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Da più di trent’anni frequento trans, con una costanza che supera di gran lunga le mie esperienze con donne biologiche. Per molto tempo mi sono interrogato: che cosa dice di me questa attrazione? Sono bisex? Gay latente? Un etero “in deroga”?
Col tempo, e con una certa maturità, ho compreso che non è così semplice. Le categorie classiche – etero, omo, bi – sono strumenti spuntati per descrivere un fenomeno che ha una sua autonomia. In letteratura si cita la ginemorfofilia: forse un termine utile, ma ancora riduttivo.
Quello che so è che, nell’incontro con una trans, io non cerco un uomo. Cerco, al contrario, una femminilità esaltata, portata all’estremo, con un desiderio puro, diretto, privo di inibizioni. Anche nei momenti in cui assumo il ruolo passivo, non sento alcuna risonanza con l’omosessualità: è un’altra cosa, un codice diverso, che si muove su un piano proprio.
E c’è un aspetto che reputo fondamentale, molto più di quanto non sembri nei discorsi superficiali: il consenso. Con le sex worker donne, per quanto professionali, ho sempre avvertito un copione, una recita dovuta. E devo ammettere che a volte questo mi ha fatto star male: mi sono persino chiesto se, senza volerlo, stessi sfiorando una forma di prevaricazione, di squilibrio tra il mio desiderio e la loro reale disponibilità.
Con le trans, invece, mi è capitato più spesso di percepire una partecipazione autentica, una negoziazione chiara, sincera, che mi ha restituito la sensazione di un incontro alla pari. Non parlo di trionfalismo da conquista, ma di correttezza: sapere che l’altra parte è davvero presente e consenziente ha sempre reso (per me) l’esperienza non solo più intensa, ma anche più corretta.
Ho avuto fasi di “abiura”, convincendomi che il porno etero classico mi bastasse, ma alla fine l’attrazione ha sempre reclamato il suo posto. È tornata, ogni volta, più forte e più chiara. Alla fine ho smesso di chiedermi “che cosa significa”: ho capito che significa e basta.
Non pretendo di dare una definizione universale, ma una certezza ce l’ho: non sono il solo. Molti uomini si muovono in questa zona grigia, qualcuno lo confessa, la maggior parte lo vive in silenzio. Io ho deciso di riconoscerlo senza più sensi di colpa.
Col tempo, e con una certa maturità, ho compreso che non è così semplice. Le categorie classiche – etero, omo, bi – sono strumenti spuntati per descrivere un fenomeno che ha una sua autonomia. In letteratura si cita la ginemorfofilia: forse un termine utile, ma ancora riduttivo.
Quello che so è che, nell’incontro con una trans, io non cerco un uomo. Cerco, al contrario, una femminilità esaltata, portata all’estremo, con un desiderio puro, diretto, privo di inibizioni. Anche nei momenti in cui assumo il ruolo passivo, non sento alcuna risonanza con l’omosessualità: è un’altra cosa, un codice diverso, che si muove su un piano proprio.
E c’è un aspetto che reputo fondamentale, molto più di quanto non sembri nei discorsi superficiali: il consenso. Con le sex worker donne, per quanto professionali, ho sempre avvertito un copione, una recita dovuta. E devo ammettere che a volte questo mi ha fatto star male: mi sono persino chiesto se, senza volerlo, stessi sfiorando una forma di prevaricazione, di squilibrio tra il mio desiderio e la loro reale disponibilità.
Con le trans, invece, mi è capitato più spesso di percepire una partecipazione autentica, una negoziazione chiara, sincera, che mi ha restituito la sensazione di un incontro alla pari. Non parlo di trionfalismo da conquista, ma di correttezza: sapere che l’altra parte è davvero presente e consenziente ha sempre reso (per me) l’esperienza non solo più intensa, ma anche più corretta.
Ho avuto fasi di “abiura”, convincendomi che il porno etero classico mi bastasse, ma alla fine l’attrazione ha sempre reclamato il suo posto. È tornata, ogni volta, più forte e più chiara. Alla fine ho smesso di chiedermi “che cosa significa”: ho capito che significa e basta.
Non pretendo di dare una definizione universale, ma una certezza ce l’ho: non sono il solo. Molti uomini si muovono in questa zona grigia, qualcuno lo confessa, la maggior parte lo vive in silenzio. Io ho deciso di riconoscerlo senza più sensi di colpa.