Di questo virus non si conosceva nulla e adesso si conosce poco. Il lockdown è frutto della necessità di evitare che le terapie intensive si riempissero, tutte, contemporaneamente. E' evidente che se il virus non avesse avuto questo impatto, nessuno si sarebbe sognato di "chiudere" il mondo. La scarsa conoscenza del virus poteva dare luogo a due approcci: (i) il silenzio, il mancato commento se non suffragato da studi che, necessariamente, richiedono tempo, (ii) la diffusione di ogni tipo di pensiero, tanto non vi sono evidenze o riscontri ufficiali. Si è scelto questo approccio per cui sentiamo - ancora oggi e per molto tempo ancora - opinioni del tutto divergenti seppure offerte da personalità che una certa reputazione l'avevano acquisita. Inevitabilmente si è corso quindi il rischio di venire smentiti e mi domando perchè si sia deciso di correrlo questo rischio: io ricordo sempre uno dei miei Maestri che spesso ricordava: "una vita per farsi una reputazione, un secondo per perderla". La pandemia ha costretto la gente a casa, gente iperconnessa, abituata a fagocitare notizie di ogni tipo senza il "setaccio" di una attenta lettura, persone che anche psicologicamente avevano bisogno di avere notizie, non importa se fondate o meno, l'importante era fornirle affinché se ne abbeverassero e dessero tregua all'arsura della mente. La globalizzazione ha portato internet, tutti possono accedere a tutte le notizie che vogliono e più "click" ci sono, più c'è guadagno, secondo voi, qualcuno si è fatto qualche remora? Secondo voi anche coloro che avevano una reputazione hanno pensato un attimo prima di scegliere se tacere di fronte all'ignoto? L'informazione prudente, pacata, di contenuto è ormai merce rara e la gente non sa scegliere, non sa filtrare, si fa influenzare da quello che dice quello o quell'altro. E' difficile orientarsi in questo momento e quanto la difficoltà aumenta bisognerebbe ricorrere ai ragionamenti primordiali: se non so, non giudico, non dico, non mi sbilancio.