@ndrngl37, magari non è una questione di nascondere a se stessa la propria natura o i propri piaceri, quanto il timore del giudizio di persone che, ad esempio, considerano di "aver trombato come una vacca" la ragazza con cui prima hanno fatto sesso.
19 anni. Estate. Le nottate ci sembrava non dovessero finire mai. Le panchine, nella piazzetta addormentata, erano una calamita troppo forte, anche quando non c'era più nulla da raccontare. Nel nostro gruppo, fra quelli più restii ad arrendersi al sopraggiungere del mattino, c'era Lei.
Viso algido, freddo; labbra piene, sempre accese, pulite da rossetti; capelli lunghi, perfettamente lisci, biondi; minuta, vita sottilissima; culo dotato di vita propria. Non aveva seno, o meglio, la forma non poteva essere intuita se non liberandolo dai vestiti.
Si tratteneva anche quando tutte le altre ragazze si erano già fatte accompagnare a casa. Era maliziosamente stronza, ma in un modo che non poteva essere frainteso. Si spingeva al limite, ma nessuno si permetteva di superarlo, con una parola o un gesto. Questa cosa mi piaceva moltissimo. Sono affascinato, ammaliato, dalle ragazze, consapevoli della loro bellezza, emancipate al punto da far sentire in soggezione parecchi maschi, ma comunque mai volgari, mai compromesse.
Una notte, sono in auto con lei e la ragazza con cui uscivo. Il naturale percorso di rientro mi porta a passare prima davanti casa di quest'ultima. Nulla di voluto, ma già allora avevo la nomea, immeritata, di comportarmi da bastardo con le ragazze che frequentavo. Mi fermo, mi guarda come volesse dirmi qualcosa, si limita a salutarci e scende.
Lei passa sul sedile davanti.
"Ti va l'ultima?", riferendosi alle sigarette.
Ci ritroviamo sulla solita panchina della solita piazzetta.
La sigaretta si è spenta da un pezzo, ma continuiamo a parlare.
"Devo pisciare", alzandomi.
Vado incontro al muro della ferrovia e mi libero la vescica.
Torno verso la panchina.
"Anche io devo fare pipì", esclama.
La piazza è deserta, ma è comunque in una zona centrale del paese. Mi guardo intorno.
"Ti accompagno".
"No, non la trattengo".
Si alza e si dirige verso un angolo. La mia auto, parallela al muro, le offre altro riparo, ma rimane comunque troppo esposta. Si alza la gonna, mantenendola sui fianchi, si abbassa le mutandine e si accovaccia. Il viso è abbassato, rivolto, però, verso il lato della piazza, quello libero. Io mi trovo proprio di fronte, a una decina di metri.
Sento la pipì che scorre sull'asfalto.
Avrei dovuto distogliere lo sguardo, ma non valutai neppure il buon gusto di quella accortezza.
"Hai dei fazzolettini?", chiede, guardandomi.
Entro in auto, dal lato opposto a quello adiacente lei, e prendo il pacchetto.
Vado da lei e glielo porgo, sforzandomi di tenere lo sguardo sul suo viso.
Io in piedi, lei ancora accovacciata. Le mutandine nere, tenute larghe dalle ginocchia, si erano arrotolate a costituire quasi un filo. La pelle bianchissima, diventava ancora più pallida sulle gambe e sull'esterno dei glutei.
Si asciugò la fica, e non potei fare a meno di guardarla. Credo lo sapesse, perchè col capo ancora chino, le si formò un sorriso canzonatorio sul volto.
Poi si alzò repentinamente, tirandosi su gli slip, e lasciando cadere la gonna sulle gambe. Se la sistemò in vita e disse, ridendo: "Fatto! Nessuno mi ha vista".
La riaccompagno a casa. Mi fermo sotto il suo portone.
Mi poggia la mano sulla guancia destra e mi da un bacio sulla sinistra. Salutava così. Non facendo toccare le rispettive guance, ma poggiando le sue labbra sulla tua e schioccandoti un vero e proprio bacio. Sentivi le labbra sul tuo viso e non la sua pelle.
Ripete il saluto sull'altro lato del volto.
"Ci vediamo domani".