(Prendo spunto da questa discussione, invitando l'utenza a proseguire qui di seguito).
Prologo: l’insonnia del fondatore
Ammetto una cosa: quando è esploso il caso phica.net, io non ho chiuso occhio.E non perché sia un’anima candida turbata dagli orrori del mondo: dopo decenni di community online ne ho viste di tutti i colori. Quantopiù perché certe vicende, viste dalla prospettiva di chi gestisce da anni una piattaforma come punterforum, non si possono liquidare con un’alzata di spalle e un “eh vabbè, succede”. No, quelle dinamiche ti ronzano in testa come una zanzara nelle notti estive: fastidiose, insistenti, impossibili da ignorare.
Questa notte, infatti, è stata diversa. Non il solito sonno interrotto da una notifica o da un pensiero volante, ma un vero e proprio stato di veglia. Ho passato ore davanti allo schermo del computer come se stesse per sputarmi fuori le risposte. E invece niente. Solo altre domande. Tante, troppe. E’ stato come trovarsi in una stanza con cento persone che ti parlano tutte insieme: capisci che c’è confusione, percepisci che qualcosa sta accadendo, ma non distingui una parola dall’altra.
La verità è che, da fondatore storico di punterforum, non potevo cavarmela con la solita frase: “Un sito chiude, capita”. Perché dietro ogni caso del genere non c’è solo un URL oscurato, ma un mondo: abitudini, persone, comportamenti, reazioni. Così ho fatto quello che mi riesce meglio nei momenti di crisi: ho preso un blocco note (sì, ancora di carta, perché certe cose si ragionano meglio scrivendole a penna) e ho iniziato a buttare giù domande. E risposte. E altre domande. E altre risposte. Un flusso che non finiva mai.Il risultato? Una notte insonne, la testa che girava come una lavatrice in centrifuga, e alla fine un testo che non è un articolo, né un trattato accademico. È una lunga riflessione. Una chiacchierata, se vogliamo, con chi ha ancora la pazienza di leggere e di informarsi prima di sentenziare.
Non prometto leggerezza. Ma prometto almeno un po’ di onestà, qualche ironia, e quelle risate amare che, a volte, servono più di mille sermoni.
Patriarcato: morto, resuscitato e connesso in fibra
Cominciamo con l’ospite scomodo: il patriarcato. Quello che un tempo era solido, tangibile, scolpito nella pietra delle leggi e delle tradizioni. Un sistema fatto di certezze brutali: gli uomini decidevano, le donne eseguivano. Punto. Oggi, almeno in superficie, sembra cambiato tutto. Le donne votano, guidano, lavorano, divorziano, scelgono. Nessun prete ti scomunica se porti i pantaloni, nessuna legge ti vieta di studiare ingegneria o di candidarti sindaca. Eppure, certe dinamiche sembrano immortali.Non si presentano più in giacca e cravatta, ma in versione digitale. Non urlano ordini, non scrivono codici morali, ma si insinuano nei meme, nei gruppi Facebook, nei thread su Reddit. È come quel vecchio zio che non inviti mai a cena, ma che puntualmente si presenta col bicchiere in mano e la battutina pronta. Non lo vedi finché non apre bocca, e quando apre bocca ti chiedi perché non sia rimasto a casa. In sostanza, il patriarcato non è morto: ha solo cambiato vestito. E, come vedremo, ha trovato nei social network la sua nuova palestra preferita.
Dai circoli da bar alle piazze digitali
Prima dell’invasione dei social, Internet era roba per pochi. Forum su piattaforme improvvisate, chat IRC con dieci iscritti, mailing list con venti nomi. Una dimensione ristretta, simile al bar sport: battutine, risate, discussioni infinite sul nulla. Lì si parlava di tutto: calcio, politica, sesso. Sì, c’era pure il sessismo. Ma rimaneva confinato in quella stanza virtuale, come le chiacchiere da spogliatoio che non escono mai dal locale. Un piccolo club, chiuso, autoreferenziale. Poi sono arrivati i social. Ed è stato come spalancare la porta di quei circoletti e far entrare dentro mezzo pianeta. Da quattro gatti davanti al bancone siamo passati a milioni di persone con un megafono in mano. Qui entra in scena Umberto Eco, che l’aveva previsto con la sua solita precisione chirurgica: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar…”.Ecco: oggi non solo parlano, ma hanno follower, like, retweet. E se osi dire che stanno sparando cavolate, ti rispondono: “È la mia opinione”. Il problema è che oggi l’opinione non pesa in base alla competenza, ma in base ai click che genera. Ed è così che il patriarcato, invece di scomparire, si è travestito da meme ed è diventato virale su TikTok.
Phica.net, “Mia moglie” e il branco digitale
Ed eccoci ai casi più famosi: phica.net e il gruppo “Mia moglie”. Spazi che si presentavano come ironici, goliardici, persino satirici. E che invece, col tempo e senza moderazione, sono diventati bazar del voyeurismo, della denigrazione e della mercificazione del corpo femminile. Non era patriarcato nel senso classico, strutturato e consapevole. Era piuttosto il branco. Lo stesso istinto primordiale che un tempo si sfogava dietro la siepe del villaggio, oggi si manifesta con foto rubate, commenti volgari, battutine da quattro soldi. La stessa caverna, solo connessa in fibra. Il paradosso? Molti ridevano. “Ma sì, è solo uno scherzo!”.Peccato che quando migliaia di persone ridono insieme delle stesse cose tossiche, non è più una barzelletta. È un fenomeno sociale. E non è affatto da sottovalutare.
Coltelli, mogli e responsabilità dimenticate
Ogni volta che scoppia un caso simile, parte il coro: “Chiudiamo il sito!”, “Blocchiamo il gruppo!”, “Colpa di Facebook!”. È la reazione standard.Ma è come dire: “Chiudiamo le aziende che producono coltelli da cucina perché qualcuno ha usato un coltello per uccidere la moglie.” No, amici. Il coltello serve per tagliare il pane. Se tu lo usi male, la colpa è tua. Lo stesso vale per la tecnologia. Non è lo strumento, ma l’uso che se ne fa. Eppure, nel mondo digitale, la responsabilità individuale sparisce. È sempre colpa dell’algoritmo, di Zuckerberg, della piattaforma. Mai colpa nostra. E come se non bastasse, ci si mette pure la generalizzazione di genere. Uno sbaglia e improvvisamente tutti sono colpevoli. È la logica infantile del “uno vale tutti”. Così si perde il confine tra libertà personale e rispetto dell’altro.
I media: squali col profumo di sangue
E poi ci sono i media. Quando annusano il sangue, non resistono. Phica.net? Perfetto per fare share. “Mia moglie”? Titolo acchiappaclick ideale. In televisione compaiono i soliti tuttologi: parlano di tutto, capiscono di niente. Quando non hanno risposte, usano la frase salvavita: “Questo è il mio punto di vista.” Ok, ma se sei in prima serata, il tuo punto di vista non può essere aria fritta. Il clamore esplode quando entrano in scena politici e personaggi pubblici. Dichiarazioni indignate, comunicati stampa, querele annunciate. Tutti improvvisamente paladini della morale. E intanto, su Change.org, spuntano petizioni a raffica. Migliaia di firme per chiedere chiusure immediate. Domanda: dov’erano tutte queste firme fino a ieri? Forse a guardare Netflix.La libertà secondo Instagram
Mentre i giornali urlano e le tv fanno spettacolo, gli influencer ci vendono la loro idea di libertà. Donne emancipate che posano in foto studiatissime, uomini che ostentano Rolex e Lamborghini. Tutto in nome dell’autonomia e della virilità. Ma lo schema è sempre lo stesso: attrazione, ostentazione, desiderio. Solo che oggi lo misuriamo in like, follower, visualizzazioni. Una prigione dorata. Altro che liberazione.I gestori: eroi o masochisti?
E poi ci siamo noi: i gestori delle community. Quelli che non vincono mai. Se lasci correre, sei complice. Se moderi, sei fascista. Se applichi regole, sei un poliziotto. Negli anni ci hanno chiamato in tutti i modi: fascisti, bobbies, sceriffi. Ci siamo beccati insulti, maledizioni, auguri di chiusura, persino minacce fiscali. Tutto per aver cercato di mantenere un minimo di decoro. Eppure, mentre altre piattaforme lasciavano correre, noi abbiamo scelto la strada più difficile: quella delle regole. Meno visibilità, sì. Ma più dignità.
Punterforum: il parallelismo che non esiste
Qui ci tengo a chiarirlo: punterforum non è phica.net. Non c’entra niente.Punterforum non è voyeurismo mascherato da ironia. È una community storica, basata su recensioni e discussioni che riguardano persone adulte che, in piena consapevolezza, hanno scelto di prestare servizi per adulti. Non si tratta di abusi né di esibizionismo inconsapevole. È un contesto fondato su scelte libere, dove le regole servono a tutelare chi partecipa.
Certo, anche noi sulla scorta del caso phica.net, abbiamo visto qualche cancellazione. Poche decine, nulla di drammatico, ma indicative. Chi non ha consapevolezza, scappa. Fugge senza capire. E spesso ahimè si tratta di utenti storici. Gente che per dieci anni si è loggata due volte al giorno e poi, improvvisamente, scrive: “Non mi interessa più.” Ok, i gusti cambiano. Ma un dubbio sorge: non è che questi sono i voyeuristi che, sorpresi a sbirciare dietro i cespugli, con i pantaloni abbassati, farfugliano “Io non c’entro niente, passavo di qui”?
Ebbene, se sei uno di quelli, fai bene a cancellarti. Non per il voyeurismo in sé (che non mi disturba affatto), ma perché qui spazio ce n’è solo per chi sa accettarsi. Se sei un lurker che non ha il coraggio di ammettere chi è, questa non è casa tua.