì, sono ospiti suoi)...
s'infila di fretta i panni della persona normale sopra le calze retate e sfilacciate della puttana ma non se ne convince e si toglie i primi e i secondi e si rassetta una maglietta bucherellata di colore anonimo sopra il reggiseno sgargiante e riprende i calzini lanosi e li posa e li riprende per infilarsi due jeans che non la facciano apparire una mignotta agli occhi di tutti anche se chi lavora al bar ti pare che non lo sappia e ti pare che non si sia proposta lei stessa...
e chi non la capirebbe? aspettare che due che non si sono mai visti e conosciuti finiscano di scopare seduta sul cessetto di quel bagno è per forza di cose deprimente. Non tanto per i mugolii e le sferzate sconce e i cigolii e le ciaffate sciacquettanti che le toccherebbe sentire, quanto per l'ambiente stesso, l'umido e il chiuso e l'ammuffito, l'odore farmacologico dei preservativi usati e il puzzo acre di sperma che vi si ammischia ed effluvieggia dalla busta attaccata al muro come il gas di Loos.
Eccheddupalle ogni vòrta ch'uno s'encaponisce che vòle solo l'amica mia che mme tocca 'spettà 'mmezzo a 'sta mmerda che 'sti probblemi a Torbella nun ce l'avevo mica ma nun era cosa de sta llà che quello nun è posto ppe' lavorà tranquilli nun è proprio posto ppe' lavorà già qua va meglio ch'è 'na via de mezzo che ce gira 'n sacco de ggente ma l'obbiettivo mio dev'esse uno e uno sortanto 'ndo gira 'a ggente coi sòrdi veri, Prati...
che io c'ho da lavorà che io c'ho da lavorareEeEe, 'nacapito? gli'o griderebbe ar monno se 'r monno c'avesse le recchie ma 'r monno nun c'ha 'n cazzo che se ch'avesse 'r cazzo m'oo farebbe cliente e allora nun c'avrei 'n monno de cazzi ma 'r cazzo d'er monno... forse pensa, o forse c'è chi pensa lo pensi, ma sicuramente dice: csciao csciao metteteve d'accordo voi... csciao csciao è stato 'mpiacere... csciao csciao


Sara ha 23 anni: forse ne ha di più o forse ne ha davvero ventitré e soltanto se li porta male. A guardarla, infagottata e un po' incurvata in un abitino bicolore che andrebbe bene per presenziare da invitata ad una cerimonia di cresima o ad un anniversario importante in famiglia, non si capisce affatto se la sua è la serafica tranquillità di chi il mestiere lo conosce e lo esercita da tempo o la rigidità di chi si trova in impaccio a recitare un ruolo assorbito dalla carta del copione ma non ancora sviluppato sul palcoscenico.
Le tenerezze – se così si possono chiamare le pacche e le raccomandazioni – con cui la collega la ricopre uscendo fanno pensare più alla seconda possibilità. Mi piace? Non mi piace? francamente non lo so. La penombra dello stanzino rende tutto piuttosto vago e il colore acceso delle pareti che le si riverbera sul volto la fa sembrare una smunta roscetta ma non credo sia roscia quanto piuttosto castana chiara ma tutto lì dentro assume la coloritura del rosa pallido, del rosa, fino a tutte le gradazioni mancanti al rosso vivo.
Le fattezze del suo viso sono il risultato della combinazione di tre elementi principali: gli zigomi sporgenti, le guance incavate, gli incisivi superiori lunghi e abbastanza dritti. Forse non sono gli zigomi ad essere veramente sporgenti ma le guance ad essere particolarmente incavate, comunque sia ne vien fuori una zampa di gallina verticale quando sorride e sorride molto e questo molto è un gran bene. E se pur non trovandosi a proprio agio è comunque capace di mettere a proprio agio il cliente, di questo occorre rendergliene un merito.
Di mammelle ne ha due (sembra pleonastico ma è un dovere riportare la correttezza del numero) piccole e un po' tanto svuotate sicché devono esserle servite allo scopo precipuo per cui la natura le ha fornite alle femmine della nostra specie. Alcune grinzosità sulla pancia, non evidentissime ma che fanno comunque strepito su quel corpicino assai esile, rimarcano il fatto che all'età sua deve già aver figliato. Soltanto la fica, che pure dovrebbe essere la principale testimone del fatto, sembra esserne uscita indenne...
una fessura piccola e profumata per la quale difficilmente si penserebbe siano passati tre chili e oltre di essere umano, tenuta per buona parte allo stato brado e con marginali zone di ricrescita minore lungo l'inguine. Una fichetta, insomma, che sta tra due coscette magre magre in fondo ad un corpicino da scricciolo smangiucchiato dalla vita, un corpicino che ti si posa sopra leggero come una coperta primaverile per venirti a leccare le palle...
due sfere (sembra pleonastico ma anche in questo caso è un dovere riportare la correttezza del numero) che succhia di gusto, come di gusto succhia e stringe e lavora la virilità e col medesimo gusto si fa slinguare la femminilità sua infiocchettando il tutto con un trivio di quart'ordine tratto dai peggiori porno nostrani delle passate decadi ma che ha, precisamente in questa sua esageratezza, in questa sua goffa intenzione di sedurre o di eccitare, un fascino suo proprio ed un senso estetico che gli va riconosciuto.


Abbiamo introdotto sette personaggi in cerca – chi per un verso e chi per l'altro – d'amore... sesso, considerazione, denaro... tutto può essere amore e nulla lo è mai.
Interesserà sapere che Sara scopa (o si fa scopare, a seconda di come si voglia vedere la cosa) bene, che è un piacere entrarci in relazione temporanea e che la si abbandona controvoglia.
Interesserà sapere anche che Alessia, se ha un cliente per lei e per lei soltanto in attesa, appena ricomposti irrompe nella stanza come vento di tempesta per far sbaraccare chiunque vi sia.
Interesserà già meno sapere che Luca, parcheggiata l'auto di lusso in un viottolo di Centocelle non senza apprensione, proiettava la propria ombra sulla persiana dello stanzino anelando Alessia.
Interesserà poco sapere che Megabizzo, raccolte al volo le proprie cose, salutò le ragazze e salutò persino il signore elegantissimo che s'era ritrovato naso contro naso, ma senza essere ricambiato.
Di nullo interesse era quello che Ioan stava ancora raccontando al suo pubblico circa il prestigio internazionale raggiunto dalla Romania socialista sotto la guida del suo buon presidente.
Che fra quel pubblico fosse mischiato anche Matteo, affranto per come l'aveva trattato una squillo di Borgo Pio sentita la cifra di cui poteva disporre, è anch'esso di marginalissimo interesse.
Che in quel preciso istante, sotto i piedi di tutti loro, corresse un vagone della Metro C con dentro Marco diretto ad una nuova vita, questo realmente non interessava nessuno. Neanche allo stesso Marco.
 

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Complimenti, scrivi molto bene. MI sorgono due domande, e spero gli amministratori vorranno perdonare un pò di flame a commento di una cosi particolare recensione.

La prima: perchè non ne fai un mestiere? Non mi riferisco all'attività di punter, ma a quella di scrittore.

La seconda : leggendo spesso tue recensioni mi è parso che, come in un crescendo, la vena artistica stia prendendo il sopravvento su quella di puttaniere; non è che cominci ad andare a scopare solo per scriverne?

Spero perdonerai la mia ironia, assolutamente priva di qualunque critica ma fatta solo per ridere, magari solo invidia per le tue doti.

Ciao Mega!
 
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Complimenti, scrivi molto bene. MI sorgono due domande, e spero gli amministratori vorranno perdonare un pò di flame a commento di una cosi particolare recensione.

La prima: perchè non ne fai un mestiere? Non mi riferisco all'attività di punter, ma a quella di scrittore.

La seconda : leggendo spesso tue recensioni mi è parso che, come in un crescendo, la vena artistica stia prendendo il sopravvento su quella di puttaniere; non è che cominci ad andare a scopare solo per scriverne?

Spero perdonerai la mia ironia, assolutamente priva di qualunque critica ma fatta solo per ridere, magari solo invidia per le tue doti.

Ciao Mega!

e che ne sai magari è uno scrittore famoso e non lo sappiamo.... mica si firma con nome e cognome
 
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Complimenti, scrivi molto bene. MI sorgono due domande, e spero gli amministratori vorranno perdonare un pò di flame a commento di una cosi particolare recensione.

La prima: perchè non ne fai un mestiere? Non mi riferisco all'attività di punter, ma a quella di scrittore.

La seconda : leggendo spesso tue recensioni mi è parso che, come in un crescendo, la vena artistica stia prendendo il sopravvento su quella di puttaniere; non è che cominci ad andare a scopare solo per scriverne?

Spero perdonerai la mia ironia, assolutamente priva di qualunque critica ma fatta solo per ridere, magari solo invidia per le tue doti.

Ciao Mega!

Grazie mille, fossero tutti così i flame :biggrin::biggrin::biggrin:
Ti rispondo con una conversazione immaginaria:

sai cara, da oggi faccio lo scrittore...
come? no, niente di che...
è che raccontavo su un forum di puttanieri di tutte le mignotte che mi scopavo e siccome i pezzi sono piaciuti...
pensa che ficata: la casa editrice mi paga il 20% del prezzo di copertina dopo la cinquemillesima copia venduta...
lascia stà che nessuno se compra più nemmeno 'r Coriere d'oo Sport
e straccia le cartelle del mutuo
 
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Ironman

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Allora, approfitto della cosa per ricordare a tutti che abbiamo la possibilità di cliccare su "Ringrazia" e "Mi piace", cortesemente cominciamo ad usare questo metodo per non appesantire i threads. Vero che Megabizzo è una gran penna però come vedete si va velocemente off topic. Per il futuro confido nella vostra collaborazione usando la sopraelencata funzione. Ora torniamo a postare eventuali nuove recensioni della donzella.
 
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