L'ANGOLO DELLA POESIA...

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Aveva gambe lunghe...

Pat Metheny - Always and Forever

http://youtube.com/watch?v=Hl2zViuoiC0

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Il primo ricordo che ho di lei, è in pomeriggio afoso d'estate, nel cortile di piccoli ciottoli di fiume reso di un bianco accecante dalla luce del sole.
Stavo giocando con una piccola palla rossa, unica mia compagna di quelle ore in cui tutto sembrava fermarsi e uomini e animali si coricavano in attesa che la calura del giorno diventasse meno feroce.

Tenevo gli occhi fissi a terra per non rimanere accecato dalla luce quando la palla si fermò tra i suoi piedi.
La prima cosa che mi colpì di lei furono proprio le sue unghie smaltate di un rosso brillante e lucente che non avevo mai visto e che spuntavano da un paio di zoccoli con la fibbia di chiusura bianca che contrastava con la sua pelle bruna e dorata.

Aveva gambe lunghe, dritte e sottili e polpacci nervosi che mi ricordarono le gambe del tavolo che avevamo sotto il portico e che la settimana prima, mio zio aveva riverniciato.
Il mio universo femminile a quel tempo era abbastanza limitato. Ne facevano parte mi madre, le mie vecchie zie e poco altro ancora. Lei era proprio diversa da tutto quello che conoscevo, era più alta delle altre donne, alta e slanciata con quella sua semplice gonna sopra il ginocchio e quella camicetta a fiori. Quando lentamente alzai lo sguardo dai suoi piedi, ricordo che ad abbagliarmi non fu il sole ma quei suoi denti bianchissimi, mentre grandi occhi scuri..., neri come il colore dei suoi capelli raccolti con un nastro dietro le spalle, mi guardavano divertiti.

Quella sera la cena fu insolitamente silenziosa, dopo che gli uomini si furono alzati per dare un ultima occhiata alle bestie e mentre le donne sistemavano, percepii una strana tensione nell'aria e discorsi bisbigliati di cui mi resi conto non si voleva io facessi parte. Mi nascosi in un angolo dietro la grande stufa in ceramica per ascoltare ma a dir la verità non capivo molto, colsi a fatica parole come: "svergognata, "puttana" e "città"..., mentre come in quasi tutte le discussioni i toni si facevano via via più concitati e si stavano formando due fazioni una pro e una contro qualcosa o qualcuno.

La mattina dopo raccontai a mia madre dell'incontro che avevo fatto in cortile il giorno prima. Lei mi raccontò che la donna che avevo visto era una sua amica, solo di qualche anno più giovane. Mi raccontò che erano cresciute insieme e qualche anno prima lei aveva deciso di trasferirsi in una grande città, mi disse anche che era tornata in paese a trovare la sua famiglia e si raccomandò di essere molto gentile con lei.

Nei giorni che seguirono, mi dimenticai del tutto di quella discussione, mentre regolarmente iniziai a condividere i pomeriggi assolati con quella mia nuova amica che mi sembrava in quei giorni ancora più sola di me.
Si muoveva con passo così leggero che sembrava danzasse. Mi accorsi che aveva anche le unghie delle mani smaltate ed anche le labbra erano di un rosso che mi sembrava un po strano, come se avesse mangiato delle ciliegie, eppure ne ero sicuro non era più quella la loro stagione.

Correvo avanti e indietro per il cortile con la mia palla, ma la sua presenza mi distraeva. Ogni tanto mi fermavo a guardarla, poi, stanco della corsa mi sedevo accanto a lei sul dondolo sotto al pero e venivo subito coinvolto in storie fantastiche, storie di re e regine che non erano quelli delle favole che conoscevo, di feste, di balli, di storie di attori e attrici che venivano da un posto lontano che si chiamava Hollywood dove gli uomini portavano sempre occhiali scuri sul viso e le donne grandi foulard tra i capelli. Tutte queste storie che mi raccontava le prendeva da alcuni giornali pieni di fotografie che poi sfogliavamo e guardavamo insieme e che mi piacevano molto, come mi piaceva annusare il profumo pungente che usciva da quelle pagine.

Un giorno in cui il sole era particolarmente caldo, mi chiese se avevo voglia di fare una passeggiata e così la seguii fuori dal paese, passammo davanti al pozzo per arrivare ai margini del bosco.
Lì ci fermammo a riposare seduti in un prato dove il fieno era appena stato tagliato. Mormorò qualcosa riguardo al sole e a dei segni che le sarebbero rimasti sulla pelle, tutte cose strane che non capii, poi si sbottonò e si tolse la camicetta per rimanere così, accanto a me, in silenzio accendendosi una sigaretta.

Io mi sentivo strano, fissavo i suoi seni e ipnoticamente quei cerchi più scuri e quasi perfetti sulle loro punte mentre al tempo stesso, dentro di me, una voce mi diceva che non era gentile farlo, così distolsi gli occhi, anche se poi dopo un po finivo per ritornarci.
Camminando verso casa mi disse scompigliandomi i capelli con una mano che ero un bellissimo bambino gentile ed educato e da grande avrei spezzato tanti cuori e che se solo fossi stato un po' più vecchio si sarebbe fidanzata con me. Mentre mi diceva tutto questo mi accorsi che aveva gli occhi un po' tristi..., poi arrivati nel cortile, prima di rientrare a casa mi abbracciò forte e mi bacio su una guancia. Io tutto rosso corsi in cucina e attento a non farmi vedere da nessuno, mi guardai nello specchio appeso sopra il lavello e mi lavai per togliermi subito dalla faccia quei leggeri segni rossi color ciliegia perché mi vergognavo.

Qualche ora dopo, era già sera quando sentii il rumore di una macchina che si fermava in fondo al cortile.
Mi affacciai alla finestra era una macchina grande, così lunga non ne avevo mai vista una, sembrava proprio una di quelle che apparivano sulle fotografie delle riviste. Rimase lì ferma, con delle lucine ed il motore acceso.

Lei attraversò silenziosa il cortile deserto tutta vestita di bianco, me lo ricordo bene perché c'era la luna e la sua figura mi sembrava luminosa come quella di una lucciola estiva. Aveva con se una piccola valigia scura.

La vidi aprire la portiera e salire, io la guardavo trattenendo il respiro ma lei non si voltò mai indietro.
Quella è stata l'ultima volta che la vidi...



IlChaos



Eppure resta che qualcosa è accaduto,
forse un niente...,
che è tutto.

Eugenio Montale


 
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Giorni in bianco

In questi giorni, mi levo con le betulle
e sulla fronte ravvio le ciocche di frumento
davanti a uno specchio di ghiaccio.

Amalgamato al mio respiro
sfiocca il latte:
così di buon'ora ha facile schiuma.
E dove il vetro appanno con l'alito
appare, dipinto da un dito infantile,
ancora il tuo nome: innocenza!
Dopo tanto tempo.

In questi giorni, non mi duole
di sapere dimenticare
e di essere costretta a ricordare.

Amo. Fino all'incandescenza io amo,
e ne ringrazio biblicamente il cielo.
L'ho imparato in volo.

In questi giorni, io ripenso all'albatro
che mi ha sollevata e trasportata
in un paese che è un foglio bianco.

All'orizzonte immagino,
fulgido nel suo tramonto,
il mio favoloso continente
laggiù, che mi ha congedata
già rivestita del sudario.

Vivo, e da lontano ascolto il suo canto del cigno! ( Ingeborg Bachmann )
 
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Il vecchio che fotografava le donne...

Everything Everything's Not Lost - Coldplay

http://www.youtube.com/watch?v=0IywjWWlxF8&list=RDfZIoFXmWbv0
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Non mi ricordo neanche quando è stata la prima volta che lo incontrai, so solo che durante le mie passeggiate per le vie nascoste nel centro di Milano, mi aveva colpito per quel suo modo strano di buttare i suoi occhi pe...r un istante dentro i tuoi; per quell'eleganza sobria e d'altri tempi nel vestirsi e per quella strana borsa di cuoio rossa che portava sempre con sé. Estate e inverno, un anno dopo l'altro, lo incontravo più o meno vestito nello stesso modo, sempre con quella borsa di cuoio a tracolla, con quel passo un po' marziale e rigido ma allo stesso tempo leggero e determinato come quello di un segugio che insegue la sua preda.

Era dicembre, una di quelle giornate grigie in cui freddo e umido ti entrano nelle ossa e nella testa e ti ritrovi a chiederti perchè non sei ancora scappato da Milano. Avevo appena attraversato piazza Duomo e imboccato via Torino; poco più avanti in una piccola traversa, le vetrine in stile inglese di un piccolo bar mi avevano attirato con la promessa di qualcosa di caldo da bere...

Entrando, mi misi a sedere ad un piccolo tavolo vicino alla vetrina per poter osservare il via vai della strada e senza accorgermene me lo ritrovai seduto di fronte con la sua borsa di cuoio rossa aperta sul tavolo. Stava armeggiando con inusuale destrezza ad un paio di macchine fotografiche. Mi parve di riconoscere in una delle due un vecchio modello di Leica, il vecchio si accorse subito del mio interesse e come se mi conoscesse da sempre mi fece un cenno col capo invitandomi a sedere al suo tavolo.

Ci presentammo. Io gli raccontai subito del lavoro che facevo e che per molti aspetti aveva proprio a che fare con la fotografia. Lui mi ascoltò attentamente e nel farlo smontava e rimontava l'obbiettivo a quella che ora sapevo essere un modello di Hasselblad di cui neanche conoscevo l'esistenza e che doveva valere una fortuna. Arrivarono le nostre ordinazioni, io parlavo, parlavo..., sarà che non avevo proprio voglia di tornare ai miei impegni, sarà che si stava proprio bene in quella piccola saletta rivestita di caldi pannelli di legno. Lui sembrava divertito, ogni tanto mi interrompeva per farmi qualche domanda. Dopo qualche tempo mi resi conto di aver esagerato e mi scusai con lui delle mie tante chiacchiere. Gli raccontai di averlo visto spesso in giro in tutti quegli anni e gli chiesi che lavoro faceva...: "Il cacciatore d'ombre" mi rispose e lo disse come se io conoscessi già il significato di quelle parole.

***

Mi ritrovai a camminare al suo fianco per altre vie del centro che non conoscevo, lo seguii quasi ipnotizzato, incuriosito ed anche leggermente impaurito sino ad un piccolo e malconcio negozio di fotografia che mi sembrò uscito da un vecchio film in bianco e nero dei primi del novecento.

Su vecchi scaffali polverosi, vidi scatole di prodotti con marchi di fabbriche che non esistevano più da oltre trent'anni e che mi riportarono alla memoria i miei primi imbarazzanti approcci con la fotografia. Attraversammo veloci il negozio deserto per entrare in un ampio studio sul retro rischiarato da un grande lucernario. Al centro un lungo tavolo luminoso con ancora dei negativi sparsi un po' ovunque. Alle pareti, tutt'intorno a me, dei grandi pannelli di compensato chiaro. Su ciascuno di loro il nome di una donna scritto a mano su piccole targhe di cartoncino colorato, quei nomi li ricordo ancora bene: Manuela, Sabrina, Chiara, Giulia, Alessandra, Cristina, Lucia, Rita, Barbara e Paola.

Vicino a ciascun nome, c'era una grande fotografia a figura intera di una donna. Le vedevo così diverse eppure tutte, avevano nello sguardo qualcosa in comune, una piega tra le sopracciglia un ombra scura che sembrava risucchiare tutta la loro bellezza.

"Sì..., sono tutte state toccate dall'ombra...", mi disse il vecchio come se mi leggesse nel pensiero. Sotto ciascun nome quello che vidi era un caleidoscopio di immagini più piccole. Erano fotografie di particolari di ognuna. Occhi.., tanti occhi e mani..., mani che si toccavano i capelli o che si portavano tazzine di caffè alle labbra e nasi, orecchie, spalle, fianchi, gambe e piedi fasciati da scarpe invernali, stivali o sandali estivi. Decine e decine di fotografie incollate su quelle tavole di compensato per ricomporre come tanti diversi tasselli di un puzzle, storie..., momenti e immagini nuove per ciascuna di loro.

Io rimasi a osservare in silenzio passando da una raccolta all'altra, ammirai la tecnica i dettagli e la freschezza delle stampe in bianco e nero dalla grana finissima, ma non riuscivo a capire il senso di quello che i miei occhi stavano guardando...

"Vede...", mi disse il vecchio anche questa volta anticipando ogni mia domanda, "In queste fotografie, in tutti questi particolari ho catturato la vera anima di queste donne. Quello che erano durante i loro giorni chiari, prima che fossero toccate dall'ombra. In questi ritagli raccolgo la storia di quello che ancora sono.., tutto quello che l'ombra non è riuscito ancora a cancellare ma che loro da sole non riescono più a vedere dal giorno in cui si sono perse. Il mio non è un lavoro semplice, occorrono mesi, a volte anni e molta pazienza per ritrovarle..., quando sono pronto, quando ciascun mosaico è completo raccolgo le fotografie e le metto in una grande busta che metto davanti alla loro porta, perchè le trovino, le stendano sul tavolo e anche se all'inizio distoglieranno lo sguardo impaurite, subito dopo si riconosceranno andando di fotografia in fotografia per riscoprire ogni volta qualcosa di nuovo. Rivedranno la luce dei giorni chiari e infine diranno: "Ecco sì..., questa sono io!". Col tempo ricominceranno a spazzolarsi i capelli come facevano una volta e camminando per la città fermandosi a osservare la propria immagine riflessa nelle vetrine dei negozi torneranno a sorridersi".

Ricordo che uscii dal negozio mentre spuntava un briciolo di sole e pensai che Milano sa raccontare ancora storie fantastiche. Pensai a quel vecchio, che viveva fuori dal tempo con le sue fotografie e i suoi ricordi. Pensai alla sua abilità che ormai molti di noi hanno perso, nel cogliere in uno sguardo, in un gesto, il preciso istante in cui l'ombra scivola via per un attimo dai volti riportando alla luce i colori, o forse semplicemente il suo era un modo di rivivere frammenti di altre donne della sua giovinezza cristallizzandoli per sempre nel tempo, forse gli occhi della donna che un tempo aveva amato e che ora conservava con cura come momento universale, dentro ciascuna di loro...

Sì credo che certe cose accadano ancora solo qui, tra il grigio e i palazzi di questa strana città..., forse è per questo che non riesco a lasciarla...




IlChaos
 
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Glenda Cherubino

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Se è davvero così,
se ti senti fra parentesi,
permettimi allora di infilarmici dentro;
e che tutto il mondo ne rimanga fuori,
che sia solo l’esponente al di fuori della parentesi
e ci moltiplichi al suo interno.


(David Grossman-Che tu sia per me il coltello)
 
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fabxpiace

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Visto che piove, questa poesia è appropriata...

Il giorno fu pieno di lampi;
ma ora verranno le stelle,
le tacite stelle. Nei campi
c'è un breve gre gre di ranelle.
Le tremule foglie dei pioppi
trascorre una gioia leggiera.
Nel giorno, che lampi! che scoppi!
Che pace, la sera!
Si devono aprire le stelle
nel cielo sì tenero e vivo.
Là, presso le allegre ranelle,
singhiozza monotono un rivo.
Di tutto quel cupo tumulto,
di tutta quell'aspra bufera,
non resta che un dolce singulto
nell'umida sera.
E', quella infinita tempesta,
finita in un rivo canoro.
Dei fulmini fragili restano
cirri di porpora e d'oro.
O stanco dolore, riposa!
La nube nel giorno più nera
fu quella che vedo più rosa
nell'ultima sera.
Che voli di rondini intorno!
Che gridi nell'aria serena!
La fame del povero giorno
prolunga la garrula cena.
La parte, sì piccola, i nidi
nel giorno non l'ebbero intera.
Nè io ... che voli, che gridi,
mia limpida sera!
Don ... Don ... E mi dicono, Dormi!
mi cantano, Dormi! sussurrano,
Dormi! bisbigliano, Dormi!
là, voci di tenebra azzurra ...
Mi sembrano canti di culla,
che fanno ch'io torni com'era ...
sentivo mia madre ... poi nulla ...
sul far della sera.

G. Pascoli (La mia sera)
 
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Visto che piove, questa poesia è appropriata...

Il giorno fu pieno di lampi;
ma ora verranno le stelle,
le tacite stelle. Nei campi
c'è un breve gre gre di ranelle.
Le tremule foglie dei pioppi
trascorre una gioia leggiera.
Nel giorno, che lampi! che scoppi!
Che pace, la sera!
Si devono aprire le stelle
nel cielo sì tenero e vivo.
Là, presso le allegre ranelle,
singhiozza monotono un rivo.
Di tutto quel cupo tumulto,
di tutta quell'aspra bufera,
non resta che un dolce singulto
nell'umida sera.
E', quella infinita tempesta,
finita in un rivo canoro.
Dei fulmini fragili restano
cirri di porpora e d'oro.
O stanco dolore, riposa!
La nube nel giorno più nera
fu quella che vedo più rosa
nell'ultima sera.
Che voli di rondini intorno!
Che gridi nell'aria serena!
La fame del povero giorno
prolunga la garrula cena.
La parte, sì piccola, i nidi
nel giorno non l'ebbero intera.
Nè io ... che voli, che gridi,
mia limpida sera!
Don ... Don ... E mi dicono, Dormi!
mi cantano, Dormi! sussurrano,
Dormi! bisbigliano, Dormi!
là, voci di tenebra azzurra ...
Mi sembrano canti di culla,
che fanno ch'io torni com'era ...
sentivo mia madre ... poi nulla ...
sul far della sera.

G. Pascoli (La mia sera)
una delle più belle poesie del PASCOLI che conosco a memoria.
 
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Paradiso · Canto XXXIII

«Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d'etterno consiglio,

tu se' colei che l'umana natura
nobilitasti sì, che 'l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.

Nel ventre tuo si raccese l'amore,
per lo cui caldo ne l'etterna pace
così è germinato questo fiore.

Qui se' a noi meridïana face
di caritate, e giuso, intra ' mortali,
se' di speranza fontana vivace.

Donna, se' tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia e a te non ricorre,
sua disïanza vuol volar sanz' ali.

La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fïate
liberamente al dimandar precorre.

In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s'aduna
quantunque in creatura è di bontate.

Or questi, che da l'infima lacuna
de l'universo infin qui ha vedute
le vite spiritali ad una ad una,

supplica a te, per grazia, di virtute
tanto, che possa con li occhi levarsi
più alto verso l'ultima salute.

E io, che mai per mio veder non arsi
più ch'i' fo per lo suo, tutti miei prieghi
ti porgo, e priego che non sieno scarsi,

perché tu ogne nube li disleghi
di sua mortalità co' prieghi tuoi,
sì che 'l sommo piacer li si dispieghi.

Ancor ti priego, regina, che puoi
ciò che tu vuoli, che conservi sani,
dopo tanto veder, li affetti suoi.

Vinca tua guardia i movimenti umani:
vedi Beatrice con quanti beati
per li miei prieghi ti chiudon le mani!».

Li occhi da Dio diletti e venerati,
fissi ne l'orator, ne dimostraro
quanto i devoti prieghi le son grati;

indi a l'etterno lume s'addrizzaro,
nel qual non si dee creder che s'invii
per creatura l'occhio tanto chiaro.

E io ch'al fine di tutt' i disii
appropinquava, sì com' io dovea,
l'ardor del desiderio in me finii.

Bernardo m'accennava, e sorridea,
perch' io guardassi suso; ma io era
già per me stesso tal qual ei volea:

ché la mia vista, venendo sincera,
e più e più intrava per lo raggio
de l'alta luce che da sé è vera.

Da quinci innanzi il mio veder fu maggio
che 'l parlar mostra, ch'a tal vista cede,
e cede la memoria a tanto oltraggio.

Qual è colüi che sognando vede,
che dopo 'l sogno la passione impressa
rimane, e l'altro a la mente non riede,

cotal son io, ché quasi tutta cessa
mia visïone, e ancor mi distilla
nel core il dolce che nacque da essa.

Così la neve al sol si disigilla;
così al vento ne le foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla.

O somma luce che tanto ti levi
da' concetti mortali, a la mia mente
ripresta un poco di quel che parevi,

e fa la lingua mia tanto possente,
ch'una favilla sol de la tua gloria
possa lasciare a la futura gente;

ché, per tornare alquanto a mia memoria
e per sonare un poco in questi versi,
più si conceperà di tua vittoria.

Io credo, per l'acume ch'io soffersi
del vivo raggio, ch'i' sarei smarrito,
se li occhi miei da lui fossero aversi.

E' mi ricorda ch'io fui più ardito
per questo a sostener, tanto ch'i' giunsi
l'aspetto mio col valore infinito.

Oh abbondante grazia ond' io presunsi
ficcar lo viso per la luce etterna,
tanto che la veduta vi consunsi!

Nel suo profondo vidi che s'interna,
legato con amore in un volume,
ciò che per l'universo si squaderna:

sustanze e accidenti e lor costume
quasi conflati insieme, per tal modo
che ciò ch'i' dico è un semplice lume.

La forma universal di questo nodo
credo ch'i' vidi, perché più di largo,
dicendo questo, mi sento ch'i' godo.

Un punto solo m'è maggior letargo
che venticinque secoli a la 'mpresa
che fé Nettuno ammirar l'ombra d'Argo.

Così la mente mia, tutta sospesa,
mirava fissa, immobile e attenta,
e sempre di mirar faceasi accesa.

A quella luce cotal si diventa,
che volgersi da lei per altro aspetto
è impossibil che mai si consenta;

però che 'l ben, ch'è del volere obietto,
tutto s'accoglie in lei, e fuor di quella
è defettivo ciò ch'è lì perfetto.

Omai sarà più corta mia favella,
pur a quel ch'io ricordo, che d'un fante
che bagni ancor la lingua a la mammella.

Non perché più ch'un semplice sembiante
fosse nel vivo lume ch'io mirava,
che tal è sempre qual s'era davante;

ma per la vista che s'avvalorava
in me guardando, una sola parvenza,
mutandom' io, a me si travagliava.

Ne la profonda e chiara sussistenza
de l'alto lume parvermi tre giri
di tre colori e d'una contenenza;

e l'un da l'altro come iri da iri
parea reflesso, e 'l terzo parea foco
che quinci e quindi igualmente si spiri.

Oh quanto è corto il dire e come fioco
al mio concetto! e questo, a quel ch'i' vidi,
è tanto, che non basta a dicer `poco'.

O luce etterna che sola in te sidi,
sola t'intendi, e da te intelletta
e intendente te ami e arridi!

Quella circulazion che sì concetta
pareva in te come lume reflesso,
da li occhi miei alquanto circunspetta,

dentro da sé, del suo colore stesso,
mi parve pinta de la nostra effige:
per che 'l mio viso in lei tutto era messo.

Qual è 'l geomètra che tutto s'affige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond' elli indige,

tal era io a quella vista nova:
veder voleva come si convenne
l'imago al cerchio e come vi s'indova;

ma non eran da ciò le proprie penne:
se non che la mia mente fu percossa
da un fulgore in che sua voglia venne.

A l'alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e 'l velle,
sì come rota ch'igualmente è mossa,

l'amor che move il sole e l'altre stelle.

Dante Alighieri
 
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Glenda Cherubino

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Questa volta lasciate che sia felice,
non è successo nulla a nessuno,
non sono da nessuna parte,
succede solo che sono felice
fino all'ultimo profondo angolino del cuore.
Camminando,dormendo o scrivendo,
che posso farci, sono felice.
sono più sterminato dell'erba nelle praterie,
sento la pelle come un albero raggrinzito,
e l'acqua sotto,gli uccelli in cima,
il mare come un anello intorno alla mia vita,
fatta di pane e pietra la terra
l'aria canta come una chitarra.

Neruda
 
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Lontana

Cantare, il giorno, ti sentii: felice?
Cantavi; la tua voce era lontana:
lontana come di stornellatrice
per la campagna frondeggiante e piana.

Lontana sì, ma io sentia nel cuore
che quel lontano canto era d'amore:

ma sì lontana, che quel dolce canto,
dentro, nel cuore, mi moriva in pianto.

Giovanni Pascoli
 
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Felicità raggiunta, si cammina
per te sul fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede, teso ghiaccio che s'incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t'ama.

Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le schiari, il tuo mattino
è dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
Ma nulla paga il pianto del bambino
a cui fugge il pallone tra le case.

MONTALE
 
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Perugia
Talvolta quando al tramonto
passeggio stanco pel Corso
(ch'è vuoto), uno che incontro dice, forte,
il mio nome e fa: "buona sera!"

Allora d'un tratto, lì sul Corso ch'è vuoto,
m'imbatto stupito alle cose d'ieri
e sono pur io una cosa col nome.

Quando ti stringo la mano e tu ripigli sicuro
il discorso di ieri,
non so qual riverbero giallo di ambigua
impostura
colori di dentro l'atto di me che t'ascolto.
Fingo d'essere con te e non ho cuore a dirti
d'un tratto: "Non so chi tu sia!" Amico, in verità,
non so chi tu sia.
E come tu vuoi ch'io rinsaldi l'oggi all'ieri
labbra d'abisso,
ferita divaricata dell'infinito?

Mi fermi per via chiamandomi a nome,
col mio nome di ieri.
Ora cos'è questo spettro che torna
(l'ieri nell'oggi)
e questa immobile tomba del nome?

Tepido letto del nome, sicura casa dell'ieri!
Soffice lana dei sofferti dolori,
sosta ombrosa delle gioie lontane.
Nave sul mare.
Zattera di naufraghi.
Ma l'oggi è, via, come una cateratta aperta.
Nubi cangianti nell'abissale cavo del cielo.

Non v'è altro eterno che l'attimo.

Pietosamente mascheri alla mia
disperazione la tua felicità.

Sei chiuso nella tua gioia com'io
nel mio dolore.

Dallo scoppio della mia gioia,
come una ferita, il tuo soffrire.
Compiuto il mio desiderio, con stupefazione,
ecco il tuo pianto.

Ma ciascuno si dibatta nel suo oggi,
carcerato nella cella.

(Giovanni Boine- Frammenti)
 
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fabxpiace

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I ragazzi che si amano si baciano in piedi
contro le porte della notte
e i passanti che passano li segnano a dito
ma i ragazzi che si amano
non ci sono per nessuno
ed è la loro ombra soltanto
che trema nella notte
stimolando la rabbia dei passanti
la loro rabbia il loro disprezzo le risa la loro invidia
I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno
essi sono altrove molto più lontano della notte
molto più in alto del giorno
nell’abbagliante splendore del loro primo amore.



Jacques Prevert
(splendida, l'ho ritrovata casualmente in un blog che visito di tanto in tanto...)
 
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di Kahlil Gibran
L'amore non dà nulla fuorché sé stesso
e non coglie nulla se non da sé stesso.
L'amore non possiede,
né vorrebbe essere posseduto
poiché l'amore basta a all'amore

 
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Non andartene amore

Non andartene, amore, senza avvertirmi.
Ho vegliato tutta la notte e ora i miei occhi
sono pesanti di sonno.
Ho paura di perderti mentre dormo.
Non andartene, amore, senza avvertirmi.

Mi sveglio e stendo le mani per toccarti. Ti sento e
mi domando: "E' un sogno?"
Oh, potessi stringere i tuoi piedi col mio cuore
e tenerli stretti al mio petto!
Non andartene, amore, senza avvertirmi.

Rabindranath Tagore
 
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Quando ero giovane, dicevo a me stesso:
Come passano i giorni, a giorno a giorno,
E niente di ottenuto o progettato!
Più vecchio dico, con ugual fastidio:
Come, uno dopo l'altro, i giorni vanno,
Senza nulla di fatto e nulla nell'intenzione!
Così, naturalmente, invecchiato
Dirò, e con ugual voce e senso:
Un giorno verrà il giorno in cui ormai
Non dirò più niente.
Chi niente fu né è non dirà niente.
-- Fernando Pessoa


 
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L'angelo custode

"Sono l’uccello che bussa alla tua finestra la mattina
E il compagno che non puoi conoscere,
i fiori che si accendono per i ciechi.
Sono la cresta del ghiacciaio più alto delle foreste,
l’abbagliante,
e le voci di ottoni dalle torri della cattedrale.
Il pensiero che improvvisamente ti assale a mezzogiorno
e ti riempie di singolare felicità.
Sono chi hai amato molto tempo fa.
Di giorno ho camminato al tuo fianco, guardandoti intento,
e ti ho messo la bocca sul cuore,
ma tu non lo sai.
Sono il terzo braccio, la seconda ombra, quella bianca,
per cui non hai cuore
e che non ti potrà mai dimenticare."

(Rolf Jacobsen, poeta norvegese)
 
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Guatan Tavara

PER ESSERE ALBERO

Per essere albero
devi imparare, almeno una volta,
a essere ombra.
Per essere albero
devi avere la vita che ti scorre dentro,
confonderti tra i colori di mondi che vivono altrove,
Per essere albero
devi saper essere foglia e radice
sfidare il vento, nasconderti dentro la terra.
Saper crescere attorno ai cerchi concentrici della memoria,
come il segno di tempi che si rincorrono lungo la vita.
Per essere albero,
per essere davvero albero,
devi saperti protendere al cielo,
saper parlare da solo alla luna,
saperti guardare nel riflesso di un fiordo,
seguire lo scorrere della vita a fianco del fiume.
Come una sequenza ininterrotta di storie da raccontare
 
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Immagina non esista paradiso
È facile se provi
Nessun inferno sotto noi
Sopra solo cielo
Immagina che tutta la gente
Viva solo per l’oggi

Immagina non ci siano nazioni
Non è difficile da fare
Niente per cui uccidere e morire
E nessuna religione
Immagina tutta la gente
Che vive in pace

Puoi dire che sono un sognatore
Ma non sono il solo
Spero che ti unirai a noi anche tu un giorno
E il mondo vivrà in armonia

Immagina un mondo senza la proprietà
Mi chiedo se ci riesci
Senza bisogno di avidità o fame
Una fratellanza tra gli uomini
Immagina tutta le gente
Che condivide il mondo

Puoi dire che sono un sognatore
Ma non sono il solo
Spero che ti unirai a noi anche tu un giorno
E il mondo vivrà in armonia


Traduzione di Imagine J. Lennon
 
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G

Glenda Cherubino

Ospite
Ospite
Oggi ho piegato i miei silenzi,
ho stirato le emozioni
e le ho riposte nell’armadio della mia anima
in attesa della nuova stagione
o di una rinnovata luce da abitare.
Camminano lenti i passi del tempo,
si fermano dentro un sorriso,
si arrestano al suono di una voce,
sobbalzano nel ticchettio di un pensiero
sgusciato via dalla mente,
chissà come e chissà quando.
E mi disegno mani sulla pelle,
quelle mani che non ho più su di me.
Poi scrivo da sola
le carezze che vorrei
e che non ho.

S.L.
 
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Trovata per caso in libreria :wink:

È una noia che tu tema
di annoiarmi interessandoti di me.

Cercando d'essere interessante,
riesci assai noioso.

Temi d'essere noioso,
cerchi d'essere interessante nel non essere interessato,
ma t'interessa solo di non riuscire noioso.

Non t'interessi di me.
T'interessa solo che io m'interessi di te.

Fai finta d'essere annoiato
perchè non m'interessa
che tu tema
che io non tema
che tu non t'interessi di me.


R. D. Laing
"Nodi. Paradigmi di rapporti intrapsichici e interpersonali"
 
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