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Aveva gambe lunghe...
Pat Metheny - Always and Forever
http://youtube.com/watch?v=Hl2zViuoiC0
-----------------------------------
Il primo ricordo che ho di lei, è in pomeriggio afoso d'estate, nel cortile di piccoli ciottoli di fiume reso di un bianco accecante dalla luce del sole.
Stavo giocando con una piccola palla rossa, unica mia compagna di quelle ore in cui tutto sembrava fermarsi e uomini e animali si coricavano in attesa che la calura del giorno diventasse meno feroce.
Tenevo gli occhi fissi a terra per non rimanere accecato dalla luce quando la palla si fermò tra i suoi piedi.
La prima cosa che mi colpì di lei furono proprio le sue unghie smaltate di un rosso brillante e lucente che non avevo mai visto e che spuntavano da un paio di zoccoli con la fibbia di chiusura bianca che contrastava con la sua pelle bruna e dorata.
Aveva gambe lunghe, dritte e sottili e polpacci nervosi che mi ricordarono le gambe del tavolo che avevamo sotto il portico e che la settimana prima, mio zio aveva riverniciato.
Il mio universo femminile a quel tempo era abbastanza limitato. Ne facevano parte mi madre, le mie vecchie zie e poco altro ancora. Lei era proprio diversa da tutto quello che conoscevo, era più alta delle altre donne, alta e slanciata con quella sua semplice gonna sopra il ginocchio e quella camicetta a fiori. Quando lentamente alzai lo sguardo dai suoi piedi, ricordo che ad abbagliarmi non fu il sole ma quei suoi denti bianchissimi, mentre grandi occhi scuri..., neri come il colore dei suoi capelli raccolti con un nastro dietro le spalle, mi guardavano divertiti.
Quella sera la cena fu insolitamente silenziosa, dopo che gli uomini si furono alzati per dare un ultima occhiata alle bestie e mentre le donne sistemavano, percepii una strana tensione nell'aria e discorsi bisbigliati di cui mi resi conto non si voleva io facessi parte. Mi nascosi in un angolo dietro la grande stufa in ceramica per ascoltare ma a dir la verità non capivo molto, colsi a fatica parole come: "svergognata, "puttana" e "città"..., mentre come in quasi tutte le discussioni i toni si facevano via via più concitati e si stavano formando due fazioni una pro e una contro qualcosa o qualcuno.
La mattina dopo raccontai a mia madre dell'incontro che avevo fatto in cortile il giorno prima. Lei mi raccontò che la donna che avevo visto era una sua amica, solo di qualche anno più giovane. Mi raccontò che erano cresciute insieme e qualche anno prima lei aveva deciso di trasferirsi in una grande città, mi disse anche che era tornata in paese a trovare la sua famiglia e si raccomandò di essere molto gentile con lei.
Nei giorni che seguirono, mi dimenticai del tutto di quella discussione, mentre regolarmente iniziai a condividere i pomeriggi assolati con quella mia nuova amica che mi sembrava in quei giorni ancora più sola di me.
Si muoveva con passo così leggero che sembrava danzasse. Mi accorsi che aveva anche le unghie delle mani smaltate ed anche le labbra erano di un rosso che mi sembrava un po strano, come se avesse mangiato delle ciliegie, eppure ne ero sicuro non era più quella la loro stagione.
Correvo avanti e indietro per il cortile con la mia palla, ma la sua presenza mi distraeva. Ogni tanto mi fermavo a guardarla, poi, stanco della corsa mi sedevo accanto a lei sul dondolo sotto al pero e venivo subito coinvolto in storie fantastiche, storie di re e regine che non erano quelli delle favole che conoscevo, di feste, di balli, di storie di attori e attrici che venivano da un posto lontano che si chiamava Hollywood dove gli uomini portavano sempre occhiali scuri sul viso e le donne grandi foulard tra i capelli. Tutte queste storie che mi raccontava le prendeva da alcuni giornali pieni di fotografie che poi sfogliavamo e guardavamo insieme e che mi piacevano molto, come mi piaceva annusare il profumo pungente che usciva da quelle pagine.
Un giorno in cui il sole era particolarmente caldo, mi chiese se avevo voglia di fare una passeggiata e così la seguii fuori dal paese, passammo davanti al pozzo per arrivare ai margini del bosco.
Lì ci fermammo a riposare seduti in un prato dove il fieno era appena stato tagliato. Mormorò qualcosa riguardo al sole e a dei segni che le sarebbero rimasti sulla pelle, tutte cose strane che non capii, poi si sbottonò e si tolse la camicetta per rimanere così, accanto a me, in silenzio accendendosi una sigaretta.
Io mi sentivo strano, fissavo i suoi seni e ipnoticamente quei cerchi più scuri e quasi perfetti sulle loro punte mentre al tempo stesso, dentro di me, una voce mi diceva che non era gentile farlo, così distolsi gli occhi, anche se poi dopo un po finivo per ritornarci.
Camminando verso casa mi disse scompigliandomi i capelli con una mano che ero un bellissimo bambino gentile ed educato e da grande avrei spezzato tanti cuori e che se solo fossi stato un po' più vecchio si sarebbe fidanzata con me. Mentre mi diceva tutto questo mi accorsi che aveva gli occhi un po' tristi..., poi arrivati nel cortile, prima di rientrare a casa mi abbracciò forte e mi bacio su una guancia. Io tutto rosso corsi in cucina e attento a non farmi vedere da nessuno, mi guardai nello specchio appeso sopra il lavello e mi lavai per togliermi subito dalla faccia quei leggeri segni rossi color ciliegia perché mi vergognavo.
Qualche ora dopo, era già sera quando sentii il rumore di una macchina che si fermava in fondo al cortile.
Mi affacciai alla finestra era una macchina grande, così lunga non ne avevo mai vista una, sembrava proprio una di quelle che apparivano sulle fotografie delle riviste. Rimase lì ferma, con delle lucine ed il motore acceso.
Lei attraversò silenziosa il cortile deserto tutta vestita di bianco, me lo ricordo bene perché c'era la luna e la sua figura mi sembrava luminosa come quella di una lucciola estiva. Aveva con se una piccola valigia scura.
La vidi aprire la portiera e salire, io la guardavo trattenendo il respiro ma lei non si voltò mai indietro.
Quella è stata l'ultima volta che la vidi...
IlChaos
Eppure resta che qualcosa è accaduto,
forse un niente...,
che è tutto.
Eugenio Montale
Pat Metheny - Always and Forever
http://youtube.com/watch?v=Hl2zViuoiC0
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Il primo ricordo che ho di lei, è in pomeriggio afoso d'estate, nel cortile di piccoli ciottoli di fiume reso di un bianco accecante dalla luce del sole.
Stavo giocando con una piccola palla rossa, unica mia compagna di quelle ore in cui tutto sembrava fermarsi e uomini e animali si coricavano in attesa che la calura del giorno diventasse meno feroce.
Tenevo gli occhi fissi a terra per non rimanere accecato dalla luce quando la palla si fermò tra i suoi piedi.
La prima cosa che mi colpì di lei furono proprio le sue unghie smaltate di un rosso brillante e lucente che non avevo mai visto e che spuntavano da un paio di zoccoli con la fibbia di chiusura bianca che contrastava con la sua pelle bruna e dorata.
Aveva gambe lunghe, dritte e sottili e polpacci nervosi che mi ricordarono le gambe del tavolo che avevamo sotto il portico e che la settimana prima, mio zio aveva riverniciato.
Il mio universo femminile a quel tempo era abbastanza limitato. Ne facevano parte mi madre, le mie vecchie zie e poco altro ancora. Lei era proprio diversa da tutto quello che conoscevo, era più alta delle altre donne, alta e slanciata con quella sua semplice gonna sopra il ginocchio e quella camicetta a fiori. Quando lentamente alzai lo sguardo dai suoi piedi, ricordo che ad abbagliarmi non fu il sole ma quei suoi denti bianchissimi, mentre grandi occhi scuri..., neri come il colore dei suoi capelli raccolti con un nastro dietro le spalle, mi guardavano divertiti.
Quella sera la cena fu insolitamente silenziosa, dopo che gli uomini si furono alzati per dare un ultima occhiata alle bestie e mentre le donne sistemavano, percepii una strana tensione nell'aria e discorsi bisbigliati di cui mi resi conto non si voleva io facessi parte. Mi nascosi in un angolo dietro la grande stufa in ceramica per ascoltare ma a dir la verità non capivo molto, colsi a fatica parole come: "svergognata, "puttana" e "città"..., mentre come in quasi tutte le discussioni i toni si facevano via via più concitati e si stavano formando due fazioni una pro e una contro qualcosa o qualcuno.
La mattina dopo raccontai a mia madre dell'incontro che avevo fatto in cortile il giorno prima. Lei mi raccontò che la donna che avevo visto era una sua amica, solo di qualche anno più giovane. Mi raccontò che erano cresciute insieme e qualche anno prima lei aveva deciso di trasferirsi in una grande città, mi disse anche che era tornata in paese a trovare la sua famiglia e si raccomandò di essere molto gentile con lei.
Nei giorni che seguirono, mi dimenticai del tutto di quella discussione, mentre regolarmente iniziai a condividere i pomeriggi assolati con quella mia nuova amica che mi sembrava in quei giorni ancora più sola di me.
Si muoveva con passo così leggero che sembrava danzasse. Mi accorsi che aveva anche le unghie delle mani smaltate ed anche le labbra erano di un rosso che mi sembrava un po strano, come se avesse mangiato delle ciliegie, eppure ne ero sicuro non era più quella la loro stagione.
Correvo avanti e indietro per il cortile con la mia palla, ma la sua presenza mi distraeva. Ogni tanto mi fermavo a guardarla, poi, stanco della corsa mi sedevo accanto a lei sul dondolo sotto al pero e venivo subito coinvolto in storie fantastiche, storie di re e regine che non erano quelli delle favole che conoscevo, di feste, di balli, di storie di attori e attrici che venivano da un posto lontano che si chiamava Hollywood dove gli uomini portavano sempre occhiali scuri sul viso e le donne grandi foulard tra i capelli. Tutte queste storie che mi raccontava le prendeva da alcuni giornali pieni di fotografie che poi sfogliavamo e guardavamo insieme e che mi piacevano molto, come mi piaceva annusare il profumo pungente che usciva da quelle pagine.
Un giorno in cui il sole era particolarmente caldo, mi chiese se avevo voglia di fare una passeggiata e così la seguii fuori dal paese, passammo davanti al pozzo per arrivare ai margini del bosco.
Lì ci fermammo a riposare seduti in un prato dove il fieno era appena stato tagliato. Mormorò qualcosa riguardo al sole e a dei segni che le sarebbero rimasti sulla pelle, tutte cose strane che non capii, poi si sbottonò e si tolse la camicetta per rimanere così, accanto a me, in silenzio accendendosi una sigaretta.
Io mi sentivo strano, fissavo i suoi seni e ipnoticamente quei cerchi più scuri e quasi perfetti sulle loro punte mentre al tempo stesso, dentro di me, una voce mi diceva che non era gentile farlo, così distolsi gli occhi, anche se poi dopo un po finivo per ritornarci.
Camminando verso casa mi disse scompigliandomi i capelli con una mano che ero un bellissimo bambino gentile ed educato e da grande avrei spezzato tanti cuori e che se solo fossi stato un po' più vecchio si sarebbe fidanzata con me. Mentre mi diceva tutto questo mi accorsi che aveva gli occhi un po' tristi..., poi arrivati nel cortile, prima di rientrare a casa mi abbracciò forte e mi bacio su una guancia. Io tutto rosso corsi in cucina e attento a non farmi vedere da nessuno, mi guardai nello specchio appeso sopra il lavello e mi lavai per togliermi subito dalla faccia quei leggeri segni rossi color ciliegia perché mi vergognavo.
Qualche ora dopo, era già sera quando sentii il rumore di una macchina che si fermava in fondo al cortile.
Mi affacciai alla finestra era una macchina grande, così lunga non ne avevo mai vista una, sembrava proprio una di quelle che apparivano sulle fotografie delle riviste. Rimase lì ferma, con delle lucine ed il motore acceso.
Lei attraversò silenziosa il cortile deserto tutta vestita di bianco, me lo ricordo bene perché c'era la luna e la sua figura mi sembrava luminosa come quella di una lucciola estiva. Aveva con se una piccola valigia scura.
La vidi aprire la portiera e salire, io la guardavo trattenendo il respiro ma lei non si voltò mai indietro.
Quella è stata l'ultima volta che la vidi...
IlChaos
Eppure resta che qualcosa è accaduto,
forse un niente...,
che è tutto.
Eugenio Montale