racconti e fantasie erotiche

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Nell'ombelico, a metà strada tra il tuo cuore e la
Non era quello il motivo della mia richiesta. Io non ho fatto riferimenti a discorsi privati, e visto che l'hai pubblicato ho inteso che avesse "perso" tale caratteristica, altrimenti credo non l'avresti reso pubblico. Tutto qua.

Ilbancario

Beh intanto leggi quello che ho aggiunto alla frase che hai quotato... e poi non volevo fare polemica con te, so che persona sei, altrimenti non ti avrei parlato di questo racconto. Rischiare di darsi qualche calcio in culo per delle stupide incomprensioni non ha senso.
Ciao.
 
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Mara e Massimo...

Led Zeppelin - Ten Years Gone
http://www.youtube.com/watch?NR=1&v=jYpydtdlWxA&feature=endscreen

Il mio gatto che sale sul letto…
Fuori è già chiaro, aspetto le sue puntuali testate contro il mio naso. Mi avvisa che ha fame, che è ora di alzarmi.

Apro la finestra del bagno e mi affaccio sulla montagna e sul bosco. Il cielo è scuro, nuvole basse con la loro promessa di pioggia, anche in questa domenica. Che noia…

Sotto la doccia, conto sino a tre prima di aprire l’acqua fredda, è l’unico modo per staccarmi dal tepore del letto, per riuscire a mantenere la promessa che ho fatto a me stesso.
Ormai sono fermo da più di due settimane, un matrimonio di un amico prima, seguito poi daun altro fine settimana di pioggia, mi ha tenuto lontano dalla MTBK. Dai miei sentieri dalle mie montagne.
Oggi no, devo uscire a tutti i costi !

Attraverso nudo e silenzioso la casa fino in cucina, concentro l'attenzione sui miei piedi, ascolto il calore e le venature del legno stagionato e poi l'antica e sapiente porosità del cotto fiorentino che scorre sotto la mia pelle. Il gatto è già lì che mi aspetta sicuro di sé, segue i miei movimenti impassibile, in attesa, gli propongo un paio di alternative di menù ed ho subito la sua approvazione, oggi, tonno! Poi preparo per me...

Sono quasile otto, mordo svogliatamente alcune fette biscottate e intanto penso a te. Chissà se sei sveglia e se lui ti è accanto. Chissà cosa vedi tutte le mattine dalla finestra della tua cucina, forse in lontananza l’azzurro del lago, non so’, non ce lo siamo mai detti.

Inizia la vestizione, meno lunga di quella invernale, ma altrettanto meticolosa. La tuta è quella che lascia scoperto i polpacci. Mi allaccio la fascia del cardio, infilo la maglia termica come le calze, poi scarpe, soprascarpe infine la maglia in wind-stop a maniche lunghe. Mi porto anche un ricambio nel piccolo zainetto insieme a qualcosa da mangiare, fa ancora freddo, ne avrò bisogno.

I primi chilometri, sono sempre i più duri, non per la fatica. Devi vincere la pigrizia del corpo e della mente, oggi poi non c’è in giro nessuno, neanche un cane, tutti in casa nel calduccio dei loro letti…
Non penso a niente, forse sto ancora dormendo forse sono morto senza saperlo, i muscoli iniziano piano a scaldarsi, il cuore inizia ad accelerare ora sono sui 115 battiti ancora troppo pochi per iniziare l’allenamento.

Finalmente arrivo all'attacco del sentiero. Mi tolgo il casco e la maglia esterna, da qui si inizia a giocare duro, abbandono l'asfalto ed entro nel bosco. Niente musica nelle orecchie, voglio riappropriarmi dei suoni degli alberi e degli uccelli, dello scorrere dei miei Metzcal sulle pietre e sulle foglie secche. Ascoltare il leggero crepitare delle giunture dei mie muscoli sotto sforzo, delleginocchia, del mio cuore che pompa sempre più veloce 135-145-160...
Mi alzo inpiedi sui pedali, respiro forte riempiendo i polmoni dell'aria ancora fredda che sa di resina di pino, cercando di stabilizzare le pulsazioni. Sono a metà salita quando mi riappari nei miei sogni ad occhi aperti. Questa volta il tuo viso è accompagnato dal ricordo del tuo corpo caldo accanto al mio, dal tuo bisogno di essere presa e posseduta in tutti i modi, dalla tenera cedevolezza che hai mostrato ad ogni mio desiderio tutte le volte che ci siamo visti.

Difficile affrontare questa parte del percorso, accompagnato dall'erezione che mi comprimel'inguine e i pensieri. Allontano il pensiero di te, con un gesto della mano e riprendo a salire, ormai sono quasi in cima...
Sbuco quasi senza fiato, nuovamente sull'asfalto, bagnato da nuvole basse immerso in un silenzio ovattato. Due tornanti, solo due tornanti prima di prendere la vecchia strada sterrata per le miniere.

Il primo tratto è in leggera discesa, poi ricomincerò a salire, il paesaggio qui è più aperto molto panoramico, a parte oggi dove per quanto ne so potrei anche essere sulla luna. Affronto la curva troppo veloce e sento il posteriore perdere di aderenza, mi piego spingendo il peso verso il basso, faccio scattare l’ammortizzatore per assorbire una buca, ed è proprio in questo preciso momento che vedo l' uomo vicino alla macchina a poche decine di metri da me, che sbracciandosi mi fa cenno di fermarmi.

Accarezzo appena le leve di alluminio ed i mie due freni a disco fanno il resto.
E questo cosa vuole penso? Cosa ci fa quassù a quest’ora e in una giornata come questa?, tra l'altro vestito da città, con quei pantaloni chiari il maglioncino di cachemire e quei ridicoli mocassini.
Mi avvicino. Lo sovrasto di almeno 15 centimetri in altezza.
Mi racconta veloce un'improbabile storia sul satellitare della sua Volvo che gli ha fatto sbagliare strada, e poi della buca che non ha visto, del cerchio rotto... Ora che guardo meglio, una delle ruote anteriori è mancante e la macchina è in precario equilibrio appoggiata sul cric, a lato della strada, molto vicino alla scarpata. Mi chiede se lo posso aiutare, mi dice che sua moglie in macchina, è molto spaventata.

Non l'avevo notata, non avevo notato la donna mora seduta sul divanetto posteriore della macchina, i vetri appannati la celavano alla vista.

Ok, gli dico, ma è meglio far scendere sua moglie dalla macchina, il terreno qui è morbido e scivoloso, il cric potrebbe non tenere. Un suo cenno di assenso verso l’abitacolo e la portiera si apre. Sono chinato a terra per vedere se ci sono danni al semiasse quando improvvisamente mi trovo davanti queste due meraviglie di gambe che si stagliano diritte a pochi centimetri dal mio naso.

Ha un profumo buonissimo, dolce e leggermente speziato, risalgo rapido con lo sguardo la scarpina a decolté elegante e dal tacco non esagerato. La caviglia esile, la gamba forte ma sottile, velata di bianco. Cazzo!!!, autoreggenti di lusso, penso, e mi trattengo a fatica dalla voglia di sollevare la gonna del suo tailleur per verificare di persona l'intimo che indossa.

Lui fa le presentazioni, ci scambiamo i nomi mentre con gesti rapidi mi sfilo i guanti e le prendo la mano per avvicinarla alle labbra sfiorandola. Il suo viso è un ovale perfetto, occhi scuri e capelli lunghi e neri come l'inferno. Non riesco a non sorridere, sei ridicolo penso, un baciamano in piena regola qui..., su questa montagna persa tra pioggia e nuvole.

"Mara, mentre con suo marito sistemiamo la macchina", le dico...,
"Proprio dietro la curva, a pochi metri da qui c'è un piccolo casotto estivo di caccia. Ha una bella tettoia e se non ricordo male sotto delle comode panche dove sedersi, Le conviene aspettarci lì".
Sì perchè la sfiga ci vede benissimo e infatti da qualche minuto è anche iniziato a piovere

"Si tesoro vai, quando abbiamo finito ti avvisiamo"...
"Non è che stai cercando una scusa per lasciarmi qui?", risponde lei sorridendo, mentre mi passa accanto sfiorandomi con una mano e muovendo i fianchi in un movimento fluido e sensuale, incamminandosi verso il punto che le ho indicato.

Bene…, come meccanico ho sempre saputo di far schifo, ma Massimo mi batte di sicuro. Imbranato com'è non riesco a capire come abbia fatto a togliere da solo la ruota,comunque con un po' di fatica qualche smadonnamento ed un paio di nocche sbucciate (le mie), la nuova ruota è montata...

Ho le mani nere di grasso e polvere dei freni, "Vieni Massimo, andiamo al capanno ad avvisare tua moglie che abbiamo finito, dovremmo anche trovare dell’acqua e qualche straccio per pulirci le mani".

Lui, non la smette più di ringraziarmi, di dirmi che mi è debitore, mi chiede dove abito, io non rispondo e intanto penso a quanto è strana la vita, a come si diverta nel formare le coppie più strane e apparentemente male assortite.

Siamo apochi metri dal capanno e Mara non c'è. Non è sotto la tettoia dove pensavo di trovarla, mi sposto lateralmente per cercarla nella parte posteriore della piccola costruzione ma ancora non la vedo. Lui la chiama, e quasi subito sento la sua voce rispondere attutita, dall'interno della baracca.

Vedo Massimo entrare lasciando socchiusa la porta non riesco a vedere nulla, li sento solo parlare tra loro ma non capisco le parole. Mi allontano di qualche metro per lavarmi le mani in un secchio sistemato sotto una grondaia per raccogliere l'acqua piovana.

"Vieni a vedere Chaos, mia moglie si è accorta che la porta era aperta, ed entrando ha trovato una cosa che vorrebbe farti vedere".

Quante volte, ho sentito dei mariti recitare questa parte. Quasi con le stesse parole, con lo stesso tono di voce, quasi supplichevole ma che non nasconde l'eccitazionedi quello che sta per succedere.
Quante volte?, troppe, per non capire al volo il vero significato di quell'invito, per non annusare l'aria e mettere all’erta i miei sensi di predatore.

Mi avvicino cautamente all'ingresso, lui è sulla soglia e con la mano mi apre la porta del paradiso.
La luce di un paio di candele illumina un angolo dell'unica stanza e Mara.
E' vestita solo delle sue scarpe, delle calze e dell'intimo.E' in piedi piegata in avanti, appoggiata con le braccia tese al bordo di un tavolaccio di legno, la testa piegata indietro verso la porta, il culo oscenamente in mostra, le lunghe gambe leggermente divaricate.

Spingo Massimo ad entrare e precedermi. Non mi va di averlo alle spalle.
Mi basta respirare per pochi secondi la penombra della stanza il profumo di quella pelle chiara, per completare la mia trasformazione in lupo, anche la mia voce ora è diversa, rauca e più bassa:

"Massimo,la tua signora è proprio una gran bella troia...
e scommetto che ora per farti felice, dovrò assaggiarla!".

"Puoi farle tutto quello che vuoi..,
così impara la prossima volta a sbagliare strada, perchè sai..., era Lei a guidare”

Mi inginocchio dietro di lei, in un attimo di adorazione. Le accarezzo leggero le gambe risalendo la seta delle calze, dalle caviglie per passare poi all'interno tra le cosce bianche, lisce, tenere e indifese.
Infilo il naso tra le sue natiche tese verso di me come le sue mutandine di pizzo. Profumo di femmina. Forte inequivocabile, come la sua voglia di essere montata. L'annuso mentre scosto la stoffa sottile, infilo la lingua partendo dall’alto le penetro il culo con la punta , poi scendo in basso le apro gambe e sedere con forza per poterla mangiare tutta.

Massimo intanto le infila la lingua in bocca, mentre delirando, le anticipa le sue fantasie che io dovrò realizzare mentre lui la terrà ferma su quel tavolaccio sporco.

Cadono a terra le sue mutandine, non le ho sentite lacerarsi, ma èquello che è successo, mentre le mie dita si infilavano dentro di lei per riempirla tutta, senza delicatezza, senza scampo. La mano aperta e libera la colpisce forte sul culo, non sta ferma, le gambe le tremano il corpo sussulta.

“Massimo tieni ferma la tua troia…”,
“Sì” ripete lei…, “Sono una troia, sono la vostra troia…”

Le braccia distese in avanti, tenute ferme dal marito, il seno alto e tondo che preme contro il tavolo.
“Ferma, stai ferma!”, ritorno sotto di lei con la bocca la succhio la mordo la scopo di lingua, poi ancora le dita fino a sentirla godere e urlare, sino a vedere il suo abbandonarsi sul legno, completamente immobile.

La voglio! Mi svesto, e non è un’ operazione semplice, la tuta non prevede aperture devo sfilarla completamente, ma ormai non ho più freddo. Mi avvicino al tavolo e Lui le prende la testa spostando i capelli dal viso e la spinge verso il bordo, con le mani le apre oscenamente la bocca mi invita a scoparla.

Lo faccio, le afferro i capelli e la nuca per accompagnare il mio movimento, saliva e sperma le scendono da un angolo della bocca, Massimo continua a tenerle ferme le mani ,mentre io quasi la soffoco infilandole il cazzo fino in gola, lo sento muoversi dentro di lei attraverso la sua pelle sottile, vedo e sento il pulsare impazzito della vena nel collo.

Il marito è come in uno stato di trance, rimane appena discosto, molti di quelli come lui invece vogliono partecipare, toccare, leccare, succhiare..., non li sopporto. Massimo no..., non è uno di quelli, rimane a distanza e prova a dirigere l'orchestra.

"Hai un bel cazzo", mi dice..., "Promettimi che la farai urlare mentre le sfonderai il culo"...
Io non parlo, mi godo la bocca e la lingua di sua moglie, non ha ancora capito che il gioco lo conduco io.
Ho da poco ripreso a masturbarla, e sta venendo un'altra volta, esco dalla sua bocca e le ordino di sdraiarsi con la schiena sul tavolo, guardo Lui che mi risponde con un doppio cenno del capo, mentre fa scorrere sul tavolo una piccola scatolina rossa...

Le afferro le caviglie, sollevo le sue gambe e le appoggio alle mie spalle..., scivolo ancora giù per qualche attimo con la lingua tra le sue gambe, poi riguadagno la posizione e sono dentro di Lei.
Ha le mani libere e si aggrappa ai mie fianchi, mi suggerisce spinte più forti e profonde, l'accontento e dopo pochi colpi decisi la sento sciogliersi in un orgasmo liquido che la fa tremare e urlare nuovamente di piacere, la sposto delicatamente al centro del tavolaccio e la lascio lì a riposare il sesso esposto, le gambe aperte e leggermente piegate...

Massimo è in piedi che fuma..., mi libero del preservativo e gli chiedo una sigaretta, ho appena smesso, ma non importa, ho bisogno anch'io di riprendermi.

"Quando hai finito di fumare", gli dico, "Le prepari il culo per la festa finale e questa volta sto io a guardare". Mara a queste mie parole si solleva sul tavolo e mi guarda con occhi carichi di qualcosa molto simile all'odio, poi scende, si abbassa davanti a lui, gli sbottona i pantaloni e inizia a succhiarlo continuando a guardarmi. Mi eccita vederla accucciata in quella posizione le gambe divaricate, il culo appoggiato sui talloni, mi avvicino le slaccio il reggiseno e mi riempio le mani con le sue tette strizzando forte i capezzoli.

Con una mano mi afferra, ora ne ha due da succhiare, il confronto tra me e il marito è impietoso.
Mara si alterna tra noi con la bocca e mi guarda, questa volta mi sembra di leggere nei suoi occhi la richiesta di chiudere la partita.

"Massimo, non ho molto tempo" dico...
Lui in risposta si sposta e poi allunga alla moglie la scatola dei preservativi...
E' lei a vestirmi usando la bocca. Spingo il tavolaccio contro la parete e la faccio salire.
Sono dietro di lei, è inginocchiata di schiena davanti a me, "Mettiti a quattro zampe e abbassati!", accompagno il suo movimento con le mie mani..., facendo pressione lungo la schiena contando ad una ad una le sue vertebre, fino ad arrivare al collo che stringo tra le mie mani.

E' in posizione, la faccia e le palme delle mani a contatto del ruvido legno, le ginocchia strette, il culo che svetta su tutto, resto qualche istante immobile a godere di questo mio capolavoro per poi muovermi rapido. Non le lascio il tempo dipensare, di irrigidirsi, è stretta ma incredibilmente elastica, geme appena quando entro, sono sopra di lei con le braccia appoggiate alla parete. La sto inculando dall'alto, sempre più forte, sempre più in profondità, quasi con rabbia.

Massimo è dietro di noi, con la coda dell'occhio lo vedo armeggiare con il telefonino, sta scattando delle fotografie del culo, pieno di carne, della moglie. Ora inizia a piacere anche a Lei, sposta una mano dal tavolo e mi afferra una caviglia mi incita a muovermi più veloce, lo faccio e dopo pochi secondi la sento gridare e muovere convulsamente le gambe in un nuovo orgasmo. La sento scivolare giù sul tavolo...

"Stai ferma, ho voglia di goderti nel culo"
"No! No!, ti voglio in bocca..." mi dice...

Mi sollevo mentre Lei rapida si inginocchia davanti a me..., mi sveste e si infila il cazzo in gola quasi soffocandosi, sto per venire l'avviso.
Il primo schizzo bollente se lo prende sul seno, poi si riempie la faccia e il mento infine con la bocca e la lingua si prende tutto il resto.

Mi abbasso sul suo viso con le gambe che tremano, e prima di scendere dal tavolo, le bacio gli occhi.

Mi rivesto in silenzio. Lei è ancora lì sdraiata mi guarda con quei suoi occhi scuri.
Massimo è sopra di lei e con dei fazzolettini di carta la sta ripulendo...


Mi accendo un'altra sigaretta e apro la porta...

"Chaos, aspetta! Lasciami un tuo contatto", mi dice Lui.
"Vi cercherò io, tra un po'" gli rispondo, chiudendomi la porta alle spalle...

Meglio muoversi...
Piove sempre più forte e fa ancora più freddo ora.
Ho ancora molti chilometri da fare...


Chaos


PS. sono quasi le tre del pomeriggio, ad occhi chiusi ripenso a questa mattina, il mio telefono vibra una, due, tre volte.
Sono tre messaggi. Anzi tre mms.

Bè, non sarà capace di cambiare una ruota, ma di sicuro tuo marito è un bravo fotografo.

Il tuo messaggio: "Stronzo..., mi hai rovinato un altro completino, mi è rimasto solo il reggiseno..."
Il mio: "Non ti preoccupare, te ne compro un altro. Ci vediamo al solito posto tra un'ora. Ho ancora voglia di te.
A proposito, non dimenticare le chiavi del capanno, domani le devo restituire al proprietario..."
 
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Nell'ombelico, a metà strada tra il tuo cuore e la
[SIZE=+3]Il suo sperma...[/SIZE]
(Da: Clinica dell’abbandono)
Il suo sperma bevuto dalle mie labbra
era la comunione con la terra.
Bevevo con la mia magnifica
esultanza
guardando i suoi occhi neri
che fuggivano come gazzelle.
E mai coltre fu più calda e lontana
e mai fu più feroce
il piacere dentro la carne.
Ci spezzavamo in due
come il timone di una nave
che si era aperta per un lungo viaggio.
Avevamo con noi i viveri
per molti anni ancora
i baci e le speranze
e non credevamo più in Dio
perché eravamo felici.

Alda Merini

 
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Nell'ombelico, a metà strada tra il tuo cuore e la
[SIZE=+3]Casida della donna distesa[/SIZE]

Vederti nuda è rievocare la terra.
La terra piana e priva di cavalli.
La terra senza un giunco, forma pura
chiusa al futuro: confine d'argento.

Vederti nuda è comprendere l'ansia
della pioggia che cerca fragili fianchi,
o la febbre del mare dal volto immenso
che non trova la luce della sua guancia.

Il sangue risuonerà nelle alcove
e verrà con spada di folgore,
ma tu non saprai dove si celano
il cuore di rospo o la violetta.

[SIZE=+3][/SIZE]Il tuo ventre è uno scontro di radici,
le tue labbra un'alba senza profilo,
e sotto le tiepide rose del letto gemono
i morti, in attesa del loro turno.

Federico Garcia Lorca
 
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Lezioni di fotografia...

"THE DREAMERS" - PATTI SMITH - "PEOPLE HAVE THE POWER"
http://www.youtube.com/watch?feature=endscreen&v=ujyWQW8AhiA&NR=1

Sarò un nostalgico, ma ancora non riesco a fare a meno della pellicola, specialmente per il bianco e nero.
Trovo il digitale troppo perfetto, con tutti quei milioni di pixel a cui non puoi nascondere nulla, ogni più piccolo dettaglio ogni più piccola imperfezione, viene catturata e riprodotta non lasciando più nulla all'immaginazione e alla poesia di quella magica combinazione fisico chimica di luce, sali d'argento, liquidi di sviluppo e fissaggio dell'immagine per cui ogni scatto è alla fine sempre diverso. Ogni click è sempre la prima volta...

Il giorno in cui ti ho conosciuto eri seduta su uno di quei sedili in similpelle della filovia, di quelli dove si dava le spalle al finestrino e le gambe rimanevano esposte sul corridoio.
Era il febbraio del 1979, vedevo scorrere sui muri delle vie di Milano, scarlatte scritte a inneggiare l'eroica resistenza di Pol Pot e dei suoi Khmer Rossi. Pochi giorni prima un gruppo di Prima Linea (quasi tutti figli di papà), avevano assassinato il giudice Alessandrini davanti al tribunale. Milano dopo solo una settimana da Genova e l'assassino di Guido Rossa, si era ancora una volta risvegliata rossa di sangue...

Si viveva in un'atmosfera strana, con la consapevolezza che qualcosa presto avrebbe cambiato le nostre vite, che qualcosa doveva per forza cambiare. I prezzi volavano con un inflazione quasi al 30%, studenti e operai insieme quasi ogni settimana in piazza. Manifestazioni e cariche di polizia riempivano ogni giorno le cronache dei giornali insieme alla nera dei rapimenti dell'anonima sarda e delle rapine a banche e uffici postali...

Tu eri di una bellezza che faceva stringere il cuore. Salivi al capolinea e ti sedevi sempre lì. Io aspettavo il tuo arrivo ogni giorno, qualche fermata dopo cercando la tua figura tra le altre prima di salire. Poi rimanevo in piedi, come quella mattina schiacciato nel corridoio, proprio di fronte a te, alle tue ginocchia ricoperte da quei buffi calzettoni di lana colorati, la gonna sopra le ginocchia, gli scarponcini con il tacco largo, quella specie di scialle di lana spesso che comunque non riusciva a nascondere le tue forme, il basco a incorniciare i tuoi capelli neri ricci e il tuo viso perfetto, le belle labbra rosa, gli occhi intelligenti e scuri e quel delicato ricamo di lentiggini sul naso.

E mi bastava rimanere lì, accanto a te, in adorazione, per dimenticare tutto, le paure, la violenza di quei giorni, le discussioni feroci nelle assemblee e a casa con i miei genitori. Mi perdevo tutte le mattine nei tuo occhi e tra la morbidezza delle tue labbra e mi bastava per essere felice.

Una spinta più forte del solito alle mie spalle, e mi infilo tra le tue gambe che cedono alla pressione del mio corpo e si aprono.
"Scusami...", ti dico, mentre cerco di spostarmi indietro.
"Non importa, è sempre così, quasi tutte le mattine", "Vuoi che ti tenga i libri?"
"No grazie, ma se puoi tenermi invece questa scatola mi fai un favore", ti rispondo..., e senza aspettare la tua risposta ti allungo una larga e piatta scatola color arancio con sopra e sui lati la scritta Agfa Geavert.

"Ma sei un fotografo?" mi chiedi...
"No, o meglio non del tutto. Sto studiando fotografia, in quella scatola, ci sono un po' di immagini che ho scattato, sviluppato e stampato insieme ad alcuni amici"

Ed è stato così, che abbiamo cominciato a parlare, o meglio io parlavo, e tu mi ascoltavi attenta, intanto guardavi ad una ad una le fotografie della scatola ed io ti spiegavo come avevo ottenuto quegli effetti così particolari, con quali pellicole, quali obbiettivi, quali filtri, per arrivare poi a cercare di spiegarti alcuni dei trucchi di camera oscura.

Ti raccontai di come insieme ad altri ragazzi un po' più grandi, eravamo riusciti ad avere un paio di stanze del vecchio circolo culturale ormai in disuso del nostro comune. In una avevamo ricavato una bella camera oscura, dove avevamo racimolato tutta l'attrezzatura necessaria per sviluppare i negativi e stampare con diversi ingranditori le nostre fotografie...

"Sì..., lo so, ne ho sentito parlare", mi avevi detto sottovoce...

Mi ricordo ancora adesso di essere arrossito fino alle orecchie, immaginando le storie che potevi aver sentito su quelle stanze e su quei due vecchi divani che avevamo portato in una delle due. All'utilizzo che alcuni dei miei amici più grandi ne facevano quando ci portavano le loro ragazze.

E' stato così, che abbiamo iniziato a frequentarci, anche se lo studio ci lasciava poco tempo libero.
Il primo bacio, una mattina in Piazza Leonardo Da Vinci in Città Studi, eravamo su una panchina, gli alberi tutti intorno a noi erano completamente fioriti di rosa in uno strana promessa di primavera...

Era un giorno particolare, il primo anniversario della morte di Fausto e Iaio. Avevamo deciso di andare alla manifestazione di commemorazione e approfittarne per stare insieme e scattare qualche foto.
Ero molto teso, mi sentivo responsabile per te, anche se in realtà tu eri più grande, c'era un sacco di polizia e carabinieri in tenuta anti sommossa a presidiare il Leoncavallo, il Casoretto e la zona del Politecnico, in attesa dello svolgimento del corteo.

Poi quel bacio, e mi vergogno ancora un po' quando ci penso, perchè devo esserti sembrato un vero imbranato. E' che non ci pensavo, almeno non quella mattina. Le tue labbra che si posano sulle mie, che si schiudono, la tua lingua che timidamente si fa strada nella mia bocca poi timidamente la mia mano che ti sfiora il seno, i tuoi occhi che brillano di una luce ancora più bella e infine noi, che camminiamo leggeri tra la folla del corteo mano nella mano.

Tu che tieni nella tua borsa a tracolla gli obbiettivi della mia reflex. Hai imparato a conoscerli e me li passi veloce seguendo le mie indicazioni e sempre più spesso anticipando le mie richieste.
Io che in una specie di balletto ti abbraccio e ti lascio, per arrampicarmi sui muri e sulle finestre delle case per fotografare.
Ci scambiamo i ruoli, ed ora sei tu a scattare, non ti interessa il corteo, la forza della massa, ti piace fotografare le persone i volti, ti soffermi su quelli delle donne, vorresti fotografare la faccia scavata della madre di Fausto, ma siamo troppo lontani ed è difficile avvicinarsi.
Io ti assisto, ti consiglio all'inizio, poi ti lascio fare, ed è bello vederti così presa da questa nuova passione, che trasfigura il tuo volto e lo rende ancora più bello.

Ora il corteo si ferma, c'è molta polizia in borghese, dopo un po' impari a riconoscerli anche se hanno abiti da universitari o da operai. Da un paio di strade laterali stanno arrivando veloci con i loro slogan quelli di avanguardia operaia, vogliono tagliare in due il corteo e inserirsi in mezzo, c'è chi urla, chi spinge, arrivano le squadre dei katanga, iniziano a volare gli insulti, gli spintoni, dal nulla saltano fuori i primi bastoni, ti stringo forte la mano e ti spingo via, dalla parte opposta, prima che la polizia inizi a caricare.

Riesco a rubare ancora qualche scatto, prima di attirare l'attenzione di un paio di poliziotti in borghese, così mi metto a correre trascinandoti con me. Ci fermiamo solo quando siamo al sicuro nel mezzanino della metropolitana...


Piccola mia - Dik Dik
http://www.youtube.com/watch?v=JBXQHdjAqK8&feature=related

Ti appoggi a me, la testa sul mio petto ansimante e ti bacio come se fosse l'unica cosa giusta da fare, un bacio tenero e disperato, come se dall'esito di quell'unico istante dipendesse tutto il nostro futuro.

"Ti porto a casa" ti dico, mentre ti stringi forte a me, e mi appari così indifesa da vergognarmi per non essere riuscito a controllare la mia evidente eccitazione.
L'atobus che prendiamo è vuoto e silenzioso, l'adrenalina di poco fa, ora ha lasciato il posto ad un desiderio di intimità che respiro forte mentre appoggio la mia testa al tuo petto e mi lascio cullare dal dondolio della strada.

La sola idea di doverti presto lasciare, mi stringe lo stomaco, vorrei poter fuggire lontano con te. Sparire nell'universo in un posto solo tuo e mio e rimanere così , completamente avvolto nel tuo caldo profumo per tutta l'eternità.

"Non portarmi a casa", mi dici interrompendo il nostro silenzio. "Portami nel tuo studio fotografico, insegnami a sviluppare i negativi"

Il mio cuore che batte più forte, mentre salivo le strette scale che portavano allo studio, la chiave che gira libera nella serratura. Io che ti stringo forte la mano per dirigerti nel buio. Le assi del pavimento di legno che scricchiolano appena sotto il nostro peso, e poi l'interruttore della luce che scatta illuminando un piccolo corridoio su cui si aprono le due stanze.

"Vieni" mi dici, e mi trascini in una delle due,
"Spegni la luce"...

Rimango immobile quasi all'ingresso della stanza, mentre i miei occhi cercano rapidamente di abituarsi all'oscurità, sento che ti muovi rapida, un fruscio di vestiti che cadono sul pavimento, e sei nuda accanto a me.

Le mie mani tra le tue. Le porti sui tuoi seni, lungo i tuoi fianchi ad accarezzarti e a conoscere il tuo corpo, poi ti avvicini e in punta di piedi mi baci mentre inizi lentamente a spogliarmi.

Non riesco a pensare a nulla, vorrei raccontarti quello che provo o solo cercare di dire qualcosa di spiritoso, ma sono completamente bloccato, solo il mio giovane corpo sembra a suo agio, sembra conoscere gesti e movimenti antichi...

"Sss..., non parlare", mi dici mentre con una mano mi accarezzi le labbra...


"Dopo...,
dopo, mi insegnerai quello che vuoi sulla fotografia"...


"Ora...,
stringimi e lasciati amare"...


xxxchaos
 
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La prova...

Chet Baker Quintet 1965 ~ When You're Gone
[url]http://www.youtube.com/watch?v=B3ExwifupEM&feature=related[/URL]

Il primo appuntamento,e Tu così lontano da casa.

Per mesi ci siamo stuzzicati in chat poi per telefono e poi quel tuo viaggio improvviso a Milano.

Quel sottile gioco perverso che mi ha fatto scegliere questo squallidissimo albergo ad una stella nella prima periferia Milanese, probabilmente la parte più triste di questa grande città che invece sa ancora essere bellissima.

Ho stabilito che ci saremmo incontrati li davanti.
Tu arrivando direttamente dall'aereoporto, io dall'ufficio.

Sono come sempre in anticipo, entro nel bar di fronte all'albergo e mi siedo a un tavolino nascosto dietro la tenda della vetrina, controllandone l'ingresso.

Ecco il tuo TAXI, paghi l'autista e scendi. Sei così perfetta ed elegante nel tuo cappottino chiaro le tue scarpette e la tua borsetta firmata, sollevi lo sguardo verso la targa consunta dell'albergo, l'ingresso sporco e dalla vernice scrostata. Leggo nelle tue spalle un gesto di disgusto verso lo squallore di quel posto. Poprio tu che sei abituata a ben altri ambienti.

Mi chiami sul cellulare, ma non ti lascio il tempo di parlare:
- "Sto arrivando, aspettami dentro",è tutto quello che ti dico prima di riattaccare.

Voglio farti aspettare.
Lì. In quel minuscolo ingresso, in piedi, tra l'odore pungente della verza riscaldata, l'indifferenza "sdentata", della vecchia proprietaria cinese, e gli sguardi lascivi dei vecchi clienti delle giovanissime prositute orientali, che entrano dal cortile interno per poi sfilarti davanti nei loro vestiti stazzonati e con l'inconfonibile puzzo di alcool da poco prezzo. Salgono le scale per raggiungerle nelle loro camere da letto e cercare ancora una volta di afferrare pochi minuti di effimera felicità e di ritrovata giovinezza.

E' passata quasi mezz'ora. Ammetto di essermi sbagliato sul tuo conto, pensavo di vederti scappare dopo pochi minuti. Invece non ci hai ripensato, sei molto più determinata di quanto pensavo.

Attraverso leggero la strada e ti raggiungo con un fiore, in fondo te lo devo, hai superato la prima parte della prova.

Poche parole di saluto, nessun contatto fisico.
Pochi secondi per sbrigare la burocratica farsa dei documenti d'identita, poi ancora l'odore di cibo, i gemiti forzati di godimento in quello stentato italiano, dietro le porte chiuse e il cigolio di decrepite molle di metallo, ci accompagnano su per le scale e nella nostra stanza che sa di muffa e di chiuso.

Chiudo la porta e nella penombra senza darti il tempo di parlare, ti sono addosso.
Ci baciamo, in piedi. Mi gusto il tuo sapore nuovo, mai sentito prima, insieme ai movimenti della tua lingua nella mia bocca.

Giochiamo con la saliva e con le nostre mani affamate che non sanno aspettare. Ti tolgo con furia i vestiti, rimani con una leggera e trasparente sottoveste, credo nera come le mutandine, ti butto sul letto, ti allargo le gambe e comincio a leccarti l'interno delle cosce, bianche e lisce. Con i denti afferro la stoffa che ti copre il sesso e la sollevo, infilo la lingua bagnata nella tua fessura ambrata.

Il sapore e l'odore sono intensi come speravo, come ci siamo detti.
Tu direttamente dal viaggio ed io dopo una giornata di lavoro per quel motivo, per godere di quel sapore e odore intenso, di noi.

In ginocchio per terra. Prima annusi e poi lecchi il mio çazzo, lo prendi in bocca con urgenza, percorri l'asta con la lingua per poi passare allo scroto e ancora più giù. Allargo appena un po' le gambe e ti lascio fare quasi mi siedo sulla tua faccia, lo so cosa vuoi, me lo hai scritto tante volte.

Vuoi sentirti sporca, vuoi sentirti troia. Solo dopo, vuoi essere scopata a lungo, ed io sono qui per accontentarti. Sì troia,infilami la lingua nel culo e leccami.

Ti afferro per i capelli e ti tengo ferma,
schizzi copiosi e bollenti ti sporcano il viso, la bocca, colano dal tuo mento.

Non provi neanche a pulirti. Rimani lì a fissarmi con quei tuoi occhi scuri dal trucco perfetto, con quella bocca perfetta, da cui sempre escono parole misurate e perfette.

Oggi no.
Oggi la tua bocca rimane oscenamente aperta per raccontarmi di quanto ti piace setirti puta@na, e intanto la tua lingua si lecca le labbra in cerca delle ultime tracce della mia sborra.

Poi ti giri e ti metti in ginocchio sul letto girata di spalle.
Prendi i due cuscini, li metti entrambi sotto la pancia per sollevarti il çulo. Un lato del tuo viso appoggiato al letto, schiacciato sulle lenzuola, le braccia allungate e tese dietro di te che stringono il copriletto di ciniglia dorato.

Con le tue mani perfette, dalle unghie delle dita perfette,
ti allarghi da sola le natiche e mi mostri lo spettacolo che attendevo da tempo.

Non servono altre parole,
accolgo con prontezza il tuo invito


Sì...
hai superato la prova,
chi l'avrebbe detto...?



Ilchaos
 
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E come faccio a resistere alla tentazione del tuo enorme pacco sorpresa?

.....son sempre in negozio ;(

spatasmack
 
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IL SIGNOR M...

Mario Biondi - No Mercy For Me
http://www.youtube.com/watch?v=LjyC1xkUhdw&feature=relmfu

-Prego si accomodi.-
-Dove?-
-Dove vuole.-
-Ci sono tre poltrone e un lettino qui.-
-E allora?-
-E' una specie di test?-
-No. Sono solo tre poltrone e un lettino. Signor M. la prego si sieda dove vuole. Non sia nervoso, si accomodi dove pensa di poter essere più a suo agio.-
-Va bene.-
-Dunque Signor M. mi spieghi perché e' qui.-
-Non l'ha letta la mia cartella?-
-Certo che l'ho letta. Vorrei che me lo dicesse lei.-
-Sono affetto da un disturbo psichico.-
-E quale sarebbe?-
-Dottoressa, e' lei la psichiatra.-
-Signor M., senta. Lei non viene qui per farmi un favore. Le mie sedute costano, e anche parecchio. Mi assecondi la prego.-
-Come vuole. Mi e' stata diagnosticato un disturbo della personalita'.-
-Quale?-
-Lo sa già.-
-Quale Sig. M.?-
-Disturbo narcisistico di personalità.-
-E si riconosce in questa diagnosi?-
-Si, in parte.-
-In cosa si riconosce?-
-Sono molto egoista. Amo stare al centro dell'attenzione. Ho un'affettività di tipo..... com'è che si dice dottoressa?-
-Predatorio?-
-Ecco si, godo nel predare. Nel ricevere attenzioni, nel sentirmi amato, nel riuscire a scoparmi una donna, a farla innamorare di me, a trattarla come mi piace.-
-Questo la rende un "uomo" Sig. M., non un malato. Mi spieghi dove sta davvero il problema.-
-Non provo nulla.-
-Nulla riguardo a cosa?-
-Riguardo agli altri. Nulla. Sono sentimentalmente incapace. Mi piace fare sesso, godo nel farlo, ma non riesco ad affezionarmi davvero a nessuno. Sono pienamente soddisfatto solo quando riesco a plasmare una donna come più mi piace, a renderla dipendente da me, a renderla schiava del mio desiderio, a farla pensare come pensa la mia testa.. Ma e' solo un attimo, una volta che ottengo il mio scopo tutto è noia.-
-Vuol dirmi che e' incapace di provare empatia nei confronti delle sue partner?-
-Si.-
-Stento a crederci Sig. M.-
-E' così Dottoressa.-
-E da cosa pensa possa dipendere questa sua incapacità di provare... diciamo "amore" verso qualcuno che non sia se stesso? Da un episodio del suo passato?-
-Non giochi con me Signora. Ha letto la mia cartella. C'è scritto e non ne voglio parlare.-
-Va bene, ci lavoreremo. Perché ha cambiato psichiatra? La seguiva la Dottoressa G. prima, vero?-

-Si, ma non ha funzionato... me la sono scopata.-
-Ah-
-E gia'.-
-Vorrebbe scopare anche me?-
-Perche' me lo chiede?-
-Perche' da quando e' entrato Sig. M. lei è in erezione, o sbaglio?-
-No, non sbaglia.-
-Bene, vogliamo scopare?-
-Cosa?-
-Le ho chiesto se vuole scopare?-
-Con lei?-
-No, con una delle mie poltrone..... Sig. M. credevo avesse un disturbo di personalità, non un ritardo mentale. Ha capito la domanda?-
-Si si..... certo. Mi sta dicendo davvero che vuole fare sesso con me?-

La dottoressa smette di rispondere, lo guarda e aggira la scrivania. Si mette tra le sue gambe, scalcia via le scarpe e inizia a sbottonarsi la giacca, la toglie e la lascia cadere per terra, ora le sue mani si muovono sulla camicetta e in un attimo anche questa finisce sul pavimento. Si sfila la gonna. Rimane in intimo nero, non porta le calze. E' bella, giovane. Magra, alta, ma rotonda nei punti giusti.
Ha un profumo raro, buonissimo, di quelli da ricchi.
Il Sig. M. l'attira verso di se e le infila la lingua nell'ombelico, le sue mani le strizzano le natiche, le scostano gli slip. E' bagnata. E' fradicia. Ora le risalgono il corpo, le toglie il reggiseno. Lui si alza, le succhia vorace i capezzoli, le morde i seni. La sbatte violento sulla scrivania, si sbottona, si tira fuori il cazzo e in un attimo è dentro di lei. Lei è stretta, calda. Basterebbe poco per farlo venire, ma non e' quello che vuole lei. No. Lei lo spinge via. Ride.

-Si spogli e si sdrai sul lettino, la prego Sig. M., mi assecondi.-
E lui lo fa. Si sdraia, nudo sul cuoio morbido. Lei lo scavalca, ora è nuda anche lei. Si mette a cavalcioni e prende a muoversi sul pelo ruvido del suo ventre, del suo petto. Gli strofina la fica bagnata addosso aggrappandosi alle sue spalle. Poi si impala. Si impala lenta su quell'asta di carne dura. Si alza, solo la punta le rimane dentro ma si riabbassa subito. Di peso, con forza. E poi di nuovo, prima quasi si sfila e poi gli crolla addosso. Ad ogni colpo di quelle tenere carni, il Sig. M. sobbalza, gli manca il fiato, ogni colpo gli trapassa il cervello. Fuori di se l'afferra per le braccia l'avvicina alla bocca, la morde, la bacia fino a farla sanguinare. Lei continua a muoversi, ora piu' frenetica. Spinge i fianchi su e giù fino a esplodere in un orgasmo animale.
Ma non basta. La dottoressa vuole di piu'. Piena di lui si rialza, si sfrega ancora sul pelo del suo petto e poi gli si siede in faccia. Quasi lo soffoca tanto è l'impeto di quel gesto. Lui la bacia, la succhia, assapora il suo sperma mischiato ai liquidi di lei. Gli piace. Lecca, morde e succhia ancora e lei gode, gode fino a raggiungere di nuovo la cima. Gode urlando come non ha mai fatto perché lui è bravo, il piu' bravo..., le ha già infettato il sangue, le ha già scardinato la mente, le è già entrato nel cuore..... lui è il migliore, lui è un Dio...

-Sig. M.? Sig. M. mi sente?-
-Si..... cosa?-
-Le capita spesso di assentarsi così durante una conversazione?-
-Solo quando sono davanti a una bella donna.-
-Senta Sig. M., le dico già che con me non attacca. Risparmi le sue arti amatorie per chi riesce ad apprezzarle e risponda alla domanda.-
-Qual'era la domanda?-
-Perché si è rivolto a me e non ha continuato il suo percorso con la Dottoressa G.?-
-Ah... divergenze di opinione.-
-Va bene. Per adesso direi che basta così. Ci vediamo la prossima settimana prenda appuntamento con la mia segretaria.-

-Ci conti Dottoressa, ci conti....-


:pardon:








 
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Kronos e Kaos... (una storia vera)

Linkin Park - Living Things
http://www.youtube.com/watch?v=3L6IC0yeTFs&feature=related


La natura delle persone è contorta, segreta, oscura.

Kronos conosceva benissimo le Sue e le altrui debolezze e si offriva nudo alle sue vittime, si mostrava esattamente per quello che era, facendo nascere inizialmente in loro, un moto di empatia.

Kronos era un ladro di tempo.
Non si accontentava di rubarlo, la cosa non gli avrebbe dato soddisfazione, voleva che fossero le sue vittime a consegnarglielo, anzi..., a pregarlo di prenderselo.

Kronos si nutriva famelico e mai sazio, delle speranze e degli amori che lui stesso creava e instillava nelle sue prede.
Non a caso Kronos era un Dio. E come un Dio voleva essere adorato.
Era sempre Lui decidere l'alfa e l'omega di un rapporto e tutto quello che ci stava in mezzo.

Il suo carniere traboccava sempre di donne, ormai non ricordava neanche i loro nomi.
Per lui era importante che ci fosse un continuo ricambio, si nutriva solo di emozioni fresche e violente.
Piaceri (rari...), dolori e frustazioni (molte...), che dovevano scorrere incessantemente sulla sua pelle, come il sangue scuro che sgorga da ferite sempre nuove e più profonde.

Si insinuava nella loro vita come il più abile dei lestofanti, le faceva parlare, e parlare...
Tracciava la mappa precisa delle loro ferite, del loro carattere, i tratti della personalità.
Dopo di che affondava denti e artigli.
Le telefonate ed i messaggi ad ogni ora del giorno e della notte...
Gli ordini urlati, pieni di insulti e oscenità per chi osava solo dubitare.

La ribellione per Kronos, non era un'opzione consentita.
Tutte queste donne, plagiate, sottomesse, adoranti..., buone e zitte pronte a farsi insultare a volte persino scopare in tutti i modi possibili, perchè in fondo tutto questo era comunque meglio del piattume e del vuoto che prima le circondava...

Sì..., la pena per sottrarsi a tutto questo, per chi si ribellava per ritrovare la libertà, era la scomparsa di Kronos.
Lui lo sapeva, aveva le loro menti in pugno, si alimentava del potere che aveva su di loro, della loro dipendenza da lui e della sua voce calda e avvolgente che all'occorrenza poteva strappare e fare a brandelli la carne viva.

Si divertiva a creare scompiglio nelle loro grigie vite, fissava improrogabili appuntamenti senza preavviso lontano dalle loro case, minacciandole se non si fossero presentate, di sparire per sempre, poi quando le aveva di fronte..., freddo e distante gli ficcava la mano tra le cosce le dita nella fica e ne constatava l'eccitazione.
"Solo le troie si bagnano così, "diceva loro con disgusto...

E poi ancora e ancora...
Fiumi di parole, con quella voce calda che proprio quando sembra accarezzarti è pronta a punire.
E loro..., le vittime sempre più fragili e indifese.
Lei di fronte a Lui, in una città che non conosce, stupita da quel barlume di lucidità che le urla di andarsene.
La sua fica sempre più liquida, la sente colare, bagnare la pelle delle cosce, la immagina inumidire il cuscino della poltrona dove però rimane inchiodata, aspettando invano che lui le dica che la desidera che vuole entrare ancora dentro di Lei.
Sa benissimo che non succederà, sarà Lei a doverlo implorare umiliandosi ancora una volta.

E poi ancora Lui che le vomita addosso la sua delusione, per la sua nuova inadeguatezza, per non essere come lui la vuole.Perchè in un piccolissimo angolo della sua mente ancora resiste e inconsciamente rifiuta di annientarsi completamente davanti a lui.
La schifa, la umilia, e quando lo fa..., le proibisce anche di piangere.

Kronos ha avuto anche oggi il suo pasto. Ora deve andare, che si arrangi Lei da sola, a tornarea casa.
Prima di lasciarla, appena Lei si gira, appena gli mostra le spalle ancora più vulnerabile, lui la prende e la sbatte al muro, le fruga ancora una volta tra le cosce, le preme sul ventre il suo cazzo dalla natura divina.

Infine si scosta e senza voltarsi l'abbandona, lasciandola scivolare a terra.
A terra..., tra i rifiuti, tra carcasse di involucri ormai inutili, svuotati del loro contenuto proprio come Lei.

Kronos è in mezzo a noi.
Per qualcuno è solo una leggenda, per altri qualcuno da cui girare al largo.
Nel mezzo decine di vittime che spontaneamente si affidano a lui perdendo la realtà del proprio tempo, le proprie cose i loro affetti, vivendo in una dimensione parallela creata da lui e da cui diventa quasi impossibile uscire.

Kronos non chiede, ordina.
Kronos è il caos, entra nelle vostre vite per fare ordine e mette tutto a soqquadro.

E l'assurdo è che questa storia così strana, è proprio un altro Dio a raccontarmela...
Lui quello che mi racconta tutto questo, è il Kaos.

Kaos, parla male di Lui, sembra siceramente inorridito da questo Kronos, ma in realtà gli è fratello.
Io lo ascolto, è affascinante farlo. Non assomiglia al gemello, lui è così solare e divertente ma non mi frega...

Kaos è anche peggio di Kronos, perchè lui sa benissimo cos'è male e cos'è bene.
Fa la morale agli altri scrive poesie e filosofeggia sulla vita e sull'amore.

Kaos..., prende ciò che rimane dei corpi di donna straziati dal fratello Kronos.
Con fare gentile le aiuta a risollevarsi, le pulisce dal fango, asciuga le loro lacrime, lecca le ferite.
Ma io so..., perchè l'ho osservato di nascosto, nel riflesso dei suoi occhi scuri e profondi,
che le ferite le lecca non per guarirle ma solo per tenerle aperte a lungo, e assaporarne ancora il sangue...

Si perchè è Kaos a dare il colpo finale.

Ciò che Kronos riesce soltanto a corrompere,
Kaos lo annienta per sempre.




IlCahos
 
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NORMA - RENDEZ-VOUS AL SANGUE...

Evanescence- Good Enough

http://www.youtube.com/watch?v=Kw2Ic_2XdVQ

“Professore io per questa sera avrei finito”, dice Norma
“Tra l’altro stasera c'è qui la mia amica Martina, quella di cui Le ho parlato…”
“Ah bene" dice l'uomo, "Che ne direste di uscire insieme e magari guadagnarvi una bella mancetta?”
“Mia moglie è via, e non sarebbe male finire la settimana scopandomi due piccole troiette come voi.Vi do 200 euro a testa…”

Sul volto del professore affiorò un sorriso sconcio, mentre Norma e Martina si guardavano…

“Va bene. Ma smettiamo appena vieni, ti diamo al massimo 60 minuti” rispose Norma, passando automaticamente al TU senza lasciar trapelare nessun sentimento.

Il Motel nella prima periferia della città, dove si fermarono, aveva visto tempi migliori, l’insegna luminosa, un tempo molto famosa, ormai mancava di un paio di lettere al neon. Tutto appariva decadente, i piccoli bungalow dalle pareti scrostate e così la camera. Il bagno sporco che sapeva di muffa e di piscio, il copriletto in ciniglia di un verde bottiglia scuro, macchiato e che puzzava di fumo…

Di buono c’era che la nuova gestione “cinese”, era molto discreta, e bastava pagare in contanti con un piccolo extra, per evitare le "noiose" pratica di registrazione dei documenti.

“Professore, stasera te ne stai sdraiato buono buono! E noi ti facciamo un servizietto da 400 euro” disse Norma appena entrata nella stanza. Iniziarono a spogliarlo e aspogliarsi.

Norma lo spinse sul letto mentre Martina già nuda si inginocchiava davanti alle sue cosce indecenti e spalancate, afferrando con decisione la base del cazzo dell’uomo. Lo leccò tutt’intorno, poi sulla punta grossa e violacea con insistenza prima di infilarselo tutto in bocca…

Il professore, le incitava a succhiare e a leccargli il culo, reagendo a scatti e mugolando suoni gutturali insieme alle più luride oscenità, sollevando il sedere flaccido per farsi penetrare meglio, ogni volta che la lingua di Norma arrivava a lambirgli l’ano. Martina intanto continuava a muoversi abilmente con la bocca sul cazzo, ora dall’alto in basso, ora con movimento rotatorio, stringendo lo scroto rugoso con una mano.

Norma, ormai completamente nuda, si alzò per prendere dal frigobar un paio di vaschette del ghiaccio, ne rovesciò il contenuto nel secchiello in acciaio che era pronto vicino ad un vecchio scalda-acqua elettrico.

“Adesso,caro professore, ti divertirai un sacco” disse…

Gli strinse forte per un attimo le guance, accarezzò le spalle e scese verso le braccia, le tirò a se e afferrando prima un polso e poi l'altro lo legò alla testata con due sottili ma resistenti foulard di seta rossa. Per fermare sul nascere le proteste, a dire il vero non troppo convinte dell'uomo, prima di passare a legargli anche le gambe, Norma prese due cubetti di ghiaccio dal secchiello e in piedi a gambe divaricate sopra il suo viso li introdusse nella fica poi lentamente senza distogliere i suoi occhi da quelli di lui, altri due cubetti, sparirono subito dopo risucchiati nel culo.

Dolore e piacere si mischiarono, facendo ritornare alla mente di Norma la violenza subita poco tempo prima...

Il professore la teneva schiacciata sul letto, seduto nudo sopra di lei, le braccia tenute ferme dall'altro uomo, mentre il terzo dopo averle strappato i vestiti di dosso, aveva acceso la telecamera.
Una luce forte e bianca l'accecava e non le faceva vedere bene quello che succedeva intorno a lei, sentiva solo le mani sul suo corpo, e le dita dentro che la r empivano e la frugavano impietose...
Una bocca si avvicinò al suo seno, le labbra raccolsero il piccolo capezzolo rosa, prima di morderlo forte. Norma ricorda ancora perfettamente il dolore, lo shock le sua urla, i suoi inutili tentativi di liberarsi e le risate degli uomini. I denti dell'uomo che ora le parla sono sporchi del suo sangue, "Se ti tappassi la bocca, il video che stiamo girando non sarebbe così divertente..., urla puttana..., urla, facci divertire..."
E Norma urlò..., e urlò ancora e ancora, come una belva inferocita e ferita. Urlò, di dolore, di disperazione, tutto il corpo arcuato, quasi a spezzarsi. Sino a quando la voce smise di uscire ed il corpo smise di lottare...

La mano, e i polpastrelli delle dita di Norma, corsero ancora una volta, a quella lunga e sottile cicatrice che il professore con il rasoio, quel giorno le aveva lasciato sull'inguine, "Ti lascio un ricordo, un mio ricordo che ti resterà per sempre", le aveva detto prima di rivestirsi e andarsene con gli altri due uomini, lasciandola lì in quella stanza sanguinante nel corpo e ormai morta dentro.

Norma, si inginocchiò a cavalcioni del professore, premendogli la fica sulle labbra. "Leccami qui professore, ti piace la mia fica, opreferisci leccarmi il culo?, e lo diceva muovendosi avanti e indietro colando ambra perlacea, da entrambe le sue aperture sulla lingua e sul naso dell'uomo ormai completamente impiastricciato...

"Lecca professore, dai maiale, fammi godere!!!", la lingua del professore andava e veniva sollecitata dal clitoride sporgente per poi fermarsi cercando di penetrare il culo di Norma che ondeggiava..., il bacino avanti e indietro, scossa dal piacere, accordando i movimenti ritmici del suo corpo flessuoso.

"Professore, posso mettermelo dentro?", disseMartina stanca di succhiare il cazzo dell'uomo. Poi senza aspettare una risposta, che tardava ad arrivare, lo afferrò alla radice gli sputò sopra e salendogli in verticale ne appoggiò la grossa e gonfia punta all'imbocco bagnato della fica, affondando lentamente i fianchi.

"Puttane..., non fatemi venire troppo presto!!!", ordinò con voce autoritaria il professore, la stessa che usava con i suoi studenti durante le lezioni."Norma", continuò l'uomo,"Insegna alla tua amica come deve fare a muoversi per darmi piacere, senza farmi venire...", Norma sempre accovacciata sopra la faccia dell'uomo gli rispose con voce da bambina,"Non ti preoccupare professore, ci pensiamo noi a te...".

Martina gemendo, pompava il cazzo del professore sempre più forte,
"Bastarde...Vengo! Vengo! Ecco che vengo!" disse il professore.

Fu Norma che dopo aver afferrato le pinze del ghiaccio, lo interruppe dicendo
"Non ti permettere di venire quando ti pare!"..., poi mirò con la punta dentellata all'occhio sinistro e lo colpì con tutta la sua forza. La inserì senza pietà, stupendosi di come entrasse con facilità mentre il sangue schizzava tutt'intorno.
L'urlo di dolore che riempì la stanza, non aveva ormai nulla di umano e avrebbe raggelato chiunque, ma non Norma che estrasse la pinza dall'occhio per poi affondarla di nuovo ma questa volta con crudele lentezza, e neppure Martina che continuava come se niente fosse a muoversi sul cazzo dell'uomo per trarne piacere...


"Ti piace girare i video, vero professore? Vediamo se così, senza un occhio, avrai ancora voglia di farlo..."

"Basta!Basta!" disse l'uomo con un filo di voce, il corpo scosso e tremante

Norma ruotò le pinze e le tirò verso di sè, con un rumore di fogli strappati, il bulbo dell'occhio, completamente tinto di un rosso acceso, uscì dall'orbita, poi si staccò e rotolò sul letto, lasciando una striscia di sangue scuro sulle lenzuola e cadendo infine sul pavimento con un piccolo tonfo.

Quando ritornò in sé, dopo aver perso i sensi, l'uomo si accorse di essere ancora legato.
Il dolore era ancora fortissimo, ma non proveniva solo dalla perdita dell'occhio e dalla ferita che era stata pulita e bendata..., sollevò la testa per quanto le legature gli permettevano, e vide che tutta la zona del suo inguine era ricoperta da ghiaccio.

La stanza era vuota e silenziosa, ma sentiva qualcuno muoversi nella doccia...
Dopo qualche minuto Norma e Martina uscirono dal bagno, Martina teneva in mano la sua borsa, si avvicinarono e si sedettero accanto a lui sul letto...

"Dai professore, non fare quella faccia. Te ne abbiamo lasciato ancora uno", disse Martina, aggiungendo subito dopo, "Ora però mi voglio divertire un po' anch'io!" e mentre lo diceva, fece scivolare la mano nella borsa, per estrarne subito dopo un paio di cesoie da giardinaggio dalla grossa impugnatura gialla...

Lo sguardo dell'uomo è inorridito e sconvolto dal terrore. La bocca è spalancata e Norma subito ne approfitta per riempirla con la cravatta arrotolata che tiene nascosta in una mano...

Non può muoversi, non può urlare..., può solo assistere impotente alla sua fine.

Norma quasi amorevolmente gli solleva la testa in modo che possa vedere.
Sì..., vedere. Osservare Martina che sposta il ghiaccio dall'inguine..., per scoprirne il cazzo ormai insensibile.
Ora lo asciuga delicatamente con un piccolo asciugamano, avvicina le labbra alla punta per un ultimo bacio, poi di nuovo la mano alla base. Ne stringe forte lo scroto, sente sotto le dita la consistenza grumosa dei due testicoli.

Il movimento delle lame affilate è fluido, non incontra resistenza, non fa quasi rumore. Il taglio è netto, la piccola borsa di pelle rimane quasi intatta nella morbida mano della ragazza, mentre sangue scuro scorre lento in piccoli fiotti, tra le gambe dell'uomo...

"Non morirai professore..." dice Norma abbassando gli occhi su di lui, mentre lo slega e gli libera la bocca.
"Non oggi. Ma se parli, io e la mia amica, saremo costrette a raccontare un po' di cose sul tuo conto a tua moglie e ai tuoi amici. Prima però ci piacerebbe tanto compiere altri esperimenti sul corpo umano. Capito professore?".



"Ora se non ti dispiace, ci prendiamo i nostri soldi e ce ne andiamo. Sei d'accordo vero?"

Il professore per l'angoscia e il dolore non riuscì a parlare,
annuì appena, debolmente con la testa...

L'ultima cosa che sentì...,
fu il rumore che si allontanava dei loro tacchi sul parquet della camera ed il suono cristallino della loro risata. L'ultima cosa che vide fu il suo occhio e i suoi testicoli che lo fissavano, ordinatamente sistemati su una piccola garza bianca appoggiata sul suo petto...


IlChaos






 
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e quello che segue, potrebbe essere, (ovviamente è solo fantasia...), il testo di una mail
che la giovane commessa del negozio di abbigliamento dove di solito vi servite,
vi manda il giorno dopo un incontro..., finito in modo decisamente bollente.

IlChaos


ROUND...

Tu che ti sfili la cravatta, è il segnale.
Stai per approfittare di me.
Stai per fare l'uomo maturo che insegna alla bimbetta come scopano i grandi.
Dai fammi vedere come chiava un uomo della tua esperienza.
Mi afferri da dietro, le tue mani fanno un giro veloce sui miei seni, il mio ventre.
Ma io ho voglia di sentire il tuo odore.
Il tempo di girarmi e la tua lingua dura, appuntita cerca la mia .
Saprai scopare, ma non sai baciare.
Baci da film porno, con la lingua fuori la bocca.
Il frullino lo chiami.
Sarà adatto a baciarmi la figa, ma le labbra sono un altra cosa.
Sai di uomo, di maschio, di desiderio.
Ti lascio fare.
So che ti eccita il gioketto di insegnarmi qualcosa.
Di farmi uscire la donna che è in me.
Sorrisi imbrarazzati, ma son già a gambe aperte.
Tu mi fai credere di esser stupito di quanto son bagnata, come se le donne sotto le tue mani non diventassero liquide come me.
Son nuda, distesa su questo letto bianco, con le tue dita dentro.
Mentre cerco ancora di capire come kazzo baciarti.
Hai voglia di scoparmi fai per andare a lavarti il kazzo, ma ti fermo.
Stiamo scherzando?
Mi privi della tua essenza?
Il sesso è na roba sporca, ci si deve sporkare un pò, mi piace.
Una cappella enorme, un asta liscia, tozza.
Me la slinguo per bene, mentre tu mi afferri i capelli per vedere meglio il musetto di questa bimba che gioca a far la troia.
E poi inizi con un pò di numeri.
Missionaria, pecora, mi lecchi, mi rigiri
Potrei sembrare remissiva, passiva.
Ma cazzo, se sto godendo a ogni movimento, perchè cambiare qualcosa?
Voglio l'animale, te lo chiedo, ti suppliko.
Mi prendi con forza, mi sputi sul kulo e spingi.
Sento rompermi le viscere.
Un dolore acuto.
E tu che non ti fermi.
Le mani stringono le lenzuola, vorrei togliermi da sotto, ma tu mi tieni.
è come se la tua cappella mi tenesse inchiodata a te.
La sento la bestia, se ne frega del mio dolore.
Mi fa impazzire, essere un oggetto.
Dai uomo, spaccami.
Fammi sentire chi resiste per primo.
La mia stronzaggine è forte ma questo cazzo di kulo non resiste.
Ti imploro di fermarti, con fatica ti fermi.
Voglio il tuo kazzo in bokka.
Voglio morderti
Tenere la tua testa tra le mie mani mentre mi squarci la figa
Dio, la figa a na certa non la controllo più.
Non so kosa hai tokkato ma è come se avessi i nervi scoperti, sensibili.
Le gambe, la pancia, la faccia non controllo più nulla.
Ho reazioni fortissime a ogni tuo tokko.
E vorrei che quelle mani e quel kazzo li tenessi sempre dentro di me.
Una cosa però non ti ho detto
Non ti ho detto che mi sentivo come se io stessa mi stessi scopando.
Dannato narcisismo.
Mi
auto eccitavo, nel sentirmi troia.
Sapevo esattamente l'espressione del mio viso, e mi alimentavo di questo.
La cosa che più mi è piaciuta è stata quando ti ho lavato la faccia, tu disteso e io a cavalcioni sulla tua testa.
Ti ho costretto a lekkarmela, anke se ormai la sentivo spellata.
E tanta è stata la soddisfazione nel pisciarti in faccia.
Estasiata, nel vedere la tua espressione, sorpresa e incredula.
Il grande uomo che si fece pisciare addosso dalla ragazzina.


Mi bagno ancora oggi a pensarci.
E pensare che questo è stato solo il primo round...


Tua V.
 
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Knockout...

Now My Feet Won't Touch The Ground by Coldplay
http://www.youtube.com/watch?v=fZIoFXmWbv0


Ansimo nel calore che abbaglia. Che stordisce. È come quando arrivano
sui fianchi quei pugni potenti come un rumore forte. Ti sbattono
addosso e ti fermano il respiro. Allora tocca di guardarsi intorno e
cercare un riparo. Una salvezza che protegga da questa pioggia di violenza.
Il caldo è uguale. È uguale come questi pomeriggi d'estate. In un
paesino della bassa come il mio non c'è nessuno, sono tutti in vacanza
sulla riviera ligure o in Romagna. Beh, quasi nessuno.

La cosa delle botte, mi fa tornare alla mente l'incontro di
quest'inverno. Tre settimane a Natale e per le qualificazioni
regionali combattevo con un ragazzo di Treviglio. Un treno.
"L'intercity" lo chiamavano i suoi compagni di scuola.
Mio papà, che m'era venuto a vedere m'ha detto che ai suoi tempi lo
avrebbero chiamato l'Espresso. Che ai suoi tempi, ha replicato
smozzicando il sigaro, gli Inter-city non c'erano ancora. Ma io ho
sorriso. Ho pensato che così sarebbe sembrato un caffè, non un pugile.
Per cui, mentre cammino per le strade deserte di questo piccolo paese,
di una piccola provincia a metà tra Milano e gli appennini, sento le
costole che si piegano per il caldo.
È agosto. È normale che faccia caldo. Sono le due del pomeriggio. Il
momento meno indicato per affrontare la violenza di questa temperatura.

Roberto. Si chiamava così quel ragazzo. Alto, molto alto. Una testa ed
una mano più di me. I suoi pugni piovevano come grandine. Dall'alto.
Arrivavano sulla zucca. La protezione riparava gli occhi ed un po'
anche il naso. Ma tutto rimbombava con un rumore sordo. Sembravano petardi.

A tre settimane da Natale ti sorprende soprattutto che un marcantonio
come quello, tutt'a un tratto, ti rifili una serie di colpi al corpo.
Tu sei lì, tutto concentrato a salvare la capoccia da quei missili che
saettano intorno. Ripari il cervello aggrappandoti ai guantoni che
pesano come macigni. Ed ogni volta che ti arriva un pugno sui polsi
benedici la tua buona stella. Perché questo gigante non si scolla da
questi colpi alti, che cercano il colpo grosso.
E poi, mentre ti rimbocchi le maniche ed ogni tanto ti sporgi verso di
lui, non vedi le sue ginocchia piegarsi?
Sembra quasi cadere. Come quando hai colpito per il KO. Le gambe si
piegano senza vita. E tu ad aspettare il tonfo sul tappeto. Dev'essere
così, con religiosa attenzione, che i boscaioli del Canada ascoltano le sequoie cadere.
Io in Canada non ci sono mai stato. E non ho mai visto una sequoia.
Solo larici e betulle che corrono a fianco delle statali che arrivano
in paese. E poi scappano via dall'altra parte. Forse temono di
rimanere intrappolati in quest'aria. Ferma e noiosa. L'aria di un paese della bassa.

Però l'asfalto di queste strade è liscio, in paese. Lo noto pure adesso

che cammino lungo il corso. Lo hanno rifatto di recente.
La mamma è contenta, che tre mesi fa s'è ammazzato il Piero. In motorino.
Non è che dico che s’é ammazzato per dire che s'è fatto male. No.

S'è proprio ammazzato. Morto. Un buco nella strada é stato, dicono.
Era di notte. Non l'ha visto è c'è saltato dentro. Che ingordo.
Il Piero era il nipote della mamma. Mio cugino. Andava all'università
a Milano. E poi, tre mesi fa, s'è ammazzato. Mia mamma diceva che il
Piero era un ragazzo intelligente. Studiava ingegneria, a Milano. Non
perdeva tempo come me, diceva la mamma. Dietro alla boxe ed alla Gilda.

Però io penso: che se era tanto intelligente, mentre tornava da
casa della Mimma il casco se lo metteva.
E invece no. Si vede che la Mimma quella sera gli deve aver succhiato
via un bel pezzo di cervello, al Piero. Il resto è colato sull'asfalto.

Svolto a destra in Via dei Giacinti. L'asfalto è bello nero e nuovo,
come il telefonino che ho comprato al centro commerciale. E penso a
mamma e a tutte le altre mamme che sono andate dal sindaco e gli hanno
urlato in faccia. Ed il sindaco ha fatto un po' come me, quando mamma
mi urla in faccia.
Ha detto: «Va bene, va bene. Le rifacciamo le strade signore. Ma
adesso lasciatemi fare. Che devo tornare alle mie cose».
Più o meno è quello che io dico alla mamma. Quando vado a boxe o dalla Gilda.
Che la mamma non le piace che io faccia la boxe. E non le piace che
frequenti la Gilda e la compagnia della piazza. Tutti quei ragazzi
poco seri che pensano solo ai motorini, alle macchine ed al sesso.
Peccatori senza religione. Così dice la mamma.

Alla mamma non piace la boxe. Neanche quel giorno che mancavano tre
settimane a Natale. E non le piace la Gilda. Dice che sembra una di quelle.
Beh, la Gilda non è una santa. È cresciuta in fretta, anche se ha solo
sedici anni. Come me. Io lo so che i sabati che rimango al bar con gli
amici e poi vado a letto presto perché l'indomani ho un incontro, lei
va in discoteca con i grandi. A Voghera o a Tortona o a Pavia.

Una volta persino a Milano. Lo so.
So anche, me l'ha detto l'Ambrogio, che mangia le pastiglie colorate.
E fa delle cose brutte, come le chiama l'Ambrogio. Come la volta che
l'ha succhiato a quei due ragazzi di Milano. Sul divanetto del locale.
È fatta così, la Gilda. Gli dici che c'hai la BMW parcheggiata fuori
e lei si eccita. Gli piacciono quelle cose. La gente ricca ed elegante
che lavora poco e pensa solo a divertirsi.

Ma alla Gilda piaccio anch'io. Che il primo pompino che m'ha fatto, me
lo ricordo bene. Eravamo a scuola. Durante l'ora di ricreazione che
pomiciavamo nella stanza delle scope. Ed allora la Gilda mi ha detto:
«Senti Giorgio, vuoi che te la faccia una sorpresa?».
Ed io ero impaurito e non sapevo cosa dirle. Ma poi mi spiaceva dirle
no. La vedevo ridacchiare, il viso luminoso sotto la frangetta. E la
magliettina tutta attillata con il fiore disegnato sulla tetta.

Sono rimasto senza respiro. C'era un chiasso, nella palestra di
Cinisello, che si respirava fuliggine di treno. E tutti i ragazzi
urlavano. E c'erano quattro ring dove c'erano le eliminatorie. E poi
Roberto, quello del treno, che per coincidenza c'aveva il papà
capostazione, che mi correva incontro con la faccia incazzata.

Uno e due e tre. I guantoni che sbattono sui miei.

La mamma era rimasta a casa. Arrabbiata. Non aveva degnato d'uno
sguardo papà che caricava la mia borsa sulla Punto.
«Dai Jolanda, non fare così. Il Giorgio è un campione. Non si farà male».
E la mamma non gli ha risposto, al papà. Mi ha guardato e mi ha detto.
«Giorgin', li hai fatti i compiti per domani?».
«Li ho fatti mamma. Li ho fatti tutti».
«Bravo Giorgin', figlio mio. Ti prego, non farmi stare in pensiero.
Che non voglio che ti fai male e poi diventi tutto brutto».
«Mà, non ti preoccupare, ce la faccio vedere io a quello là. Mamma?».
«Dimmi amore».
«Senti, stasera posso uscire? È il compleanno della Gilda. La porto al cinema».

La Gilda. S'è abbassata ed ha armeggiato con i bottoni. Ed io stavo
iniziando a capire qual'era la sorpresa. E allora le ho detto:

«Ma, Gilda. E se ci scoprono?».
«Tranquillo. Tranquillo. Faccio veloce».
E giù una risata.
Ed io, invece, c'avevo un po' di paura. Ma allo stesso tempo me lo
sentivo che diventava duro. E stringeva nelle mutande e poi nei jeans.
E allora le mani sono corse ai bottoni. Hanno giocato con quelle di
Gilda ed hanno fatto la gara per aprire i pantaloni.


Il Roberto si muoveva poco. Ma i suoi pugni erano tuoni che
scoppiavano vicino. Il papà m'aveva detto di stargli lontano,

«che è più lungo di te. Ti prende anche se corri fino a Cremona».
«E come faccio, allora?», gli ho chiesto.
«Semplice. Corri. Corri veloce tutto intorno. E poi, ogni tanto gli
vai vicino e lo colpisci. Un pugno qui ed uno là. Su fegato e reni».
Ed io gli correvo intorno, al gigante. Giravo che sembravo sulle
giostre e quello lì, con la faccia piena di pustole e gli occhi
piccoli, mi odiava ad ogni pugno che tirava all'aria.

Quando la Gilda l'ha tirato fuori dalle mutande era tutto dritto. E
l'ho sentita mormorare qualcosa sul fatto che "sembravo" piccolino.
Ed allora ho sorriso. E le ho posato le mani sulla nuca e l'ho portata
a me. È stato un tuffo in un sogno. Un sogno tiepido ed umido. Io
c'avevo una roba nella pancia che era un'emozione grossa. E non sapeva
come uscire. Allora tremava. E tremavano pure le gambe e gli occhi
lacrimavano. E mi veniva da urlare, ma urlare non potevo, che se ci
scoprivano ci mandavano dal preside. E la mamma non mi avrebbe fatto
andare più con la Gilda.


«Basta che non ti fai male», mi ha detto la mamma. «Se non ti fai
male, ci puoi andare al cinema con quella là. Con la Gilda. Ma sta'
attento. Sta' attento per la mamma».
E m'ha guardato con quegli occhi semplici che conosco. E so che, anche
se la mamma ogni tanto mi dice delle cose brutte, in fondo mi vuol bene.
E poi s'è girata verso papà. Lo ha guardato per un momento lungo

lungo e poi ha parlato. «Papà», gli ha detto «pensaci tu al campione.
Che non voglio che si faccia male».
«Tranquilla mamma. Vedrai che il Giorgio lo ammazza quello là». E
siamo saliti sulla Punto tutti allegri. Io perché alla sera uscivo con
la Gilda. Il papà perché la mamma gli aveva dato un bacio sulla
guancia attraverso il finestrino, prima di partire.

La Gilda ad un certo punto si ferma e mi dice. «Giorgio, lo sai che ce
l'hai proprio bello grosso».
Ed io guardo verso il basso e vedo il suo viso che mi piace tanto. E
lo vedo vicino al mio coso, che invece lo vedo sempre. Quando faccio
la pipì o quando faccio la doccia in palestra. O quando guardo la tele
fino a tardi e ci sono le donne nude. Ma lì, vicino agli occhi
truccati della Gilda, ed alla sua bocca con il lucidalabbra. Beh è
un'altra cosa. E questa roba, che credo si chiami felicità, si gonfia
sempre più nel ventre. E non riesco a trattenermi. E le dico, alla
Gilda: «Gilda, io non so che succede. Ma tu sei bellissima».
E la Gilda mi guarda negli occhi. Profondi profondi, me li osserva e
poi mi dice, «Giorgio senti, adesso ti faccio un regalo».
Ed io non capisco cosa voglia dire la Gilda.


La terza ripresa era l'ultima. Eravamo pari, ma forse qualche punto in
più ce l'aveva lui. È stato in quel momento che mi ha sorpreso. A
parare pugni che sbattevano sui guantoni mi ci stavo abituando. Ad un
tratto vedo le sue ginocchia che si piegano. E allora mi chiedo, ma
che sta facendo? Io non l'ho colpito. E mi arrivano uno, due, tre
pugni sui fianchi. E rimango senza respiro.

Senza respiro come adesso, che cammino per la strada con l'asfalto
tutto nuovo. Con l'asfalto tutto nero che mi racconta di Piero, di
Milano e dell'università. Della mamma e del compleanno della Gilda.
Del motorino che inciampa e della testa che scontra per terra. E mi
racconta di papà che mi parla, in macchina. E mi dice che lui è
contento che io esco con la Gilda. Che mi vede felice. E dice che quel
gigante di Treviglio me lo bevo come un succo di frutta. Che quando lo
sento colpirmi e farmi male io in quel momento devo pensare alla
Gilda. Pensare alla Gilda in un momento unico, che ci stiamo amando.
Allora troverò la forza di reagire. «Io ci penso sempre alla mamma nei
momenti difficili», mi dice mentre usciamo dall'autostrada con la Punto.
«Ci penso quando sono al lavoro. E c'ho i colleghi che mi fanno le
infamate. Ed il capo che mi fa la ramanzina. Ed allora io penso alla
mamma. Penso ad un momento che siamo stati bene. Il giorno che ci
siamo sposati. O quando sei nato te. O quella volta in vacanza in
Sardegna, che tu non c'eri ancora, ed avevamo mangiato al ristorante.
Spaghetti alle vongole e vino bianco. Che notte, quella notte con la
mamma». Così mi dice.

Lei ce lo ha in bocca. La Gilda, intendo. Ed ha preso a succhiare
veloce. E con l'altra mano s'aiuta. E la roba che c'è nella pancia e
nelle mani. Nelle braccia e nei piedi. Nelle gambe che sono sempre più
molli e nella testa che esplode dal caldo. Quella cosa esce fuori. E
sgorga impetuosa insieme alle lacrime sulla mia faccia. E non c'è più
lo stanzino. Non c'è più la scuola. E non c'è più questo piccolo paese
di provincia che dorme sullo sferragliare delle fabbriche della pianura.

Sulle serate al bar, a parlare di calcio e delle modelle della televisione.
Ci sono solo io con le mie lacrime. E Gilda con la sua bocca affamata
e calda. Ed io che mi verso dentro di lei come l'aria pulita in una
giornata, che ha smesso di piovere.


A questo penso, mentre trattengo il respiro dopo i colpi del ragazzo
di Treviglio. E i miei occhi rinascono. E lo vede pure Roberto, che mi
potrebbe finire. Invece si ferma. Mi guarda. È curioso o forse
impaurito. Perché mentre mi stava menando io penso alla Gilda e a quel
fantastico pompino. E a quanto mi ama, la Gilda, che io sono convinto
che le cose che dicono di lei, non siano mica vere. Che la Gilda fa un
po' finta. Perché vuole sembrare grande e figa come le veline. Ma per
me la Gilda è la più bella. Anche se cerca di sembrare come tutte le altre.

E quando lo penso, inspiro il primo sorso d'aria. E questa vola al
cervello. E mi sembra di volare anch'io. Come una rondine che chiama
la primavera e la sveglia dal suo sonno.
Ed allora lo colpisco. Una, due, tre volte. Al volto. E poi una
quarta. Ed una quinta. E lui c'ha gli occhi che sembrano una
fotografia. Quelli di uno che è sorpreso, che non capisce. Quelli di
uno che si ferma a riflettere. Quelli di uno che mi guarda dal basso,
mentre precipita verso il tappeto. Mentre si prepara a fare il rumore
inconfondibile di uno che finisce KO.


Gli occhi di uno che pensa: «sono stato battuto da un pompino».

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Dedicato a chi come me ha amato e praticato la boxe
e ancora, malgrado tutto, non ha perduto il ricordo di quel primo amore e di quel primo pompino...

IlChaos
 
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Il Maestro di Nodi...

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=ikBg4BDgsso


Mi eccita vederti sospesa nell'aria, in attesa.

La tua pelle è traslucida nella penombra del dungeon, mi avvicino silenzioso per asciugare la saliva che cola dagli angoli della tua bocca tenuta spalancata da una palla di plastica dura e da una sottile cinghia di cuoio che si chiude intorno al tuo esile collo.

Sei bendata. Non mi puoi vedere, ti sistemo una ciocca di capelli, che la posizione innaturale a cui ti ho costretta, ti fa cadere di lato. Devi essere sempre impeccabile, anche nel dolore, come i nodi e le corde che disegnano geometrie e arabeschi perfetti sulla tua pelle bianca.
E, impeccabile e senza ombra di rimorso è la mia crudeltà, che non ti lascia segni visibili sul corpo ma interminabili momenti di dolore e piacere per te insopportabili, e al tempo stesso così irrinunciabili.

Da quando abbiamo iniziato questa nuova seduta, hai già avuto due orgasmi e ora sei stremata, completamente inerme tra le mie mani che si muovono con esasperante lentezza, per azionare attraverso piccole carrucole le corde con cui godo nel far assumere al tuo corpo le posizione più oscene, come una marionetta finita tra le mani del più perverso dei burattinai.

Mi eccita, vedere i muscoli del tuo corpo e del tuo viso irrigidirsi, nell'intuire con qualche istante di anticipo, lo strappo della corda e la tensione sui nodi che segnerà le tue carni, mentre i tuoi arti disegneranno nell'aria fantasiosi intrecci.
Mi eccita, dispensarti lentamente il dolore con movimenti studiati ed esperti. Sentirlo pulsare in un onda sempre crescente, e infine annusare e leccare dalla tua pelle, l'odore e il sapore dolciastro della paura.Come adesso, dopo che ti ho tolto la benda e i tuoi occhi terrorizzati fissano l'oggetto che tengo tra le mani. L'ho cercato come un pazzo per mesi appositamente per te. Per questa occasione.

Ti sollevo ancora una volta da terra, le legature si tendono e ti aprono le gambe e con esse ancora una volta la tua fica ancora liquida dei tuoi precedenti orgasmi. Ti penetro in profondità con due dita ad uncino, rovesci gli occhi e sento subito arrivare nuove ondate crescenti di piacere.

Il tuo corpo è ancora scosso dal nuovo orgasmo, quando qualcosa di enorme e implacabile inizia lentamente a farsi strada dentro di te. Inesorabilmente scivoli in basso, per farti impalare da quella statua a forma di enorme fallo intagliata nell'ebano che secondo i racconti di chi me l'ha venduta veniva utilizzata in passato per compiere riti tribali.

Tenti di divincolarti ma riesci solo ad inarcare la schiena e a rendere ancora più rapida e dolorosa la penetrazione...
Ti osservo compiaciuto, mentre lacrime profonde ti solcano il viso. Tu sai benissimo che cosa devi fare per fermare questa tortura, lo abbiamo stabilito prima di iniziare...

Ma non te lo permetto. Non ti permetterò mai di attraversare quel confine e tornare indietro.
Nel mio campo sono bravo.

Il migliore che tu possa mai incontrare.



IlChaos
 
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Un lunedì qualunque...

The Velvet Underground - Rock and Roll
http://www.youtube.com/watch?v=2duFNff_ArY

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Il fine settimana è scivolato finalmente via tra i tanti impegni e il tentativo di riposare un po'.

Mi è mancata la tua voce. La tua allegria, la tua sana follia, che stimola e prende nuova linfa dalla mia, ma le promesse sono promesse e vanno rispettate anche quando sono difficili da mantenere.

Mi aspetta un lunedì pesante. Chissà dove sei, se cammini leggera per le strade della tua città e forse mi penserai fermandoti a guardare quel libro in vetrina.
Guardo ipnotizzato lo schermo del computer mentre decine e decine di buste chiuse come piccole formiche nere si mettono ordinatamente in coda nella mia casella di posta dell'ufficio...

E' ancora tutto silenzio. Sorseggio il mio caffè nero e amaro e ti penso. Penso alla pazzia di quell'incontro al buio e a come ci siamo riconosciuti come "pari" da subito, alla nostra pura e immediata nudità nelle parole che ci siamo detti, al tempo che sembrava volare. Il tuo corpo morbido, le tue labbra su di me, e poi la tua fuga improvvisa e frenetica da cenerentola che sta per perdere l'ultima zucca di mezzanotte verso casa...

Ci rivedremo?, io sento di sì, ma come sempre non ho forzato le cose, mi sono ritirato in buon ordine, ti ho regalato le mie più cristalline parole. Tu ora sai come e quanto ti voglio. C'è qualcosa di forte e primitivo in questo mio desiderio, privato razionalmente da ogni sterile bramosia e voglia di possesso, sono semplicemente qui, spogliato ormai di tutto, in tua attesa.

La mattinata è scandita dai soliti problemi che si rincorrono, sono al telefono mentre vedo lampeggiare il tuo nome sul cellulare, frettolosamente congedo il mio interlocutore. La tua voce mi avvolge come finissima seta, mi dici che stai pensando a me, mi descrivi con tue parole, quello che sino a pochi minuti fa anch'io stavo pensando.
Ti sei svegliata questa mattina con me nella tua testa, la mia pelle, il mio odore.
Mi dici che vuoi fare l'amore, senza aspettare altro tempo. Sento nelle tue parole l'urgenza che è anche mia, ma non posso, non posso scappare ti dico, mi aspettano tra meno di un'ora per una riunione. Domani, domani..., sì..., sì, se posso mi dici.

Rimaniamo a giocare con le parole, con i nostri ricordi di ieri e con quelli che saranno domani..., domani..., forse, sì domani..., cresce in noi leccitazione, le parole cambiano, si diradano occupando ogni spazio tra i nostri respiri.

Mi chiamano. Devo andare, un saluto, un rapido bacio, e quella quasi promessa. Domani...

Il meeting sta iniziando.
Mi aspettano, ho preso con me il materiale che avevo preparato e che non sono riuscito a rileggere, lo dispongo con ordine davanti a me con quella pignoleria che mi distingue. Tutto procede come avevo previsto, arrivano le domande. Sono onde a volte insidiose che avevo già sognato, di cui conosco già la deriva. Le addomestico, le schivo, le cavalco, tutte tranne una, è l'unica non prevista. Prendo tempo e intanto davanti a tutti afferro il mio telefono e faccio un numero, improvvisando un piccolo show con il mio interlocutore a cui chiedo chiarimenti e informazioni urgenti, mi serviranno a domare anche quest'ultima insidiosa domanda.

Procediamo su altri argomenti, è rimasta in sospeso quella sola domanda, mentre aspetto la telefonata che mi dovrebbe fornire gli ultimi dati, mentalmente preparo già diversi scenari, pronti ad essere completati da quell'ultimo tassello mancante...

Il display del cellulare appoggiato sul lungo tavolo della sala riunioni, inizia a vibrare, lo afferro, ma non è la telefonata che sto aspettando, è un tuo mms. In quel momento sta parlando un consulente esterno e l'attenzione è concentrata su di lui. Premo il tasto scarica, qualche secondo di attesa e, ed ecco apparirmi le tue morbide labbra rosse appena dischiuse in un bacio con quella piccola didascalia

"Baciami!" ...

Sto ancora stringendo il telefono che un nuovo videomessaggio me lo fa vibrare tra le mani, questa volta il protagonista è il tuo seno che una delle tue mani stringe torturandone tra le dita il capezzolo, dopo aver sbottonato la camicetta che lo conteneva...

"Mordimi!"...

Ed io lo faccio mentalmente, ne sento il profumo ed il dolce sapore, gioco con la lingua i denti e le labbra sul tuo capezzolo che diventa subito duro al mio primo tocco...

Il consulente fortunatamente continua a parlare, con quell'enfasi di chi sta cercando di venderti qualcosa. Sono confuso, mi guardo intorno. Sembra che nessuno a parte forse una mia collega si sia accorta del mio piccolo imbarazzo...

Vrrrrrrrrrrrrr, una nuova vibrazione, questa volta il legno del tavolo della sala riunioni ha fatto da cassa di risonanza.
Sul display appare l'icona che mi avvisa dello scaricamento di un nuovo mms. C'è silenzio nella sala, e ho gli occhi di tutti i presenti puntati su di me.
"Coraggio", mi sollecita l'AD, dev'essere quella risposta che stiamo tutti aspettando.
"Sì è probabile", rispondo, e intanto sò già che non è così, sò già cosa mi aspetta...

Avvicino il display e apro la busta...
La prima cosa che distinguo chiaramente sono le dita affusolate della tua mano, a disegnare un V capovolta.
Le unghie curate e laccate di un colore ciliegia pallido, in mezzo a loro, incorniciato dal loro candore, distinguo immediatamente il tuo frutto più nascosto e succoso dischiuso per me...

"Scopami!"...

Mi sento tutti gli occhi dei presenti addosso e il bello è che la cosa mi lascia del tutto indifferente.
Scuoto leggermente il capo mentre sorrido come un cretino...

Sotto l'ultima tua immagine oltre alla breve didascalia,
cè anche il nome di un albergo fuori Milano e l'orario dell'appuntamento.

Alzo lo sguardo verso i presenti e riesco solo a dire...

"Scusatemi... Devo proprio scappare.
E' un'emergenza!!!" :pardon:


IlChaos

 
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bergamo
Quanto mi aveva fatto ingelosire questo racconto mio caro chaos......quanto mi hai fatto ingelosire mio adorato Chaos ;)
 
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