Tassabile la prostituzione.

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Temo che uno dei problemi del nostro paese sia quello di rappresentare oggi un ben strano ibrido giuridico: le leggi sono sì scritte, come da sempre nella storia del nostro ordinamento (che viene dal diritto romano prima e dal code napoleon poi), ma se ne ammette - fin troppo ampiamente - un'interpretazione da parte della giurisprudenza, il che corrisponde invece alla tradizione degli ordinamenti di common law.
Tale interpretazione si è fatta negli anni sempre più mutevole, forse per rispondere al bisogno di protagonismo di un corpo dello stato, come la magistratura, mai come oggi diviso e squassato da dispute intestine ( ormai le correnti dell'ANM sono salite a sette) che ne sollecitano solo i desideri di visibilità anche dei singoli, assai pronti a smentite sentenze altrui solo per vedere l'effetto che fa.
Da ultimo, va considerata anche l'imbarazzante questione che vede interessata la Corte dei Conti, alla quale il CSM eccepisce di non essere tenuto ad obblighi di rendicontazione in quanto "superiore organo dello stato".
Ecco perché non vi è alcuna certezza sui comportamenti che costituiscono i reati dei quali avete parlato: la prostituzione è solo uno degli esempi di come la giustizia italiana si stia progressivamente disinteressando dei problemi delle persone, per concentrarsi solo su quelli di se stessa.
Sarebbe auspicabile che il legislatore intervenisse, finalmente, con una legge di disciplina, che imponesse a chi esercita la prostituzione l'apertura di una partita iva - dunque regolarmente tassabile, per venire all'argomento del thread - e la sottoposizione a periodici controlli sanitari, come avviene per medici ed infermieri del servizio sanitario nazionale ed altre categorie "sensibili" in quanto maggiormente esposte ai rischi della salute.
Aggiungo (l'ho già scritto mi pare in altro thread) che a mio avviso l'unico tipo di d'impresa ammissibile sarebbe quella artigiana: dunque come impresa individuale oppure società di persone, ma non srl nè spa.
Non ammetterei infatti le società di capitali, per evitare che la prostituta non in grado di immetterli si ritrovasse a svolgere un mero lavoro dipendente, con turni di lavoro imposti che - vista la delicatezza e particolarità del lavoro svolto - la ricondurrebbero a quello sfruttamento che, dopo esser stato cacciato dalla porta, rientrerebbe dalla finestra.
L'ho fatta troppo lunga, scusate.
Un saluto.
Lafayette
 
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Temo che uno dei problemi del nostro paese sia quello di rappresentare oggi un ben strano ibrido giuridico: le leggi sono sì scritte, come da sempre nella storia del nostro ordinamento (che viene dal diritto romano prima e dal code napoleon poi), ma se ne ammette - fin troppo ampiamente - un'interpretazione da parte della giurisprudenza, il che corrisponde invece alla tradizione degli ordinamenti di common law.
Tale interpretazione si è fatta negli anni sempre più mutevole, forse per rispondere al bisogno di protagonismo di un corpo dello stato, come la magistratura, mai come oggi diviso e squassato da dispute intestine ( ormai le correnti dell'ANM sono salite a sette) che ne sollecitano solo i desideri di visibilità anche dei singoli, assai pronti a smentite sentenze altrui solo per vedere l'effetto che fa.
Da ultimo, va considerata anche l'imbarazzante questione che vede interessata la Corte dei Conti, alla quale il CSM eccepisce di non essere tenuto ad obblighi di rendicontazione in quanto "superiore organo dello stato".
Ecco perché non vi è alcuna certezza sui comportamenti che costituiscono i reati dei quali avete parlato: la prostituzione è solo uno degli esempi di come la giustizia italiana si stia progressivamente disinteressando dei problemi delle persone, per concentrarsi solo su quelli di se stessa.
Sarebbe auspicabile che il legislatore intervenisse, finalmente, con una legge di disciplina, che imponesse a chi esercita la prostituzione l'apertura di una partita iva - dunque regolarmente tassabile, per venire all'argomento del thread - e la sottoposizione a periodici controlli sanitari, come avviene per medici ed infermieri del servizio sanitario nazionale ed altre categorie "sensibili" in quanto maggiormente esposte ai rischi della salute.
Aggiungo (l'ho già scritto mi pare in altro thread) che a mio avviso l'unico tipo di d'impresa ammissibile sarebbe quella artigiana: dunque come impresa individuale oppure società di persone, ma non srl nè spa.
Non ammetterei infatti le società di capitali, per evitare che la prostituta non in grado di immetterli si ritrovasse a svolgere un mero lavoro dipendente, con turni di lavoro imposti che - vista la delicatezza e particolarità del lavoro svolto - la ricondurrebbero a quello sfruttamento che, dopo esser stato cacciato dalla porta, rientrerebbe dalla finestra.
L'ho fatta troppo lunga, scusate.
Un saluto.
Lafayette
A riguardo dei controlli sanitari e del lavoro dipendente, esiste la Convenzione ONU 1949/51: http://www.webalice.it/cstfnc73/convenzioneonu.htm
Di conseguenza, l'unico modo per intervenire in via legislativa in merito, sarebbe quello di dichiarare "espressamente" la prostituzione in Italia tassabile, la cui istituzione non potrebbe andare oltre il lavoro a libera professione.
 
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Mi sembra di capire che dunque siamo sostanzialmente d'accordo, fatto salvo l'aspetto della qualifica di libera professione e non d'impresa, sulla quale comunque non credo ci sarebbero barricate.
Sbaglio?
(Segnalo tuttavia che nel link allegato al Tuo messaggio non ho trovato riferimenti né al lavoro dipendente né ai controlli sanitari. Puoi cortesemente segnalarmeli, stante la mia probabile sbadataggine? Grazie. Un saluto. Lafayette)
 
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Mi sembra di capire che dunque siamo sostanzialmente d'accordo, fatto salvo l'aspetto della qualifica di libera professione e non d'impresa, sulla quale comunque non credo ci sarebbero barricate.
Sbaglio?
(Segnalo tuttavia che nel link allegato al Tuo messaggio non ho trovato riferimenti né al lavoro dipendente né ai controlli sanitari. Puoi cortesemente segnalarmeli, stante la mia probabile sbadataggine? Grazie. Un saluto. Lafayette)
Se osservi l'articolato della stessa Convenzione, l'articolo 6 della medesima indica che le persone che esercitano la prostituzione o sospette tali non possono essere sottoposte a registrazioni o controlli speciali od eccezionali. Quindi, dei controlli sanitari o tasse specifiche sulla prostituzione non potrebbero rispettare i relativi dettami; non ovviamente quelle ordinarie al pari di tutti i lavoratori.
Sull'obbligo d'avere la libera professione, la Convenzione stessa all'articolo 1 vieta lo sfruttamento degli altrui soggetti da parte di terze persone, ma non da parte dello Stato.
 
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Mah, a ben leggere l'art. 6 sembra riferirsi semmai ai controlli di polizia come le vecchie "schedature" che un tempo parecchi ordinamenti - compreso il nostro - prevedevano per ragioni di pubblica sicurezza.
Il sottoporre a controllo sanitario una persona è invece tutt'altra faccenda: è un diritto dello Stato - ad esempio secondo l'articolo 32 della nostra Costituzione, che ne disciplina i limiti - nell'ottica di prevenzione medica, che è riconosciuta come potestà sacrosanta per la tutela dei cittadini.
Ad esempio, la quarantena all'immigrazione è ancora un sistema adottato da parecchi paesi che sono considerati civilissimi, specie nei confronti di chi arriva da altri paesi ove sono in corso epidemie.
Dunque non sono d'accordo con te sul fatto che l'art. 6 vieti i controlli sanitari in assoluto e men che meno su chi esercita la prostituzione.

Inoltre, a ben leggere l'art 1 recita:
Articolo 1
Le parti con la presente Convenzione convengono di punire qualsiasi persona che, per soddisfare le passioni altrui:
1) procura, adesca o rapisca al fine di avviare alla prostituzione un'altra persona anche se consenziente;
2) sfrutta la prostituzione di un'altra persona anche se consenziente.

Direi che siamo totalmente fuori dal contesto che trattiamo, visto che stiamo parlando dell'introduzione di una legge che consenta a chi lo vuole di esercitare la prostituzione, secondo la legge e le imposte che lo Stato può prevedere.
Chiaro che qualunque legge che permetta l'esercizio della prostituzione ne deve vietare l'avviamento forzato o lo sfruttamento da parte di altri, così come avviene per tanti altri lavori.
Sono regole basilari di qualunque paese civile : non credo sia necessario richiamare la convenzione che, tra l'altro, sembra scontare il molto tempo passato da quando è stata introdotta.
Un saluto.
Lafayette
 
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Se osservi l'articolato della stessa Convenzione, l'articolo 6 della medesima indica che le persone che esercitano la prostituzione o sospette tali non possono essere sottoposte a registrazioni o controlli speciali od eccezionali.

E' una questione che ha coinvolto recentemente l'Italia anche nella liberalizzazione europea delle prestazioni di servizi. Tradizionalmente in Italia il possesso di requisiti per esercitare un mestiere è verificato attraverso un procedimento burocratico di iscrizione ad un registro, che in paesi di tradizione liberista viene visto come una schedatura.
La convenzione vieta di sottoporre le persone che si prostituiscono a speciali formalità ma non vieta di prescrivere a persone qualunque determinati adempimenti se intendono prostituirsi. Detto questo va anche osservato che è inutile.
Intanto la prostituta che esercitasse irregolarmente non potrebbe comunque essere perseguitata, quindi nemmeno sanzionata perché è troppo difficile distinguere le due cose. Poi tutta una cultura dell'industria e delle professioni che si sviluppa a piccoli passi ma incessantemente dal dopoguerra ha dimostrato ormai senza lasciare dubbi il fallimento del meccanismo prescrizione - sanzione, a favore di quello del raggiungimento, obbligatorio attraverso un corso, di un livello minimo di consapevolezza.
 
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A me comunque sembra - torno a ripeterlo - che l'art. 6 della convenzione si riferisca alle vecchie "schedature" di polizia, che erano presenti nel nostro ordinamento nelle leggi di pubblica sicurezza, e che colpivano proprio e soprattutto le donne dedite ad esercitare la prostituzione (anche nei luoghi deputati : tutte le donne presenti nei c.d. "casini" precedenti alla Legge Merlin erano schedate come prostitute).
Non mi sembra che quel divieto abbia molto a che vedere con l'ipotetico esercizio di una professione, che invece richiede l'inserimento in albi o ruoli su base volontaria.
In pratica, l'introduzione di una legge che prevedesse l'esercizio della prostituzione come professione (o piccola impresa) non farebbe altro che applicare ad essa principi già esistenti, secondo leggi vigenti e sistemi amministrativi previsti dal nostro Stato.
Sarebbe un cambiamento culturale, ma non certo uno stravolgimento giuridico: la prostituzione in sé non è vietata.
Tuttavia, mi sembra che con gli interventi che ho letto si stia facendo molta confusione su questa questione: sicché, per non aumentarla né in questo thread né in me stesso, io mi fermo qui.
Buon proseguimento, un saluto.
Lafayette
 
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A me comunque sembra - torno a ripeterlo - che l'art. 6 della convenzione si riferisca alle vecchie "schedature" di polizia, che erano presenti nel nostro ordinamento nelle leggi di pubblica sicurezza, e che colpivano proprio e soprattutto le donne dedite ad esercitare la prostituzione (anche nei luoghi deputati : tutte le donne presenti nei c.d. "casini" precedenti alla Legge Merlin erano schedate come prostitute).
Non mi sembra che quel divieto abbia molto a che vedere con l'ipotetico esercizio di una professione, che invece richiede l'inserimento in albi o ruoli su base volontaria.
In pratica, l'introduzione di una legge che prevedesse l'esercizio della prostituzione come professione (o piccola impresa) non farebbe altro che applicare ad essa principi già esistenti, secondo leggi vigenti e sistemi amministrativi previsti dal nostro Stato.
Sarebbe un cambiamento culturale, ma non certo uno stravolgimento giuridico: la prostituzione in sé non è vietata.
Tuttavia, mi sembra che con gli interventi che ho letto si stia facendo molta confusione su questa questione: sicché, per non aumentarla né in questo thread né in me stesso, io mi fermo qui.
Buon proseguimento, un saluto.
Lafayette
Come ho già detto prima, tale Convenzione, ratificata dall'Italia nel 1980 e quindi ai sensi dell'articolo 10 e 117 della Costituzione Italiana, è parte integrante della medesima Costituzione.
I controlli sanitari e la relativa tassazione possono di conseguenza essere applicati unicamente senza alcun vincolo espressivo esclusivo sulla prostituzione, ma al pari di tutti i cittadini.
Questo per spiegare un quadro chiaro della situazione in Italia, in tema della connessa tassazione, con eventuali normative future in merito.
Naturalmente, il tutto solo sotto il mio punto di vista.
 
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Dal seguente articolo giuridico: http://www.studiocataldi.it/articol...-devono-comunicarli-direttamente-al-fisco.asp
la finanziaria 2016 ha ritoccato il famigerato articolo 14 comma 4 della Legge 537/1993 (finanziaria 1994), che, con la modifica dell'articolo 36 comma 34bis Legge 248/2006, ha tassato tutto in Italia, anche il meretricio.
Orbene, dal seguente testo relativo: "In caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell'articolo 331 del codice di procedura penale per qualsiasi reato da cui possa derivare un provento o vantaggio illecito, anche indiretto, le competenti autorità inquirenti ne danno immediatamente notizia all'Agenzia delle Entrate, affinché proceda al conseguente accertamento", si può benissimo comprendere che se fosse accertato in un qualsiasi caso lo sfruttamento dell'altrui prostituzione, la stessa Agenzia delle Entrate potrebbe indagare sulle connesse prostitute, purché consenzienti, al fine d'eventuali evasioni fiscali in questione.
 
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Franco, abbi pazienza, credo che proprio non ci capiamo.
Non è colpa di nessuno, ma davanti a fatti e leggi prendiamo decisamente strade diverse.
Mi spiace: come ho detto, io mi fermo qui.
Tu prosegui pure con i tuoi commenti - ci mancherebbe altro - ma non farli in risposta ai miei, è inutile, non c'entrano nulla con i tuoi.
Un saluto.
Lafayette
 
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No, veramente avevi detto che ti fermavi nell'altra pagina (perché noi non capiamo un cazzo ma a parte la motivazione che non discuto, era l'altra pagina, non quì!).

Guarda, non so per quale motivo il mio messaggio sia finito in questa pagina e non nell'altra, dove sarebbe stato giusto perché Franco rispondeva citandomi. Quanto al " noi non capiamo un cazzo", non so perché tu lo affermi né perché tu ti senta tirato in ballo: ho detto che io non capisco Franco, e direi che lui non capisce me. Ma mica è un dramma. Continuate pure, io mi sono fermato, questo è solo un messaggio di precisazione, non vi mancherò di certo. Un saluto.
Lafayette
 
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Alle stesse sono state contestati oltre 170 mila euro di proventi derivanti dall’esercizio dell’attività illecita di prostituzione.

Ma non è sbagliato scrivere "proventi derivanti dall'esercizio dell'attività illecita di prostituzione?" .. o mi son perso qualcosa?

Tali articolate e trasversali metodologie operative hanno determinato la scoperta di una massa impositiva sottratta all’Erario quantificata in oltre 400.000 euro, a cui si aggiungono le sanzioni correlate ai 115.000 euro di violazioni all’iva.

Con quelle somme si sconfina nel reato penale. Ma è reato?
 
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Ma non è sbagliato scrivere "proventi derivanti dall'esercizio dell'attività illecita di prostituzione?" .. o mi son perso qualcosa?



Con quelle somme si sconfina nel reato penale. Ma è reato?
La Cassazione con la Sentenza n. 10578/2011 ha dichiarato che la prostituzione in Italia è lecita. In effetti, non è un illecito penale, ma potrebbe essere riconosciuto illecito civile, che viene riconosciuto espressamente tassabile proprio dalla Legge 537/1993 all'articolo 14 comma 4.
Non ho presente la relativa somma d'evasione con la quale si hanno anche sanzioni penali, comunque su tale situazione si potrebbe anche ipotizzare, nella connessa peggiore delle ipotesi, la truffa ai danni dello Stato, se venisse comprovato il dolo in merito.
 
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Sebbene controvoglia, mi tocca intervenire di nuovo, perché la norma che le commissioni tributarie richiamano ( tra le tante, si veda la Commissione Tributaria di Roma, n.47 del 23/2/09) è quella dell'art.67 lettera I del dpr 617/86 ( Testo Unico Imposta sui redditi) ove si afferma:

" Sono redditi diversi, se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente:
(….)
l) I redditi derivanti da attività di lavoro" autonomo non esercitate abitualmente o dalla assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere”.

In pratica la prostituzione è già considerata tanto dal fisco quanto dalla giustizia ordinaria un'attività da lavoro autonomo assolutamente lecita, sebbene non sia possibile accertarne la costanza o l'abitualità.
Sul come l'eccessiva evasione fiscale possa divenire illecito penale rimando al codice ed alle leggi speciali in materia, ci sono limiti di somma che vanno solo calcolati.
Ecco perché ritengo che lo Stato dovrebbe intervenire con una legge di disciplina, con i controlli (anche sanitari) dovuti ed imposti a chi la vuole esercitare.
Non sarebbe nemmeno difficile, la strada è già ampiamente indicata.
Rassegnato all'idea che Franco fraintenda anche questo messaggio o eccepisca brani di leggi che interpreta a modo suo, dico basta, stavolta mi fermo davvero.
Un saluto.
Lafayette
 
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In pratica la prostituzione è già considerata tanto dal fisco quanto dalla giustizia ordinaria un'attività da lavoro autonomo assolutamente lecita

Ho bisogno di capire;
una prostituta che vuole dichiarare il reddito e di conseguenza pagare le tasse, come deve comportarsi?
Esiste un modo per regolarizzare la posizione col fisco?
Se esiste, in caso di accertamenti, quali sono i criteri che si devono adottare?
Quali accortezze una prostituta deve prendere per non venire un giorno accusata di evasione tale per cui le venga contestato un reato penale? (il limite attuale sono 150mila euro di tributo eluso o non dichiarato, salvo modifiche recenti).
 
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