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Da Genova a Milano, dai carrugi del ghetto ai marciapiedi metropolitani. «Le persone che si prostituiscono sono circa quinto rispetto al 2019, una quarantina in città, quasi tutte albanesi, rumene protette da albanesi o da rom, e trans. Italiane? Negli ultimi anni ne ho vista una sola», informano gli agenti della sezione Criminalità straniera e prostituzione della Squadra Mobile, la vecchia buoncostume. Non esistono più il viale Cassala delle rumene, la via Piccinni delle cinesi, il viale Porpora delle sudamericane, la «Fossa dei leoni» di parco Sempione dei trans.
Abbiamo fatto un giro intorno a mezzanotte: deserto. Due tre prostituite per zona. C’è giusto Maria, rumena di 31 anni tornata a farsi vedere in viale Cassala: «Mi ero fermata per paura del contagio». Fino a qualche anno fa pagava 500 euro a settimana la sua striscia d’asfalto.
E Lara, un’albanese sulla quarantina a Lotto: «Io preferisco la strada perché così mi scelgono, online ci sono molti fake e i clienti sono diffidenti».
Altra rumena in via Terzaghi, dalle parti di San Siro, da lei c’è una coda di macchine in attesa: «Ho 28 anni, vengo da Bucarest, sto qui qualche mese fino a che non metto da parte la somma che mi serve, se vuoi andiamo a piedi lì dietro».
Un’italiana c’è, si chiama Silvia, ha una sessantina d’anni e passeggia in un angolo di via Washington. Ha la cadenza e l’erre alla francese ed è molto sospettosa. Dopo un po’ qualcosa dice: «Io l’ho fatto per trent’anni e oramai lavoro solo con chi dico io: ne aggancio raramente qualcuno di nuovo. I miei clienti sono di due tipi: gli anziani che non sanno usare il web e tutti quelli che hanno paura di lasciare tracce online dell’appuntamento: uomini sposati, gente importante».