La mia giornata al Margerita (giovedì 7 giugno).
Avevo programmato di concedermi, una volta giunto a Nova Gorica, un’intera giornata di riposo: dopo gli eccessi di Villach e Hohenthurn, sarebbe stato quanto mai opportuno. Invece, trovandosi il Margerita a pochi passi dall’hotel in cui ho alloggiato, non ho saputo resistere alla tentazione di andare a verificare di persona la qualità della sua offerta. Qui di seguito il resoconto della mia esperienza.
Quando arrivo nel piccolo parcheggio antistante il locale, mi demotiva alquanto l’abisso che lo separa, per grandezza e caratteristiche estetiche, dagli altri frequentati fino al giorno prima. Prendono allora forma nella mia mente alcune domande: “Quante donne potranno mai esserci dentro? Quanti clienti? Quante stanze? Gli ambienti saranno puliti? E i servizi igienici?”. Scendo dall’auto un po’ titubante e, mentre percorro il vialetto che verosimilmente conduce all’ingresso, comincio a cercare, volgendo la testa di qua e di là, qualche segno, visivo o anche acustico, della presenza umana all’interno della struttura. Niente. Suono il campanello, ma la porta non si apre. Aspetto un po’, quindi suono di nuovo. Dopo alcuni secondi, la porta finalmente si apre. Dietro un bancone, sulla destra, c’è un giovane che mi saluta e mi invita a versare 40 euro. Sborsata la somma richiesta, ricevo la chiave di un armadietto, nel quale troverò – così mi viene indicato – accappatoio e ciabatte della mia misura. Nello spogliatoio, eufemisticamente definibile “sobrio”, mi imbatto in una donna che più tardi incontrerò di nuovo nella terrazza-veranda.
Con scarsa motivazione mi incammino verso la sala, suddivisa in due zone per mezzo di una struttura intermedia ad arco. Nella prima, i divani sono vuoti. Nella seconda, a destra, su un divano e una poltrona sono sedute quattro donne. Solo una attrae la mia attenzione: è giovane, e la visione delle sue gambe accavallate suscita in me una piacevole sensazione di apprezzamento; anche i lineamenti del viso appaiono, in base ai miei gusti, più che accettabili. Chiedo i loro nomi, ma non comprendono l’italiano. La ragazza che ho poc’anzi sommariamente descritto mi invita ad esprimermi in inglese. Apprendo così che il suo nome di battaglia è Katya e quelli di altre due colleghe Alona e Axana (o Oxana; non ricordo, invece, il nome pronunciato dalla quarta donna, anch’ella apparentemente giovane). Vengono tutte dall’Ucraina. Mi sposto nella terrazza-veranda, dove incontro una ragazza di colore, cubana, di corporatura robusta (ma non grassa), e una serba dal fisico esile (la donna incontrata nello spogliatoio). Con queste ultime si riesce a comunicare in italiano. C’è anche una dominicana, ma arriverà più tardi. Complessivamente, quindi, le donne presenti sono sette, mentre io sono, al momento (alle 15 circa), l’unico cliente.
Torno nella sala interna dove sono le ucraine e mi siedo tra Katya e Axana (o Oxana), che tenta, non senza difficoltà, di intavolare una conversazione utilizzando il suo limitato frasario anglo-italiano. Io, però, voglio Katya, che è rimasta in silenzio. Mi volgo verso di lei, le accarezzo le gambe e accosto la bocca alla sua guancia. Le sue labbra vengono incontro alle mie: senza esitare, mi bacia già lì, sul divano, chiudendo gli occhi. Accarezzo il viso, i capelli, il seno, quindi le chiedo di mostrarmi il suo corpo. Katya si mette in piedi, si toglie l’asciugamano dalla vita e offre alla mia vista, girandosi, anche il lato B. Quel che ho davanti è molto più che soddisfacente: all’Andiamo e al Wellcum ho visto anche corpi meno belli del suo.
Salendo al piano superiore, faccio una tappa nell’unico bagno ivi disponibile (altri si trovano al piano interrato, dove c'è anche una vasca da idromassaggio). Il vano doccia è aperto al centro, ma riesco ugualmente a limitare l’accumulo di acqua sul pavimento.
Dopo uno scambio di effusioni, con FK e DFK, Katya mi chiede se preferisca il BBJ o il BJ. Opto per il primo, ma non lo faccio durare molto: voglio penetrarla, e quando glielo dico si mette accanto a me in posizione supina. Entro in lei con molta delicatezza, accompagnato dalla sua mano, poi mi spingo progressivamente più in profondità, agevolato dalle secrezioni interne via via più copiose. Il contatto tra le nostre bocche è pressoché costante. Ansima, mi spinge verso di sé con le gambe e con le mani, agendo sui miei glutei. In pochi minuti la sento godere. Rallento il ritmo quando i suoi gemiti si fanno più lunghi e sommessi. Katya muove le gambe su e giù, dietro le mie cosce, e mi cinge il torace con le braccia: non vuole che mi stacchi da lei per cambiare posizione, cosicché decido di attendere che me lo proponga lei. Lo fa solo dopo avere attinto nuovamente il piacere, che raggiunge ancora stando sopra di me e, in seguito, quando ci spostiamo su una sedia imbottita posta in un angolo della camera (incurante del rumore che la spalliera provoca sbattendo contro il muro, sospinta dai suoi movimenti convulsi). Il mio orgasmo sopraggiunge non poco tempo dopo, sul letto, nella posizione a cucchiaio. Giù nello spogliatoio, non sapendo come regolarmi per la frazione di tempo che ha ecceduto l’ora (15 minuti circa), chiedo a Katya quanto debba pagare, e lei mi “scrive” la cifra con il dito sull’armadietto: 100.
Uscito in terrazza, noto che si è aggiunta al gruppo la ragazza dominicana. Si intrattiene in conversazione con un secondo cliente, arrivato mentre ero al piano superiore.
Il mio riposo è interrotto da Kerenya, che mi racconta, tra le tante cose, anche di essere stata più di una volta a Roma, ospite di un’amica. Quando viene al dunque, sono costretto a declinare la sua offerta. Le faccio osservare che, avendo da poco trascorso più di un’ora in compagnia di Katya, un eventuale meeting con lei si concluderebbe inevitabilmente, per me, in un nulla di fatto. Kerenya si allontana, ma torna alla carica poco dopo, proponendomi, stavolta, niente di più che un semplice massaggio ristoratore. Attratto da questa prospettiva, seguo in camera, fiducioso, la donna che promette di infondere nuovo vigore nelle mie stanche membra. Tuttavia, quando mi distendo sul letto in posizione supina, in attesa di ricevere il benefico trattamento sperato, Kerenya pensa bene di riservare attenzione e cure non al complesso dei miei muscoli, ma a uno in particolare. Tento di dissuaderla, cerco di farle capire che non è più nelle mie possibilità – purtroppo – avere un secondo orgasmo a distanza di un’ora o poco più dal primo, ma lei, ormai, ha già il mio uccello nella bocca e lo sugge avidamente. La ragazza è in possesso di una tecnica sopraffina: mi stimola contemporaneamente con la bocca, che sa trasformare in una sorta di pompa pneumatica meccanica, e con la mano, che un po’ accarezza la mia zona perineale e lo scroto, un po’ li friziona. Alla tecnica Kerenya aggiunge una qualità che è fondamentale per avere ragione – diciamo così – dei soggetti più resistenti persino a simili trattamenti: l’instancabilità. Nonostante la inviti ripetutamente a smettere, lei non demorde (“Ti faccio venire io”, replica ogni volta che le dico: “Tanto non vengo, lo so…”), fino a quando, dopo circa mezz’ora dall’inizio delle operazioni, le sensazioni piacevoli che provo diventano tanto intense da permettermi di eiaculare piacevolmente nella sua bocca. Dopo avermi pulito con cura, Kerenya mi dà, finalmente, una dimostrazione delle sue abilità di masseuse (esborso per CIM e massaggio: 100 euro).
Il mio riposo in terrazza viene nuovamente interrotto, stavolta da Katya. Si siede accanto a me con espressione contrariata, lamentando che, mentre con lei ho avuto bisogno di molto tempo per avere l’orgasmo, con Kerenya ho concluso la pratica mezz’ora prima. La accarezzo, le dico che mi piace molto più di Kerenya (è vero) e ci coccoliamo per un po’. Veniamo disturbati dal suono del campanello: arrivano altri clienti, e conviene che Katya vada a prendere il suo posto sul divano, insieme alle consorelle ucraine.
Dopo una lunga conversazione con uno dei due giovani titolari, vengo avvicinato da Axana (o Oxana), la quale, constatata la mia indisponibilità a un ulteriore rapporto, si fa promettere (non mi costa nulla mostrarmi accondiscendente) che alla mia prossima visita farò sesso anche con lei. Intanto, nella casa sono entrati quattro o cinque clienti, che si appartano separatamente con l’altra giovane ucraina, con Kerenya (nella Jacuzzi) e con la donna serba, mentre la dominicana è stata già “stanzata” (mi piace questo neologismo… tecnico), forse dal collega che ho visto seduto accanto a lei.
Più tardi, quando il fresco della sera si fa pungente, lascio la terrazza, dove ho avuto un’altra lunga conversazione con il suddetto titolare, e rientro nella sala delle ucraine (la possiamo chiamare così). Insieme a Katya, ci sono Alona e l’altra donna di cui non ricordo il nome. Mi siedo accanto a Katya e la stringo a me. Appoggia la testa sulla mia spalla. Accarezzo il suo viso e le faccio capire che desidero baciarla. Non si sottrae. Si alza e distende le gambe sul divano, mettendosi di fronte a me e addossando il tronco al mio corpo. Poiché non smetto di accarezzarla e di baciarla, le altre due donne si allontanano dalla sala per lasciarci da soli. Katya mi chiede quanto tempo mi tratterrò a Nova Gorica, e io le rivelo – perché no? – che ho in programma di trascorrere i due giorni successivi al Marina. “Non andare lì… Torna qui”, mi propone, dopo di che si allunga completamente sul divano e appoggia la testa tra le mie gambe accavallate e la parte bassa dell’addome. Sta con gli occhi chiusi e sospira di tanto in tanto, mostrando di gradire le mie tenere carezze sul viso e sulla testa (come quelle che si dispensano ai bambini per farli addormentare). Rimaniamo così per molto tempo. Chissà quali pensieri attraversano la sua mente!
A un certo punto, la stanchezza prende il sopravvento sul mio desiderio di prolungare il più possibile quel momento di intenso scambio affettivo. Ci salutiamo abbracciandoci e baciandoci in piedi. Le mie mani scivolano sulla schiena di Katya e vanno a tastare il suo posteriore carnoso e sodo.
Ho avuto, inaspettatamente, più di quello che avevo pensato di poter ottenere.
I miei più cordiali saluti.