mi sono cimentato con un racconto, non so come è venuto,quasi tutto è fantasia, la donna protagonista ha qualcosa di una donna vera con la quale le cose non sono andate proprio così... ah, la protagonista è una BBW, quindi se non vi interessano le donne grasse passate pure al prossimo!
Accadde in pausa pranzo
Era caldo, forse più del solito, nella Milano di luglio, Fabio camminava accaldato tra il marciapiede molle e l’aria semiliquida, per fortuna in studio c’era l’aria condizionata, pensò, e poi sarebbe arrivato durante la pausa, un po’ di tranquillità dopo la mattinata in giro per uffici…
E quasi certamente c’era anche lei, Elvira, la sua collega di stanza… è vero, lei non usciva mai, per il pranzo, specie d’estate, il caldo le dava troppo fastidio… forse, se avesse avuto qualche trentina di chili in meno, pensò, avrebbe sopportato meglio… la salute prima di ogni cosa… ma quelle tettone debordanti e ondulanti ad ogni passo, quel sederone che faticava a stare sulla sedia girevole della scrivania, quelle braccia così candide sempre nude in questa stagione… sì, Elvira era una donnona, tanta, morbida (almeno così pensava), e fatta a tutto tondo… alcune donne sono spropositate, si disse, magari sono magre in alto e grasse in basso, o peggio viceversa, Elvira no, era proprio abbondante in ogni parte… e in estate si metteva sempre tuniche lunghe fino al ginocchio o poco più, senza maniche, e piuttosto trasparenti, in controluce poteva ammirare tutte le sue forme, sapeva che portava una decima taglia di reggiseno, lei glielo aveva detto ridendo, e ogni tanto la sola idea del suo davanzale gli dava alla testa. Gli piaceva molto, ma non aveva mai trovato il modo di farglielo sapere, a volte aveva iniziato a masturbarsi pensando di fare l’amore con lei…
In ufficio la chiamavano in molti modi, quasi nessuno gentile, la balena, la grassona, la cicciona, soldato palla di lardo, la tettonazza, la trippona… una volta lui aveva tentato di dire ad un collega: “Sì, Elvira è molto grassa, ma è simpatica e secondo me ha un bel viso”, e lui “Ma il corpo è da demolire e ricostruire! Cos’è, ti piacciono le balene?”, così per non imbarcarsi in una discussione inutile Fabio aveva lasciato perdere e aveva lasciato che il collega sghignazzasse un po’.
Si accorse che qualcosa puntava all’esterno, al cavallo dei pantaloni, poco, ma insistente, così cercò di pensare al lavoro che lo aspettava nel pomeriggio, ed entrò nel solito bar a prendersi un tè freddo.
Alle 13 e qualcosa erano usciti tutti, sperava che Elvira ci fosse, se non altro per guardarla in controluce e pensarla nuda; lei era nella loro stanza, piegata un po’ in avanti sulla scrivania, la veste saliva rivelando la carne bianca delle grosse cosce, si chiese se portava le mutande, poi si diede del cretino da solo…
Chiuse la porta e lei si girò rialzandosi, ma la visione delle cosce solide rimase.
“Ciao, torni ora? Hai fatto il giro di tutta Milano a piedi?”
“Praticamente”
“Hai mangiato? Gli altri credo che siano al solito posto”
“Ho troppo caldo” rispose sedendosi davanti al computer; poi si alzò verso uno scaffale.
Elvira passò davanti alla finestra, stava raccontando la mattinata in ufficio, in trasparenza ne intravide le mammelle che sembrava volessero sprizzare fuori dalla tunica, la forma panciuta come un’anfora romana, il vestito teso dalla ciccia sui fianchi e sul sederone, e cominciò a sentire di nuovo il desiderio tra le gambe.
Lei era davanti all’altro scaffale, a tre metri, che stava riponendo un raccoglitore, calda, solo poco più di un velo addosso, tanta… il desiderio si tese del tutto, Fabio fece due passi e la afferrò da dietro per il grandioso seno abbracciandola a fatica e incollandosi tra le sue natiche con il membro eretto, mentre la baciava sul collo.
Elvira strillò lasciando cadere il raccoglitore con i documenti che volavano sul pavimento. Lui saltò indietro mollando l’abbraccio e sorpreso di quello che aveva appena fatto. Incominciò a mormorare: “Ti prego, scusami… non so che mi è preso…” perdendo la voce, arrossendo di fuoco e guardando fisso per terra. Voleva sprofondare, scappare, pensò che lei lo avrebbe sputtanato coi capi e che stava rischiando il licenziamento, “Oddio, … Ma che ho fatto?”
Lei era appoggiata allo scaffale con la schiena, lo guardava come un punto interrogativo vivente, poi in silenzio si chinò a raccogliere le carte cadute dappertutto… la parte più in alto della tunica quasi trasparente era tesa dalla grande massa di carne che partiva sotto la gola e che sembrava non volerne sapere di restare nascosta… la scollatura era appena aperta, ma i seni si affacciavano toccandosi reciprocamente, invitanti…
Lo sguardo di Fabio ci finì dentro come calamitato, non poteva guardare altrove.
Anche lei alzò il viso, e se ne accorse. “Ti piace?” chiese con un tono di voce sorprendentemente tranquillo; “Sì” rispose Fabio quasi in un sospiro. “Si vede. Sei ancora eccitato”, e non era una domanda.
“Mi dispiace…” continuò. Ed Elvira sorridendo “Di che cosa? Che ti eccita il mio corpo?” “No… cioè sì… cioè… mi dispiace di averti spaventato”. “No, solo non me l’aspettavo che facessi così.” Si slacciò un paio dei bottoni in alto scoprendo ancora di più le due colline bianche. “Ti piace ancora”, e di nuovo non era una domanda. Poi allungò una mano a verificare la rigidità del suo sesso, e lo massaggiò delicatamente attraverso i calzoni. Fabio si sentiva a disagio, una parte di lui voleva andarsene, aveva paura che entrasse qualcuno… ma un’altra parte provava una sensazione mai provata prima. Prese tra le sue mani la testa di Elvira e le accarezzò i capelli neri.
Elvira si slacciò tutti i bottoni, si calò la tunica fino alla vita e mostrò orgogliosa il seno enorme che faticava a stare nelle sue mani e che ondulava leggermente, libero da qualsiasi reggiseno. “Ti è sempre piaciuto” affermò di nuovo, e lui riuscì solo ad accennare sì con il capo sentendo la gola secca. Lei si alzò in piedi e lo baciò sulla bocca, lui le afferrò con le dita tutte aperte il grande biancore, lo accarezzò, lo tirò con cura verso di sé, ci nascose le mani sotto e sollevò la massa carnosa, morbida e calda, poi ci tuffò il viso, passò la lingua sui rosei capezzoli che inturgidivano a vista d’occhio slanciandosi in avanti, li baciò, poi leccò anche il resto del seno, prese in bocca prima i capezzoli a lungo e poi fece per mangiarsi tutta la carne intorno, mentre lei piegava il viso all’indietro, passava le mani dietro la nuca e accarezzava le sue mani e le sue braccia, respirando dalla bocca socchiusa.
Anche Fabio aveva già il respiro corto… non sapeva bene cosa stava facendo ma non voleva smettere, Elvira si liberò delicatamente dalla sua presa e si mise in ginocchio… mentre lui le accarezzava ancora i capelli, lei slacciò la sua cintura, gli abbassò i pantaloni e le mutande insieme e iniziò ad accarezzargli la base del membro e i testicoli, con movimenti lenti, eccitanti e gentili.
Il suo sesso era rigido e duro come mai lo ricordava, neppure da ragazzo, aveva le prime gocce di fluido che si addensavano sulla punta, ed a questo punto lei lo prese in bocca ed iniziò a succhiare, sempre lentamente, e ad indugiare sul glande con la lingua. Sentiva il calore intorno al pene, e la lingua che si muoveva piano in circolo, e le sue labbra che circondavano sempre più a fondo l’asta, fino quasi a farla sparire, poi il movimento della bocca e della lingua accelerò… accelerò… fino a che non potè resistere e si accorse stava eiaculando il suo seme con contrazioni quasi spasmodiche, mentre provava in silenzio un orgasmo pari solo a quello dei suoi sogni.
Elvira non si ritrasse, non lasciò nemmeno che Fabio si ritirasse dalla sua bocca, continuava a roteare la lingua incurante del liquido che lui le stava pompando, gli accarezzò di nuovo i gioielli racchiusi nello scroto teso, poi gli passò le mani dietro le cosce per non lasciarlo andare via, mentre le labbra continuavano piano piano a seguire tutta la lunghezza del membro avanti e indietro.
Di solito, dopo svuotato del seme, come tutti, il suo fallo si afflosciava, reclamando il giusto riposo, questa volta non poteva, la bocca e la lingua di Elvira non gli davano tregua, gli sembrava di averlo infilato nell’acqua calda tanto sentiva l’umidità della sua saliva mescolata con quella dello sperma.
Per un po’ lei continuò a concentrarsi sui genitali di Fabio, tenendo quello teso in bocca, finché lui non ne potè veramente più e mormorò: “Ti prego…” scostandole un po’ la testa. Lei riaprì gli occhi, lo guardò dal basso e sorrise “Come, se ce l’hai ancora duro! Ora ci penso io.”
Si sedette sulla sedia girevole e lo fece avvicinare, prese il suo sesso, bagnato da cima a fondo, e se lo passò su un capezzolo, poi lo fece sparire tra i seni e cominciò la spagnola.
La carne guidata da lei gli avvolgeva tutto il pene, come prima Elvira massaggiò all’inizio piano, poi sempre più velocemente, il seno già era tutto bagnato dal suo organo ancora turgidissimo, questa volta resistette un po’ di più poi sentì di nuovo i fiotti di sperma slanciarsi tra le mammelle ed aprirsi la strada nel muro caldo e morbido che lei continuava a reggere imperiosamente, bagnandole la base del collo.
Dovette sedersi a sua volta chiudendo gli occhi… lei lo guardava, accaldata e cosparsa dei suoi umori. “Fabio.” lo chiamò dolcemente. Lui aprì le palpebre e ammirò la sua posa lussuriosa, le sue ghiandole esagerate sontuosamente appoggiate al corpo e imbiancate di tutto lui, le cosce aperte, le mani che le accarezzavano all’interno, attraverso il vestito sfatto. “Sono eccitata” gli disse. “Non potrei” rispose lui mentre stavolta il suo attributo stanco cedeva alla forza di gravità e anche i testicoli riprendevano a scostarsi dall’addome. “Lo so” rispose lei e restò lì per qualche decina di secondi ad accarezzarsi tra le gambe e sul seno, sollevandolo e facendolo ingigantire, e cospargendosi ancora di più di sperma e saliva.
Poi si riprese, “La pausa è quasi finita, tra un po’ arriva qualcuno. Ti spiace passarmi la borsa?” Lui si era già rialzato mutande e pantaloni, le diede la borsa e lei con un fazzoletto si ripulì di quanto le era stato copiosamente donato. Poi gli sorrise “Corro in bagno a darmi una rinfrescata al viso e a quel che posso del resto. Forse dovresti farlo anche tu. Sei rosso.” Sorrise ancora. “Grazie” “Di cosa?” “Credevo di non piacere a nessuno qui dentro. Lo so come mi chiamano, non ho bisogno di sentirlo, è così da quando ho quindici anni, ci ho fatto il callo, quasi completamente. So anche che tu non mi hai mai insultato, e ti ringrazio anche di questo”. Elvira si era lavata di corsa e si era rimessa a posto la tunica, a prima vista non si vedeva traccia di tutto il suo liquido eiaculato. “Non te l’aspettavi?” gli chiese, “Non te l’aspettavi che facessi certe cose, a livello di sesso, intendo?” “Non immaginavo, no…”, rispose accarezzandole le mani e proseguì “Non avrei mai immaginato che avremmo fatto sesso, io e te, in ufficio”. Elvira sorrideva ancora, sembrava felice. “Vieni sabato a casa mia?” gli chiese, “Potremmo continuare il discorso…” il sorriso era adesso invitante… Fabio fece ancora di sì con la testa, poi cercò di riprendere il suo serioso aspetto normale.
Le porte dello studio si aprivano, arrivavano i colleghi; Ruggero, il buffone della compagnia, li vide nella loro stanza “Ecco dove eri finito, bello, chissà cosa hai combinato qui dentro in pausa pranzo, eh, vecchio marpione!” e ammiccava agli altri dell’ufficio come per prenderli in giro entrambi. Elvira e Fabio si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere in silenzio, alla faccia di tutti, pensando a sabato prossimo.
Accadde in pausa pranzo
Era caldo, forse più del solito, nella Milano di luglio, Fabio camminava accaldato tra il marciapiede molle e l’aria semiliquida, per fortuna in studio c’era l’aria condizionata, pensò, e poi sarebbe arrivato durante la pausa, un po’ di tranquillità dopo la mattinata in giro per uffici…
E quasi certamente c’era anche lei, Elvira, la sua collega di stanza… è vero, lei non usciva mai, per il pranzo, specie d’estate, il caldo le dava troppo fastidio… forse, se avesse avuto qualche trentina di chili in meno, pensò, avrebbe sopportato meglio… la salute prima di ogni cosa… ma quelle tettone debordanti e ondulanti ad ogni passo, quel sederone che faticava a stare sulla sedia girevole della scrivania, quelle braccia così candide sempre nude in questa stagione… sì, Elvira era una donnona, tanta, morbida (almeno così pensava), e fatta a tutto tondo… alcune donne sono spropositate, si disse, magari sono magre in alto e grasse in basso, o peggio viceversa, Elvira no, era proprio abbondante in ogni parte… e in estate si metteva sempre tuniche lunghe fino al ginocchio o poco più, senza maniche, e piuttosto trasparenti, in controluce poteva ammirare tutte le sue forme, sapeva che portava una decima taglia di reggiseno, lei glielo aveva detto ridendo, e ogni tanto la sola idea del suo davanzale gli dava alla testa. Gli piaceva molto, ma non aveva mai trovato il modo di farglielo sapere, a volte aveva iniziato a masturbarsi pensando di fare l’amore con lei…
In ufficio la chiamavano in molti modi, quasi nessuno gentile, la balena, la grassona, la cicciona, soldato palla di lardo, la tettonazza, la trippona… una volta lui aveva tentato di dire ad un collega: “Sì, Elvira è molto grassa, ma è simpatica e secondo me ha un bel viso”, e lui “Ma il corpo è da demolire e ricostruire! Cos’è, ti piacciono le balene?”, così per non imbarcarsi in una discussione inutile Fabio aveva lasciato perdere e aveva lasciato che il collega sghignazzasse un po’.
Si accorse che qualcosa puntava all’esterno, al cavallo dei pantaloni, poco, ma insistente, così cercò di pensare al lavoro che lo aspettava nel pomeriggio, ed entrò nel solito bar a prendersi un tè freddo.
Alle 13 e qualcosa erano usciti tutti, sperava che Elvira ci fosse, se non altro per guardarla in controluce e pensarla nuda; lei era nella loro stanza, piegata un po’ in avanti sulla scrivania, la veste saliva rivelando la carne bianca delle grosse cosce, si chiese se portava le mutande, poi si diede del cretino da solo…
Chiuse la porta e lei si girò rialzandosi, ma la visione delle cosce solide rimase.
“Ciao, torni ora? Hai fatto il giro di tutta Milano a piedi?”
“Praticamente”
“Hai mangiato? Gli altri credo che siano al solito posto”
“Ho troppo caldo” rispose sedendosi davanti al computer; poi si alzò verso uno scaffale.
Elvira passò davanti alla finestra, stava raccontando la mattinata in ufficio, in trasparenza ne intravide le mammelle che sembrava volessero sprizzare fuori dalla tunica, la forma panciuta come un’anfora romana, il vestito teso dalla ciccia sui fianchi e sul sederone, e cominciò a sentire di nuovo il desiderio tra le gambe.
Lei era davanti all’altro scaffale, a tre metri, che stava riponendo un raccoglitore, calda, solo poco più di un velo addosso, tanta… il desiderio si tese del tutto, Fabio fece due passi e la afferrò da dietro per il grandioso seno abbracciandola a fatica e incollandosi tra le sue natiche con il membro eretto, mentre la baciava sul collo.
Elvira strillò lasciando cadere il raccoglitore con i documenti che volavano sul pavimento. Lui saltò indietro mollando l’abbraccio e sorpreso di quello che aveva appena fatto. Incominciò a mormorare: “Ti prego, scusami… non so che mi è preso…” perdendo la voce, arrossendo di fuoco e guardando fisso per terra. Voleva sprofondare, scappare, pensò che lei lo avrebbe sputtanato coi capi e che stava rischiando il licenziamento, “Oddio, … Ma che ho fatto?”
Lei era appoggiata allo scaffale con la schiena, lo guardava come un punto interrogativo vivente, poi in silenzio si chinò a raccogliere le carte cadute dappertutto… la parte più in alto della tunica quasi trasparente era tesa dalla grande massa di carne che partiva sotto la gola e che sembrava non volerne sapere di restare nascosta… la scollatura era appena aperta, ma i seni si affacciavano toccandosi reciprocamente, invitanti…
Lo sguardo di Fabio ci finì dentro come calamitato, non poteva guardare altrove.
Anche lei alzò il viso, e se ne accorse. “Ti piace?” chiese con un tono di voce sorprendentemente tranquillo; “Sì” rispose Fabio quasi in un sospiro. “Si vede. Sei ancora eccitato”, e non era una domanda.
“Mi dispiace…” continuò. Ed Elvira sorridendo “Di che cosa? Che ti eccita il mio corpo?” “No… cioè sì… cioè… mi dispiace di averti spaventato”. “No, solo non me l’aspettavo che facessi così.” Si slacciò un paio dei bottoni in alto scoprendo ancora di più le due colline bianche. “Ti piace ancora”, e di nuovo non era una domanda. Poi allungò una mano a verificare la rigidità del suo sesso, e lo massaggiò delicatamente attraverso i calzoni. Fabio si sentiva a disagio, una parte di lui voleva andarsene, aveva paura che entrasse qualcuno… ma un’altra parte provava una sensazione mai provata prima. Prese tra le sue mani la testa di Elvira e le accarezzò i capelli neri.
Elvira si slacciò tutti i bottoni, si calò la tunica fino alla vita e mostrò orgogliosa il seno enorme che faticava a stare nelle sue mani e che ondulava leggermente, libero da qualsiasi reggiseno. “Ti è sempre piaciuto” affermò di nuovo, e lui riuscì solo ad accennare sì con il capo sentendo la gola secca. Lei si alzò in piedi e lo baciò sulla bocca, lui le afferrò con le dita tutte aperte il grande biancore, lo accarezzò, lo tirò con cura verso di sé, ci nascose le mani sotto e sollevò la massa carnosa, morbida e calda, poi ci tuffò il viso, passò la lingua sui rosei capezzoli che inturgidivano a vista d’occhio slanciandosi in avanti, li baciò, poi leccò anche il resto del seno, prese in bocca prima i capezzoli a lungo e poi fece per mangiarsi tutta la carne intorno, mentre lei piegava il viso all’indietro, passava le mani dietro la nuca e accarezzava le sue mani e le sue braccia, respirando dalla bocca socchiusa.
Anche Fabio aveva già il respiro corto… non sapeva bene cosa stava facendo ma non voleva smettere, Elvira si liberò delicatamente dalla sua presa e si mise in ginocchio… mentre lui le accarezzava ancora i capelli, lei slacciò la sua cintura, gli abbassò i pantaloni e le mutande insieme e iniziò ad accarezzargli la base del membro e i testicoli, con movimenti lenti, eccitanti e gentili.
Il suo sesso era rigido e duro come mai lo ricordava, neppure da ragazzo, aveva le prime gocce di fluido che si addensavano sulla punta, ed a questo punto lei lo prese in bocca ed iniziò a succhiare, sempre lentamente, e ad indugiare sul glande con la lingua. Sentiva il calore intorno al pene, e la lingua che si muoveva piano in circolo, e le sue labbra che circondavano sempre più a fondo l’asta, fino quasi a farla sparire, poi il movimento della bocca e della lingua accelerò… accelerò… fino a che non potè resistere e si accorse stava eiaculando il suo seme con contrazioni quasi spasmodiche, mentre provava in silenzio un orgasmo pari solo a quello dei suoi sogni.
Elvira non si ritrasse, non lasciò nemmeno che Fabio si ritirasse dalla sua bocca, continuava a roteare la lingua incurante del liquido che lui le stava pompando, gli accarezzò di nuovo i gioielli racchiusi nello scroto teso, poi gli passò le mani dietro le cosce per non lasciarlo andare via, mentre le labbra continuavano piano piano a seguire tutta la lunghezza del membro avanti e indietro.
Di solito, dopo svuotato del seme, come tutti, il suo fallo si afflosciava, reclamando il giusto riposo, questa volta non poteva, la bocca e la lingua di Elvira non gli davano tregua, gli sembrava di averlo infilato nell’acqua calda tanto sentiva l’umidità della sua saliva mescolata con quella dello sperma.
Per un po’ lei continuò a concentrarsi sui genitali di Fabio, tenendo quello teso in bocca, finché lui non ne potè veramente più e mormorò: “Ti prego…” scostandole un po’ la testa. Lei riaprì gli occhi, lo guardò dal basso e sorrise “Come, se ce l’hai ancora duro! Ora ci penso io.”
Si sedette sulla sedia girevole e lo fece avvicinare, prese il suo sesso, bagnato da cima a fondo, e se lo passò su un capezzolo, poi lo fece sparire tra i seni e cominciò la spagnola.
La carne guidata da lei gli avvolgeva tutto il pene, come prima Elvira massaggiò all’inizio piano, poi sempre più velocemente, il seno già era tutto bagnato dal suo organo ancora turgidissimo, questa volta resistette un po’ di più poi sentì di nuovo i fiotti di sperma slanciarsi tra le mammelle ed aprirsi la strada nel muro caldo e morbido che lei continuava a reggere imperiosamente, bagnandole la base del collo.
Dovette sedersi a sua volta chiudendo gli occhi… lei lo guardava, accaldata e cosparsa dei suoi umori. “Fabio.” lo chiamò dolcemente. Lui aprì le palpebre e ammirò la sua posa lussuriosa, le sue ghiandole esagerate sontuosamente appoggiate al corpo e imbiancate di tutto lui, le cosce aperte, le mani che le accarezzavano all’interno, attraverso il vestito sfatto. “Sono eccitata” gli disse. “Non potrei” rispose lui mentre stavolta il suo attributo stanco cedeva alla forza di gravità e anche i testicoli riprendevano a scostarsi dall’addome. “Lo so” rispose lei e restò lì per qualche decina di secondi ad accarezzarsi tra le gambe e sul seno, sollevandolo e facendolo ingigantire, e cospargendosi ancora di più di sperma e saliva.
Poi si riprese, “La pausa è quasi finita, tra un po’ arriva qualcuno. Ti spiace passarmi la borsa?” Lui si era già rialzato mutande e pantaloni, le diede la borsa e lei con un fazzoletto si ripulì di quanto le era stato copiosamente donato. Poi gli sorrise “Corro in bagno a darmi una rinfrescata al viso e a quel che posso del resto. Forse dovresti farlo anche tu. Sei rosso.” Sorrise ancora. “Grazie” “Di cosa?” “Credevo di non piacere a nessuno qui dentro. Lo so come mi chiamano, non ho bisogno di sentirlo, è così da quando ho quindici anni, ci ho fatto il callo, quasi completamente. So anche che tu non mi hai mai insultato, e ti ringrazio anche di questo”. Elvira si era lavata di corsa e si era rimessa a posto la tunica, a prima vista non si vedeva traccia di tutto il suo liquido eiaculato. “Non te l’aspettavi?” gli chiese, “Non te l’aspettavi che facessi certe cose, a livello di sesso, intendo?” “Non immaginavo, no…”, rispose accarezzandole le mani e proseguì “Non avrei mai immaginato che avremmo fatto sesso, io e te, in ufficio”. Elvira sorrideva ancora, sembrava felice. “Vieni sabato a casa mia?” gli chiese, “Potremmo continuare il discorso…” il sorriso era adesso invitante… Fabio fece ancora di sì con la testa, poi cercò di riprendere il suo serioso aspetto normale.
Le porte dello studio si aprivano, arrivavano i colleghi; Ruggero, il buffone della compagnia, li vide nella loro stanza “Ecco dove eri finito, bello, chissà cosa hai combinato qui dentro in pausa pranzo, eh, vecchio marpione!” e ammiccava agli altri dell’ufficio come per prenderli in giro entrambi. Elvira e Fabio si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere in silenzio, alla faccia di tutti, pensando a sabato prossimo.