parlare di preti non significa parlare di religione più di quanto parlare di sportellisti di banca significhi parlare di economia neoclassica.
Trovo il tema interessante e penso se ne possa discorrere in una forma che non rechi offesa né a chi crede né a chi non crede.
Chiaro, la castità comporta l'astinenza totale e il celibato comporta soltanto il non sposarsi.
Tuttavia, trattandosi del celibato dei preti e non della condizione di celibe riportata su uno stato di famiglia della Repubblica, ci si aspetterebbe che fosse loro interdetto qualsiasi rapporto sessuale.
Effettivamente, l'aspettativa generale è in tal senso perché se è peccato avere rapporti sessuali al di fuori del matrimonio, il prete – non potendosi sposare – deve mantenersi per forza di cose casto. Lo si immagina come colui che più scrupolosamente degli altri deve rispettare i dettami della religione.
Tuttavia la Chiesa sa bene che, per quanto consacrato, il prete è pur sempre un uomo come gli altri e come tale è un peccatore. La funzione che gli è assegnata (la cura della anime) lo obbliga a vivere nel secolo, ovvero calato nella società del suo tempo, e questo lo rende soggetto a tutte le tentazioni cui vanno soggetti anche i laici.
Come accennavo, il prete che consumi rapporti sessuali non abdica al suo ruolo pastorale; certamente pecca ma – come accade ogni altro cristiano – il suo peccato viene cancellato dalla confessione, dal pentimento, dalla proposizione di non ricadere in errore e dall'assoluzione ricevuta da un altro sacerdote. Esaurito questo passaggio, può tornare come prima ad amministrare validamente i sacramenti.
Ho detto che – nonostante la percezione diffusa del contrario – il peccato a carattere sessuale commesso da un prete è di pari gravità rispetto a quello commesso da un laico, ma questo è in parte impreciso. La fornicazione di un prete è peccato meno grave della fornicazione di un uomo o di una donna sposati perché questi ultimi vengono meno alla promessa fatta al coniuge di fronte all'altare, promessa che il prete non ha invece fatto.
Tutt'altro discorso vale per il clero regolare che – in quanto tale – è sottratto al secolo e alla cura delle anime. In una comunità chiusa e monosessuata, la castità è elemento essenziale all'ordinato svolgimento delle pratiche cui l'ordine d'appartenenza è preposto. Questo dal punto di vista pratico. Dal punto di vista religioso, il voto di castità è sacro e la sua rottura è sacrilega.
Il frate colpevole di fornicazione è espulso dalla comunità, espulso dall'ordine e dalla Chiesa. È ridotto in condizione laicale (e di laico peccatore) a meno del perdono di un'autorità gerarchicamente superiore.
La cancellazione del peccato che è consentita al prete per un moto spontaneo dell'anima, al frate non è consentita nei medesimi termini. Anziché consistere nella somministrazione di un sacramento, il perdono può giungere – come può non giungere – soltanto all'esaurimento di in un iter amministrativo da parte dell'autorità competente.
Ovviamente, questo per sommi capi dal momento che esistono sia regolari che si curano delle anime che secolari che sottostanno ad una regola. La radice benedettina del monachesimo occidentale si è di molto complicata in epoca post-tridentina, innumerevoli ordini sono nati per vivere nel secolo e le aggregazioni laicali si sono dotate di regole quindi ad oggi le sfumature e le eccezioni non si contano.