LA PROSTITUTA CON GESU': NON UNA TRASGRESSIONE AL PECCATO, MA UNA MANIFESTAZIONE DI FEDE
VANGELO A LUCI ROSSE
Gesù è stato invitato a mangiare in casa di Simone, un fariseo (Lc 7,36).
L’invito è sorprendente, in quanto i farisei hanno già sentenziato che Gesù è uno «che dice bestemmie» (Lc 5,21), e pertanto meritevole della pena di morte.
Come mai ora questo fariseo lo invita a pranzo? Di una persona pia non c’è mai da fidarsi, è capace di strozzarti abbracciandoti, perchè, come insegna la Bibbia, «Più untuosa del burro è la sua bocca, ma nel cuore ha la guerra; più fluide dell’olio le sue parole, ma sono pugnali sguainati» (Sal 55,22).
Ma a rischiare non è Gesù, bensì il fariseo.
Questo è il primo dei tre pranzi ai quali i farisei inviteranno Gesù, e ogni volta sarà occasione di conflitto. Gli incidenti saranno dovuti di volta in volta al fatto che Gesù non fa le abluzioni prima del pranzo (Lc 11,38), oppure perché, essendo sabato, i farisei lo osservano per vedere se guarisce un malato (Lc 14,1).
Ma saranno sempre i farisei a uscirne con le ossa rotte.
Gesù dirà a costoro che, nonostante tutta la loro ostentata pietà ed esibita devozione, a dispetto dell’apparenza di santità, sono ricettacoli di ogni impurità, «come quei sepolcri che non si vedono e la gente vi passa sopra senza saperlo» (Lc 11,44), e l’ultima volta, poi, Gesù lascerà i farisei a bocca aperta («E non potevano rispondere nulla a queste parole», Lc 14,6).
La prima volta, però, l’incidente non è causato dal fariseo, bensì da una persona che non era stata invitata e che irrompe nella sala del banchetto.
L’intrusa
Gesù è già sdraiato a mensa, secondo l’uso nei pranzi festivi, ed e un banchetto di soli uomini, le donne non si vedono, sono invisibili, il loro posto è in cucina (Le 10,40).
All’improvviso, in questo pranzo nella casa del fariseo, accade l’inimmaginabile: fa il suo ingresso una nota «peccatrice della città» (Le 7,37).
«Non avvicinarti alla porta della sua casa» (Pr 5,8), intimava la Scrittura riguardo alle prostitute. Ma qui è la prostituta, colei che trasgredisce tutti i giorni la Legge divina, che entra in casa del fariseo, colui che ha fatto della piena osservanza dei precetti lo scopo della sua vita. La persona considerata immonda osa profanare la casa dove nulla che è impuro può entrare.
E la donna fa il suo ingresso in maniera molto eloquente, portandosi appresso gli attrezzi del mestiere, «un vaso di alabastro di unguento» (Le 7,37), col quale le prostitute ungono e massaggiano i clienti.
La sorpresa è grande.
Che significa questo affronto?
Che vorrà?
Quale sia il motivo del suo ingresso, e per chi fosse il suo interesse, lo si vede immediatamente. Infatti la peccatrice si dirige verso Gesù, che evidentemente già conosceva, e messasi dietro di lui, ai suoi piedi, «piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime» (Le 7,38).
E Gesù?
Non fugge via inorridito, disgustato di essere toccato da una di quelle, ma la lascia fare. Eppure un uomo di Dio doveva tenersi lontano dai peccatori, e i rabbini prescrivevano che da una prostituta occorreva stare distanti almeno due metri.
La scena è imbarazzante, ma è solo l’inizio.
La donna asciuga i piedi di Gesù con i suoi capelli.
Erano solo le prostitute quelle che portavano la chioma sciolta, non velata. Per una donna sposata sciogliersi i capelli davanti agli uomini era ritenuto tanto sconveniente che era motivo sufficiente per ripudiarla. I capelli della donna erano infatti considerati un’arma dalla forte carica erotica, capace di far crollare ogni uomo, come insegnava bene l’episodio di Giuditta, che «spartì i capelli del capo» (Gdt 10,3), sedusse Oloferne e gli fece perdere la testa (in tutti i sensi).
E la donna, in maniera sfrontata, bacia insistentemente i piedi di Gesù, li unge con unguento, con gesti che denotano grande intimità.
La scena è indubbiamente scabrosa.
Anche i piedi sono una parte del corpo ad alto contenuto erotico, in quanto nella Bibbia sono un eufemismo adoperato per indicare gli organi genitali.
E Gesù?
Niente, lascia fare.
Lui è il Signore, Colui per il quale «non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore» (1 Sam 16,7). La lascia continuare, accetta il gesto della donna, che vuole esprimere la sua riconoscenza nell’unico modo che conosce, usando tutto l’armamentario di cui dispone: capelli, bocca, profumo e mani esperte nel massaggiare.
E troppo per Simone che, irritato e profondamente disgustato da quel che sta accadendo, dice tra sé: «Se questo fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo palpa: è una peccatrice!» (Lc7,39).
Il fariseo sa chi è accetto a Dio e chi no, chi è peccatore e chi è giusto, e per questo emette la sua duplice sentenza: la donna è una peccatrice e Gesù non è un profeta.
Per Simone è infatti evidente che Gesù, il cui nome evita di pronunziare e al quale si riferisce con disprezzo (questo), non è un uomo di Dio, altrimenti non permetterebbe a una prostituta di provocarlo.
Possibile che Gesù non si renda conto di «una donna in vesti di prostituta, che intende sedurlo» (Pr 7,10), e non reagisca di fronte a questa che «lo lusinga con tante moine, lo seduce con labbra allettanti» (Pr 7,21)?
La trave nell’occhio
Il conflitto che sta emergendo è tra due visioni contrastanti: quella di Simone, il fariseo, che grazie alle sue devozioni e pratiche religiose si ritiene vicino al Signore, e per questo si sente in diritto di giudicare gli uomini, e quella di Gesù, manifestazione visibile di un Dio Amore, che e venuto per «cercare e salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10) e non per giudicare.
L’atmosfera si sta facendo insostenibile. Gesù prende in mano la situazione, e lo fa con una breve eloquente storia che racconta al padrone di casa.
Gesù gli dice di un creditore che aveva due debitori. Uno gli doveva l’equivalente di due anni di paga, l’altro di solo due mesi. Cosciente che nessuno dei due debitori avrebbe potuto restituirgli la somma della quale era creditore, graziò entrambi. La cancellazione del debito non è dipesa dai meriti dei debitori, ma dalla generosità del creditore. A questo punto Gesù chiede a Simone: quale dei due debitori amerà di più il creditore, chi gli sarà più riconoscente.?
Simone ha capito.
La parabola presenta la sua storia, e ora la risposta che il fariseo deve dare è in realtà un giudizio su se stesso. Per questo Simone risponde di malavoglia: «Suppongo che sia colui al quale ha condonato di più» (Lc 7,43). E al fariseo che, per il suo stile di vita pio e devoto, si sente superiore agli altri uomini e infinitamente distante da quella prostituta, Gesù fa presente come il comportamento di quella donna sia stato migliore del suo.
«Vedi questa donna?». Gesù non vede un fariseo e una peccatrice, ma delle persone, Simone e la donna. Corregge lo sguardo del fariseo, che non ha visto una donna, ma una peccatrice, e lo invita ad avere lo stesso sguardo del Signore, che non giudica gli uomini secondo il loro comportamento.
E Gesù oppone i tre gesti di amore riconoscente, compiuti dalla donna nei suoi confronti, ad altrettante scortesie da parte del fariseo, sgarbi dai quali emerge l’atteggiamento ostile dell’uomo nei suoi confronti.
Simone ha ricevuto Gesù in casa sua, ma non l’ha ospitato. Era segno di normale cortesia ricevere l’ospite offrendogli dell’acqua per lavarsi i piedi.
Simone non l’ha fatto.
Ha invitato Gesù a pranzo, ma non intende servirlo.
Invece, la donna ha bagnato con le sue lacrime i piedi di Gesù e li ha asciugati con i suoi capelli.
Quelle azioni che per l’occhio malizioso di Simone sono incitamenti al peccato, per Gesù sono dimostrazioni di amore riconoscente verso colui che «è benevolo verso gli ingrati e i malvagi» (Lc 6,35). La trave dei troppi meriti, conficcata nell’occhio del fariseo, ha deformato la realtà.
Come segno di benvenuto si riceveva l’ospite con un bacio.
Simone non l’ha fatto.
Lui, il pio fariseo, intende mantenere le distanze dal discusso Galileo, conosciuto come un ingordo ubriacone amico di pubblicani e di peccatori.
All’opposto la donna, indifferente alla diatriba tra i due, continua a baciare i piedi di Gesù. La sua gratitudine è incontenibile e irrefrenabile.
L’importanza dell’ospite era sottolineata dall’offerta del profumo.
Simone non l’ha fatto.
L’onore che il fariseo non ha reso a Gesù gli è stato invece reso dalla prostituta, che con profumo unge i piedi di Gesù.
Se il fariseo ha emesso una sentenza su Gesù e sulla donna, ora è la volta di Gesù, al termine della severa reprimenda, a emettere il suo verdetto. Simone voleva fare da maestro a Gesù, giudicando il suo comportamento e la condotta della donna. Gesù l’ha trattato come uno scolaretto presuntuoso, mostrandogli le sue pecche.
E ora, in maniera solenne, gli dice: «Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco» (Lc 7,47).
Non è un’assoluzione della donna, ma un rimprovero al fariseo. Sia la peccatrice, sia il fariseo sono gia stati perdonati dal Signore, ma solo la donna ne è cosciente, ed è come il debitore che «amerà di più» (Lc 7,42). Anche se Simone, nella compiaciuta consapevolezza della sua perfezione religiosa, ritiene di avere poco da farsi perdonare, potrebbe dimostrare almeno un minimo d’amore.
E questo che manca al fariseo, e che Gesù gli rinfaccia: non è che ha amato meno della donna, non ha amato proprio. Il perdono ricevuto, anziché renderlo più misericordioso, l’ha reso ancora più duro nei confronti degli altri.
Gesù non minimizza la condotta passata della donna, che ha commesso “molti peccati”, ma non per questo la descrive come una peccatrice, come invece ha fatto Simone. Il peccato è una diminuzione, un limite dell’uomo, ma in nessun caso ne può configurare la natura: non esistono peccatori, ma uomini e donne che vivono in situazioni che possono essere di peccato.
Poi il colpo di scena finale, quello che scandalizzerà gli altri commensali.
La prima volta che di fronte ai farisei Gesù aveva perdonato qualcuno, questi avevano sentenziato sdegnati che Gesù era un bestemmiatore che usurpava il ruolo di Dio, l’unico che ha il potere di perdonare i peccati (Lc 5,21).
Ora Gesù ci riprova, ben cosciente delle conseguenze alle quali andrà incontro e, rivolto alla donna, le dice: «Ti sono condonati i peccati» (Lc 7,48).
Non chiede alla prostituta di pentirsi per poi ricevere il perdono per le sue colpe. La peccatrice non ha ottenuto il perdono a causa dell’amore che ha dimostrato, ma ha dimostrato questo amore a causa del perdono già ricevuto, come il debitore al quale è stato condonato di più, e per questo mostrerà un amore più grande. L’amore è una conseguenza del perdono e non viceversa.
Tutti i commensali sono scandalizzati.
Come già ha fatto Simone, evitano di nominare Gesù, e si riferiscono a questo usurpatore del ruolo del Signore, l’unico che può perdonare i peccati, con un termine dispregiativo: «Chi è questo che condona anche i peccati?» (Lc 7,49).
Come si permette Gesù di concedere il perdono a una prostituta, che non ha ottemperato a nessuno degli obblighi prescritti per ottenere l’assoluzione dei suoi peccati?
Ma Gesù non si cura di quelli che, pretendendo di essere guide dei ciechi, non si rendono conto di essere accecati da un ideologia che impedisce loro di scorgere il volto benevolo di Dio.
Gesù si occupa di colei che è uscita dalle tenebre del peccato per avvicinarsi alla luce della vita, e le dice: «La tua fede ti ha salvata. Va’ in pace!» (Lc 7,50).
Quel che agli occhi di Simone era una trasgressione e un incitamento al peccato, per Gesù non e altro che una manifestazione di fede.
Era lo sguardo deformato dalla religione che aveva fatto scorgere al fariseo il peccato in quello che, invece, era espressione di fede. Gesù riesce a vedere la luce là dove gli altri vedono solo tenebre.
Ma manca qualcosa... manca «va e d’ora in poi non peccare più!» (Gv 8,11).
Perchè Gesù alla prostituta non impone, come condizione del perdono, di cambiare vita? Come mai non le ingiunge di smetterla con quel mestiere peccaminoso?
Gesù sa che una donna del genere non ha molte alternative: non può tornare in famiglia (se mai l’ha avuta) e non troverà certo chi la prenderà in moglie.
Per la maggior parte delle donne la prostituzione non era infatti una scelta, ma un’imposizione. In una cultura dove la nascita di una bambina era considerata una sciagura («un’inquietudine segreta, il pensiero di lei allontana il sonno», Sir 42,9), e si insegnava che «il mondo non può esistere senza maschi e senza femmine, ma felice colui i cui figli sono maschi e guai a colui i cui figli sono femmine", era prassi abbastanza abituale, quando in una famiglia esistevano delle femmine, abbandonare le neonate ai margine del paese.
Quelle bambine, che sopravvivevano all’abbandono e agli animali randagi, erano poi raccolte all’alba dai mercanti di schiavi, allevate e rivendute come prostitute quando avevano tra i cinque e gli otto anni.
Pertanto la donna continua con il suo mestiere, oppure le resta solo l’altrettanto misera prospettiva di cercare di sopravvivere come mendicante, facile preda di violenze e soprusi.
E che fine ha fatto allora la prostituta? Sarà tornata alla sua povera vita? Può essere, perché non le restano molte possibilità, oltre l’accattonaggio.
A meno che...
A meno che Gesù non l’accolga al suo seguito.
Perché no?
Sarà in buona compagnia!
(da A. Maggi, Versetti pericolosi, pp. 83-91).