La duplice lettura di uno stesso evento è sempre un esercizio stimolante.
Tempo fa, scrissi un raccontino nell'ottica sia del punter che della pay:
LA FAVOLA DI ADAMO ED EVA
Adamo smise di armeggiare nervosamente col telefonino soltanto quando sì aprì il portone. S'infilò veloce nel palazzo e corse a perdifiato su per le scale, preoccupato persino del rumore che facevano le sue scarpe, timoroso che ogni angolo nascondesse un condomino pronto ad interrogarlo circa la sua presenza lì, in quel momento, su un pianerottolo che non era il suo. Una parentesi di piacere, non desiderava altro.
In silenzio, la ragazza lo condusse verso una luce lontana. Si sfilò la cravatta, la ripiegò più volte per poi poggiarla sullo schienale della poltrona con la stessa cura che avrebbe usato un prete con la stola dopo la funzione domenicale, ma non un prete qualsiasi: un officiante di mezza età che ha già sentito affievolirsi il fervore vocazionale giovanile e che non vede ancora prossimo il momento del trapasso.
"Parlami di te"
"Settanta bocca fica"
Il suo sguardo perse di brillantezza e s'incupì di nuovo: avrebbe voluto sentirsi dire qualsiasi altra cosa, dal panegirico dell'ultimo modello di scarpe Givenchy a una litania gitana, ma non quello.
Tornò a guardare la poltrona e poi ancora le sue mani. Mentre si sbottonava i polsini ruotando lentamente le scapole e alzando gli avambracci s’immaginava nei panni di un chirurgo che indossasse i bianchi guanti di lattice prima di sventrare una persona supina e incosciente, e in cuor suo non riteneva di essere lontano dal vero.
"Ti bastano questi?" le disse poggiando una banconota da cinquanta euro sul comò, fra due gingilli di porcellana. Sapeva già che le sarebbero bastati.
Due braccia, un torso e due gambe: questo era lei, come tutte d'altronde, ma le braccia non riscuotevano lo stesso interesse che Adamo manifestava per le altre sue parti. Stette ad osservarla lungamente, seduto sul bordo del letto, valutando le diverse proporzioni delle sue membra secondo una tabella che sembrava avere ben infissa nella mente e massaggiandosi di tanto in tanto la punta del mento.
Le toccò un fianco ma la sua mano fredda la fece sobbalzare. Aveva stupidamente coltivato l'ambizione di suscitare ben altri fremiti. Andò in bagno e si riscaldò per alcuni minuti sotto l'acqua quasi bollente prima di metterglielo in bocca, ginocchioni di fianco a lei. Le teneva la nuca come per aiutarla in quella scomoda torsione ma in realtà amava saggiare al tatto le contrazioni dello splenio e dei muscoli scaleni: era il suo modo di sentirsi vivo fra i vivi.
Un bacio, sì un bacio: quello desiderava più di ogni altra cosa, un bacio senza affettazione che scaturisse spontaneo come un respiro sovrappensiero, un moto d'attrazione fra due massa vicine, una legge della fisica fatta saliva. Adamo l'avrebbe suggellato nella memoria e lì lasciato a prender polvere finché il bisogno di darsi cuore e coraggio non l'avesse costretto un giorno a scartabellare fra le pagine liete della sua esistenza per richiamarlo alla coscienza. Si scostò quindi di colpo e le liberò la bocca ma anziché le sue labbra trovò una gota riottosa e vide una smorfia disegnarsi chiaramente su quel bel viso come un orribile scarabocchio di pelle raggrinzita, come il risultato di un atto vandalico su una pala d'altare: un piccolo danno sul quale, tuttavia, l'occhio non può fare a meno di posarsi, impossibile da ignorare, difficilissimo da cancellare. E proprio un barbaro lei l'aveva fatto sentire.
Strappò il condom dalla sua confezione, le allargò la fica con le dita e iniziò a scoparla con forza, con tutta la forza che si sentiva addosso, e fu felice di trovarla arida internamente come arida s'era dimostrata nei suoi confronti, in questo onesta e conseguente. Tanto maggiore era la frizione, tanto maggiore era la sua soddisfazione e più gli sembrava che le si arrossasse fino a bruciare, più sentiva allontanarsi l'orgasmo che avrebbe dato requie alla puttana. Si sfilò per girarla a proprio piacere, ma fu solo per nascondere alla sua vista quel viso che riteneva irrimediabilmente deturpato che si mise cavalcioni sulle sue terga, stringendo le mani alla sua vita proprio dove le costole lasciano spazio all'addome.
Schizzò la sua frustrazione nel caucciù vulcanizzato e andò in bagno a sciacquarsi di dosso un vago senso d'inettitudine, perlopiù indotto. Si rivestì senza una parola né uno sguardo e tornò alla sua vita.
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Squilli, squilli, squilli, un continuo richiamo, una vibrazione di sottofondo che le si incunea nel cervello dal mattino presto sino a notte fonda. Avrebbe voluto spaccare quegli arnesi, scaraventarli a terra con quanta forza poteva per godere dello spettacolo bizzarro e affascinante che possono dare solo degli schermi liquidi crepati o delle chiazze di benzina sull'acqua, coi loro colori cangianti e la rassicurante testimonianza che un disastro si è finalmente compiuto. Avrebbe voluto ma non poteva.
Le telefonate ravvicinate ed insistenti di quest'ultimo cliente l'avevano fortemente mal disposta eppure il lavoro è lavoro e a fine giornata bisogna aver tirato su qualcosa. Mai che se ne salvi uno, pensava sconsolata: quelli che sono a modo le repellono fisicamente, alberi contorti e rugosi per i molti inverni accumulati e patiti; quando sono passabili, mostrano un'arroganza innata che viene loro dalle molte facilitazioni di cui hanno goduto. Quelli che sommano entrambe le qualità non cercano una come lei, una puttana.
Citofono, porta socchiusa, una breve attesa. Il rituale è sempre quello, ogni volta, ogni giorno, così all'infinito. Facce su cui ha smesso da tempo di soffermarsi. Preferisce indagare i particolari: la qualità di un abito, scarpe di vero cuoio, un fermacravatta, dei gemelli... oh, volesse il cielo... dei gemelli. Anni d'esperienza le hanno insegnato che più pagano, meno pretese hanno.
Eva se ne stava scomodamente reclinata su un braccio, segata dai laccetti dell'intimo, coi piedi doloranti per le scarpe troppo strette, a guardare quell'essere farsi sempre più brutto via via che si toglieva gli indumenti di dosso, tutto assorbito in se stesso.
"Parlami di te"
"Settanta bocca fica" gli disse con l'intonazione asettica e professionale che può avere un'infermiera che risponde all'istante alle perplessità di un chirurgo. Così le avevano insegnato a fare e così le veniva spontaneo porsi ai suoi clienti, ovvero una calcolata e lucida mancanza di spontaneità affinché i rispettivi ruoli apparissero chiari fin da subito. Che altro avrebbe dovuto dire ad uno sconosciuto che non le destava la minima curiosità? Che risponderebbe mai una bigliettaia che si sentisse rivolgere la stessa domanda dall'omino in fila di fronte al suo sportello? Solo perché pagava il suo tempo ed il suo corpo aveva forse diritto d'immischiarsi nella sua vita, nei suoi problemi, nei suoi pochi piaceri? Non lo pensava affatto, anzi... fin da quando aveva socchiuso quella porta aveva smesso di pensare tout court altrimenti non sarebbe riuscita a fare quello che stava per fare: prendere in bocca il cazzo dell'ultimo venuto.
"Ti bastano questi?" si sentì dire con una spocchia che l'umiliava nel profondo. Non poteva rifiutare. Non poteva permettersi di rifiutare. Annuì appena, sempre rincalcata su quel lettone. Sentiva il braccio cominciare a formicolarle.
Vide quella massa pingue farsi vicina. La vide fermarsi assorta per ponderare la bontà del proprio acquisto e infine sentì toccarsi il costato e fu come una gelida stilettata. Sussultò per il ribrezzo prima ancora che per il freddo. Seguì con lo sguardo quell'uomo contrito guadagnare il bagno come un estremo rifugio, come un roditore cerca nella tana sicurezza dalle avversità del mondo esterno. Quando tornò, le infilò in gola il suo tubo flaccido senza darle il tempo di togliersi da quella scomoda posizione. Le dolevano i gomiti ma le doleva maggiormente sentirsi carezzare come un labrador o un qualsiasi altro animale da compagnia, e forse con ancor meno trasporto.
Tutto a un tratto tornò a respirare liberamente ma il sollievo durò appena un attimo: una faccia rossa e sudaticcia stava a due dita dalle sue labbra. Riuscì a girarsi appena in tempo affinché quell'informe ascesso andasse a cozzare contro un suo zigomo strisciandolo d'umidore. Ma che pensava di fare? Non gli bastava avere libero accesso ai suoi orifizi? Che altro voleva da lei?
Cosa voleva, lo capì in un istante vedendolo combattere un'impari lotta contro la confezione di profilattici. Aprì le gambe e lo lasciò scalpitare dentro di sé. Un peso, un peso opprimente, il peso di quella superfetazione di dubbio gusto: fondamentalmente sentiva soltanto quello. Si lasciò mettere a quattro zampe e resse con la schiena quel quintale di sudiciume che le si appoggiava come farebbe un ubriaco ad un palo per pisciare senza cascare a terra, e come quel palo si fece insozzare l'anima senza muovere un muscolo.
Eva rassettò alla bell'e meglio il copriletto mentre l'ultimo cliente del giorno si rivestiva per uscire dalla sua stanza. Nella sua vita non era mai entrato.