Ipocrisia anglosassone, il “come stai” lo usano pure gli Americani e, come deriva, un po’ tutti quelli a cui tocca parlare inglese per lavoro, perché ispirato dai corsi di formazione in lingue che abbiamo fatto con docenti madrelingua.
Un approccio è dire “bene grazie” e chiuderla lì.
Un altro - un po’ stucchevole - è dì inondare anche un estraneo con l’elenco dei nostri problemi, magari fasulli, ad esempio: ho unghia alluce incarnita, il gatto ha i vermi, la suocera è caduta, la moglie ha un altro, il figlio ha smesso la scuola all’ultimo trimestre…. Non ci sarebbe limite alla fantasia!
Ricordo un simpatico pezzo della Cortellesi su L’Espresso che reduce da un viaggio veloce di appena un week end a New York (per presentazione di un film) dove tutti gli chiedevano “come stai?”, ma l’unica che lo chiese con sentimento fu la madre, vedendola esausta al ritorno dopo i due viaggi intercontinentali fatti in poche ore.
Un approccio è dire “bene grazie” e chiuderla lì.
Un altro - un po’ stucchevole - è dì inondare anche un estraneo con l’elenco dei nostri problemi, magari fasulli, ad esempio: ho unghia alluce incarnita, il gatto ha i vermi, la suocera è caduta, la moglie ha un altro, il figlio ha smesso la scuola all’ultimo trimestre…. Non ci sarebbe limite alla fantasia!
Ricordo un simpatico pezzo della Cortellesi su L’Espresso che reduce da un viaggio veloce di appena un week end a New York (per presentazione di un film) dove tutti gli chiedevano “come stai?”, ma l’unica che lo chiese con sentimento fu la madre, vedendola esausta al ritorno dopo i due viaggi intercontinentali fatti in poche ore.