UN ROMANZO D'APPENDICE - continua
A dire il vero, è ormai passato così tanto tempo che è quasi diventato un romanzo storico ... Spero solo che non sia noioso come i Promessi Sposi
Arrivato a Bergamo, è già il deserto dei Tartari. Come previsto, devo spostarmi sino al Kebab di Dalmine, per trovare un po' di movimento: lì ci sono tutte, in ansiosa attesa che qualcuno le rapisca con sè e le porti via dall'aria fradicia della notte. Non è però ancora il loro momento, perché voglio prima spingermi oltre, per vedere chi abbia sfidato imperterrita la tormenta. Una Diana quasi esangue e bagnata come un pulcino attende sotto un gigantesco ombrello, proprio davanti all'ingresso del Bolgia. Dev'esserci stata l'acqua più alta che a Venezia, dato che attende l'arrivo dei clienti in ciabatte infradito. Così non la trovo particolarmente sexy (ma i colleghi devono pensarla diversamente, perché nell'oretta successiva vedrò più l'ombrello abbandonato al proprio destino che la titolare dalla chioma bicolore), per cui mi spingo ancora più avanti. Allo spiazzo (non occorre specificare quale, perché è quello per eccellenza, poco dopo il Paninaro o poco prima della rotondina
) intravedo Nadia in procinto di smontare. Nel "Quadrilatero della Gnocca" di Osio (copyright: buko) c'è molto meno movimento del solito, mentre la bionda Daniela e la sua collega mora al Continental, le Fruttarole al Benaglia e la presunta Monica (che in realtà si rivelerà essere la Rebecca conosciuta dall'amico cippolappo) resistono stoicamente sotto la pioggia, che ogni tanto si fa scroscio e ogni tanto si calma quasi del tutto. Le scarpe di Michela non devono essere state acquistate nel solito negozio di imitazioni cinesi, perché la bionda deve conservarle come una reliquia all'interno della sua Alfa, al punto da attendere completamente scalza sul marciapiede. Un paio di vasche in quel breve tratto di strada, incerto tra le due bionde, ma alla fine opto per Michela, che è da almeno un paio di mesi che non passo a trovare. Mi viene però soffiata per un nonnulla e così inizio un lungo peregrinare tra Boltiere e la rotonda della REA. Dopo una mezz'oretta si libera ma, troppo cauto come sempre, attendo che un trenino di macchine in arrivo da Boltiere mi passi davanti e proprio una di loro accosta dalla bionda e scompare con lei. Mi toccano altri trenta minuti scarsi di attesa, in cui mi spingo anche sino a Dalmine, giusto per controllare che il piano d'emergenza sia sempre praticabile. Quasi tutte le OTR (Diana, le Continentali, Rebecca) scompaiono man mano dalla scena e dunque sono sempre più stretto all'angolo dalla scelta che ho fatto.
Quando, transitando di nuovo davanti al Benaglia verso le 4:30, vedo Michela salire su un bolide di fattura alemanna, capisco che ogni speranza di incontrarla è sfumata: il conducente ha tutta l'aria di avere il portafoglio bello gonfio e sicuramente se la monopolizzerà per almeno tre quarti d'ora e, quando la fanciulla rientrerà in postazione, sarà solo per imboccare la strada di casa. A questo punto, riprendo la via di Dalmine, con l'idea di ripiegare sul piano d'emergenza, ossia reincontrare Adriana dopo quasi un anno. Quando transito davanti al Kebab, lei non c'è e la sua postazione è stranamente occupata da Alina e da una mora la cui identità mi è ignota (forse la Diana "spagnola" di cui ha parlato cippolappo). Probabilmente, la leggera pioggerellina che ha ricominciato a cadere ha convinto la cugina di Carla ad abbandonare la propria mattonella e a trovare riparo sotto la pensilina.
Transito un paio di volte, ma Adriana non ricompare. A questo punto (sono già le 4:45 e non c'è più tempo per temporeggiare), decido di tentare l'azzardo con Alina, confidando che la mia vecchia conoscenza abbia già preso il taxi per tornare a casa, evitandomi così un incrocio che definire imbarazzante sarebbe poco. Inverto la marcia al Maria Bonita e, assicuratomi di avere le spalle libere, mi infilo nel pertugio dove Alina sta chiacchierando amabilmente con la presunta Diana, volgendo ogni tanto uno sguardo distratto alle vetture di passaggio. Quando fermo la vettura, col motore ancora acceso, e abbasso il finestrino, sembra più interessata a verificare che non sia andato a cozzare contro il solido muro che delimita il Velodromo di Dalmine. Alla fine, si volge a me con i suoi occhioni azzurri sgranati e può così avere inizio l'intervista. So già tutto ma mi metto nei panni del milanese in gita fuori porta, che è capitato lì per caso e che scopre con malcelata soddisfazione che la fanciulla è disponibile ad appartarsi con lui per una buona mezz'oretta, guarda caso proprio nella palazzina lì di fronte. Un ultimo sguardo nel retrovisore, per controllare che Adriana non stia sbirciando da dietro le tendine del suo loft, e pronuncio il fatidico sì. Non c'è nessuno scambio di anelli, ma lo spegnimento del motore certifica che il dado è tratto e che ogni esitazione è sciolta. Sceso dalla vettura, attraverso la strada di fianco ad Alina e poi la seguo su per le ripidissime scale che conducono al piccolo atrio ove si affacciano tutti gli appartamenti delle kebabbare.
A dire il vero, è ormai passato così tanto tempo che è quasi diventato un romanzo storico ... Spero solo che non sia noioso come i Promessi Sposi

Raggiunta la sua mattonella, entro praticamente con la mia macchina nella concessionaria, per evitare che si inzuppi d'acqua, ed è il tempo del congedo. Guardo l'orologio e sono le 3:10, per cui l'incontro è durato 50 minuti buoni. Ben poco rispetto a quanto ero solito trattenermi con la mia prediletta, ma comunque un tempo più che accettabile, essendoci conosciuti per la prima volta stasera. Ci salutiamo, la sua amica è sempre all'interno del monovolume con targa bulgara e io invece mi dirigo alla volta di Bergamo, dato che la notte è ancora giovane e il sole ben lungi dal sorgere.
Arrivato a Bergamo, è già il deserto dei Tartari. Come previsto, devo spostarmi sino al Kebab di Dalmine, per trovare un po' di movimento: lì ci sono tutte, in ansiosa attesa che qualcuno le rapisca con sè e le porti via dall'aria fradicia della notte. Non è però ancora il loro momento, perché voglio prima spingermi oltre, per vedere chi abbia sfidato imperterrita la tormenta. Una Diana quasi esangue e bagnata come un pulcino attende sotto un gigantesco ombrello, proprio davanti all'ingresso del Bolgia. Dev'esserci stata l'acqua più alta che a Venezia, dato che attende l'arrivo dei clienti in ciabatte infradito. Così non la trovo particolarmente sexy (ma i colleghi devono pensarla diversamente, perché nell'oretta successiva vedrò più l'ombrello abbandonato al proprio destino che la titolare dalla chioma bicolore), per cui mi spingo ancora più avanti. Allo spiazzo (non occorre specificare quale, perché è quello per eccellenza, poco dopo il Paninaro o poco prima della rotondina

Quando, transitando di nuovo davanti al Benaglia verso le 4:30, vedo Michela salire su un bolide di fattura alemanna, capisco che ogni speranza di incontrarla è sfumata: il conducente ha tutta l'aria di avere il portafoglio bello gonfio e sicuramente se la monopolizzerà per almeno tre quarti d'ora e, quando la fanciulla rientrerà in postazione, sarà solo per imboccare la strada di casa. A questo punto, riprendo la via di Dalmine, con l'idea di ripiegare sul piano d'emergenza, ossia reincontrare Adriana dopo quasi un anno. Quando transito davanti al Kebab, lei non c'è e la sua postazione è stranamente occupata da Alina e da una mora la cui identità mi è ignota (forse la Diana "spagnola" di cui ha parlato cippolappo). Probabilmente, la leggera pioggerellina che ha ricominciato a cadere ha convinto la cugina di Carla ad abbandonare la propria mattonella e a trovare riparo sotto la pensilina.
Transito un paio di volte, ma Adriana non ricompare. A questo punto (sono già le 4:45 e non c'è più tempo per temporeggiare), decido di tentare l'azzardo con Alina, confidando che la mia vecchia conoscenza abbia già preso il taxi per tornare a casa, evitandomi così un incrocio che definire imbarazzante sarebbe poco. Inverto la marcia al Maria Bonita e, assicuratomi di avere le spalle libere, mi infilo nel pertugio dove Alina sta chiacchierando amabilmente con la presunta Diana, volgendo ogni tanto uno sguardo distratto alle vetture di passaggio. Quando fermo la vettura, col motore ancora acceso, e abbasso il finestrino, sembra più interessata a verificare che non sia andato a cozzare contro il solido muro che delimita il Velodromo di Dalmine. Alla fine, si volge a me con i suoi occhioni azzurri sgranati e può così avere inizio l'intervista. So già tutto ma mi metto nei panni del milanese in gita fuori porta, che è capitato lì per caso e che scopre con malcelata soddisfazione che la fanciulla è disponibile ad appartarsi con lui per una buona mezz'oretta, guarda caso proprio nella palazzina lì di fronte. Un ultimo sguardo nel retrovisore, per controllare che Adriana non stia sbirciando da dietro le tendine del suo loft, e pronuncio il fatidico sì. Non c'è nessuno scambio di anelli, ma lo spegnimento del motore certifica che il dado è tratto e che ogni esitazione è sciolta. Sceso dalla vettura, attraverso la strada di fianco ad Alina e poi la seguo su per le ripidissime scale che conducono al piccolo atrio ove si affacciano tutti gli appartamenti delle kebabbare.
Appena varcata la soglia del loft, un cagnolino di piccola taglia mi dà il benvenuto, cercando di staccarmi a morsi gli stinchi. "Gimi! Gimi!", lo sgrida Alina, rivolgendogli poi degli improperi in rumeno. "Scusalo, ma si comporta sempre così, quando incontra persone nuove". Credo che la grafia corretta sia Jimmy, ma potrebbe pure chiamarsi Geemy, per come Alina ne ha pronunciato il nome. Tradendo la mia assoluta ignoranza in materia canina, cerco di raccogliere maggiori informazioni sul suo animaletto di compagnia: "Ma è così piccolo perché è ancora un cucciolo o perché è la sua taglia?". "Ha un anno e cinque mesi, ma non crescerà molto più di così", mi spiega pazientemente la fanciulla. "E, visto che gli parli nella tua lingua, l'hai preso in Romania, giusto?", è il mio successivo quesito, che deve far pensare ad Alina di avere davanti a sè un perfetto imbecille. Come si fa con lo scolaretto un po' duro di comprendonio, la maestrina mi conferma che, sì, l'ha effettivamente comprato in Romania ma che, dovunque l'avesse preso, gli avrebbe comunque parlato in rumeno. [...]