Letteratura e corpivendole

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Sempre per la serie: libri che non trattano della prostituzione come argomento principale, ma in cui vi sono prostitute o scene di prostituzione strettamente funzionali a parti-chiave della narrazione, e non come semplice elemento accidentale sullo sfondo, mi è venuto in mente "Messieurs les enfants" di Daniel Pennac ("Signori bambini" in italiano, ma io lo lessi a suo tempo in lingua originale).

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare dal titolo, non si tratta affatto di una favoletta per l'infanzia, ma di un romanzo che unisce a elementi surreali/fantastici (che di fatto ne costituiscono il motore) descrizioni estremamente realistiche. Il particolare, la cosidetta "Allée des Femmes" (Viale delle Donne), che compare nelle sue pagine, è una rappresentazione estremamente vivida della prostituzione da strada "storica" di Parigi come veniva praticata nella zona di Rue Saint-Denis: intorno a una ventina o a una quindicina di anni fa, per puro gusto del pittoresco, ne avevo usufruito (le lavoratrici erano tutte vecchiotte, quasi macchiette per turisti, e i prezzi e le prestazioni non erano particolarmente invitanti). Ebbene, la descrizione del luogo, esterni e soprattutto interni, e delle modalità di lavoro delle esercenti, nel romanzo era assolutamente perfetta, riproducendo con estrema esattezza ciò che io stesso avevo sperimentato; così come la figura di Yolande (sorta di puttana/boss tra tutte quelle del quartiere e personaggio molto rilevante per la trama del romanzo) mi era sembrata azzeccatissima.

Dal che si deduce che il buon Daniel Pennac, in gioventù, deve aver ampiamente praticato il nostro hobby in quella zona di Parigi (allo scopo di documentarsi, ovviamente!) :)
Non che si tratti dell'unico scrittore (o artista), del resto, la cui frequentazione di corpivendole sia indubbia e indiscutibile... Tra l'altro, mi viene in mente, a proposito del nome di questo thread, che il titolo di uno dei più famosi romanzi di Pennac è "la prosivendola" (anche se in originale era il virtualmente intraducibile "La petite marchande de prose").
 
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Li ho guardati ma vedevo tutto annebbiato, non so se era la mancanza di segnale o l’alone della circonvenzione d’incapace 2.0 creato da un content manager esperto nel trasformare i diserbanti in pappa per neonati.
Leggo “On Life è il sesso dell’amplesso virtuoso” e d’istinto rivaluto Vanna Marchi…
Mi va l’occhio su “Si narra ch’io sia una leggenda…” e provo affetto per quelle genuine ingenue truffatrici “io ingoio sempre tutto….smaialata ex modella gran troia (ninfomane)”.
Continuo a leggere calandomi nell’ego di questa leggenda del sesso, minuziosamente costruito dal suo “Team”, e nelle mutande sento un movimento strano e doloroso: pene, palle e sacco scrotale con tutti i peli si stanno ritirando dentro!!!
Speriamo che mi arrivi una mail chiedendomi €250 per farli riapparire.
Mi scuso per l’ot.
PS @Submale, ho cercato ti giuro che ho cercato il qualcos’altro di speciale…

Buonasera ariace

La ringrazio per aver visitato i miei siti e per aver usato il suo tempo per esprimere un parere.

Mi dispiace che lei non riconosca in una escort una persona capace e che non le attribuisca competenze.

È evidente che non ha avuto modo di conoscermi.

Un saluto
Serena
 
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Buongiorno serenakey, o chi per lei, non se ne dispiaccia troppo, ne sarei addolorato mi creda.

Anni e denari spesi nella frequentazione di zoccoline di più semplice estrazione e genuino talento, hanno lasciato in me solo soddisfazione e un senso di comunione con loro, pertanto non ho la capacità di valutare capacità e competenze che travalichino la giusta predisposizione verso il cliente e una verace attitudine al cazzo.

Vede, queste due qualità, di cui mai avrò certezza le appartengano, attengono alla sfera della Sostanza che un sempliciotto come me ritiene essenziale.

Vedendo questa Forma (i siti) creata a misura Google Ads, con contenuti addestrati all’accalappio e photoshop micronizzato su quel millimetro di silicone di troppo (il tutto assolutamente lecito e attuale ci mancherebbe), il sempliciotto, ingenuamente lo ammetto, ci vede una nuova conferma al concetto La Forma equivale a Sostanza.

Potrebbe essere dovuto all’età, la vista cala e leggo solo tra le righe, quindi ho posto la questione a Aristotele.

Appena riceverò risposta non mancherò di informare Lei o il Content Manager se eventualmente impegnata in un’intervista o altro.

Tante buone cose per lei e il suo business che purtroppo trovo fintamente coerenti tra loro e nemmeno banalmente prosaicamente semplicemente eccitanti.
 
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Sono sinceramente addolorata, Ariace, che debba perdersi proprio la giusta predisposizione verso il cliente e una verace attitudine al cazzo che sono i miei veri punti di forza. Peccato, cerchi di goderne con il pensiero. Comprendo solo ora le ragioni dell'acidità e naturalmente le scuso.
La volpe che non arriva all'uva forse la insulta...ma l'uva, saggia e genuina, sorride al sole.
 
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Signora non si addolori la prego, mi sforzero' ma seguiro' il consiglio di goderne con il pensiero se le fa piacere.
E stia pure sorridente al sole che la volpe non insulta l'uva quando non la può avere, ne se sa di poterla avere quando vuole e nemmeno se quell'uva non gli interessa.
Nel frattempo, saggiamente e genuinamente, cerchi da un altra parte delle ragioni buone che giustifichino il travisare quanto ho scritto.
 
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Per tornare all'argomento proprio di questo thread: se avevo chiesto, nella pagina precedente, se la discussione fosse solo sulla prosa o anche sulla poesia, era anche e soprattutto perché i poeti dell'antichità si facevano molti meno problemi a parlare apertamente di prostituzione di quanti se ne siano fatti molte epoche successive. :)

Avevo accennato in un post precedente a Catullo, ma come dimenticare l'immortale descrizione che dell'imperatrice Messalina (moglie di Claudio) fece Giovenale nella sua satira VI, a lei specificamente dedicata?
Tanto perché non mi si accusi di off-topic, della cosiddetta "Meretrix Augusta" non si andava semplicemente a satireggiare genericamente la lascivia e la dissolutezza, ma si descriveva dettagliatamente la sua abitudine di recarsi in incognito nei più malfamati bordelli della suburra romana e ad intrattenersi lì con i più sozzi e rozzi clienti, esercitando come una vera e propria prostituta: d'accordo, non per necessità, per pura perversione, ma credo che non si possa negare l'attinenza con l'argomento del nostro thread.

Ometterò il testo latino, per quanto sapido, e citerò qui la sola traduzione del passo più rilevante (dato che, per comodità, ricavo la traduzione da una voce di Wikipedia, chi voglia ritrovare il gusto degli epiteti latini appioppati alla "necdum satiata" sporcacciona vada a cercarseli lì: segnalerò solo che il nome che l'imperatrice è detta assumere quando lavora al bordello, Lycisca, viene dal greco Lycos, lupo, e quindi si tradurrebbe letteralmente "lupacchiotta", ma più nel senso deteriore che noi attribuiremmo oggi a qualcosa come "cagnetta", "piccola cagna (in calore)"):

«Perché ti preoccupi di una casa privata, di cosa abbia fatto Eppia?.
Guarda i rivali degli dei; ascolta Claudio
che cosa ha sopportato. Quando la moglie si accorgeva che il marito dormiva,
osando l’Augusta meretrice mettersi dei cappucci da notte
e preferire al talamo del Palatino una stuoia,
lo abbandonava, con non più di una ancella come compagna.
Così, mentre una parrucca bionda nasconde i capelli neri,
entra nel caldo lupanare dalle tende vecchie
e nella stanzetta vuota, tutta per lei; allora nuda con i capezzoli
dorati si prostituisce inventando il nome di Licisca
e offre, o nobile Britannico, il tuo ventre.
Accoglie generosa chi entra e chiede il prezzo
e di continuo, sdraiata, assorbe i colpi di tutti.
Poi, quando il lenone manda via le sue ragazze,
triste se ne va e, l’unica cosa che può fare, per ultima chiude
la stanza, ardendo ancora per l’eccitazione della sua vulva turgida,
e, spossata dagli uomini ma non sazia, se ne va,
con le guance scure e sporca per il fumo della lucerna
porta l’ignobile odore del lupanare nel talamo nuziale.»
 
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Annalisa Chirico, oggi alla ribalta per alcune dichiarazioni infelici, autrice di un volume stampato su carta particolarmente soffice e pertanto godibile come lettura da gabinetto, è sufficiente arrotolarlo: “Siamo tutti puttane”.
Il volume, purtroppo risulta affetto da un’ipocrisia stridente. L’autrice non ha mai fatto la puttana. Non sa cosa possa significare fare la vita, non ne conosce le dinamiche, né le peculiarità, non si è mai fatta un cliente tutto suo. Una persona che non ha una benché minima idea dell’argomento trattato ne scrive un libro. Per carità, lodevole l’intento, ma quale? Emancipare le masse? Ma no, gente così insterilisce concetti astrusi alla stregua di chi attribuisce a Machiavelli quella cacata che “il fine giustifica i mezzi”. Siamo tutti puttane? Ma anche no, che minchia di generalizzazione sarebbe? Parla per te. Il volume non è nemmeno corposo abbastanza da poterglielo tirare in testa con soddisfazione. Non compratelo, non leggetelo. La sua sola lettura vi renderebbe persone peggiori.
Quindi a che scopo sbilanciarsi in maniera così sciagurata da scriverne un libro? Forse l’intento è il solito, trovare collocazione politica sbandierando un femminismo ignorante di cui si sarà autoeletta paladina? Forse si tenta solo di far presa, come al solito, sulla pruriginosità dell’italiano medio.
Vedi l'allegato 251620

Vedi l'allegato 251621



Spesso si fa una confusione bislacca tra una servile mantenuta ed una puttana temeraria. Trovo la cosa alquanto ingiusta e disgustosa. Questa definizione tratta dalla Treccani, poi, la trovo molto fantasiosa. Forse su Wikipedia avrebbe avuto più fortuna. “Persona amorale che si adegua alle circostanze”. Lei, poi, che fantasiosa deve esserlo per forza avendo dovuto scrivere un intero libro su qualcosa che non conosce, fa di peggio difendendo il “sacrosanto diritto di darla per interesse o per convenienza, di arrabattarsi ognuno come meglio può, di sgomitare per farsi largo in una società competitiva ricorrendo ad ogni mezzo lecito”. Ma cosa c’entrano le tristi mantenute con le puttane? Che razza di femminismo è quello che suggerisce di sedurre e ingannare per conquistare spazio e potere? Forse alla signora sfugge che non tutti sono arrivisti, che esistono persone che a vari livelli socio economici possono ritenersi realizzati, sereni, pacifici, e che pertanto tendono a non prestarsi a mezzucci, lusinghe e arruffianamenti, tantomeno se di natura sessuale: forse alla signora non è chiaro che il potere contrattuale della fortuna su cui ritiene di sedere, risulta inflazionato, soprattutto se il suo interlocutore è un puttaniere. Questo libro è l’apologia del furbo, l’elogio dello scorretto, la Bibbia del parvenu, è la barbarie che si contrappone all’ordinamento civile. È pertanto il manifesto delle puttane missile, quelle per ripiego, per circostanza, non di certo per capacità e/o per vocazione. È in base ai principi enunciati dalla Chirico che ci si trova in un loft di fronte alla frigida incapace di turno, così come il chirurgo raccomandato in sala operatoria, o il burocrate insicuro e ostativo ma amico degli amici. Queste persone, di fatto, costituiscono il cancro della nostra società.
La prostituzione è una professione e questa signora, che prostituta non lo è mai stata, farebbe bene a tacere su un argomento così delicato, soprattutto perché ciò che scrive rappresenta la SUA opinione che é distante anni luce dalla realtà. Soprattutto perché il SUO sforzo teso a raggiungere il SUO scopo, getta discredito su una categoria professionale alla quale lei manco appartiene. Mi chiedo quale sex worker si riconosce nelle parole e nei concetti espressi da questa librivendola. Chi mai si dipingerebbe come una creatura machiavellica e scorretta, avvezza al raggiro e all’inganno? La prostituta è davvero questo?
Per fortuna su questo forum, benché ne esistano esempi viventi e semoventi, in carne ossa e silicone, di questo aborto di libro se ne fa minzione solamente nel thread delle poesie. Mi auguro che si prendano le distanze da simili idiozie, da siffatte banalità e che non si ceda al fascino di una simile accozzaglia di spericolate frasi da baci perugina. Forse sarebbe meglio che i libri sulle puttane, fossero scritti dalle puttane stesse.

Ehm... se posso permettermi, segnalo che Annalisa Chirico penso costituisca non un prototipo di prostituta che fa del suo mestiere un mezzo per arrivare chissà dove, bensì il già visto e consumato prototipo della party girl.
Costei è la ragazza/donna di bell'aspetto che in genere dispone di una laurea ma non ha grandi altre qualità, salvo il sapersi intrufolare e permanere in ambienti mondani ove , periodicamente, ella diventa la compagna/concubina di un potente che le permette - grazie agli agi che le mette a disposizione - di sviluppare interessi quali l'arredamento, l'organizzazione di eventi, una rubrichetta di gossip su qualche settimanale, una rubrichetta di cucina su quale tv digitale o via satellite, e talvolta - appunto come la Chirico - di fare pure la giornalista in qualche buona redazione.
Esempi famosi sono stati e sono Afef Jnifen, Sonia Raule, Rosi Greco, Rula Jebreal.
Talvolta la figura della party girl sconfina in quella della groupie: esempi ne furono Patti d'Arbanville, Pattie Boyd; a pensarci bene fu una groupie nostrana pure Barbara d'Urso, che dicono fosse assai brava nel farsi trovare pronta alle bisogne del Vasco Rossi degli esordi, sicché egli le fu riconoscente.
Non c'è nulla di male, in questo: direi che è sempre andata così, anche se riconosco che il libro non sa di nulla.
Salvo però ricordare che la party girl Annalisa Chirico riuscì qualche anno fa in un'impresa non da poco: far passare da coglione affamato di sottane Piergiorgio Morosini, fiero magistrato antimafia , membro del CSM ed ex segretario dell'Associazione Nazionale Magistrati.
Questi perse completamente la brocca quando la vide transitare nei corridoi di non ricordo quale palazzo, e, seduta stante, le offrì dichiarazioni pesantissime sul governo, dichiarazioni che la Chirico si affrettò a fare uscire nell'edizione del giorno dopo ( https://www.huffingtonpost.it/giuseppe-ayala/morosini-ingenuita-primo-ultimo_b_9865268.html ).
Secondo alcuni il Morosini fu raggirato: io credo invece sia incorso nel classico infortunio di chi, passando vita ed opera tra fascicoli e codici, quando vede transitare due gambe dignitose non capisce più nulla.
Questo ci fa riflettere sulla tenuta emotiva che dovrebbero possedere gli incaricati di alti uffici, ahimè.
Finte prostitute e party girl esistono ed esisteranno sempre, ma ciò non è un problema: sono semmai i danni che possono fare in certi uomini a preoccuparmi.
 
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Giuseppe Gioachino Belli - Sonetti144

ER COMMERCIO LIBBERO

Bbe’? Sssò pputtana, venno la mi’ pelle
Fo la miggnotta, sí, sto ar cancelletto
Lo pijjo in cuello largo e in cuello stretto
C’è ggnent’antro da di? Che ccose bbelle!
Ma cce sò stat’io puro, sor cazzetto,Zitella com’e ttutte le zitelle
E mmó nun c’è cchi avanzi bajocchelle
Su la lana e la pajja der mi’ letto.
Sai de che mme laggn’io?
nò dder mestiere,Che ssaría bbell’e bbono, e cquanno bbutta
Nun pò ttrovasse ar monno antro piascere.
Ma de ste dame che stanno anniscoste
Me laggno, che, vvedenno cuanto frutta
Lo scortico, sciarrubbeno le poste.


14Roma, 16 dicembre 1832
 
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Mariolo69, ti ho messo un doppio apprezzamento, sia un "grazie" che un "mi piace".

Uno è per il sonetto del Belli che hai appena postato, l'altro per la citazione degli Smiths che costituisce la tua firma ("Pretty girls make graves" è una delle più belle canzoni dal loro primo album e, anche se non parla certo di prostituzione, la trovo singolarmente appropriata al clima di questo forum!).
 
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Santaccia de Piazza Montanara (1)

Santaccia era una dama de Corneto
da toccà ppe rrispetto co li guanti;
e ppiú cche ffussi de castagno o abbeto,
lei sapeva dà rresto a ttutti cuanti.

Pijjava li bburini ppiú screpanti
a cquattr’a cquattro cor un zu’ segreto:
lei stava in piede; e cquelli, uno davanti
fasceva er fatto suo, uno dereto.

Tratanto lei, pe ccontentà er villano,
a ccorno pístola e a ccorno vangelo
ne sbrigava antri dua, uno pe mmano.

E ppe ffà a ttutti poi commido er prezzo,
dava e ssoffietto, e mmanichino, e ppelo
uno pell’antro a un bajocchetto er pezzo.


Santaccia de Piazza Montanara (2)

A pproposito duncue de Santaccia
che ddiventava fica da ogni parte,
e ccoll’arma e ccor zanto2*e cco le bbraccia
t’ingabbiava l’uscelli a cquarte a cquarte;

è dda sapé cc’un giorno de gran caccia,
mentre lei stava assercitanno l’arte,
un burrinello co l’invidia in faccia
s’era messo a ggodessela in disparte.

Fra ttanti uscelli in ner vedé un alocco,
«Oh», disse lei, «e ttu nun pianti maggio?»
«Bella mia», disse lui, «nun ciò er bajocco».

E cqui Ssantaccia: «Aló, vvièccelo a mmette:
sscéjjete er búscio, e tte lo do in zoffraggio
de cuell’anime sante e bbenedette».

Roma, 12 dicembre 1832 - Der medemo
Da «Sonetti» di Giuseppe Gioachino Belli (7 Settembre, 1791 Roma-21 Dicembre, 1863 Roma) n° 141 e 142 , nella collezione «I Meridiani» Arnoldo Mondadori Editore
 
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Veramente splendidi. Non essendo romano, ogni tanto mi sfugge qualche piccolo dettaglio: per es. nel secondo sonetto, immagino che dovesse esserci una nota a spiegare il verso 3 (che in effetti non mi è chiaro).
 
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Antesignani del lato a e del lato b, di rai1 e rai2, l’arma e il santo, due lati di una moneta con cui i plebei giocavano a “marroncino”. (Frutto di una ricerca sul webbe)
 
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Purtroppo non posso postare immagini dal telefono. Comunque su google trovate vignette disney con disegni e testi d'alta letteratura in merito
 
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È uscito recentemente da Sellerio "Il console onorario" di Graham Greene. Fra i protagonisti una giovane puttana::grande affresco e superba introspezione psicologica, a grandi linee condivisibile
Consigliato a tutti i "fidan$ati"
 
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Tratanto lei, pe ccontentà er villano,
a ccorno pístola e a ccorno vangelo
ne sbrigava antri dua, uno pe mmano.
Riprendo questi versi da Santaccia (1) con spiegazioni non richieste e forse non necessarie ma, vi posso assicurare fornite con entusiasmo:
Illato del vangelo (in cornu Evangelii in latino)è una zona delle chiese cristiane occidentali. Prende il nome dal luogo dove avviene al lettura del Vangelo nella liturgia. Rispetto all'altare maggiore, si trova sul lato sinistro.
Il lato opposto è il lato dell'epistola (in cornu epistolae in latino), dove venivano lette le epistole, ossia le lettere del Nuovo Testamento scritte dagli apostoli ai cristiani. Guardando l'altare maggiore, il lato dell'epistola trova nel lato destro.
Per estensione si chiama navata del vangelo quella che trova situata nel lato sinistro della chiesa, e alla stessa maniera navata dell'epistola quella che si trova nel lato destro.
E' confortante non parlar più di Coronavirus, con persone che hanno anche altri interessi, che non siano solo «distanziamento sociale» «senso di responsabilità»
Da applauso la chiusa del secondo sonetto:
E cqui Ssantaccia: «Aló, vvièccelo a mmette:
sscéjjete er búscio, e tte lo do in zoffraggio
de cuell’anime sante e bbenedette».
Di solito si fanno dire Messe in suffragio dei propri defunti, Santaccia usa il suo corpo, paga con il suo corpo, senza intermediari per onorare i propri morti: un vero colpo di genio.
Quando ero giovane,a Roma, ho avuto il piacere di sentire recitare, con chiose critiche, questi sonetti, da un romano che amava la sua città e Belli e Trilussa. Una esperienza indimenticabile.
 
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Riprendo questi versi da Santaccia (1) con spiegazioni non richieste e forse non necessarie ma, vi posso assicurare fornite con entusiasmo

Quella del lato vangelo/lato epistole l'avevo capita, perché ero al corrente, per altre vie, della suddivisione del presbiterio delle chiese a scopo liturgico. Per questo, contrariamente a quanto avevo fatto per l'altro sonetto, non avevo domandato spiegazioni specifiche su questo punto.

Ma ti confermo che ho in ogni caso letto con molto piacere la tua spiegazione e che anche io traggo molto piacere da discussioni su questi argomenti e di questo gredevole livello di approfondimento culturale. È uno sguardo un po' diverso dal solito sulle tematiche proprie di questo forum, che conferma tra l'altro come l'attività del meretricio abbia attraversato i millenni sostanzialmente "indisturbata" e immutata a dispetto delle crociate moralistiche di ogni tempo, ispirando strada facendo una quantità straripante di artisti di fine cultura e di straordinaria arguzia. :)

In effetti, il finale del secondo sonetto è da alzarsi in piedi e tributare applausi a scena aperta.
 
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So We'll Go No More a Roving by George Gordon Lord Byron (1688-1824)
So, we'll go no more a roving
So late into the night,
Though the heart be still as loving,
And the moon be still as bright.

For the sword outwears its sheath,
And the soul wears out the breast,
And the heart must pause to breathe,
And love itself have rest.

Though the night was made for loving,
And the day returns too soon,
Yet we'll go no more a roving
By the light of the moon.

Bella poesia, scritta nel 1817, pubblicata postuma nel 1830. Byron, noto seduttore e, certamente, puttaniere, all'età di 39 anni rivela una certa stanchezza. La poesia è piena di allusioni erotiche. Quanto poi alla frase “the night was made for loving”, ricorda molto “Because the night belongs to lovers” di Patti Smith.
Questa è la versione cantata di Leonard Cohen: https://www.fabiosroom.eu/it/canzoni/go-no-more-a-roving/
 
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Che poi Leonard Cohen mi giocò un brutto scherzo una volta: pensavo che stavo scopando da Dio ma era la sua voce a farla bagnare tanto...me lo disse dopo per fortuna. :pardon:
 
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Storia di Ann di Oxford Street, Londra
Premessa: E' una vicenda commovente.
La storia che racconterò è narrata nel romanzo «Confessioni di un mangiatore di oppio» (1821) di Thomas De Quincey (1785-1859). L'autore, studente a Londra, ha circa 20 anni e conosce in Oxford Street una giovanissima prostituta quindici/sedicenne, Ann. La ragazza, in Soho Square,(il luogo esiste ancora) gli salva la vita, offrendogli un bicchiere di Porto. Poi lo scrittore lascia Londra, per sistemare i suoi affari e i due non si rivedranno mai più, con grande tormento dello stesso. Allego il link a una canzone che fornisce una versione degli eventi che si trova su Youtube, «For Ann» (Bring me the Port wine etc.)
https://www.youtube.com/watch?v=yDYAi9dSMnw

Lo scrittore, più o meno nel1805, mostra un grande rispetto per le prostitute e non aggiungo altro. Ecco il testo inglese, che è scaricabile gratuitamente :

but another person there was at that time whom I have since sought to trace with far deeper earnestness, and with far deeper sorrow at my failure. This person was a young woman, and one of that unhappy class who subsist upon the wages of prostitution. I feel no shame, nor have any reason to feel it, in avowing that I was then on familiar and friendly terms with many women in that unfortunate condition. The reader needs neither smile at this avowal nor frown; for, not to remind my classical readers of the old Latin proverb, “Sine cerere,” &c., it may well be supposed that in the existing state of my purse my connection with such women could not have been an impure one. But the truth is, that at no time of my life have I been a person to hold myself polluted by the touch or approach of any creature that wore a human shape; on the contrary, from my very earliest youth it has been my pride to converse familiarly, more Socratio, with all human beings, man, woman, and child, that chance might fling in my way; a practice which is friendly to the knowledge of human nature, to good feelings, and to that frankness of address which becomes a man who would be thought a philosopher. For a philosopher should not see with the eyes of the poor limitary creature calling himself a man of the world, and filled with narrow and self-regarding prejudices of birth and education, but should look upon himself as a catholic creature, and as standing in equal relation to high and low, to educated and uneducated, to the guilty and the innocent. Being myself at that time of necessity a peripatetic, or a walker of the streets, I naturally fell in more frequently with those female peripatetics who are technically called street-walkers. Many of these women had occasionally taken my part against watchmen who wished to drive me off the steps of houses where I was sitting. But one amongst them, the one on whose account I have at all introduced this subject—yet no! let me not class the, oh! noble-minded Ann—with that order of women. Let me find, if it be possible, some gentler name to designate the condition of her to whose bounty and compassion, ministering to my necessities when all the world had forsaken me, I owe it that I am at this time alive. For many weeks I had walked at nights with this poor friendless girl up and down Oxford Street, or had rested with her on steps and under the shelter of porticoes. She could not be so old as myself; she told me, indeed, that she had not completed her sixteenth year. By such questions as my interest about her prompted I had gradually drawn forth her simple history. Hers was a case of ordinary occurrence (as I have since had reason to think), and one in which, if London beneficence had better adapted its arrangements to meet it, the power of the law might oftener be interposed to protect and to avenge. But the stream of London charity flows in a channel which, though deep and mighty, is yet noiseless and underground; not obvious or readily accessible to poor houseless wanderers; and it cannot be denied that the outside air and framework of London society is harsh, cruel, and repulsive. In any case, however, I saw that part of her injuries might easily have been redressed, and I urged her often and earnestly to lay her complaint before a magistrate. Friendless as she was, I assured her that she would meet with immediate attention, and that English justice, which was no respecter of persons, would speedily and amply avenge her on the brutal ruffian who had plundered her little property. She promised me often that she would, but she delayed taking the steps I pointed out from time to time, for she was timid and dejected to a degree which showed how deeply sorrow had taken hold of her young heart; and perhaps she thought justly that the most upright judge and the most righteous tribunals could do nothing to repair her heaviest wrongs. Something, however, would perhaps have been done, for it had been settled between us at length, but unhappily on the very last time but one that I was ever to see her, that in a day or two we should go together before a magistrate, and that I should speak on her behalf. This little service it was destined, however, that I should never realise. Meantime, that which she rendered to me, and which was greater than I could ever have repaid her, was this:—One night, when we were pacing slowly along Oxford Street, and after a day when I had felt more than usually ill and faint, I requested her to turn off with me into Soho Square. Thither we went, and we sat down on the steps of a house, which to this hour I never pass without a pang of grief and an inner act of homage to the spirit of that unhappy girl, in memory of the noble action which she there performed. Suddenly, as we sate, I grew much worse. I had been leaning my head against her bosom, and all at once I sank from her arms and fell backwards on the steps. From the sensations I then had, I felt an inner conviction of the liveliest kind, that without some powerful and reviving stimulus I should either have died on the spot, or should at least have sunk to a point of exhaustion from which all reäscent under my friendless circumstances would soon have become hopeless. Then it was, at this crisis of my fate, that my poor orphan companion, who had herself met with little but injuries in this world, stretched out a saving hand to me. Uttering a cry of terror, but without a moment’s delay, she ran off into Oxford Street, and in less time than could be imagined returned to me with a glass of port wine and spices, that acted upon my empty stomach, which at that time would have rejected all solid food, with an instantaneous power of restoration; and for this glass the generous girl without a murmur paid out of her humble purse at a time—be it remembered!—when she had scarcely wherewithal to purchase the bare necessaries of life, and when she could have no reason to expect that I should ever be able to reimburse her.
Oh, youthful benefactress! how often in succeeding years, standing in solitary places, and thinking of thee with grief of heart and perfect love—how often have I wished that, as in ancient times, the curse of a father was believed to have a supernatural power, and to pursue its object with a fatal necessity of self-fulfilment; even so the benediction of a heart oppressed with gratitude might have a like prerogative, might have power given to it from above to chase, to haunt, to waylay, to overtake, to pursue thee into the central darkness of a London brothel, or (if it were possible) into the darkness of the grave, there to awaken thee with an authentic message of peace and forgiveness, and of final reconciliation!
I do not often weep: for not only do my thoughts on subjects connected with the chief interests of man daily, nay hourly, descend a thousand fathoms “too deep for tears;” not only does the sternness of my habits of thought present an antagonism to the feelings which prompt tears—wanting of necessity to those who, being protected usually by their levity from any tendency to meditative sorrow, would by that same levity be made incapable of resisting it on any casual access of such feelings; but also, I believe that all minds which have contemplated such objects as deeply as I have done, must, for their own protection from utter despondency, have early encouraged and cherished some tranquillising belief as to the future balances and the hieroglyphic meanings of human sufferings. On these accounts I am cheerful to this hour, and, as I have said, I do not often weep. Yet some feelings, though not deeper or more passionate, are more tender than others; and often, when I walk at this time in Oxford Street by dreamy lamplight, and hear those airs played on a barrel-organ which years ago solaced me and my dear companion (as I must always call her), I shed tears, and muse with myself at the mysterious dispensation which so suddenly and so critically separated us for ever. How it happened the reader will understand from what remains of this introductory narration.
L'autore sta sistemando i suoi affari e deve lasciare Londra per qualche giorno:
These arrangements made, soon after six o’clock on a dark winter evening I set off, accompanied by Ann, towards Piccadilly; for it was my intention to go down as far as Salthill on the Bath or Bristol mail.* Our course lay through a part of the town which has now all disappeared, so that I can no longer retrace its ancient boundaries—Swallow Street, I think it was called. Having time enough before us, however, we bore away to the left until we came into Golden Square; there, near the corner of Sherrard Street, we sat down, not wishing to part in the tumult and blaze of Piccadilly. I had told her of my plans some time before, and I now assured her again that she should share in my good fortune, if I met with any, and that I would never forsake her as soon as I had power to protect her. This I fully intended, as much from inclination as from a sense of duty; for setting aside gratitude, which in any case must have made me her debtor for life, I loved her as affectionately as if she had been my sister; and at this moment with sevenfold tenderness, from pity at witnessing her extreme dejection. I had apparently most reason for dejection, because I was leaving the saviour of my life; yet I, considering the shock my health had received, was cheerful and full of hope. She, on the contrary, who was parting with one who had had little means of serving her, except by kindness and brotherly treatment, was overcome by sorrow; so that, when I kissed her at our final farewell, she put her arms about my neck and wept without speaking a word. I hoped to return in a week at farthest, and I agreed with her that on the fifth night from that, and every night afterwards, she would wait for me at six o’clock near the bottom of Great Titchfield Street, which had been our customary haven, as it were, of rendezvous, to prevent our missing each other in the great Mediterranean of Oxford Street. This and other measures of precaution I took; one only I forgot. She had either never told me, or (as a matter of no great interest) I had forgotten her surname. It is a general practice, indeed, with girls of humble rank in her unhappy condition, not (as novel-reading women of higher pretensions) to style themselves Miss Douglas, Miss Montague, &c., but simply by their Christian names—Mary, Jane, Frances, &c. Her surname, as the surest means of tracing her hereafter, I ought now to have inquired; but the truth is, having no reason to think that our meeting could, in consequence of a short interruption, be more difficult or uncertain than it had been for so many weeks, I had scarcely for a moment adverted to it as necessary, or placed it amongst my memoranda against this parting interview; and my final anxieties being spent in comforting her with hopes, and in pressing upon her the necessity of getting some medicines for a violent cough and hoarseness with which she was troubled, I wholly forgot it until it was too late to recall her.


Meantime, what had become of poor Ann? For her I have reserved my concluding words. According to our agreement, I sought her daily, and waited for her every night, so long as I stayed in London, at the corner of Titchfield Street. I inquired for her of every one who was likely to know her, and during the last hours of my stay in London I put into activity every means of tracing her that my knowledge of London suggested and the limited extent of my power made possible. The street where she had lodged I knew, but not the house; and I remembered at last some account which she had given me of ill-treatment from her landlord, which made it probable that she had quitted those lodgings before we parted. She had few acquaintances; most people, besides, thought that the earnestness of my inquiries arose from motives which moved their laughter or their slight regard; and others, thinking I was in chase of a girl who had robbed me of some trifles, were naturally and excusably indisposed to give me any clue to her, if indeed they had any to give. Finally as my despairing resource, on the day I left London I put into the hands of the only person who (I was sure) must know Ann by sight, from having been in company with us once or twice, an address to ---, in ---shire, at that time the residence of my family. But to this hour I have never heard a syllable about her. This, amongst such troubles as most men meet with in this life, has been my heaviest affliction. If she lived, doubtless we must have been some time in search of each other, at the very same moment, through the mighty labyrinths of London; perhaps even within a few feet of each other—a barrier no wider than a London street often amounting in the end to a separation for eternity! During some years I hoped that she did live; and I suppose that, in the literal and unrhetorical use of the word myriad, I may say that on my different visits to London I have looked into many, many myriads of female faces, in the hope of meeting her. I should know her again amongst a thousand, if I saw her for a moment; for though not handsome, she had a sweet expression of countenance and a peculiar and graceful carriage of the head. I sought her, I have said, in hope. So it was for years; but now I should fear to see her; and her cough, which grieved me when I parted with her, is now my consolation. I now wish to see her no longer; but think of her, more gladly, as one long since laid in the grave—in the grave, I would hope, of a Magdalen; taken away, before injuries and cruelty had blotted out and transfigured her ingenuous nature, or the brutalities of ruffians had completed the ruin they had begun.

L'allusione alla Maddalena come prostituta è errata. Nel mio Intervento precedente ho sbagliato la data di nascita di Lord Byron : 1788 - 1824. Scusate.
 
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