Di seguito un altro mio personale contributo che vuole smarcare ancora una volta, l'identità della community da situazioni che nulla hanno a che fare con il gruppo e la condivisione di esperienze e pareri dove, non dimentichiamolo, l'argomento principale è l'intrattenimento per adulti con particolare riferimento a escort, accompagnatrici senza distinzione di genere e sesso. Cerco quindi di fare un po' di chiarezza, introducendo due concetti. Il primo la decontestualizzazione e il secondo la trasversalità, al quale (poveri voi), seguirà un ulteriore approfondimento.
Partiamo da una tesi inconfutabile: ogni giorno milioni di fotografie circolano sui social network, sui siti di informazione, nei blog, nelle chat private. Non è esagerato dire che l’immagine sia diventata il linguaggio principale della comunicazione contemporanea (Instagram è il re incontrastato). In questo scenario però, c’è un aspetto che raramente riceve l’attenzione che merita:
l’uso improprio delle fotografie di una persona, anche quando si tratta di figure pubbliche. La diffusione non autorizzata e soprattutto,
la collocazione in contesti distorti possono produrre conseguenze gravi sulla reputazione, sulla percezione sociale e perfino sulla vita privata di chi vi è ritratto.
Basta un esempio, tanto semplice quanto eloquente. Una fotografia scattata durante una vacanza, in cui un personaggio noto (ma anche non noto anzi, peggio ancora) appare in costume da bagno o peggio, in topless, con perizomi e rotondità in bella vista, può risultare del tutto innocua se condivisa sul suo profilo personale o pubblicata, nel caso di personaggi pubblici, in un giornale di gossip. Se però quella stessa immagine viene inserita in un sito pornografico, assume immediatamente un significato diverso e diventa strumento di lesione della dignità di quella persona. La foto non cambia, ma
cambia il contesto, e con esso cambia anche il modo in cui viene percepita.
Questo meccanismo si chiama decontestualizzazione. Non si tratta soltanto di un riutilizzo, ma di uno spostamento da un ambiente legittimo a uno che ne altera profondamente il senso. È una pratica che gioca sulla forza del contesto, capace di trasformare la neutralità o la leggerezza in malizia, allusione, scandalo. Chi osserva non guarda mai in modo isolato: interpreta in base a ciò che lo circonda e se la cornice è pornografica o denigratoria, anche la foto più innocente diventa portatrice di significati ambigui.
In questo fenomeno si inserisce un’espressione ricorrente: “dare in pasto”.
Pubblicare un’immagine fuori luogo non significa soltanto renderla visibile, ma offrirla deliberatamente a un pubblico con l’intento di stimolare reazioni. Chi compie questo gesto vuole ottenere commenti, condivisioni, ironie, insinuazioni. Non c’è innocenza in questo atto: c’è la precisa volontà di alimentare un circuito di attenzione, spesso a scapito della dignità altrui. La persona ritratta viene così trasformata in oggetto di consumo, ridotta a carburante per l’intrattenimento degli altri. Qualcuno potrebbe obiettare che, se si tratta di un personaggio pubblico, la questione sia diversa. Chi sceglie di esporsi, si dice, deve accettare anche l’invadenza, la perdita di controllo sulla propria immagine. È vero che una figura nota gode di una minore aspettativa di privacy rispetto a un cittadino qualsiasi (*): politici, attori, influencer vivono di visibilità e la loro quotidianità diventa parte del discorso pubblico. Ma questo non significa che siano privi di diritti. Il fatto di essere osservati non autorizza la manipolazione. Una foto scattata in spiaggia e pubblicata in un giornale di gossip può rientrare nei limiti del diritto di cronaca o di costume, mentre la stessa immagine trasferita in un sito pornografico rappresenta un abuso evidente. Qui non c’è più informazione, c’è solo denigrazione, e la reputazione della persona subisce un danno reale. Il danno è duplice. È immediato, perché la percezione dello spettatore si forma all’istante. Non conta più l’origine della foto,
conta la nuova cornice. La collocazione suggerisce significati impliciti che restano impressi. Ed è un effetto prolungato perché su internet nulla scompare davvero. Anche se la persona riesce a ottenere la rimozione dal sito che ha diffuso l’immagine, copie e screenshot possono continuare a circolare per anni. La rete ha una memoria lunga e spietata e ogni volta che quell’immagine riaffiora, riattiva malizie e commenti. Il danno non colpisce soltanto la vita privata ma anche la sfera professionale: un politico può perdere credibilità, un artista può subire derisione, un cittadino qualsiasi può ritrovarsi emarginato o discriminato sul lavoro.
Chi pubblica una foto decontestualizzata non può fingere di non sapere.
C’è consapevolezza e c’è intenzione.
Si cerca la provocazione, si attizza la curiosità del pubblico, si punta a scatenare reazioni.
E non esiste "...eh ma è solo per ridere...."
L’atto stesso di “dare in pasto” implica violenza simbolica. La persona diventa carne gettata alla folla, esposta al giudizio vorace degli utenti. È una dinamica che disumanizza, che riduce l’individuo a strumento, che annulla la complessità e la dignità di chi è ritratto. Se poi la pubblicazione avviene su piattaforme ad ampia risonanza, il danno si moltiplica. Un forum affollato, un gruppo social con migliaia di iscritti, un sito pornografico ad alto traffico amplificano la viralità e rendono impossibile contenere la diffusione.
Veniamo all'analisi della modalità con cui i soggetti rappresentati, possono tutelarsi da questo fenomeno che per quanto oggi sia amplificato dai media come se fosse "tutto italiano", è presente in tutto il mondo (salvo quei paesi dove esiste la censura di Stato).
Gli strumenti giuridici esistono: la tutela della privacy, le norme sul diritto all’immagine, la possibilità di agire per diffamazione o per danni reputazionali. Tuttavia l’applicazione incontra limiti concreti. La velocità con cui un contenuto si diffonde online supera di gran lunga i tempi della giustizia. Una denuncia richiede giorni, settimane, mesi. Nel frattempo l’immagine ha già raggiunto centinaia di migliaia di persone. Anche quando una rimozione viene ottenuta, il materiale può essere stato duplicato altrove, vanificando gli sforzi.
C’è poi un problema culturale. Spesso la responsabilità viene spostata sulla vittima: non avrebbe dovuto esporsi, non avrebbe dovuto lasciarsi fotografare in quel modo, non avrebbe dovuto condividere certe immagini.
È un atteggiamento che ribalta la logica e normalizza l’abuso. Non è chi decontestualizza a essere condannato, ma chi viene colpito. Questo meccanismo di colpevolizzazione contribuisce a rendere tollerata una pratica che invece dovrebbe essere stigmatizzata con decisione. Ed è qui che si stanno concentrando le luci sul palco della gogna mediatica. Contrastare questi fenomeni non significa soltanto rafforzare le leggi, ma promuovere un cambiamento culturale. Occorre educare alla responsabilità digitale, far comprendere che ogni gesto online ha un peso.
Condividere un’immagine fuori contesto non è un passatempo innocente: può devastare la reputazione e la vita di una persona. Allo stesso tempo, le piattaforme devono assumersi un ruolo più attivo, intervenendo rapidamente sulle segnalazioni, investendo in strumenti (tecnologici e non) per riconoscere e bloccare le manipolazioni. Non vale più il concetto "internet libero per tutti". Alla base resta un principio non negoziabile: la dignità umana non può essere calpestata in nome del profitto, della curiosità o del divertimento altrui. Che si tratti di un personaggio pubblico o di un cittadino qualsiasi, nessuno dovrebbe essere trasformato in oggetto da esibire fuori dal proprio contesto. La pratica di dare in pasto le immagini non è intrattenimento innocuo: è una forma di violenza mediatica, sottile ma devastante, che merita di essere riconosciuta e contrastata con fermezza. Solo se impariamo a rispettare il valore dell’immagine altrui riusciremo a costruire uno spazio digitale in cui libertà di espressione non significhi libertà di offesa, e in cui la persona resti sempre al centro. Fate uno sforzo, ricordate questo approfondimento e prima di inserire un immagine o un commnento ad una immagine, riflettete e se avete dubbi, cercate e approfondite soprattutto quando vi arriva il messaggio di "recensione respinta" oppure "contenuto non in linea con la policy e il regolamento" o ancora quando qualcuno dello Staff
è costretto ad intervenire per tutelare sicurezza e integrità della community e dei suoi gestori.
(*) Quando si parla di privacy ridotta per soggetti pubblici, ci si riferisce al principio giuridico secondo cui chi riveste un ruolo pubblico, gode di una tutela della riservatezza più limitata rispetto a un privato cittadino. È un concetto consolidato sia nella giurisprudenza italiana che in quella europea, ed è fondamentale per comprendere il bilanciamento tra diritto alla riservatezza e diritto di cronaca/informazione.