Napilandia 2.0

highlander

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in ogni caso, comunquemente, sempremente e fermamente:



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'mappelo che unghia del dito medio... mi vengono i brividi di autentico terrore solo al pensiero di un prostatico da parte di una così....
 
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tra il Tevere e i loft.
Oggi è successo un mezzo casino, uscendo verso le 7:45, di corsa come sempre, ho chiuso mia madre insieme alla coniglia, sulla terrazza /veranda, senza accorgermene..

Sono stato richiamato in metropolitana da mio padre alle 8:00, di andare a liberare mia madre, che nel frattempo gridava "aiuto" nel cortile sul quale affaccia la terrazza veranda della coniglia. Certo si sarà spaventata mia madre, ma secondo me anche la coniglia si è spaventata molto!!!

Mio padre, già in cantiere, contattato telefonicamente dal signore del 2 piano, che ha sentito.

Quando ho riaperto la veranda, ho preso tante di quelle parolacce,:punish: che nemmeno quando portavo la pagella brutta alle medie.

Ma non è colpa mia, dovete credermi, è un periodo che tra due mestieri, i lavori di casa (chi li ha passati sa che ti impegnano più di un lavoro, tra ordinazioni e cose varie) il corso sulla sicurezza dei cantieri di 9 ore al giorno, 2 volte a settimana, iniziato ieri......e Non gliela faccio.

Definitemi cadavere statale, ma il mio cervello non le gestisce tutte ste cose. Poi va a finire che senza accorgermene chiudo mia madre sul terrazzo.:unknw:.


Blu, ora capisci perché sono incapace di accettare le dinamiche del cambiamento veloce e dinamico?? Che cazzo vuoi cambiare con sta capoccia??

Blu mi senti?? non fare finta di accenderti una sigaretta e andare sul terrazzo..:punish:

Ma tanto già lo so, risponderai stanotte, e io ti leggerò alle 6:00 , cacando a forza il mio solito stronzo, prima di una giornata di corse e di dimenticanze.

Blu...non sono fatto per il cambiamento, implica una elasticità mentale che non ho.
 
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Cap d'Agde
sei uscito dalla tua comfort zone... leggi questo, mi pare interessante


  1. Per crescere, migliorare, imparare, raggiungere un obiettivo dobbiamo per forza uscire dalla nostra zona di comfort. La pretesa di muoverci sempre sopra un terreno stabile e ben battuto non ci porta lontano.
  2. Per uscire dalla zona di comfort è necessario accettare e fronteggiare il disagio. Dobbiamo stare scomodi, fare fatica, sperimentare un po' di insicurezza e di ansia per potere passare al livello successivo.
  3. Se siamo disposti ad accettare il disagio e ci collochiamo all'interno della zona ottimale di apprendimento ci troveremo a migliorare le nostre capacità. Una volta ottenuto il miglioramento, l'ansia scomparirà, saremo nuovamente a nostro agio: abbiamo così allargato la nostra zona di comfort. Quello che ieri ci faceva sentire incerti e un po' spaventati, oggi diventa normale e familiare. Ogni tanto è bello guardarsi indietro a ricordare tutte le cose che siamo riusciti a imparare e gli ostacoli che abbiamo superato.
  4. A volte possiamo sentirci nella nostra comfort zone con situazioni (o sentimenti) che ci fanno soffrire. Possiamo restare bloccati in situazioni che non ci piacciono solo perché ci sono familiari. Possiamo essere così abituati a provare preoccupazione o tristezza da sentirci a disagio con le emozioni positive. In tutti questi casi la zona di comfort si trasforma in una vera e propria gabbia. Ci tiene inchiodati lì, perché non troviamo il coraggio di affrontare l'insicurezza e l'ignoto.
  5. Uscire dalla comfort zone è in gran parte dei casi positivo: possiamo apprendere nuove abilità, nuove abitudini, migliorare le nostre prestazioni, trovare il coraggio di cambiare una situazione che in realtà non vogliamo. Occhio però che non dobbiamo sempre per forza spingere per superare i nostri limiti. Abbiamo bisogno anche di stare nell'agio, di sentirci al sicuro e protetti. Quindi sì: usciamo dalla zona di comfort, ma ricordiamoci che non dobbiamo essere sempre produttivi o tesi a imparare nuove cose. Ogni tanto abbiamo bisogno di tornare a casa.
  6. Agire fuori dalla nostra zona di comfort significa affrontare una certa dose di stress e ansia. Se questa aumenta oltre un certo livello, ci troviamo spinti ancora più in là, oltre la zona di apprendimento ottimale, in quella che Alasdair White ha definito panic zone. L'eccesso di stress o di pressione ci manda nel pallone. Qui non c'è apprendimento o miglioramento, c'è solo ansia e agitazione. È chiaro che si tratta di limiti del tutto soggettivi, diversi per ognuno di noi. Quindi dobbiamo imparare a capire di volta in volta dove sta il limite oltre il quale andiamo inutilmente nel pallone. E fare un passo indietro se siamo andati troppo oltre.
 
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tra il Tevere e i loft.
certo SPERM, mi viene un triste paragone e parallelismo, solo ora......con quelli che chiudono il figlio piccolo in auto d'estate sotto al sole, di cui son piene le cronache. Non so quanto ci azzecchi, ma mi è venuto in mente.

E che non si risolve bene come in questo caso...
 
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maremma
sei uscito dalla tua comfort zone... leggi questo, mi pare interessante


  1. Per crescere, migliorare, imparare, raggiungere un obiettivo dobbiamo per forza uscire dalla nostra zona di comfort. La pretesa di muoverci sempre sopra un terreno stabile e ben battuto non ci porta lontano.
  2. Per uscire dalla zona di comfort è necessario accettare e fronteggiare il disagio. Dobbiamo stare scomodi, fare fatica, sperimentare un po' di insicurezza e di ansia per potere passare al livello successivo.
  3. Se siamo disposti ad accettare il disagio e ci collochiamo all'interno della zona ottimale di apprendimento ci troveremo a migliorare le nostre capacità. Una volta ottenuto il miglioramento, l'ansia scomparirà, saremo nuovamente a nostro agio: abbiamo così allargato la nostra zona di comfort. Quello che ieri ci faceva sentire incerti e un po' spaventati, oggi diventa normale e familiare. Ogni tanto è bello guardarsi indietro a ricordare tutte le cose che siamo riusciti a imparare e gli ostacoli che abbiamo superato.
  4. A volte possiamo sentirci nella nostra comfort zone con situazioni (o sentimenti) che ci fanno soffrire. Possiamo restare bloccati in situazioni che non ci piacciono solo perché ci sono familiari. Possiamo essere così abituati a provare preoccupazione o tristezza da sentirci a disagio con le emozioni positive. In tutti questi casi la zona di comfort si trasforma in una vera e propria gabbia. Ci tiene inchiodati lì, perché non troviamo il coraggio di affrontare l'insicurezza e l'ignoto.
  5. Uscire dalla comfort zone è in gran parte dei casi positivo: possiamo apprendere nuove abilità, nuove abitudini, migliorare le nostre prestazioni, trovare il coraggio di cambiare una situazione che in realtà non vogliamo. Occhio però che non dobbiamo sempre per forza spingere per superare i nostri limiti. Abbiamo bisogno anche di stare nell'agio, di sentirci al sicuro e protetti. Quindi sì: usciamo dalla zona di comfort, ma ricordiamoci che non dobbiamo essere sempre produttivi o tesi a imparare nuove cose. Ogni tanto abbiamo bisogno di tornare a casa.
  6. Agire fuori dalla nostra zona di comfort significa affrontare una certa dose di stress e ansia. Se questa aumenta oltre un certo livello, ci troviamo spinti ancora più in là, oltre la zona di apprendimento ottimale, in quella che Alasdair White ha definito panic zone. L'eccesso di stress o di pressione ci manda nel pallone. Qui non c'è apprendimento o miglioramento, c'è solo ansia e agitazione. È chiaro che si tratta di limiti del tutto soggettivi, diversi per ognuno di noi. Quindi dobbiamo imparare a capire di volta in volta dove sta il limite oltre il quale andiamo inutilmente nel pallone. E fare un passo indietro se siamo andati troppo oltre.

Questa è la dedica a Bastian che vorrebbe divenire imprenditore.C'è da aggiungere solo un particolare:il dipendente lavora per vivere,l'autonomo vive per lavorare perchè grande o piccola che sia la tua impresa non hai mai la mente totalmente sgombra dai pensieri di lavoro.
 
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tra il Tevere e i loft.
Perozzi, tutto vero anzi Vangelo, con una piccola correzione..dipende da cosa fa il dipendente.

Se il dipendente (pubblico o privato) mette timbri su carte bollate, o fa fotocopie, di sicuro a casa non si porta nessuna preoccupazione.

Se il dipendente (pubblico o privato), gestisce cantieri ed è una figura di quelle che la legge prevede dlg 81/2008 (Direttore dei lavori, coordinatore per la sicurezza, o Responsabile dei lavori), per la legge italiana HA LE STESSE RESPONSABILITA', che sia pubblico o privato.

Io e Renzo Piano (per fare un esempio estremo), nella gestione di un cantiere abbiamo le stesse responsabilità CIVILI E PENALI, se muore o si fa male un operaio, per importi della parcella molto diversi...lui per svariate centinaia di mgliaia di euro, io per 1300 euro al mese.

Perciò ti dico, qualche nottata di sonno l'ho persa anche per questo impeghetto che ho. Se qualcuno dovesse essere investito, in un cantiere di mia responsabilità, vado davanti al giudice.

Poi se ne esce,..se ne esce.. il magistrato valuta, istruisce i fatti.,.alla fine magari anche proscioglie, perché il fatto non sussiste. Ma anni di processo dovrei comunque farmeli. E mi tocco.

Perciò è vero, in linea di massima, il dipendente non si porta pensieri a casa..è vero.

Dipende sempre da che fa, le mie colleghe amministrative di sicuro no.

Correggo e aggiungo, stessa trafila e stesso inferno passa un datore di lavoro, qualora succedano le cose di cui sopra.
 
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maremma
Certo Sodo ci sono dei lavori di responsabilita anche da dipendenti,certamente,ma in line di massima,anzi quasi generalmente è come ti ho spiegato.Io ho avuto la possibilita di impiegarmi ed anche bene,ai miei tempi un posto in banca era oro ma l'incoscienza giovanile mi ha detto di proseguire con la ditta fondata da babbo e zii,quindi non ho esperienze impiegatizie.Ma credimi la differenza è molta e non si limita solo ai pensieri di e responsabilità di lavoro_Oltre a dover lavorare spesso i giorni festivi per estrema necessità sono andato spesso a lavorare con la febbre.Una volta mi incazzai di brutto:un mio dipendente per un mal di denti notturno prese 10 giorni di malattia!!!
 
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