Stiamo osservando che il virus perde potenza - ha detto Massimo Ciccozzi, responsabile dell'Unità di statistica medica ed epidemiologia molecolare dell'Università Campus Bio-Medico di Roma durante un'audizione in Senato -. Evolve, ma perde contagiosità e, probabilmente, letalità». Conferma Matteo Bassetti, direttore di Malattie infettive al Policlinico San Martino di Genova e componente della task force della Regione Liguria: «A marzo questo virus era uno tsunami, ora è diventato un'ondina. Forse è perché ha già colpito i soggetti più fragili, facendo una “selezione naturale”, o forse si è depotenziato. È un'iniezione di fiducia per la fase 2, ma per giudicare se gli italiani si saranno comportati bene ci vorranno 2-3 settimane». Prudente anche Francesco Le Foche, primario di Immuno-infettivologia al Day hospital del Policlinico Umberto I di Roma: «Oggi vediamo delle sindromi meno importanti dal punto di vista clinico. Questo potrebbe essere dato da una riduzione della virulenza del virus. Ma i progressi non devono far pensare a un “tana libera tutti”».
Quali strumenti abbiamo a disposizione per poter stabilire se Sars-CoV-2 è diventato meno aggressivo?
Lo chiediamo a Massimo Clementi, direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia all'Ospedale San Raffaele di Milano e professore all'Università Vita-Salute San Raffaele. «La prima valutazione è legata all'espressione clinica dell’infezione, che adesso è più mite. Nella fase drammatica, al San Raffaele arrivavano circa 80 persone al giorno, la maggior parte delle quali necessitava di ricovero in terapia intensiva. Le cose sono nettamente cambiate da circa due settimane e, come vediamo, le terapie intensive si stanno man mano liberando. L’infezione non sfocia più nella fase gravissima, la cosiddetta “tempesta citochinica”: lo vediamo in ospedale, anche se per ora è solo un'osservazione empirica. In generale sono in forte calo i pazienti che hanno bisogno di ospedalizzazione, l'epidemia c'è ancora ma dal punto di vista clinico si sta “svuotando”».